CAPITOLO 13 - UN TUFFO FORTUNATO

 

CASA FOWL

 

Myles Fowl era seduto alla scrivania di Artemis nella poltroncina da ufficio che il fratello maggiore gli aveva regalato per il compleanno. Artemis gli aveva raccontato che era una produzione di serie, ma in realtà proveniva da Elf Aralto, il famoso negozio di design per elfi specializzato in mobili eleganti ma pratici.

Myles se ne stava appollaiato lì a sorseggiare la sua bevanda preferita: succo di açaì da un bicchiere da aperitivo. Due cubetti di ghiaccio, niente cannuccia.

— Questa è la bibita che mi piace di più — disse, tamponandosi l’angolo della bocca con un tovagliolo su cui era ricamato il monogramma con il motto dei Fowl, Aurum potestas est, l’oro è potere. — Lo so perché sono di nuovo io e non un guerriero del Popolo.

Artemis gli stava seduto di fronte in una poltrona simile, solo più grande.

— Non fai che ripeterlo, Myles. A proposito, posso chiamarti Myles?

— Sì, certo — rispose il bambino. — Perché è così che mi chiamo. Non mi credi?

— Certo che ti credo, ometto. So riconoscere la faccia di mio fratello.

Myles giocherellava con lo stelo del suo bicchiere. — Ho bisogno di parlarti da solo, Arty. Leale non potrebbe rimanere ad aspettare fuori per qualche istante? Sono questioni di famiglia.

— Leale fa parte della famiglia, lo sai, fratellino.

Myles mise su il broncio. — Lo so, però è imbarazzante.

— Leale ne ha già viste di tutti i colori. Non abbiamo segreti per lui.

— Ma non potrebbe uscire soltanto per un momento?

Leale stava in silenzio alle spalle di Artemis, con le braccia conserte in un atteggiamento aggressivo, cosa che non riesce poi così difficile se hai avambracci grossi come prosciutti affumicati e maniche che scricchiolano come seggiole vecchie.

— No, Myles. Leale rimane.

— Va bene, Arty, lascio decidere a te.

Artemis si appoggiò allo schienale della poltrona. — Che cosa è successo al Berserkr che c’era dentro di te, Myles?

Il fratellino fece spallucce. — Se ne è andato. Prima mi controllava la testa, ma poi se ne è andato.

— E come si chiamava?

Myles roteò gli occhi, lambiccandosi il cervello. — Uhm… Gobdaw, credo.

Artemis annuì come chi conosce benissimo l’argomento Gobdaw.

— Ah, sì, Gobdaw. Ho sentito parlare di lui dai nostri amici del Popolo.

— Credo che lo chiamassero Gobdaw il Guerriero Leggendario.

Artemis ridacchiò. — Sono sicuro che gli piacerebbe che tu la pensassi così.

— Perché è vero — insistette Myles con una lieve tensione ai lati della bocca.

— Non è quello che abbiamo saputo noi, vero, Leale?

Leale non reagì né fece il minimo gesto, ma in qualche modo diede l’impressione di rispondere in maniera negativa.

— No — continuò Artemis. — Quello che abbiamo saputo dalle nostre fonti nel mondo del Popolo è che questo Gobdaw era una barzelletta, per dirla tutta.

Le dita di Myles stridettero sul collo del bicchiere. — Barzelletta? E chi lo dice?

— Tutti — rispose Artemis, aprendo il portatile e controllando qualcosa sullo schermo. — Sta scritto in tutti i libri di storia del Popolo. Ecco qua, guarda. Gobdaw il Grandissimo Grullo, così lo chiamano, carina l’allitterazione. E qui c’è un altro articolo in cui si parla del tuo amico guerriero come di Gobdaw il Puzzoverme, che credo sia un termine usato per descrivere una persona che si prende la colpa di tutto. Noi umani lo chiameremmo capro espiatorio.

Adesso Myles aveva le guance arrossate. — Puzzoverme? Puzzoverme, hai detto? Ma perché mi… perché chiamerebbero Gobdaw puzzoverme?

— È una storia triste, patetica, ma a quanto pare è stato proprio questo tipo, Gobdaw, a convincere il suo capo a far sì che tutta la squadra dei Berserkr venisse sepolta attorno a una porta.

— Sì, ma era una porta magica — ribatté Myles. — Che proteggeva gli elementi del Popolo.

— Già, questo è quello che gli avevano raccontato, ma in realtà la porta non era nient’altro che un mucchietto di sassi, una deviazione che non conduceva da nessuna parte. I guerrieri hanno sprecato diecimila anni a fare la guardia ai sassi.

