CAPITOLO 11 - MORTE PER MANO DI CONIGLI
SOTTO CASA FOWL, un PO’ A SINISTRA
Nessuno, umano o membro del Popolo, era stato dichiarato morto più volte di Bombarda Sterro, ed era un record, questo, di cui lui andava smodatamente fiero. Ai suoi occhi, essere dichiarati morti dalla LEP non era altro che un modo meno imbarazzante per loro di ammettere che gli era sfuggito per l’ennesima volta. Al bar degli evasi, Il Pappagallo Sbronzo, i certificati di morte della LEP erano stampati e affissi sul Muro degli Eroi.
Bombarda cullava cari ricordi della primissima volta in cui si era finto morto per sbarazzarsi della polizia. Santo cielo, possono essere già passati più di duecento anni? Il tempo vola più in fretta dell’aria dalla patta posteriore, come soleva sempre dire la nonna, che dio l’abbia in gloria.
Era impegnato in un lavoretto con il cugino Nordio, sulla montagna d’oro di Cantuccio, quando il padrone di casa era inaspettatamente rientrato in casa dal convegno di Atlantide, dove sarebbe dovuto rimanere a spese dei contribuenti per altri due giorni.
Odio quando tornano a casa prima del previsto, pensò Bombarda. Ma perché la gente fa di queste cose, quando sa benissimo che ci sono ottime probabilità di trovare un rapinatore in soggiorno?
Ad ogni modo, il caso aveva voluto che il padrone di casa fosse un ex membro delle forze dell’ordine, con regolare porto d’armi per uno sfrizzagente che aveva usato con gran gusto sui due cugini nani. Nordio era riuscito a scappare passando dal tunnel, ma Bombarda era stato costretto a portarsi le mani al petto e a fingere un attacco cardiaco per poi scaraventarsi dalla finestra e fingersi morto fino all’impatto con il fiume sottostante.
Fare il cadavere è stata la parte più difficile, ricordò Bombarda. Non c’è niente di più innaturale che tenere le braccia flosce quando vorrebbero mettersi a roteare in aria.
La LEP aveva interrogato il padrone di casa, il quale aveva enfaticamente dichiarato: Sì, l’ho ucciso. È stato un incidente, naturale, volevo soltanto mutilare quel nano e poi prenderlo a calci fino a fargli perdere i sensi, ma quell’idiota potete pure considerarlo morto. Nessuno può fingersi cadavere per un volo di tre piani.
E così, Bombarda Sterro era stato dichiarato morto per la prima volta. Ci sarebbero state altre dodici occasioni ufficiali in cui si sarebbe erroneamente creduto che avesse tagliato la corda per l’ultima volta e, a sua insaputa, in quel momento stava strisciando verso un’occasione ufficiosa.
Le sue istruzioni, del resto, erano semplicissime: scavare un tunnel parallelo a quello appena crollato, sgattaiolare nei rottami della Cupido e poi rubare tutte le armi conservate nell’armadietto. Scavare, sgattaiolare e rubare, tre dei quattro verbi preferiti di Bombarda.
Non so proprio perché lo sto facendo, pensò mentre scavava. Dovrei puntare verso la superficie e trovarmi una bella crepa. Dicono che l’ondata di morte di Opal ucciderà solo gli umani, ma perché correre un rischio così da irresponsabili con il grande dono della vita?
Bombarda sapeva bene che quel ragionamento era solo un mucchio di polpette di troll, ma riusciva a scavare meglio se era seccato, anche se l’oggetto del suo fastidio era lui stesso. E così, il nano fumava di irritazione in silenzio mentre avanzava nel sottosuolo verso i rottami della navetta.
Sei metri più in alto e trenta metri a sud, Opal Koboi metteva mano ai profondi incantesimi algebrici della seconda serratura dei Berserkr. I simboli le si avvolgevano attorno alle dita come lucciole e cedevano il proprio potere uno alla volta man mano che lei ne scopriva i segreti. Alcuni venivano sottomessi forzatamente con il puro potere della sua magia nera, ma altri dovevano essere persuasi con subdole fatture o solleticamenti magici.
Ci sono quasi, pensò. Riesco ad avvertire la forza della Terra.
Presumeva che l’ondata di morte avrebbe assunto la forma di energia geotermica, attratta dalle risorse di tutto il pianeta e non solo dai bacini idrotermici più in superficie, e ciò avrebbe intaccato le riserve mondiali e teoricamente avrebbe potuto sprofondare la Terra in una nuova era glaciale.
Sopravviveremo, pensò cinicamente. Ho dei bellissimi stivali termici da parte.
