«Quel ragazzo va diventando sempre peggiore!» esclamò, entrando. «Ha lasciato il cancello spalancato, e il pony della signorina dev'esser passato a galoppo attraverso il grano giù nel campo, calpestando tutto. Domani il padrone farà il diavolo a quattro e avrà ragione. È la pazienza in persona con un essere così scorbutico; è la pazienza in persona! Ma non lo sarà sempre, anche con voi. Seguitate, seguitate a farlo dar fuori per nulla e vedrete!»

            «Avete trovato Heathcliff, asino?» lo interruppe Caterina. «Siete stato a cercarlo come vi ho ordinato?»

            «Avrei preferito andare in cerca del cavallo,» rispose. «Vi sarebbe stato maggior senso; ma in una notte come questa non posso trovare un cavallo, nè un uomo; è nera come il camino! e Heathcliff non è proprio tipo da rispondere al mio fischio, potrebbe darsi che fosse meno duro d'orecchio con voi!»

            Faceva molto buio per una sera d'estate: le nuvole minacciavano un temporale, e io dissi che era meglio rimaner tutti in casa; la pioggia imminente avrebbe certamente fatto rientrare Heathcliff senza altro disturbo da parte nostra. Tuttavia, Caterina non voleva persuadersi a rimanere tranquilla. Ella non faceva che girare di qua e di là, dal cancello alla porta, in uno stato di agitazione che non le concedeva requie; alla fine si mise contro il muro dal lato della strada, e là rimase, non badando alle mie rimostranze, al brontolìo del tuono, e alle grosse gocce che cominciavano a spruzzarla tutta; chiamava a intervalli, e poi si poneva in ascolto, e poi si metteva a piangere dirottamente, come avrebbe potuto fare Hareton o qualunque altro bambino.

            Verso la mezzanotte, mentre eravamo ancora alzati, l'uragano si scatenò con tutta furia sulle «Cime Tempestose». Il vento era furioso non meno del tuono, e spezzò un albero all'angolo del fabbricato; un enorme ramo cadde attraverso il tetto, e abbattè una parte del camino producendo un rovinìo di pietre e di fuliggine sul fuoco della cucina. Credemmo che fosse scoppiato un fulmine in mezzo a noi; Giuseppe si buttò in ginocchio, implorando il Signore di voler ricordarsi dei patriarchi Noè e Lot, e, come in quei tempi, di risparmiare il giusto, e colpir solo gli empi. Io pure pensai che il castigo fosse piombato su di noi. Nella mia mente Gionata era il signor Earnshaw; e scossi la maniglia della porta della sua tana per accertarmi che fosse ancora vivo. Rispose a voce abbastanza alta, e in un modo che fece predicare al mio compagno, più clamorosamente di prima, che una grande distinzione dovesse esser fatta tra un santo come lui, e un peccatore come il suo padrone. Ma quella tempesta passò in venti minuti lasciandoci tutti incolumi, a eccezione di Cathy che si trovò bagnata fradicia per la sua ostinazione di non voler ripararsi, di rimanere senza nulla in testa, e senza nemmeno uno scialle a prendersi tutta quell'acqua. Rientrò e si sdraiò sulla panca, inzuppata com'era, voltando la faccia contro lo schienale, e coprendosela con le mani.

            «Ebbene, Caterina!» esclamai, toccandole una spalla; «non avrai, spero bene, l'intenzione di morire? Sai che ore sono? Le dodici e mezza! Vieni, vieni a letto! Non serve stare ad aspettare più a lungo quel pazzo figliuolo: sarà andato a Gimmerton, e resterà là. Si sarà immaginato che noi non lo aspetteremo fino a quest'ora; o forse che soltanto il signor Hindley sarà in piedi, e vorrà evitare di farsi aprire dal padrone.»

            «No no, non è a Gimmerton,» disse Giuseppe. «Non ci sarebbe da meravigliarci che fosse in fondo a una marcita. Quell'avvertimento non è arrivato per nulla, e io vorrei che faceste attenzione, signorina, perchè la prossima volta toccherà a voi. Sia ringraziato il Cielo che tutto opera per il bene degli eletti separati dai reprobi. Sapete cosa dice la Sacra Scrittura?» E cominciò a citare parecchi testi, riferendosi ai capitoli e ai versi dove li avremmo potuti trovare.

            Io, dopo aver invano pregato l'ostinata ragazza di alzarsi e di togliersi di dosso quella roba fradicia, li lasciai l'uno a predicare, l'altra a rabbrividire, e me ne andai a letto col piccolo Hareton che dormiva profondamente come se anche quelli intorno a lui fossero tutti addormentati. Udii Giuseppe leggere ancora per qualche tempo, poi ne distinsi il lento passo sulla scala, e mi addormentai.

            Scendendo un po' più tardi del solito, vidi, ai raggi del sole che penetravano dalle fessure delle imposte, la signorina Caterina ancora seduta presso il focolare. La porta della «casa» era socchiusa, la luce entrava dalle finestre ch'eran rimaste aperte; Hindley era venuto fuori, e se ne stava presso il focolare in cucina, pallido ed insonnolito.

            «Che cosa hai, Cathy?» stava dicendo quando entrai; «sembri intristita come un cagnolino annegato. perchè sei così bagnata, e così pallida, bambina?»

            «Ho preso la pioggia,» rispose lei di mala voglia, «e ho freddo; ecco tutto.»

            «Oh, è ben cattiva!» gridai, accorgendomi che il padrone era sufficientemente in se stesso. «S'è presa l'acquazzone di stanotte, ed è rimasta alzata tutta la notte, non sono riuscita a farla muovere.»

             Il signor Earnshaw ci guardò sorpreso. «Tutta la notte!» egli ripetè. «Che cosa l'ha tenuta alzata? non la paura del temporale, certamente, perchè è cessato presto!»

            Nè io nè lei desideravamo parlare dell'assenza di Heathcliff fin che fosse stato possibile tenerla nascosta; così risposi che non sapevo proprio per qual capriccio non si fosse coricata, ed ella non disse nulla. La mattina era fresca e limpida, aprii l'impannata e subito la stanza si riempì dei dolci profumi del giardino; ma Caterina mi gridò di cattivo umore: «Elena, chiudi la finestra! Muoio dal freddo!» E i denti le battevano mentre si faceva più vicina al fuoco ormai quasi spento.

            «È ammalata,» disse Hindley prendendole il polso; «credo che questo sia il motivo per cui non ha voluto andare a letto. Maledizione! Non voglio essere seccato da altre malattie! Per qual ragione sei rimasta fuori sotto la pioggia?

            «Per correr dietro ai ragazzi come di solito!» brontolò Giuseppe, approfittando della nostra esitazione per intromettere la sua mala lingua. «Se fossi voi, padrone, chiuderei l'uscio in faccia a tutti, cristiani e pagani. Non vi è giorno, quando voi siete via, che quel gatto di un Linton non venga qui di nascosto, e la signorina Nelly, gran brava ragazza anche lei, sta in cucina a spiare la vostra venuta, e, mentre voi entrate da una parte, lui esce dall'altra; e poi, quella gran signora, va a far all'amore per conto suo. Bella condotta davvero, appiattarsi nei campi dopo le dodici di notte, con quello sconcio e indemoniato di un Heathcliff! Credono che io sia cieco? L'ho veduto io, il signor Linton, quando è arrivato, e quando se ne è andato, e ho veduto voi,» rivolgendosi a me, «voi, brutta strega buona a nulla, correre a tirare il catenaccio non appena avete sentito il passo del cavallo del padrone sulla strada.»

            «Silenzio, spia!» gridò Caterina. «Non un'altra insolenza davanti a me! Edgardo Linton è venuto ieri da me per caso, Hindley, e sono stata io a dirgli di andarsene, perchè sapevo che a te sarebbe spiaciuto incontrarti con lui nello stato in cui eri.»

            «Tu menti, Cathy, non c'è dubbio,» rispose il fratello, «e tu non sei altro che una maledetta sempliciona! Ma non m'importa di Linton per ora; dimmi invece, sei stata con Heathcliff stanotte? Di' la verità, non temere di fargli del male; anche se lo odio sempre più, ultimamente mi ha fatto un buon servizio, e mi farei scrupolo di rompergli l'osso del collo. Per impedire che questo succeda, oggi stesso lo manderò per i fatti suoi, e, quando se ne sarà andato, vi consiglio tutti a rigar dritti, perchè avrete ancor più a che fare con me.»

            «Non ho veduto Heathcliff stanotte,» rispose Caterina, mettendosi a singhiozzare appassionatamente, «e, se lo scacci da casa, me ne andrò con lui. Ma forse non ne avrai neppur l'occasione, perchè se ne è già andato!» A questo punto ella scoppiò in un pianto dirotto, e le altre sue parole si persero tra i singhiozzi.

            Hindley riversò su di lei un torrente di ingiurie e le ordinò di salire immediatamente in camera sua, o non avrebbe pianto per nulla! La costrinsi a ubbidire, e non dimenticherò mai la scena che ella fece, entrando in camera, ne rimasi terrificata. Pensai che fosse diventata pazza, e pregai Giuseppe di correre per il medico. Le si manifestò un principio di delirio e il signor Kenneth, quando l'ebbe visitata, dichiarò che la cosa era grave; la febbre era altissima. Il dottore le cavò del sangue, e mi disse di tenerla a siero di latte e orzo bollito, e di badare che non si buttasse dalla scala o dalla finestra; poi se ne andò, avendo non poco da fare nella parrocchia ove la distanza ordinaria tra una casa e l'altra è di due o tre miglia.

            Benchè non possa dire di essere stata un'infermiera amorosa, nè che Giuseppe e il padrone facessero meglio di me, Caterina riuscì a cavarsela pur essendo l'ammalata più ostinata e indocile che sia mai esistita. La vecchia signora Linton venne, è vero, a farci parecchie visite, e spesso mise le cose a posto, sgridando tutti e dando ordini a tutti; e, non appena Caterina fu convalescente, insistette per portarla a Thrushcross Grange; della quale liberazione le fummo molto grati. Ma la povera signora ebbe presto motivo di pentirsi della sua gentilezza; entrambi, lei e suo marito, presero quella febbre, e morirono a distanza di pochi giorni l'uno dall'altro.