Myles si premette una mano sugli occhi. — No. Non è… no. L’ho visto, nei ricordi di Gobdaw. La porta è autentica.

Artemis rise piano.

— Gobdaw il Grandissimo Grullo. Che crudeltà. Ci hanno fatto anche una canzoncina, sai?

— Una canzoncina? — chiese Myles con voce stridula, e i bambini di quattro anni di solito non hanno la voce stridula.

— Ah, sì, una filastrocca. Vuoi sentirla?

Myles sembrava fare la lotta con la propria faccia. — No. Sì, dimmelo.

— Benissimo, fa così. — Artemis si schiarì teatralmente la voce.

Gobdaw, il grullo,

che grande citrullo,

di guardia a un ammasso

di sterpi e di sasso.

Artemis nascose un sorriso con una mano. — I bambini sanno essere così crudeli.

Myles cedette, e in due modi. Prima cedette la sua pazienza, rivelando che in effetti era Gobdaw, e poi fu lo stelo del bicchiere a cedere sotto le sue dita, trasformandosi in un’arma letale.

— Morte agli umani! — strillò in gnomico, saltando sulla scrivania e avventandosi su Artemis.

Nel combattimento, a Gobdaw piaceva visualizzare i colpi appena prima di eseguirli, trovava che lo aiutasse a concentrarsi. Perciò nella mente saltò con grazia dal bordo della scrivania, atterrò sul petto di Artemis e gli affondò lo stiletto di vetro nel collo. In tal modo avrebbe conseguito il doppio effetto di uccidere il Fangosetto e anche di farsi una bella doccia di sangue arterioso, il che lo avrebbe aiutato ad assumere un aspetto un po’ più terrificante.

In realtà, però, le cose andarono in modo leggermente diverso. Leale allungò un braccio e afferrò Gobdaw a metà del salto, gli strappò lo stelo di vetro dal pugno e poi imprigionò saldamente il bambino tra le sue braccia robuste.

Artemis si sporse in avanti sulla poltrona. — C’è anche una seconda strofa — gli disse. — Ma forse questo non è il momento.

Gobdaw si divincolava come un matto, ma era stato completamente neutralizzato. Preso dalla disperazione, provò con il fascino. — Adesso ordinerai a Leale di liberarmi — intonò.

Artemis era divertito. — Ne dubito proprio — disse. — Ti rimane magia solo per tenere sotto controllo Myles.

— Allora ammazzami e falla finita — intimò Gobdaw senza il minimo tremito nella voce.

— Non posso uccidere mio fratello, perciò ho bisogno che tu esca dal suo corpo senza fargli male.

Gobdaw ghignò. — Non è possibile, umano. Se vuoi avermi, devi far fuori il ragazzo.

— Sei male informato — ribatté Artemis. — C’è un modo per esorcizzare la tua anima combattiva senza danneggiare Myles.

— Voglio proprio vederti — disse Gobdaw con forse un accenno di dubbio negli occhi.

— Ogni tua parola è un ordine eccetera eccetera — rispose Artemis premendo un pulsante sull’interfono. — Portalo dentro Spinella, per piacere.

La porta dello studio si spalancò e un barile rotolò nella stanza, apparentemente da solo, finché dietro di esso non apparve l’elfa.

— Non mi piace, Artemis — disse Spinella nel ruolo dello sbirro buono concordato in precedenza. — Questa è roba pericolosa. L’anima di una persona potrebbe non raggiungere mai l’aldilà intrappolata in questa poltiglia.

— Elfa traditrice — sbottò Gobdaw scalciando. — Stai dalla parte degli umani.

Spinella fece rotolare il barile fino al centro dello studio e lo parcheggiò sul pavimento, non su uno dei preziosi tappeti afghani che Artemis insisteva sempre a descrivere nei minimi dettagli storici ogni volta che lei veniva a trovarlo lì.

— Io sto dalla parte della Terra — ribatté, incrociando lo sguardo di Gobdaw. — Tu sei rimasto sepolto per diecimila anni, guerriero. Le cose sono cambiate.

— Ho consultato i ricordi del mio ospite — disse Gobdaw stizzito. — Gli umani sono quasi riusciti a distruggere l’intero pianeta. Le cose non sono cambiate così tanto.

Artemis si alzò e andò a sollevare il coperchio del barile. — E vedi anche una navetta spaziale che spara bolle dal tubo di scarico?

Gobdaw lambiccò rapidamente il cervello di Myles. — Sì, sì, la vedo. È d’oro, giusto?