Il lavoro era impegnativo ma fattibile, e sapere di essere l’unica folletta al mondo ad avere svolto sufficienti ricerche sulle complessità della magia antica per poter aprire la seconda serratura le dava una certa soddisfazione. La prima era stata semplice – aveva richiesto poco più di un lampo di magia nera – ma per la seconda occorreva una conoscenza enciclopedica dell’arte magica.
Quel tecnoanalfabeta di Polledro non ci sarebbe mai riuscito, neppure in un milione di anni, gongolava.
Opal non lo sapeva, ma in quel momento era così compiaciuta che roteava le spalle e faceva un verso simile a fusa.
Sta andando tutto così bene, si diceva.
Quel piano era stato fuori dal comune perfino per i suoi standard, ma improbabile o no, tutti gli elementi stavano andando al loro posto. La sua prima idea era stata di sacrificare il suo alter ego più giovane e di usare il potere trafugato per evadere da Sprofondo. Poi però le era venuto in mente che si sarebbe dovuta liberare di quel potere all’istante, se voleva evitare che la divorasse viva. E allora perché non farne buon uso?
L’opportunità si era presentata quando l’alter ego più giovane di Opal si era messo telepaticamente in contatto con lei.
Una mattina, Opal era nel bel mezzo di un Coma Rigeneratore quando – ping! – a un tratto nella sua testa aveva sentito una voce che chiamava la sorella chiedendo aiuto. Per un attimo aveva temuto di essere impazzita, ma poi, a poco a poco, l’informazione era filtrata. Una Opal più giovane aveva seguito Artemis Fowl dal passato.
Non me lo ricordo, si era resa conto Opal. Perciò il mio alter ego più giovane deve essere stato catturato e rimandato indietro dopo uno spazzamente.
A meno che…
A meno che la linea temporale non si fosse spezzata in due parti. In quel caso, qualunque cosa sarebbe stata possibile.
Opal fu sorpresa nel trovare la se stessa più giovane un po’ piagnucolona, perfino noiosa. Davvero pensava sempre e solo a se stessa?
Che razza di egocentrica, rifletteva la folletta. È tutto un: Mi sono fatta male alla gamba nell’esplosione; la mia magia sta svanendo; devo ritornare nel mio tempo.
Niente di tutto ciò era minimamente di aiuto a Opal, rinchiusa nella sua prigione.
Quello che devi fare è aiutarmi a uscire di qui, aveva trasmesso al suo alter ego più giovane. Così potremo occuparci delle tue ferite e rimandarti a casa.
Ma come riuscirci? Quel maledetto centauro Polledro l’aveva incarcerata nella cella più tecnologicamente avanzata del mondo.
La risposta era semplice: Devo costringerli a liberarmi perché l’alternativa sarebbe semplicemente troppo orribile per poterla anche solo contemplare.
La folletta si era baloccata con quel problema per parecchi minuti prima di accettare il fatto che fosse necessario sacrificare la giovane Opal e, una volta messa a posto quella tessera del puzzle, aveva fatto presto a costruirci tutto attorno il resto del progetto.
Pip e Kip erano due gnomi non troppo svegli che lavoravano come funzionari pubblici. Qualche anno prima il Consiglio li aveva incaricati di effettuare una revisione di uno dei conti della sua fabbrica, e Opal li aveva ipnotizzati usando rune proibite e magia nera. Era bastata solo una telefonata della giovane Opal per attivare la loro lealtà, anche a costo della vita di uno o di entrambi. Aveva trasmesso le sue istruzioni alla giovane Opal, spiegandole esattamente come organizzare il falso rapimento e come usare le tracce di magia nera rimaste nel suo sistema per trovare la leggendaria Porta dei Berserkr. La porta era la via per ritornare al passato o, per lo meno, quella era la storia che Opal aveva rifilato al suo alter ego.
La giovane Opal non poteva saperlo, ma c’era un motivo valido se le istruzioni per Pip e Kip erano così precise. Nelle parole era nascosto un semplice codice che Opal vi aveva inserito insieme con il vincolo di lealtà. Se la giovane Opal avesse pensato di mettere per iscritto tutte le lettere che corrispondevano a numeri primi, avrebbe scoperto un messaggio ben più sinistro di quello che credeva di trasmettere: Quando sarà scaduto il termine, uccidete l’ostaggio.
Con i funzionari pubblici era meglio stare sul semplice.
Ogni cosa aveva funzionato esattamente come previsto, tranne per l’arrivo di Fowl e del capitano Tappo. Però, in un certo senso, anche quello era stato un colpo di fortuna: adesso avrebbe potuto ucciderli di persona.
Non tutto il male vien per nuocere, pensò.
Di colpo Opal si sentì aggrovigliare lo stomaco e un’ondata di nausea l’assalì. Il primo pensiero della folletta fu che la magia nera lottasse contro i suoi anticorpi, ma poi si rese conto che l’origine di quel malessere era esterna a lei.