            La nostra giovane padrona ritornò tra noi più impertinente, più collerica, e più superba di prima. Di Heathcliff non si era saputo più nulla dalla sera del temporale; e un giorno in cui mi aveva provocata oltre ogni dire, ebbi la malaugurata idea di incolparla della scomparsa del ragazzo, essendo questa la verità, come lei stessa ben sapeva. Ma da quel momento e per parecchi mesi ella cessò di avere qualsiasi rapporto con me, se non quelli che si hanno con una semplice domestica. Anche Giuseppe dovette sottostare al bando; egli però voleva sempre dire le sue ragioni, e sgridarla come se fosse ancora una ragazzina, ma lei si considerava già una donna, e pensava che la sua recente malattia le desse il diritto di essere trattata con considerazione. E poi il dottore ci aveva avvertiti che non doveva essere contrariata e che la si lasciasse fare a modo suo; e agli occhi di lei era poco meno di un delitto presumere di farle la benchè minima opposizione. Dal signor Earnshaw e dagli amici di costui ella si teneva lontana e, ammonito da Kenneth di non contrariarla, il fratello le concedeva qualsiasi cosa ella chiedesse, per evitare di aggravare il suo temperamento collerico. Era quasi troppo indulgente nel soddisfare i suoi capricci non per affetto, ma per orgoglio; egli desiderava seriamente che lei facesse onore alla famiglia con un'unione coi Linton, e, pur d'essere lasciato in pace, avrebbe permesso che ella ci mettesse tutti sotto i piedi come schiavi, tanto poco gl'importava. Edgardo Linton, come lo sono stati migliaia di uomini prima di lui, e lo saranno dopo, era completamente infatuato; e si credette l'uomo più felice del mondo, il giorno in cui potè condurla alla chiesetta di Gimmerton, tre anni dopo la morte del padre.

            Contrariamente alla mia volontà, fui persuasa a lasciare Wuthering Heights, e ad accompagnarla qui. Il piccolo Hareton aveva quasi cinque anni, e io avevo appena incominciato a insegnargli le lettere dell'alfabeto. La nostra separazione fu molto triste; ma le lacrime di Caterina valsero più delle nostre. Poichè mi rifiutavo di seguirla, e visto che le sue preghiere non mi muovevano, andò a lagnarsi dal marito e dal fratello. Il primo mi offrì un compenso grandioso, l'altro mi ordinò di far fagotto; non voleva più donne in casa, disse, ora che non vi era più la mia padrona, e, quanto a Hareton, ci avrebbe pensato il curato a suo tempo; così non ebbi da scegliere; dovetti fare come mi veniva ordinato. Dissi al padrone che lui si liberava da tutte le persone oneste per correre più presto alla sua rovina: baciai Hareton, gli dissi addio, e da allora mi è diventato estraneo; è assai doloroso pensarlo, ma non ho il più piccolo dubbio che non abbia completamente dimenticata la sua Elena Dean, lui che era più che tutto il mondo per lei, e lei per lui!

            A questo punto della storia la mia governante ha dato per caso un'occhiata all'orologio sopra al camino, e si è meravigliata di trovare che la lancetta dei minuti indicava l'una e mezza. Non ha voluto saperne di restare un secondo di più, e in verità io stesso ho pensato che fosse bene differire il seguito della narrazione. E ora che lei se ne è andata a riposare, e che sono rimasto a meditare per altre due ore, bisognerà che mi faccia coraggio a onta della dolorosa inerzia della mia testa e di tutte le mie membra, e me ne vada anch'io a dormire.

 

           

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            Graziosa introduzione alla vita di un eremita! Quattro settimane di tortura, di agitazione, di malattia! Oh questi rigidi venti e questi tristi cieli del nord! e queste strade impraticabili, e questi medici condotti che non hanno mai fretta; e la carestia di volti umani; e, peggio di tutto, la terribile ingiunzione di Kenneth di non pensare di poter uscir di casa prima che sia arrivata primavera!

            Il signor Heathcliff mi ha appena fatto l'onore di una visita. Sette giorni or sono all'incirca, mi mandò un paio di francolini - gli ultimi della stagione. Birbante! Non è del tutto senza colpa in questa mia malattia, e avevo una gran voglia di dirglielo. Ma, ahimè! come potevo offendere un uomo che aveva avuto tanta carità da rimanere al mio capezzale un'ora buona, a parlare solo di pillole e infusioni, di ventose e di mignatte? E ora sto un po' meglio. Sono troppo debole per leggere, ma potrei trovar un po' di svago in qualcosa di interessante. E perchè non chiamare la signora Dean a finire la sua storia? Ricordo bene i fatti fino al punto al quale è arrivata. Sì, ricordo che il suo eroe era fuggito, e che per tre anni non si seppe più nulla di lui, e la sua eroina, intanto, si era sposata. Suonerò. Sarà felice di trovarmi disposto a fare una buona chiacchierata con lei.

            La signora Dean è arrivata.

            «Mancano ancora venti minuti all'ora della medicina,» ha incominciato a dire.

            «Via, via, non la voglio,» ho risposto, «desidero invece...»

            «Il dottore dice che può smettere di prendere le polveri.»

            «Con tutto il cuore; ma non interrompetemi; venite a sedervi qua. Lasciate stare quell'amara falange di fiale! Togliete la vostra calza dalla tasca, ecco; e ora continuate la storia del signor Heathcliff, dal punto dove l'avete lasciata al tempo presente. Dove ha compiuto la sua educazione, nel continente? ed è ritornato gentiluomo? o ha avuto un posto gratuito in un collegio? o è fuggito in America e si è conquistato una situazione succhiando sangue al suo paese di adozione; o ha fatto fortuna più speditamente sulle strade maestre dell'Inghilterra?»

            «Può darsi che le abbia seguite un po' tutte queste vocazioni, signor Lockwood; ma io non potrei dirvi niente di preciso su nessuna. Vi ho già dichiarato che non ho mai saputo in qual modo abbia guadagnato i suoi denari; e non so nemmeno come sia riuscito a elevare la sua mente dall'ignoranza selvaggia in cui era caduta; ma, se permettete, procederò a mio modo, purchè siate sicuro che ciò vi divertirà piuttosto che annoiarvi. Vi sentite meglio stamane?»

            «Molto meglio.»

            «Ecco una buona notizia. Dunque, la signorina Caterina e io arrivammo a Thrushcross Grange, e, con mia piacevole sorpresa, lei si comportò infinitamente meglio di quanto avessi osato sperare. Sembrava fin troppo attaccata al signor Linton, e anche alla sorella di lui mostrava molto affetto. Tutti e due erano pieni di premure per lei; ma non si trattava di concessioni reciproche; l'una si manteneva fiera, e gli altri cedevano; e chi può mostrarsi cattivo, pur essendolo di natura, e avendo un brutto carattere, se non trova mai opposizione, nè indifferenza? Avevo notato che il signor Edgardo aveva una gran paura di qualsiasi cambiamento del suo umore. Non lo lasciava vedere, ma, se mi sentiva per caso risponderle bruscamente, o se qualche altro domestico aveva l'aria di ricever malamente i suoi ordini imperiosi, si mostrava irritato e offeso come non lo era mai per conto proprio. Più di una volta ebbe a riprendermi severamente per la mia impertinenza e a confessarmi che la ferita di una lama non avrebbe potuto dargli un dolore più acuto che il vedere la sua signora malcontenta. Per non addolorare un così buon padrone, imparai a esser meno stizzosa, e per un mezzo anno la polvere da fuoco potè parere innocua come sabbia, perchè non capitò mai vicino alla fiamma. Alle volte Caterina aveva periodi di tristezza e di silenzio, e venivano rispettati con tacita simpatia dal marito, che li attribuiva a un mutamento nella costituzione di lei, prodotto forse dalla pericolosa malattia, dato che prima d'allora non era mai stata soggetta a depressione di spirito. Il ritorno del sole era salutato con volto raggiante. Credo a ogni modo di poter asserire che godettero veramente di una profonda felicità; ma finì presto. Dopo tutto, ognuno pensa solo a se stesso; quelli di animo mite e generoso sono giustamente ancor più egoisti dei dominatori; e la loro felicità finì per l'appunto quando le circostanze provarono a ciascuno che il proprio interesse non era la principale preoccupazione dell'altro...»

            In una dolce sera di settembre, tornavo dal giardino con un cestino pesante di mele che avevo colto io stessa. S'era fatto buio, la luna guardando dall'alto muro della corte addensava grandi ombre negli angoli delle numerose sporgenze del fabbricato. Deposto il mio carico sui gradini della porta di cucina, indugiavo a respirare qualche altro sorso di quell'aria dolce e pura, tenendo gli occhi rivolti alla luna e le spalle all'entrata, quando sentii una voce chiedere dietro di me:

            «Nelly, sei tu?»

            Era una voce profonda, dall'accento a me sconosciuto; tuttavia, c'era qualcosa, in quella maniera di pronunciare il mio nome che mi parve famigliare. Mi girai spaventata per scoprire chi avesse parlato, perchè le porte erano chiuse, e nell'avvicinarmi ai gradini non avevo scorto nessuno. Un'ombra si mosse sotto il portico, e mentre si accostava, potei distinguere un uomo alto, vestito di scuro, dal viso e dai capelli scuri. Si volse da una parte per mettere una mano sul catenaccio, come se intendesse aprire da sè. «Chi può essere?» pensai. «Il signor Earnshaw? Oh no! La voce non somiglia alla sua.»

            «Sono qui da un'ora,» egli riprese, mentre io continuavo a fissarlo, «e vi è un tal silenzio che si direbbe la casa della morte. Non ho osato entrare. Non mi riconosci? Guarda, non sono un estraneo!»

            Un raggio di luce cadde sul suo volto; le guance erano pallide e coperte quasi interamente da nere basette; le sopracciglia aggrottate, gli occhi incavati, e singolari. Ricordai quegli occhi.

            «Come?» gridai, incerta ancora di non trovarmi davanti a un fantasma; ed alzando le braccia. «Come? tu? ritornato? Ma sei proprio tu?»

            «Sì, Heathcliff,» rispose, dando un'occhiata su alle finestre che riflettevano una ventina di lune ma non rivelavano la presenza di luci all'interno. «Sono in casa? Dove è lei? Nelly, tu non sei contenta, ma non devi essere così turbata. Lei è qui? Parla! Ho bisogno di dire una parola a lei, alla tua padrona. Va', e dille che una persona proveniente da Gimmerton desidera parlarle.»

            «Come la prenderà?» esclamai. «Che cosa farà? Sono qui io stessa come istupidita, ma lei diventerà pazza addirittura! E tu sei Heathcliff? Ma come sei cambiato! Non ti si riconosce! Sei stato soldato?»

            «Va' a portare il mio messaggio,» m'interruppe impazientemente. «Sarò come nell'inferno fin che tu non l'avrai portato.»