— Quello è uno dei progetti sognati da Myles — spiegò lentamente Artemis. — Solo un sogno. Il jet a bolle. Se frughi un po’ meglio nella fantasia di mio fratello, troverai un pony robotico che fa i compiti e una scimmia che ha imparato a parlare. Il ragazzino che controlli è molto intelligente, Gobdaw, ma ha solo quattro anni. A quell’età il confine fra realtà e immaginazione è molto sottile.

Il petto di Gobdaw si sgonfiò man mano che trovava tutti quegli oggetti nel cervello di Myles. — Perché mi dici questo, umano?

— Voglio che tu capisca di essere stato ingannato. Opal Koboi non è la salvatrice che finge di essere. È un’assassina condannata ed evasa di prigione. Vorrebbe mandare a monte diecimila anni di pace.

— Pace! — esclamò Gobdaw, che poi latrò una risata. — Umani pacifici? Anche sepolti sotto terra avvertivamo la vostra violenza. — Si agitò fra le braccia di Leale, un Artemis in miniatura con i capelli neri e l’abito scuro. — E questa la chiami pace?

— No, e mi scuso per il trattamento che devi subire, però rivoglio mio fratello. — Artemis fece un cenno a Leale, che issò Gobdaw sopra il barile aperto. Il piccolo guerriero rise.

— Sono rimasto sotto terra per millenni. Credi davvero che a Gobdaw faccia paura l’idea di essere imprigionato in un barile?

— Ma non sarai imprigionato. Tutto quello che serve è un rapido tuffo.

Gobdaw abbassò lo sguardo sui piedi ciondoloni: il barile era pieno di un viscoso liquido bianco con una pellicola in superficie.

Spinella voltò le spalle. — Non voglio vedere, so che cosa si prova.

— Che cos’è? — chiese il Berserkr nervosamente mentre dall’aura di quella roba si levava un’ondata di nausea fredda a lambirgli i piedi.

— Questo è un regalino di Opal — spiegò Artemis. — Qualche anno fa ha rubato i poteri di uno stregone usando proprio quel barile. Io lo avevo tenuto da parte in cantina perché non si sa mai, giusto?

— Che cos’è? — ripeté Gobdaw.

— Uno dei due inibitori naturali della magia — spiegò il ragazzo. — Grasso animale fuso. Una roba disgustosa, lo ammetto, e mi dispiace davvero di doverci infilare dentro mio fratello, perché lui adora quelle scarpe. Un tuffo, e il grasso fuso ti intrappola l’anima. Myles ne esce intatto e tu rimani trattenuto nel Limbo per l’eternità. Non è esattamente la ricompensa che ti saresti aspettato per il tuo sacrificio.

Qualcosa sfrigolò nel barile, scatenando piccole scariche elettriche. — Ma che accidente è? — stridette Gobdaw con la voce di un’ottava più acuta per il panico.

— Oh, quello è il secondo inibitore naturale della magia. Ho chiesto al mio amico nano di sputarci dentro, giusto per dargli un po’ di brio.

Gobdaw riuscì a liberare un braccio e a picchiarlo contro il bicipite di Leale, ma per il risultato che ne ricavò avrebbe anche potuto prendere a pugni un macigno. — Non ti dirò niente — disse con il mento che tremava.

Artemis tenne stretti gli stinchi di Gobdaw in modo da puntarli dritti dentro il barile. — Lo so. Myles mi dirà tutto fra un momento. Mi dispiace doverti fare questo, Gobdaw. Sei stato un guerriero valoroso.

— Non Gobdaw il Grandissimo Grullo, quindi?

— No — ammise Artemis. — Me lo sono inventato per costringerti a rivelare la tua identità. Dovevo avere la certezza.

Spinella spintonò via Artemis con una gomitata. — Berserkr, ascoltami. So che sei vincolato a Opal e non puoi tradirla, ma questo umano entrerà nel barile in un modo o nell’altro. Perciò leva le tende dal suo corpo e passa nell’aldilà. Non c’è nient’altro che tu possa fare qui. Questa non è una fine che si conviene a un possente guerriero.

Gobdaw si accasciò tra le braccia di Leale. — Diecimila anni. Così tante vite.

Spinella gli sfiorò la guancia.

— Hai fatto tutto ciò che ti era richiesto. Riposare ora non è tradimento.

— Forse l’umano si sta prendendo gioco di me e questo è tutto un bluff.

Spinella rabbrividì. — Il barile non è un bluff. Opal mi ci ha imprigionato dentro, una volta. È stato come se mi si atrofizzasse l’anima. Salvati, ti prego.

Artemis fece un cenno verso Leale. — Benissimo, basta indugi. Buttalo dentro.

Leale spostò la presa sulle spalle di Gobdaw e cominciò a calarlo lentamente.