Qualcosa offende i miei sensi magici acuiti, pensò. Qualcosa che c’è laggiù.
I rottami della navetta stavano al di fuori del cerchio di guerrieri che montavano di guardia alla loro regina.
Sotto la navetta. Qualcosa è coperto di una sostanza che mi fa stare male, comprese.
Era quel maledetto nano, sempre pronto a ficcare quella sua patta dove non doveva.
Opal si accigliò. Quante volte ancora avrebbe dovuto subire le umilianti flatulenze di quel nano? Era inaccettabile.
Lo hanno mandato a recuperare le armi, non c’è dubbio, pensò.
Opal alzò gli occhi di quindici gradi in direzione della navetta. Per quanto la Cupido potesse essere distrutta, il suo sesto senso riusciva ad avvistare un’aura di energia serpeggiare attorno alla fusoliera come una grossa biscia. Quella particolare lunghezza d’onda non sarebbe stata di aiuto per aprire la seconda serratura, ma di sicuro avrebbe fornito materiale sufficiente per una dimostrazione estremamente chiara del suo potere.
Opal ritirò una mano dai deboli rantoli della pietra e curvò le dita ad artiglio, disponendo le molecole in modo da attrarre ogni briciola di energia presente all’interno della Cupido. L’energia lasciò il veicolo in un pantano luminoso, prosciugandolo fino a ridurlo a un rottame avvizzito, e fluttuò nell’aria sopra i guerrieri ammirati.
— Guardate che cosa è capace di fare la vostra regina! — gridò con gli occhi accesi. Le minuscole dita si attorcigliarono, manipolarono l’energia fino a farle assumere la forma di un cuneo appuntito che scagliò attraverso la terra verso il punto in cui il nano stava trafficando. Si udì un gran tonfo, e una colonna di terra e pietre schizzò verso il cielo, lasciandosi dietro un cratere annerito.
Opal riportò la propria attenzione alla seconda serratura. — Riesci a vedere il nano? — chiese a Oro, che sbirciava all’interno del buco.
— Vedo un piede e un po’ di sangue. Il piede si muove, perciò è ancora vivo. Vado a prenderlo e lo porto su.
— No — gli disse Opal. — Mammina non vuole perderti di vista. Manda le creature della terra a ucciderlo.
Se il vincolo elfico non avesse condizionato così tanto la volontà di Oro, avrebbe richiamato all’ordine Opal per avere ripetutamente mancato di rispetto agli anziani ma, stando così le cose, perfino la sola idea di rimproverare la sua regina gli procurava forti crampi allo stomaco.
Quando il dolore fu passato, si portò due dita alle labbra per chiamare i suoi sterratori con un fischio. Scoprì che non era così facile fischiare con dita estranee, e tutto ciò che gli uscì dalla bocca fu uno sbavo rumoroso.
— Non conosco quel segnale, capo — disse Yesswi Khen, che un tempo era stato uno gnomo d’ascia piuttosto in gamba. — È l’ora del tè?
— No! — urlò Oro. — Mi servono gli sterratori. A rapporto.
Una decina di conigli arrivarono saltellando ai suoi piedi. I loro baffi tremavano per l’ansia di vedere finalmente un po’ di azione.
— Andate a prendere il nano — ordinò Oro. — Vi direi di portarmelo vivo, ma non è che ne abbiate esattamente le capacità.
I conigli picchiarono per terra le zampe posteriori in segno di assenso.
— Perciò gli ordini sono semplici: uccidetelo — continuò Oro con un certo rammarico.
I conigli si infilarono in massa nel buco, raspando con zelo verso il nano ferito.
Morte per mano di conigli, pensò Opal. Non è un bel modo di andarsene.
Oro non voleva guardare. I nani facevano parte del Popolo, e in altre circostanze sarebbero potuti essere alleati. Alle sue spalle sentì uno scricchiolio di ossa e lo sbatacchiare di terra che franava. Oro rabbrividì. Avrebbe preferito sempre e comunque affrontare un troll che un mucchio di conigli carnivori.
Sulla predella, Opal si sentì levare un peso dal cuore mentre un altro nemico soffriva.
Presto sarà il tuo turno, Polledro, pensò. Ma la morte sarebbe troppo facile per te. Forse stai già soffrendo. Forse la tua graziosa moglie ha già aperto il regalo che i miei piccoli gnomi le hanno fatto.
La folletta continuò a lavorare alla seconda serratura e intanto, per far passare il tempo mentre lavorava, intonò una canzoncina.
Questo, miei cari, è il giorno che
tutto andrà come va bene a me.
Opal non ne era consapevole, ma era una canzone famosa dello spettacolo di Pip e Kip.