            Alzò il catenaccio, e io entrai; ma, quando giunsi al salotto ove si trovavano il signore e la signora Linton, non sapevo persuadermi ad andare avanti. Finalmente decisi di ricorrere a una scusa qualsiasi, di chiedere cioè se dovessi accendere le candele, e aprii la porta.

            Stavano tutt'e due seduti nel vano di una finestra spalancata che lasciava scorgere, al di là degli alberi del giardino e del parco incolto, la valle di Gimmerton, con una lunga striscia di vapori che serpeggiava fin quasi in fondo, perchè, come avrete notato anche voi, appena passata la chiesetta, l'acqua che scola dalle marcite si unisce a un ruscello che segue la curva della valle. Wuthering Heights si elevava al di sopra di quel vapore argenteo, ma la nostra vecchia casa rimaneva nascosta, come sprofondata sull'altro versante. Quella stanza, quelli che l'occupavano, lo spettacolo che essi stavano contemplando, apparivano pieni di una pace meravigliosa. Sentii una maggior riluttanza a eseguire l'incarico ricevuto e, dopo aver posto quella domanda riguardo alle candele, stavo già per venirmene via senza accennare ad altro, quando la percezione della follia che stavo per commettere mi fece tornare sui miei passi e dire con voce incerta: «Una persona che viene da Gimmerton desidera vedervi, signora.»

            «Che cosa vuole?» domandò la signora Linton.

            «Non gliel'ho domandato,» risposi.

            «Bene, abbassa le tende, Nelly,» ella disse; «e portaci il tè; sarò subito di ritorno.

            Ella uscì dalla stanza e il signor Edgardo domandò, negligentemente, di chi si trattasse.

            «Qualcuno che la signora non si aspetta,» risposi. «Quell'Heathcliff, ve ne rammenterete, signore, che viveva presso il signor Earnshaw.»

            «Che? lo zingaro, il contadino?» egli gridò. «Perchè non l'avete detto a Caterina?»

            «Silenzio! Non dovete più chiamarlo con tali nomi, padrone,» gli dissi. «Lei ne sarebbe addoloratissima se vi sentisse. Le si spezzò il cuore quando lui fuggì. Immagino che il suo ritorno sarà un giubilo per lei.»

            Il signor Linton si mosse verso la finestra che trovavasi dall'altra parte della stanza e che dava verso corte; l'aprì e si sporse. Credo che i due si trovassero là sotto, perchè egli esclamò subito: «Non rimanere lì, amore, falla entrare se è persona di riguardo.» Pochi istanti dopo, sentii il rumore del catenaccio, e Caterina arrivò ansante ed eccitata, troppo eccitata anzi per mostrare contentezza. E davvero dal suo volto si sarebbe piuttosto immaginato che l'avesse colpita una terribile calamità.

            «Oh Edgardo, Edgardo!» ella esclamò senza respiro, buttandogli le braccia al collo. «Oh, Edgardo, caro! Heathcliff è tornato! pensa, Heathcliff!» E raddoppiò la stretta.

            «Bene, bene,» disse il marito con aria seccata, «non è il caso che tu mi strozzi per questo! Non ho mai avuto l'impressione che fosse un tesoro così straordinario! Non c'è bisogno di dar in frenesie.»

            «So che non hai mai avuto simpatia per lui,» ella rispose, non lasciando trasparire quanto fosse intensa la sua gioia, «tuttavia, per amor mio, ora dovrete essere amici. Devo dirgli di salire?»

            «Qui?» disse lui, «nel salotto?

            «Dove, se non qui?» ella domandò. Egli apparve contrariato, e suggerì la cucina come un luogo più adatto. La signora Linton lo guardò con una strana espressione, mezzo adirata, mezzo ridente, come se trovasse comico tanto sussiego.

            «No,» rispose dopo un momento, «io non posso certamente ricevere in cucina. Metti due tavole qui, Elena, una per il vostro padrone e la signorina Isabella, poichè sono i signori, l'altra per Heathcliff e per me, che siamo di un rango inferiore. Sei contento, caro, o devo far accendere il fuoco altrove? In tal caso dà tu gli ordini; io corro giù ad assicurarmi che il mio ospite non scappi. Mi pare una gioia troppo grande per esser vera!»

            Stava per correre via, ma Edgardo la trattenne.

            «Ordinategli di salire,» egli disse rivolgendosi a me, «e tu, Caterina, fa' in modo di mostrarti contenta senza essere assurda! Non c'è bisogno di dar spettacolo a tutta la casa dell'accoglienza che fai a un servo fuggiasco, come se fosse un fratello.»

            Discesi, e trovai Heathcliff che aspettava sotto il portico, prevedendo evidentemente un invito a entrare. Egli ubbidì al mio invito, senz'altre parole, così lo introdussi immediatamente dal padrone e dalla padrona che in quel frattempo dovevano aver avuto un diverbio come denotavano i loro volti accesi. Ma quello della signora s'illuminò di tutt'altra fiamma all'apparire sulla soglia dell'amico: gli volò incontro e, presegli tutt'e due le mani, lo trasse verso Linton, e poi, afferrate le mani riluttanti di costui, strinse le une alle altre. La trasformazione di Heathcliff, illuminato com'era in quell'istante dalla viva luce del fuoco e da quella delle candele, mi colpì ancor più di prima. S'era fatto un uomo alto, ben formato, un vero atleta, in confronto al quale il mio padrone appariva molto esile, e infinitamente più giovane. Il portamento eretto dava l'idea che fosse stato nell'esercito; l'espressione del volto e la linea decisa dei tratti rivelavano maggiore maturità di quella di Linton, e anche molta intelligenza, e non lasciavano più scorgere i segni del primitivo abbrutimento. Una ferocia mezzo incivilita covava sotto le sopracciglia arcuate e negli occhi pieni di un nero fuoco, ma lui la sapeva domare, e i suoi modi erano dignitosi, privi di rozzezza, forse troppo severi però per parer sgarbati. La sorpresa del padrone fu pari alla mia se non più viva, per un momento egli rimase incerto sul modo di indirizzare la parola allo zingaro, al contadino, come l'aveva poco prima chiamato. Heathcliff lasciò cadere le scarne mani dell'uomo che gli stava davanti e rimase a guardarlo freddamente in attesa che si decidesse a parlare.

            «Sedetevi, signore,» disse il padrone alla fine. «La signora Linton, ricordando i tempi passati, desidera che io vi riceva cordialmente, e, naturalmente, non posso esser che felice, quando si presenta un'occasione di farle cosa gradita.»

            «E io pure,» rispose Heathcliff, «specialmente se si tratta di qualcosa in cui io abbia parte. Mi tratterrò un'ora o due, con il massimo piacere.»

            Sedette davanti a Caterina che gli teneva lo sguardo fisso addosso come se temesse che, distogliendolo, lui potesse scomparire. Heathcliff raramente alzava il suo verso di lei; una rapida occhiata di tanto in tanto gli bastava; ma lei rifletteva, ogni volta con maggior sicurezza, il piacere evidente che lui assorbiva dal suo sguardo. Erano troppo assorti nella loro mutua gioia per sentirsi imbarazzati. Non così il signor Edgardo; egli si fece pallido per il dispetto, risentimento che raggiunse l'apice quando la sua signora si alzò, e, attraversata la stuoia che li separava, afferrò di nuovo le mani di Heathcliff, e rise come pazza di gioia.

            «Domani penserò che sia stato un sogno!» ella esclamò. «Non sarò capace di credere che ti ho veramente veduto, e toccato, e che ti ho ancora parlato. Eppure, Heathcliff crudele, non meriti questa accoglienza. Stare via, in silenzio per tre anni, senza mai pensare a me!»

            «Un po' più tuttavia di quanto tu abbia pensato a me,» mormorò lui. «Ho saputo del tuo matrimonio, Cathy, poco fa; e, mentre aspettavo nel cortile qui sotto, meditavo questo piano: vedere per un attimo il tuo volto, un momento di sorpresa, forse, e di illusione; e poi aggiustare i conti con Hindley; quindi impedire alla legge di procedere, con un atto di violenza contro me stesso. La tua accoglienza ha mezzo scacciate queste idee dalla mia testa; ma bada bene a non ricevermi diversamente la prossima volta! Non mi respingerai più lontano! Hai veramente sofferto per me, non è vero? Ebbene, non è stato senza ragione. Ho affrontato una dura esperienza dall'ultima volta che sentii la tua voce, e devi perdonarmi perchè ho lottato solamente per te!»

            «Caterina, favorisci venire a tavola se non vuoi che il tè si raffreddi del tutto,» li interruppe Linton, sforzandosi di mantenere il suo tono normale, e il debito grado di cortesia. «Il signor Heathcliff dovrà fare un lungo cammino ovunque alloggi, stanotte; e poi io ho sete.»

            Ella prese il suo posto davanti al vassoio, la signorina Isabella giunse a una mia chiamata di campanello, e, quando ebbi poste le sedie intorno alla tavola, lasciai la stanza. Il pasto durò dieci minuti scarsi. La tazza di Caterina rimase sempre vuota; ella non poteva mangiare nè bere. Edgardo si era preso qualcosa sul piatto, ma fu incapace di inghiottire un sol boccone. Il loro ospite, quella sera, non protrasse la visita più di un'ora. Mentre usciva, gli chiesi se andasse a Gimmerton.

            «No, a Wuthering Heights,» egli rispose: «il signor Earnshaw mi ha invitato, quando gli ho fatto visita stamane.»

            Il signor Earnshaw l'ha invitato! e lui ha fatto visita al signor Earnshaw! Meditai penosamente su tali parole dopo che se ne fu andato. È diventato forse un ipocrita, ed è tornato in paese per tramare il male sotto false apparenze? pensavo tra me, e in fondo al cuore avevo il presentimento che sarebbe stato meglio se se ne fosse rimasto lontano.

            Verso la metà della notte fui svegliata nel mio primo sonno dalla signora Linton, che era venuta in camera mia, e, sedutasi al mio capezzale, mi tirava i capelli per svegliarmi.

            «Non posso riposare, Elena,» ella disse per scusarsi, «e ho bisogno che qualche anima viva mi tenga compagnia nella mia felicità. Edgardo è di cattivo umore perchè io sono contenta di una cosa che non l'interessa; rifiuta di aprir bocca, se non per dire sciocchezze e mi ha ripetuto più di una volta che sono crudele ed egoista a voler parlare quando lui non si sente bene e ha sonno. Alla minima contrarietà dice sempre di non star bene! Mi è uscita qualche parola di lode per Heathcliff e lui, sia per il mal di testa o per una punta di gelosia, ha cominciato a piangere: così mi sono alzata e l'ho lasciato.»