— Aspetta, Artemis! — gridò l’elfa. — Questo è un eroe del Popolo.

— Mi dispiace, Spinella, ma non c’è più tempo.

Le punte delle dita dei piedi di Gobdaw toccarono il grasso, e subito viticci di vapore gli si avvinghiarono attorno alle braccia. In quell’istante comprese che non era un bluff: la sua anima sarebbe rimasta imprigionata per sempre in quella poltiglia.

— Perdonami, Oro — disse, volgendo gli occhi al cielo.

Lo spirito di Gobdaw si allontanò da Myles e fluttuò in aria, impresso nell’argento. Rimase sospeso per diversi istanti, apparentemente confuso e in ansia, finché una goccia di luce non gli fiorì in petto e incominciò a roteare come un piccolo ciclone.

A quel punto Gobdaw sorrise, e il dolore di secoli gli scivolò via dalla faccia. La luce diventava sempre più grande a ogni rotazione, allargando le sue increspature fino a inghiottirgli gli arti, il tronco e infine il volto, che al momento del passaggio aveva un’espressione che si può definire solamente estatica.

Per chi lo osservava, fu impossibile guardare quel volto spettrale senza provare un po’ di invidia.

L’estasi, pensò Artemis. Raggiungerò mai quello stato?

Myles mandò all’aria quel momento scalciando furiosamente e facendo schizzare gocce di grasso.

— Artemis! Tirami fuori di qui! — gli ordinò. — Questi sono i miei mocassini preferiti!

Artemis sorrise: il suo fratellino aveva ritrovato il controllo della propria mente.

Myles non volle parlare finché non ebbe pulito le scarpe con uno straccio umido.

— Quell’elfa mi ha sporcato le scarpe di fango — brontolò, sorseggiando un secondo bicchiere di succo di açaì. — Sono mocassini di capretto, Arty.

— Un tipetto precoce, n’est-ce pas? — bisbigliò Artemis a denti stretti.

— Senti chi parla, c’est plus facile — bisbigliò di rimando Leale.

Artemis prese in braccio Myles e lo mise seduto sul bordo della scrivania. — Benissimo, ometto. Ho bisogno che adesso tu mi dica tutto quello che ricordi della tua possessione. Presto i ricordi incominceranno a dissiparsi. Il che vuol dire…

— So che cosa vuol dire dissiparsi, Arty. Non ho mica tre anni, sai?

Spinella sapeva per lunga esperienza che inveire contro Myles e Artemis non sarebbe servito ad accelerare le cose, ma sapeva anche che l’avrebbe fatta stare meglio. E in quel momento si sentiva depressa e sporca per il trattamento che aveva dovuto infliggere a uno dei guerrieri più illustri del Popolo. Inveire contro i Fangosetti poteva essere proprio quello che le ci voleva per tirarsi su di morale.

Decise per un pungolamento di medio livello. — Non potreste darvi una mossa? Questa operazione non prevede nessun time-out. Presto sarà mattina.

Myles la salutò con un gesto della mano. — Ciao, elfa. Hai una voce buffa. Hai mica respirato dell’elio? L’elio è un gas monoatomico inerte, fra parentesi.

Spinella sbuffò. — Oh, è proprio tuo fratello. Ci servono tutte le informazioni che ha nella testa, Artemis.

Il ragazzo annuì. — Benissimo. Ci sto lavorando. Myles, che cosa ti ricordi della visita di Gobdaw?

— Mi ricordo tutto — rispose orgoglioso il bambino. — Ti piacerebbe sentire il piano di Opal per distruggere l’umanità o come progetta di aprire la seconda serratura?

Artemis lo prese per mano. — Ho bisogno di sapere tutto, Myles. Comincia dal principio.

— Comincerò dal principio, prima che i ricordi inizino a dissiparsi.

Myles raccontò tutto quanto in un linguaggio di una decina d’anni in anticipo sulla sua età. Non divagò dal punto e non fece confusione, e nemmeno parve mai preoccupato per il proprio futuro, e questo perché Artemis aveva ripetuto spesso al suo fratellino che alla lunga l’intelligenza vince sempre, e che al mondo non c’era nessuno più intelligente dello stesso Artemis.

Purtroppo, in seguito agli eventi delle ultime sei ore, Artemis non nutriva in quella massima la solita fiducia. E, man mano che Myles procedeva con il suo racconto, cominciò a credere che perfino la sua intelligenza non sarebbe bastata per garantire un lieto fine al pasticcio in cui erano finiti.

Forse possiamo farcela, pensò. Però non ci sarà nessun lieto fine.