            «Ma perchè lodare Heathcliff davanti a lui?» io risposi. «Da ragazzi avevano una grande avversione l'uno per l'altro e Heathcliff non tollererebbe di sentir le lodi del padrone. È proprio della natura umana. Non dite nulla di lui al signor Linton, se non volete che scoppi una lite aperta tra di loro.»

            «Ma in questo modo non dimostra una grande debolezza?» proseguì ella. «Io non sono invidiosa: e non provo nessun dispetto per la lucentezza dei capelli biondi di Isabella, nè per la sua carnagione bianca, e per la sua raffinata eleganza e per l'affetto che tutta la famiglia le dimostra. Perfino tu, Nelly, se alle volte abbiamo una disputa, sei pronta a tenere la parte di Isabella, e io cedo subito come una mamma troppo indulgente. La chiamo con nomi affettuosi, e la metto di buon umore con un po' di adulazione. Il fratello è contento di vederci di buon accordo, e ciò fa piacere anche a me. Ma si somigliano; sono ragazzi viziati, e immaginano che il mondo sia stato fatto per il loro comodo: e, benchè io assecondi l'umore di entrambi, penso che una buona lezione non farà loro male.»

            «Vi sbagliate, signora Linton,» dissi. «Sono loro che accondiscendono ai vostri desideri: so bene come andrebbe se non fosse così. Voi siete disposta ad accontentare tutti i loro capricci momentanei, purchè essi prevengano i vostri desideri. Ma può succedere che non v'intendiate su qualcosa di uguale importanza per voi e per loro, e allora vedrete che quelli che voi chiamate deboli sapranno essere ostinati quanto voi.»

            «E allora combatteremo fino alla morte, non è vero, Nelly?» mi rispose ridendo. «No, te lo dico io, ho una tal fede nell'amore di Linton che credo che potrei ucciderlo senza che lui muovesse un lamento.»

            La consigliai di apprezzarlo maggiormente appunto perchè le voleva tanto bene.

            «Lo apprezzo, lo apprezzo,» rispose «ma non deve per questo ricorrere ai piagnistei per delle sciocchezze. Questo è infantile; e invece di sciogliersi in lacrime perchè ho avuto a dirgli che ora Heathcliff è degno del rispetto di tutti e che essergli amico sarebbe un onore per il primo gentiluomo del paese, doveva dirlo lui stesso a me, e provare piacere per la concordia del nostro sentimento. Bisogna che Edgardo si abitui a lui, e tanto vale che se lo renda simpatico. Se si pensa alle ragioni di non amarlo che ha Heathcliff, si deve dire che si è comportato molto bene!»

            «Che cosa pensate della sua visita a Wuthering Heights?» le domandai. «Sì, è ritornato evidentemente mutato sotto ogni aspetto; ora è un vero cristiano e offre la destra in segno d'amicizia a tutti i nemici che gli sono d'intorno.»

            «Me lo ha spiegato,» ella rispose; «ne sono stupita io pure. Ha detto di esservisi recato per avere notizie mie da voi, poichè supponeva di trovarvi ancora là. Giuseppe ne ha informato Hindley che è uscito per parlargli, e ha voluto sapere che cosa avesse fatto e come fosse vissuto nel frattempo, e infine lo ha invitato ad entrare. C'erano delle persone che giocavano alle carte e Heathcliff si è unito a loro, mio fratello ha perso del denaro giocando con lui, e, vedendo che era assai ben provvisto, lo ha pregato di tornare di nuovo alla sera, invito che è stato accettato. Hindley è troppo sventato per badare a scegliersi le proprie conoscenze con prudenza: non si prende il disturbo di riflettere sui motivi che potrebbe avere per diffidare di uno che lui ha così bassamente ingiuriato. Ma Heathcliff afferma che la sua prima ragione per riprendere la relazione con il suo antico persecutore è il desiderio di installarsi in una casa non troppo distante da Grange, e anche un attaccamento al luogo ove abbiamo vissuto insieme; inoltre, la speranza di avere maggiori occasioni di vederci che se si stabilisse a Gimmerton. Intende pagare molto per il permesso di risiedere alle Heights, e senza dubbio mio fratello sarà indotto dalla sua cupidigia ad accettare la proposta: è sempre stato avido, anche se quel che afferra con una mano, lo butta poi via con l'altra.»

            «È un posto veramente indicato come residenza di un giovanotto!» dissi. «Non avete timore delle conseguenze, signora Linton?»

            «No, non ho nessun timore per il mio amico,» ella rispose; «il suo solido cervello lo terrà lontano dai pericoli; temo un poco per Hindley: ma non può ridursi peggiore moralmente di quello che è; e io sto a ogni modo tra lui e ogni pericolo personale. L'avvenimento di stasera mi ha riconciliata con Dio e con l'umanità. Mi ero messa in aperta ribellione contro la Provvidenza; ho sopportato pene molto, molto amare, Nelly. Se quell'uomo sapesse quanto furono dolorose, si vergognerebbe di turbarmi ora con vane querimonie. Ciò che mi ha indotto a sopportarle è stato solo un senso di gentilezza verso di lui: se avessi palesato lo strazio che spesso mi assaliva, avrebbe imparato a desiderare non meno di me il necessario sollievo. Ebbene, ora tutto è passato e non mi vendicherò della sua follia; d'ora in poi saprò tollerare qualsiasi sofferenza. Se l'essere più volgare mi dovesse dare uno schiaffo, io non solo gli offrirei l'altra guancia per riceverne un altro, ma chiederei scusa d'averlo provocato, e, a riprova di ciò, andrò immediatamente da Edgardo a far la pace. Buona notte! Sono proprio un angelo!»

            Così, convinta di essere dalla parte della ragione, ella se ne andò; e il successo della decisione presa e mandata a affetto apparve chiaro l'indomani: il signor Linton non solo smise il broncio, ma non osò impedire che Caterina prendesse Isabella con sè per andare a Wuthering Heights quel pomeriggio; ed ella lo ricompensò con una tale effusione di dolcezza e di affetto che la casa divenne un paradiso per parecchi giorni, e tanto il padrone che i servi godettero di quel sole costante. Heathcliff - il signor Heathcliff, dovrò dire in futuro, - dapprima approfittava cautamente della libertà di far visite a Thrushcross Grange: sembrava voler valutare esattamente fino a qual punto la sua intrusione sarebbe stata tollerata dal padrone. Anche Caterina pensò prudente moderare le sue manifestazioni di piacere nel riceverlo; ed egli gradatamente si assicurò il diritto d'essere atteso e accolto. Egli aveva conservato quella riservatezza che lo distingueva già da ragazzo, e questo gli serviva a reprimere qualsiasi dimostrazione troppo viva dei propri sentimenti. L'inquietudine del mio padrone ebbe una tregua, e nuove circostanze ne deviarono il corso per qualche tempo.

            Una nuova sorgente di inquietudine derivò dal caso non previsto che Isabella a un tratto ebbe a dimostrare un'irresistibile attrazione per quell'ospite fino ad allora semplicemente tollerato. Era a quel tempo una graziosa ragazza di diciotto anni, di modi ancora infantili, ma di ingegno acuto, e di sentimenti profondi, e di un carattere battagliero se irritata. Suo fratello, che l'amava teneramente, fu spaventato da quella sconcertante predilezione. Lasciando da parte l'avvilimento di un'unione con un uomo senza un nome, e il fatto non improbabile che i suoi beni per mancanza di un erede maschio, potessero passare in potere di un simile individuo, il padrone aveva abbastanza giudizio da indovinare il sentire di Heathcliff; comprendeva, cioè, che costui, anche se era mutato d'aspetto, conservava immutate e immutabili le stesse idee. Egli temeva quella mente; ne era rivoltato e rifuggiva, come sotto l'influenza di un presagio funesto, dall'idea di abbandonare Isabella in quelle mani. E sarebbe stato ancor più contrariato nel sapere che quell'attaccamento era sorto non sollecitato, ed era prodigato senza la minima reciprocità; egli, invece, non appena ne scoprì l'esistenza, incolpò Heathcliff di perseguire un deliberato disegno.

            Avevamo tutti notato che da qualche tempo la signorina Linton si tormentava e soffriva ma non si sapeva per qual ragione. Si era fatta cattiva e noiosa; non faceva che rimbrottare e infastidire Caterina con il continuo rischio di logorarne la pazienza già molto limitata. Noi la si scusava, fino a un certo punto, attribuendo il suo malumore alla non buona salute; sembrava consumarsi e svanire davanti ai nostri stessi occhi. Ma un giorno in cui ella si mostrò ancor più particolalmente irritata, e rifiutò la colazione, e si lamentò che i servi non l'ubbidivano, e che la padrona permetteva che lei non contasse nulla in quella casa, e che Edgardo la trascurava, che si era raffreddata perchè le porte venivano lasciate aperte, che noi lasciavamo che il fuoco si spegnesse nel salotto appositamente per farle dispetto, e formulò cento altre accuse ancor meno consistenti, la signora Linton insistette perentoriamente perchè andasse a letto; e, dopo di averla sgridata per bene, la minacciò di mandare a chiamare il medico. Ma al nome di Kenneth, la signorina Linton gridò subito che la sua salute era perfetta, e che era soltanto la durezza di Caterina a renderla infelice.

            «Come puoi mai dire che sono dura con te, cattivella che non sei altro!» esclamò la padrona, stupita di quella irragionevole dichiarazione. «Sei certamente fuori di senno. Quando sono stata dura con te? dimmelo.»

            «Ieri,» singhiozzò Isabella, «e ora.»

            «Ieri?» disse la cognata. «In quale occasione?»

            «Durante la nostra passeggiata nella landa; mi hai detto di girare a mio piacere, mentre tu passeggiavi con Heathcliff!»

            «E la chiami durezza questa?» disse Caterina ridendo. «Non è stato certo per farti capire che la tua compagnia era superflua; a noi non importava punto che tu fossi o non fossi con noi, ho pensato soltanto che i discorsi di Heathcliff non potessero aver nulla d'interessante per le tue orecchie.»

            «Oh, no,» disse la fanciulla, piangendo, «tu hai voluto mandarmi via perchè sapevi che avevo piacere a rimanere.»

            «Ma è in senno?» domandò la signora Linton facendo appello a me. «Ripeterò la nostra conversazione parola per parola, Isabella, e mi indicherai ciò che avrebbe potuto avere tanta attrattiva per te.»

            «A me non importava della conversazione,» ella rispose. «Io desideravo stare con...»

            «Ebbene?» disse Caterina notando che esitava a compire la frase.

            «Con lui: e non voglio essere sempre mandata via,» ella riprese, accendendosi. «Sei come un cane nella mangiatoia, Cathy, e non vuoi che nessun altro sia amato all'infuori di te!»

            «E tu sei una piccola impertinente!» esclamò la signora Linton, molto meravigliata. «Ma non voglio credere a tanta imbecillità; non è possibile che tu cerchi l'ammirazione di Heathcliff, e che lo possa considerare una persona piacevole! Spero bene di essermi sbagliata, Isabella!»

            «No, non ti sei sbagliata,» disse la ragazza, infatuata. «L'amo più di quanto tu abbia mai amato Edgardo, e lui potrebbe amarmi se tu glielo permettessi!»

            «In questo caso non vorrei essere te per tutto un regno!» dichiarò Caterina con enfasi; ed ella sembrava parlare sinceramente. «Nelly, aiutami a convincerla della sua pazzia. Dille chi è Heathcliff: un essere cattivo, senza distinzione, senza educazione: una campagna arida, selvatica, tutta sassi e spine. Sarebbe lo stesso che mettere quel canarino nel parco in una giornata d'inverno, se ti consigliassi di dare il tuo cuore a lui. Solo una deplorevole ignoranza del suo carattere, bambina, può suscitarti un tal sogno nella testa, null'altro che questo. Non immaginarti, ti prego, che sotto quell'aspetto severo, lui nasconda profondità di benevolenza e di affetti! Non è il diamante grezzo, non è il guscio che racchiude la perla dell'ostrica; è un uomo feroce, spietato, rapace come un lupo. Io non gli dico mai: "Lascia stare questo e quel nemico perchè non sarebbe generoso fargli del male"; io gli dico: "Lascialo stare perchè io odierei chi gli facesse del male"; e lui ti schiaccerebbe come un uovo di passero, se tu diventassi per lui un legame fastidioso. So che non potrebbe amare una Linton, ma sarebbe capacissimo di sposare la tua fortuna e le tue speranze. L'avidità sta diventando in lui un peccato travolgente. Questo è il ritratto che ti faccio io, io che gli sono amica, e a tal punto che, se lui avesse pensato seriamente di prenderti, io, forse, avrei taciuto e ti avrei lasciata cadere in trappola.»

            La signorina Linton guardò la cognata con indignazione.

            «Vergogna! Vergogna!» ella ripetè con ira, «tu sei peggio di venti nemici, tu, amica velenosa.»

            «Ah, non vuoi credermi, allora» disse Caterina. «Credi che io parli per egoismo?»

            «Ne sono certa,» replicò Isabella; «mi fai rabbrividire!»

            «Bene!» gridò l'altra. «Fanne tu stessa la prova, se ne hai l'animo. Per conto mio me ne lavo le mani, e abbandono la questione alla tua sfacciata cocciutaggine.»

            «E devo io soffrire del suo egoismo?», disse la ragazza tra i singhiozzi, mentre la signora Linton lasciava la stanza. «Tutto, tutto è contro di me; mi ha guastata la mia unica consolazione. Ma ha detto delle falsità, non è vero? Il signor Heathcliff non è un demonio; ha un animo stimabile, e sincero, se no, come l'avrebbe ricordata?»

            «Banditelo dalla vostra mente, signorina,» le dissi. «È un uccello di cattivo augurio: non è un compagno per voi. La signora Linton ha parlato con violenza, eppure non posso contraddirla. Conosce il cuore di lui meglio di me e di chiunque altro, e non potrebbe mai dir peggio di quello che lui è realmente. Le persone oneste non nascondono le loro azioni; ma come ha vissuto lui? Come ha fatto a diventar ricco? perchè sta a Wuthering Heights, nella casa di un uomo che detesta? Si dice che il signor Earnshaw sia diventato ancora peggiore da quando c'è lui; passano le notti continuamente insieme, e Hindley prende denaro a prestito sulle sue terre e non fa altro che giocare e bere. Ho saputo una settimana fa - ed è stato Giuseppe a dirmelo quando l'ho incontrato a Gimmerton: "Nelly, un giorno o l'altro avremo un'inchiesta giudiziaria in casa nostra per quei signori. Uno di loro ci ha quasi rimesso un dito per aver voluto impedire all'altro di scannarlo come un vitello. È il padrone che dovrà andare alla corte d'assise. Non ha paura dei tribunali, nè dei giudici, nè di Paolo, nè di Pietro, nè di Giovanni nè di Matteo, di nessuno ha paura! Anzi vorrebbe incontrarsi faccia a faccia con loro! E quel caro ragazzo di un Heathcliff, ah, quello sì che è un tesoro! Sa ridere come nessun altro di uno scherzo d'inferno. Non vi dice mai nulla della sua bella vita tra noi, quando viene a Grange? Questo è il loro bel modo di passar l'esistenza: si alzano al tramonto: dadi, cognac, imposte chiuse e luce di candela fino a mezzodì del giorno seguente: allora il pazzo sbatte gli usci, e va nella sua camera, gridando e obbligando la gente onesta a turarsi le orecchie dalla vergogna; e l'altro furfante resta a contare la sua moneta, mangia, dorme, e poi si trasferisce a far quattro chiacchiere con la moglie del vicino. Racconta a madama Caterina come l'oro del padre scorra nelle sue tasche, e il figlio del padre vada di galoppo giù per la strada della perdizione, mentre lui corre avanti a rimuover gli ostacoli." Ebbene, signorina Linton, Giuseppe è un vecchio birbante, ma non è bugiardo; e, se il racconto della condotta di Heathcliff è sincero, voi non desidererete mai averlo per marito, vero?»

            «Hai fatto lega con gli altri anche tu, Elena,» ella rispose. «Non voglio ascoltare le tue calunnie. Quanta malignità devi avere in corpo per voler convincermi a ogni costo che non c'è felicita al mondo!»

            Se, lasciata a se stessa, avrebbe abbandonata tale fantasia, o se l'avrebbe nutrita perpetuamente, non posso dire: ebbe poco tempo di riflettere. L'indomani vi fu una riunione di magistrati nella città vicina: il mio padrone fu obbligato di assistervi, e il signor Heathcliff, saputo della sua assenza, venne più presto del solito. Caterina e Isabella stavano nella libreria, ostili, ma silenziose. La signorina Linton, allarmata per aver rivelato in quel momentaneo accesso di passione i suoi più segreti sentimenti; l'altra, dopo mature considerazioni, veramente offesa nei riguardi della compagna; e, se sorrideva ancora della sua impertinenza, non era però disposta a che ne ridesse pure l'altra. Quando vide Heathcliff passare sotto la finestra, sulle sue labbra sbocciò un sorriso pieno di malizia. Isabella, assorta nelle sue meditazioni o nella lettura di un libro, non si mosse fino all'aprirsi dell'uscio, quando non era più in tempo per tentare la fuga, tentativo che avrebbe certamente fatto con gran piacere, se appena le fosse stato possibile.

            «Entra, entra!» esclamò la padrona allegramente, tirando una sedia vicino al fuoco. «Ecco qui due persone con un gran bisogno di una terza per sciogliere il ghiaccio ch'è tra loro; e tu sei proprio quello che ambedue avremmo scelto! Heathcliff, sono orgogliosa di presentarti alla fine qualcuno che ti ama ancor più di me. Credo bene che ne sarai lusingato. No, non è Nelly; non guardare lei! È la mia povera cognatina che si strugge il cuore nella contemplazione della tua bellezza fisica e morale. Ora è in tuo potere di diventare il fratello di Edgardo. No, no, Isabella, non devi correr via,» ella proseguì, arrestando, come se scherzasse, la ragazza che si era alzata tutta confusa ed indignata. «Stavamo litigando come gatte per te, Heathcliff; e io sono stata pienamente sorpassata in proteste di devozione e di ammirazione; e per di più sono stata informata che, se avessi la bontà di starmene da parte, la mia rivale, come lei si crede, ti lancerebbe una freccia nel cuore che ti colpirebbe per sempre, e manderebbe la mia immagine in eterno oblio.»

            «Caterina,» disse Isabella, facendo appello alla sua dignità e sdegnando di far forza per svincolarsi dalla stretta che la tratteneva. «Ti sarei grata se tu volessi stare alla verità e non m'ingiuriassi, anche se è solo per gioco! Signor Heathcliff, abbiate la gentilezza di pregare questa vostra amica di voler lasciarmi andare: dimentica che io e voi non siamo conoscenti intimi e che ciò che sembra divertir lei è penoso per me, oltre ogni dire.»

            Poichè l'ospite non rispondeva nulla, ma si era seduto al suo posto del tutto indifferente ai sentimenti che ella nutriva al suo riguardo, Isabella si volse, e bisbigliò alla sua tormentatrice una sincera preghiera di esser lasciata in libertà.

            «Per niente al mondo! gridò la signora Linton in risposta. «Non voglio più essere chiamata un cane nella mangiatoia; tu resterai. Ora, dunque, Heathcliff, perchè non dimostri la tua soddisfazione per la bella notizia? Isabella giura che l'amore di Edgardo per me non è nulla in contronto a quello che lei ha per te. Sono certa che ha fatto un discorso di tal genere, non è vero, Elena? Ed è stata a digiuno dalla nostra passeggiata di ieri, per il dolore e la rabbia di essere stata allontanata dalla tua compagnia, come se la sua presenza non fosse gradita.»

            «Credo che tu l'abbia smentita,» disse Heathcliff, facendo girare la sedia per guardarle. «A ogni modo lei ora desidera di non essere in mia compagnia.»

            Ed egli fissò a lungo l'oggetto delle sue parole, come si potrebbe fare con un animale strano e repellente: un millepiedi delle Indie, a esempio, che la curiosità ci spinge a esaminare, a onta dell'avversione che desta in noi. Quella poverina non potè sopportare una cosa simile: si fece pallida e rossa in volto con rapida successione, e, mentre le lacrime le imperlavano le ciglia, adoperò la forza delle sue piccole dita a sciogliere la dura stretta di Caterina; e, vedendo che non appena sollevava un dito dal suo braccio, un altro si abbassava, e non riusciva a smuoverli tutt'insieme, cominciò a servirsi delle unghie, e la loro acutezza ornò presto di mezze lune rosse la mano che la tratteneva.

            «Qui c'è una tigre!» esclamò la signora Linton, lasciandola libera, e scuotendo la mano dal dolore. «Vattene, per amor di Dio, e nascondi quel tuo volto di furia! Che pazzia mostrare quegli artigli a lui! Non pensi quale sarà la sua conclusione. Guarda, Heathcliff: sono strumenti di vendetta; bada ai tuoi occhi!»

            «Glieli strapperei dalle dita, se mai mi minacciassero,» rispose lui brutalmente, quando la porta le si chiuse dietro. «Ma che intendevi fare con il tormentare quella creatura in tal modo, Cathy? Non dicevi la verità, non è vero?»

            «Ti assicuro che dicevo la verità,» rispose. «Da parecchie settimane muore d'amore per te; stamane sembrava impazzita, e mi ha coperta d'improperi perchè le ho rappresentato i tuoi difetti in piena luce, allo scopo di moderare la sua adorazione. Ma non stare a badarvi più oltre: ho voluto punire la sua sfrontatezza; ecco tutto. Ho troppa simpatia per lei, mio caro Heathcliff, per lasciartela davvero prendere e divorare.»

            «E a me dispiace troppo per farne la prova,» egli disse, «potrei farlo solo come un orco delle favole. Ne sentiresti delle belle se dovessi vivere con quell'insulsa dal viso di cera, il più spesso possibile le dipingerei su quel bianco i colori dell'iride, e un giorno sì e l'altro no, le farei diventar neri quegli occhi azzurri che somigliano così odiosamente a quelli di Linton.»

            «Piacevolmente!» ribattè Caterina. «Sono occhi di colomba, di angelo!»

            «È l'erede di suo fratello, vero?» chiese lui, dopo un breve silenzio.

            «Mi spiacerebbe pensare che così dovesse essere,» rispose la sua compagna. «Una mezza dozzina di nipoti cancelleranno il suo diritto, grazie al Cielo! Per il momento togliti pure dalla mente una simile idea: sei troppo pronto a desiderare la roba del vicino; ricordati che la roba di questo vicino è mia.»

            «Se fosse mia, non sarebbe meno tua per questo,» disse Heathcliff; «comunque, se Isabella Linton è sciocca, non è affatto pazza; ma non parliamone più, come tu suggerisci.»

             Non ne parlarono più infatti e Caterina probabilmente allontanò davvero quell'idea dalla sua mente. L'altro, invece, ne sono sicura, ci ripensò spesso nel corso della sera. Lo vidi sorridere tra sè, o piuttosto sogghignare, e sprofondare in meditazioni sinistre ogni volta che la signora Linton aveva occasione di assentarsi dalla stanza.

            Mi decisi a osservare i suoi movimenti. Il mio cuore propendeva invariabilmente per il padrone invece che per Caterina: con ragione, credo, perchè egli era gentile, sincero, e stimabile; ed ella, se non poteva essere qualificata proprio l'opposto, sembrava tuttavia accordare a se stessa una tale libertà, che potevo avere poca fede nei suoi principi, ed ancor meno simpatia per i suoi sentimenti. Desideravo che accadesse qualche cosa che potesse servire a liberare tanto Wuthering Heights che Grange da Heathcliff, ma tranquillamente; lasciandoci come eravamo prima della sua venuta. Le sue visite erano un continuo incubo per me, e, temevo, anche per il padrone. La sua dimora alle Heights mi dava un'oppressione al di là di ogni dire. Sentivo che Dio aveva abbandonata ai propri traviamenti la pecora smarrita lassù, e che un animale iniquo si aggirava tra di essa e l'ovile, aspettando l'istante di poter assalire e distruggere.

           

 

XI    (torna all'indice)

           

 

           

            A volte, mentre rimuginavo in solitudine tali idee, mi veniva da alzarmi, presa da subitaneo terrore, e, messo il cappello in testa, correvo a vedere come andassero le cose alla fattoria. Mi ero convinta che fosse un dovere avvertire Hindley di come la gente sparlava del suo modo di vivere, ma poi, rammentandomi delle sue inveterate cattive abitudini, senza speranza di giovargli, tralasciai di rimetter piede in quella triste casa, dubitavo di sostenere il confronto, nel caso che fossi stata creduta.

            Una volta passai davanti al vecchio cancello, deviando dal mio cammino, mentre ero diretta a Gimmerton. Era presso a poco il periodo al quale sono giunta con la mia narrazione: un pomeriggio rigido, splendente; la terra nuda, la strada dura e secca. Arrivai a una pietra dove la strada maestra svolta a sinistra verso la landa, un rozzo pilastro con incise le lettere W.H. a nord; G. a est; e T.G. a sud-ovest, pietra miliare per Grange, per le Heights, e per il villaggio.

            Il disco dorato del sole appariva sulla grigia sommità di quel pilastro ricordandomi l'estate; e io non saprei dire il perchè, ma a un tratto sentii un fiotto di sensazioni infantili invadermi il cuore. Venti anni prima quello era uno dei posti preferiti da me a da Hindley. Guardai a lungo quel pilastro battuto dalle intemperie, e, curvatami, scorsi un buco presso la base, ancor pieno dei gusci di chiocciola e dei sassolini, che amavamo radunare in esso con altre cose ancor più caduche; davanti a me come la stessa realtà, mi parve di vedere il mio primo compagno di giochi sedere sull'erba secca, con la sua testa quadrata e scura china in avanti e la piccola mano intenta a scavare la terra con un coccio di ardesia. «Povero Hindley!» esclamai involontariamente. Trasalii: i miei veri occhi, non quelli della mente, poterono credere per un momento che il fanciullo avesse alzato il volto e mi fissasse intensamente. La visione svanì in un attimo, ma sentii immediatamente un desiderio irresistibile di essere alle Heights. La superstizione mi spinse a cedere a quell'impulso: se fosse morto! pensai, o dovesse morire presto! se fosse un preannuncio di morte! Più m'avvicinavo alla casa e più cresceva la mia agitazione, e, quando essa fu in vista, mi sentii tremar tutta. L'apparizione mi aveva preceduta e stava guardando attraverso il cancello. Questa fu la mia prima idea nel vedere un ragazzo dai ricci di folletto e dagli occhi bruni spingere contro le sbarre il suo viso paffuto. Ma, riflettendo, pensai che doveva essere Hareton, il mio Hareton, non molto cambiato da quando l'avevo lasciato, dieci mesi prima.

            «Che Dio ti benedica, caro!» gridai, dimenticando istantaneamente le mie sciocche paure. «Hareton, sono Nelly! La tua nutrice Nelly!»

            Il fanciullo si allontanò di qualche passo, e raccattò un grosso sasso.

            «Sono venuta a trovare il tuo papà, Hareton,» soggiunsi, indovinando da quel suo atto che, se Nelly viveva ancora minimamente nella sua memoria, non s'identificava nella mia persona.

            Alzò il sasso per lanciarlo: io gli rivolsi parole carezzevoli, ma non riuscii a trattenergli la mano: la pietra colpì il mio cappello; e dalle labbra balbettanti di quel piccolo furfante uscì una serqua di bestemmie che, le comprendesse o non le comprendesse, eran certo pronunciate con esperta enfasi e alteravano i suoi lineamenti di bambino con un'espressione di rivoltante malignità. Potete credere che, più che ira, questo suscitò in me un gran dolore. Sul punto di piangere, mi tolsi di tasca un'arancia, e gliela porsi per propiziarmelo. Esitò e poi me la strappò dalle mani, come se temesse che non gliela volessi dare per davvero. Gliene mostrai un'altra, tenendola a dovuta distanza dalle sue mani.

            «Chi ti ha insegnato queste belle parole, bambino mio?» gli domandai, «il curato?»

            «Maledetto il curato e tu pure! Dammela!» rispose.

            «Dimmi dove prendi le tue lezioni, e l'avrai,» gli dissi. «Chi è il tuo maestro?»

            «Quel demonio del papà,» fu la sua risposta.

            «E che altro ti insegna il papà?» proseguii.

            Fece un salto verso il frutto; io lo alzai ancora di più. «Che cosa ti insegna? gli domandai.

            «Nulla,» rispose, «soltanto a stargli fuori dai piedi. Il papà non può sopportarmi, perchè bestemmio contro di lui.»

            «Ah! è il diavolo che t'insegna a bestemmiare contro il papà?» feci io.

            «Eh, no...» disse strascicando le parole.

            «Allora, chi?»

            «Heathcliff.»

            Gli domandai se il signor Heathcliff gli piacesse.

            «Eh, già!» fece ancora.

            Avrei desiderato conoscere le ragioni di quella sua simpatia, ma non mi fu dato di raccogliere che queste frasi: «Non so: ripaga il papà per quello che lui dà a me, e dice che devo fare quel che voglio.»

            «Il curato non t'insegna a leggere e a scrivere?» soggiunsi.

            «No, mi è stato detto che al curato sarebbero stati cacciati i denti in gola se avesse oltrepassata la soglia, Heathcliff glielo ha promesso!»

            Gli misi l'arancia in mano, e gli ordinai di dire a suo padre che una donna di nome Nelly Dean desiderava parlargli e lo aspettava al cancello del giardino. Egli si incamminò per il viale, e entrò in casa; ma sulla porta, invece di Hindley, apparve Heathcliff; ebbi solo il tempo di girarmi e di precipitarmi giù per la strada, finchè giunsi senza mai fermarmi alla pietra miliare, spaventata come se avessi visto un fantasma. Tutto ha in qualche modo relazione con la storia di Isabella, perchè mi spinse a stare più all'erta, e a fare del mio meglio per impedire che quella cattiva influenza si propagasse a Grange; anche a costo di sollevare una tempesta domestica, contrariando la volontà della signora Linton.

            Quando Heathcliff venne di nuovo, la signorina era in corte occupata a dar da mangiare ai piccioni. Era stata tre giorni senza rivolgere la parola alla cognata, ma aveva anche smesso di lagnarsi di tutto; e ciò era per noi un gran sollievo. Sapevo che Heathcliff non aveva l'abitudine di fare complimenti oziosi alla signorina Linton. Ora, non appena la vide, la sua prima precauzione fu di dare un'occhiata alla facciata della casa. Me ne stavo alla finestra di cucina, ma mi scostai immediatamente per non essere scorta. Egli allora attraversò il cortile, si avvicinò a Isabella e le disse qualcosa; quella sembrò imbarazzata e desiderosa di allontanarsi, Heathcliff, per impedirglielo, le posò una mano sul braccio. Ella volse il viso: evidentemente le aveva fatto una domanda alla quale non desiderava rispondere. Data poi un'altra rapida occhiata alla casa, credendo di non essere veduto, quel furfante ebbe l'audacia di abbracciarla.

            «Giuda! Traditore!» esclamai. «Sei anche un ipocrita, sei falso, e sai di esserlo!»

            «Chi è costui, Nelly?» disse la voce di Caterina al mio fianco. Tutt'intenta ad osservare quella coppia di fuori, non mi ero accorta che fosse entrata.

            «Il vostro indegno amico!» risposi con ira; «quell'abbietto furfante laggiù. Ah, ci ha viste. Viene! Mi domando se avrà il coraggio di trovare una scusa plausibile per fare la corte alla signorina dopo avervi detto che l'odia!»

            La signora Linton aveva visto Isabella divincolarsi da lui e correre in giardino; un minuto dopo, Heathcliff aprì la porta. Non mi fu possibile trattenermi dal dare sfogo alla mia indignazione, ma Caterina mi impose di tacere, minacciando di scacciarmi dalla cucina, se avessi osato mostrarmi così presuntuosa da intromettermi con la mia lingua insolente.

            «A sentirti si crederebbe che tu sia la padrona!» ella gridò. «Hai bisogno di essere messa al tuo posto! Heathcliff, che cosa stai combinando per suscitare tutto questo baccano? Ti ho detto che non devi pensare a Isabella! Ti prego di starmi a sentire a meno che tu sia stanco di essere ricevuto qui, e desideri che Linton tiri i catenacci al tuo arrivo.»

            «Voglia Iddio che non ci si provi!» rispose quel villanaccio. In quel momento sentivo di detestarlo. «Che Iddio gli mantenga la calma e la pazienza! Sento ogni giorno di più la smania di mandarlo al creatore!»

            «Silenzio!» disse Caterina, chiudendo la porta interna. «Non farmi inquietare. Perchè non hai ascoltata la mia preghiera? Ti è venuta incontro lei, apposta?»

            «Che importa a te?» borbottò egli. «Io ho diritto di baciarla se lei è contenta; e tu non hai diritto di opporti. Non sono tuo marito. Non occorre che tu sia gelosa di me.»

            «Io non sono gelosa di te,» rispose la padrona, «sono gelosa per te. Rasserena il viso; a me non devi fare quel cipiglio. Se Isabella ti piace, la sposerai. Ma ti piace? Di' la verità, Heathcliff! Ecco: tu non rispondi. Sono certa che non ti piace!»

            «E il signor Linton approverebbe che sua sorella sposasse quest'uomo?» domandai io.

            «Il signor Linton sì, approverebbe,» ribattè la mia signora, risolutamente.

            «Potrebbe risparmiarsi il disturbo,» disse Heathcliff. «Farei quel che m'aggrada, anche senza la sua approvazione. E, in quanto a te, Caterina, vorrei dirti qualche parola ora che mi si offre l'occasione. Voglio che tu sappia che io so che mi hai trattato diabolicamente, sì, diabolicamente! Mi senti? E se credi che io non me ne sia accorto, sei una sciocca, e se credi che io mi lasci consolare dalle dolci parole sei un'idiota, e se credi che io soffrirò senza vendicarmi, illusa, ti convincerò del contrario, tra non molto! Intanto ti ringrazio per avermi rivelato il segreto di tua cognata. Ti giuro che me ne gioverò più che posso; e tu bada a startene da parte.»

            «Quale nuova faccia del tuo carattere è questa?» esclamò la signora Linton stupita. «Ti ho trattato diabolicamente, e tu vuoi vendicartene?! In che modo, ingrato? E come ti ho trattato diabolicamente?»

            «Non voglio vendicarmi di te,» rispose Heathcliff con minor ira. «Non è questo il mio piano. Il tiranno schiaccia i suoi schiavi, e loro non si rivoltano contro di lui, ma schiacciano quelli che stanno al di sotto di loro. Puoi torturarmi fino alla morte per tuo divertimento, ma permettimi che anch'io mi diverta un poco nello stesso stile, e trattieniti dall'insultarmi il più possibile. Se pensassi che tu desideri veramente che sposi Isabella, mi taglierei la gola!»

            «Oh, il guaio è dunque che non sono gelosa, vero?» gridò Caterina. «Ebbene, non ti offrirò più una moglie; sarebbe come offrire a Satana un'anima perduta. La tua felicità, come la sua, consiste nel far soffrire. Edgardo è guarito dalla collera in cui l'aveva messo la tua venuta; io comincio a sentirmi sicura e tranquilla; ma tu, irritato di saperci in pace, sembri risoluto a provocare una lite. Mettiti contro Edgardo, se desideri, e inganna sua sorella; avrai trovato proprio il mezzo più sicuro per vendicarti di me.»

            Ne seguì un silenzio. La signora Linton sedette vicino al fuoco con il volto acceso e triste. Ella non sapeva più dominarsi. Heathcliff era in piedi, a pochi passi da lei, con le braccia incrociate, rimuginando cattivi pensieri; in tal modo io li lasciai per andare in cerca del padrone che senza dubbio doveva essere inquieto non sapendo che cosa potesse trattenere Caterina tanto a lungo.

            «Elena,» mi disse quando entrai da lui. «Hai veduto la tua padrona?»

            «Sì, è giù in cucina, signore, risposi io. «È molto turbata per causa di Heathcliff, e mi pare che sia ormai tempo di regolare le visite di costui in altro modo. Non è bene essere troppo tolleranti, così ora si è arrivati a questo,» e gli raccontai la scena della corte, e, più approssimativamente che osassi, l'intera disputa avvenuta in seguito. Pensai che non avrebbe potuto recare troppo danno alla signora Linton, a meno che lei stessa non peggiorasse le cose con l'assumere le difese del suo ospite. Edgardo Linton a stento rimase ad ascoltarmi fino alla fine. Le sue prime parole mi rivelarono che non riteneva la moglie senza colpa.

            «Questo è insopportabile!» egli esclamò. «È un disonore che lo dichiari suo amico e mi obblighi a sopportarne la compagnia. Chiamami due uomini, Elena, e di' loro che aspettino fuori. Caterina non resterà più a lungo ad altercare con quel volgare malandrino; ho assecondato abbastanza i suoi capricci.»

            Scese, e, dato ordine ai domestici di aspettare nel corridoio, si diresse, seguito da me, verso la cucina. Quei due avevano ripreso a litigare: la signora Linton sembrava stesse rivolgendo a Heathcliff con rinnovato vigore i rimproveri più acerbi; Heathcliff si era avvicinato alla finestra, e teneva il capo abbassato, apparentemente un po' intimorito da quelle violente parole di biasimo. Fu il primo a vedere il padrone e fece a Caterina un rapido cenno di tacere, al quale ella obbedì prontamente, scoprendo subito la ragione di tale ingiunzione.

            «Che cosa vuol dire tutto questo?» disse Linton, rivolgendosi a lei. «Quale idea hai del tuo decoro per rimanere qui dopo il linguaggio che quel furfante ha usato con te? E, poichè gli è abituale, immagino che tu lo sappia giudicare, o forse sei così avvezza alla sua volgarità da credere che mi ci abituerò io pure!»

            «Hai ascoltato alla porta, Edgardo?» chiese la padrona in un tono particolarmente studiato per provocare il marito, un tono pieno di noncuranza e di sprezzo per il suo risentimento. Heathcliff, che alle prime parole aveva alzato gli occhi, a queste ultime scoppiò in una risata di scherno, proprio, si sarebbe detto, per attirare su di sè l'attenzione di Linton. Egli vi riuscì, ma Edgardo non intendeva dargli lo spettacolo di un abbandono alla collera.

            «Se sono stato così tollerante finora con voi, signore,» egli disse tranquillamente, «non è perchè ignorassi quale miserabile e vile carattere fosse il vostro, ma perchè sentivo che non ne eravate, in parte, responsabile; e, poichè Caterina desiderava continuare la relazione con voi, io scioccamente ho acconsentito. La vostra presenza è un veleno morale che potrebbe contaminare anche il più virtuoso; per tale ragione, e per impedire peggiori conseguenze, d'ora in avanti vi proibisco di venire in questa casa, e vi avverto che esigo la vostra istantanea partenza; tre minuti di indugio la renderebbero forzata e ignominiosa.»

            Heathcliff misurò la statura e la costituzione del suo interlocutore con occhio pieno di derisione.

            «Cathy, questo vostro agnello minaccia come un toro!» egli disse; «ma arrischia di spaccarsi il cranio contro le nocche delle mie mani. Per Dio! signor Linton, mi dispiace mortalmente che non valga la pena di buttarvi a terra.»

            Il mio padrone guardò verso il corridoio, e mi fece segno di chiamare gli uomini; non era disposto ad arrischiare una lotta corpo a corpo. Io ubbidii al segnale, ma la signora Linton sospettando qualche cosa, mi seguì, e quando feci per chiamare i domestici, mi trasse indietro, chiuse con un colpo la porta, e girò la chiave.

            «Bei mezzi!» disse in risposta all'occhiata di adirata sorpresa del marito. «Se non hai il coraggio di assalirlo, fagli le tue scuse, e dichiarati vinto. Imparerai a fingerti più valoroso di quello che sei. No, piuttosto di darti la chiave, la inghiottirei! Sono stata ben ricompensata della mia gentilezza verso tutt'e due. Dopo la più paziente indulgenza per la debole natura dell'uno e la cattiva natura dell'altro, per ringraziamento mi trovo con due campioni della più nera ingratitudine; stupidi fino all'assurdo! Difendevo te e i tuoi, Edgardo, e mi auguro che Heathcliff ti abbia a sferzare fino a perderne il fiato, per i cattivi pensieri che hai osato fare su di me!»

            Non ci fu bisogno di sferzate per far star male il padrone. Tentò di strappare la chiave a Caterina, ma la moglie riuscì a gettarla nella parte ove più ardeva il fuoco. Allora il signor Edgardo fu preso da un tremito nervoso, e il suo volto si fece mortalmente pallido. Nulla avrebbe potuto evitargli quell'eccesso di emozione; l'angoscia e l'umiliazione insieme lo sopraffecero completamente. Si appoggiò allo schienale di una sedia e si coprì il volto.

            «Oh cielo! Nei tempi antichi questo ti avrebbe conquistato un cavalierato!» esclamò la signora Linton. «Siamo vinti! Siamo vinti! Heathcliff non alzerebbe un dito contro di te come un re non farebbe marciare la sua armata contro una colonia di topi. Rallegrati, non sarai toccato! Tu non sei neppure un agnello, ma un leprotto poppante.»

            «Ti auguro ogni felicità con il tuo codardo dal sangue di latte, Cathy!» disse il suo amico. «Ti faccio i miei complimenti per il tuo buon gusto; è questa cosa vile e tutta tremante che mi hai preferito! Non lo prenderei a pugni ma a calci, e mi terrei soddisfatto. Piange o sta per venir meno dalla paura?»

            Così dicendo, gli si accostò e diede una spinta alla sedia cui si appoggiava Linton. Avrebbe fatto meglio a restarsene a dovuta distanza; il mio padrone scattò, e gli diede un tal pugno in piena gola, che qualunque altro uomo meno poderoso sarebbe stato atterrato. Per un momento, gli tolse il respiro, e il signor Linton approfittò di quell'istante per uscire da una porta che dava sul cortile, e all'entrata principale.

            «Ecco! ora hai finito di venir qui!» gridò Caterina. «Vattene subito, lui ritornerà armato di un paio di pistole e con una mezza dozzina di domestici. Se ha veramente sentito quello che dicevamo, puoi essere certo che non ti perdonerà mai. Gli hai giuocato un brutto tiro, Heathcliff! Ma, vattene, fa' presto! Preferirei vedere Edgardo al tuo posto che te!»

            «Credi che possa andarmene con quel colpo che mi brucia nella strozza?» tuonò egli. «Per l'inferno, no! Non varcherò questa soglia senza prima schiacciargli le costole come una nocciola marcia. Se non lo butto a terra ora, certo una volta o l'altra lo ammazzerei, così, se hai cara la sua esistenza, lasciami raggiungerlo adesso.»

            «Non viene!» intervenni io, inventando una mezza bugia. «Ecco il cocchiere e i due giardinieri; non vorrete certamente aspettare d'esser buttato sulla strada da loro. Sono armati di grossi bastoni e, molto probabilmente, il padrone starà a guardare dalla finestra del salone se eseguono i suoi ordini.»

            I giardinieri e il cocchiere c'erano infatti, ma anche Linton era con loro. Erano già entrati nella corte. Heathcliff, dopo un istante di riflessione, mutò pensiero e decise di evitare una lotta con quei tre subalterni, e, afferrato l'attizzatoio, ruppe la serratura della porta interna, e si diede alla fuga mentre quelli arrivavano.

            La signora Linton, che era molto eccitata, mi ordinò di accompagnarla di sopra. Ella non sapeva la parte che avevo avuto nel suscitare quel tumulto, e io ero più che ansiosa che non venisse a saperlo.

            «Sono esasperata, Nelly!» ella esclamò gettandosi sul sofà! «Mille martelli mi battono nel capo! Di' a Isabella di non venirmi vicina; è lei la causa di tutta questa tragedia e, se lei o chiunque altro in questo momento provocasse maggiormente la mia collera, credo che impazzirei. E, Nelly, di' ad Edgardo, se lo vedi ancora stasera, che vi è serio pericolo che mi ammali. Come vorrei che questo succedesse davvero! Mi ha sorpresa e addolorata oltre ogni dire. Bisogna intimorirlo! Non è improbabile che pensi di venire da me; chissà quali rimproveri e lamentele ne seguirebbero; dovrei difendermi, e Dio sa dove si andrebbe a finire. Vuoi fare come ti dico, mia buona Nelly? Comprendi, vero, che io non ne ho colpa alcuna? Cosa l'ha preso mai di mettersi a origliare agli usci? Quando ci hai lasciato, le parole di Heathcliff erano oltraggiose; ma avrei ben saputo distoglierlo da Isabella, e tutto il resto non aveva grande importanza. E ora ecco che per quella brama che prende gli stolti di voler sentir parlar male di sè, brama che li perseguita come uno spirito maligno, tutto si è volto al peggio. Se Edgardo non avesse mai sentito la nostra conversazione, non ne avrebbe sofferto. Per dire il vero mi ha attaccato con un tale risentimento proprio dopo che io mi ero sfiatata per lui, che l'idea di quel che sarebbe successo specialmente tra loro due mi lasciava quasi indifferente, specialmente perchè sentivo che, comunque fossero andate le cose, saremmo rimasti tutti divisi chissà per quanto tempo! Ebbene, se non potrò tenermi Heathcliff per amico, e se Edgardo vorrà ostinarsi a mostrarsi così geloso e meschino, saprò spezzarmi il cuore per spezzar loro il loro. Messa agli estremi, sarà un mezzo sbrigativo per por fine a tutto! Ma voglio riservarmelo per il giorno che non avrò più speranze; Linton non deve esser preso così all'improvviso. Finora per il timore di provocarmi è sempre stato prudente; tu devi mostrargli il pericolo di abbandonare tale cautela, rammentargli il mio carattere appassionato che una volta acceso può arrivare fino alla pazzia. Come vorrei che l'espressione della tua faccia fosse meno apatica, e potessi vederci un po' di ansia per me!»

            La stolidità con cui ricevevo quegli ordini doveva infatti riuscire esasperante; venivano, sì, dati in buona fede quegli ordini, ma pensavo che una persona che sapeva prestabilire un piano simile e calcolare addirittura i profitti che avrebbe dovuto ricavare dai propri scoppi di collera, avrebbe potuto anche esercitare la propria volontà per dominarsi tollerabilmente; e io non desideravo affatto intimorire suo marito, come lei aveva detto, e raddoppiare le sue angustie per accontentare l'egoismo di lei. Perciò non dissi nulla, quando incontrai il padrone che si dirigeva verso il salottino, ma mi presi la libertà di ritornare sui miei passi per sentire se ricominciavano la lite.

            Parlò lui per il primo.

            «Rimani dove sei, Caterina,» disse senza alcuna ira nella voce, ma con accorata desolazione. «Non sono venuto per discutere nè per riconciliarmi: desidero soltanto sapere se, dopo gli avvenimenti di questa sera, hai intenzione di continuare a mantenere la tua stretta amicizia con...»

            «Oh, per amor del cielo,» lo interruppe la padrona, battendo un piede in terra. «Per amor del cielo, non parliamone più ora! Il sangue che hai nelle vene non conosce la febbre; le tue vene sono piene di acqua gelata, ma le mie sono in ebollizione, e davanti alla tua mostruosa freddezza sembrano scatenarsi.»

            «Se vuoi liberarti della mia presenza, rispondi alla mia domanda,» ribattè il signor Linton. «Devi rispondere, e la tua violenza non mi allarma; ho trovato che sai essere stoica come chiunque altro quando ti accomoda. D'ora in avanti vuoi rinunciare ad Heathcliff o vuoi rinunciare a me? È impossibile che tu sia amica mia e sua a un tempo; ed io esigo assolutamente di sapere chi scegli.»

            «E io esigo d'esser lasciata sola!» esclamò Caterina, con veemenza. «Lo esigo! Non vedi che non posso quasi più reggermi? Edgardo, lasciami, lasciami!»

            Tirò il campanello finchè il filo non si ruppe con un tintinnio. Allora, con tutto mio comodo, entrai. Ma anche la pazienza di un santo sarebbe stata messa a dura prova da quelle sue smanie insensate e furiose; lei batteva il capo contro i braccioli del sofà e digrignava i denti come se avesse voluto mandarli in schegge. Il signor Linton era rimasto immobile; e la fissava preso da subitaneo rimorso e da timore. Mi ordinò di andare a prendere dell'acqua. Caterina non aveva più respiro, non riusciva a profferir sillaba. Ritornai con un bicchiere colmo, ma, non potendo fargliela bere, le spruzzai quell'acqua in viso. Dopo pochi istanti, si stese per terra irrigidendosi, con gli occhi rivolti in alto, e le guance sbiancate e illividite assunsero un aspetto cadaverico. Linton appariva terrorizzato.

            «Non è nulla,» gli bisbigliai. Non volevo che lui cedesse, sebbene in cuor mio non potessi non esserne spaventata io pure.

            «Ha del sangue sulle labbra!» disse, rabbrividendo.

            «Non badateci!» replicai duramente. E gli raccontai come, poco prima della sua venuta, lei avesse premeditato di dar spettacolo di un accesso di pazzia. Incautamente pronunciai tali parole a voce alta; fui sentita da Caterina: si levò di scatto, con i capelli svolazzanti sulle spalle, gli occhi fiammeggianti, e i muscoli del collo e delle braccia tesi. Mi aspettai, a dir poco, che mi rompesse le ossa, ma non fece che guardarsi intorno per un momento, e poi fuggì come una furia dalla stanza. Il padrone mi ordinò di seguirla; giunsi all'uscio della camera di Caterina, ma ci s'era rinchiusa a chiave e mi impedì d'entrarvi.

            Il mattino seguente, poichè non dava alcun segno di voler scendere a colazione, salii per chiederle se desiderasse averla di sopra.

            «No,» rispose perentoriamente. Venuta l'ora di desinare e del tè, le rivolsi la stessa domanda, e così di nuovo il giorno seguente, ricevendo sempre il medesimo rifiuto. Il signor Linton, da parte sua, passava il tempo nella biblioteca, e non chiedeva che cosa facesse sua moglie. Aveva avuto un'ora di colloquio con Isabella e aveva cercato di far sorgere in lei un poco d'orrore per gli approcci di Heathcliff; ma le risposte evasive della sorella l'avevano lasciato perplesso, e così l'interrogatorio era terminato in modo non soddisfacente; egli si era anzi visto costretto ad avvertirla, con parole severe, che, se mai fosse stata così insensata da incoraggiare quell'ignobile pretendente, ogni legame di parentela tra loro due sarebbe stato da considerarsi sciolto.

           

 

XII    (torna all'indice)

           

 

           

            Mentre la signorina Linton vagava per il parco e il giardino, sempre silenziosa e quasi sempre in lacrime e il fratello se ne stava rinchiuso tra i suoi libri che non apriva mai, consumandosi - così me lo figuravo io, - in una vaga e continua attesa che Caterina, pentita della sua condotta, andasse spontaneamente a chiedergli perdono, a cercare di riconciliarsi; mentre lei digiunava ostinatamente, pensando probabilmente che a ogni pasto Edgardo fosse sul punto di impazzire per la sua assenza e che soltanto l'orgoglio lo trattenesse dal correre a gettarlesi ai piedi, accudivo alle faccende domestiche, convinta che Grange non avesse che una sola anima ragionevole tra le sue mura, e che quella fosse alloggiata nel mio corpo. Non mi perdetti in parole compassionevoli per la signorina e nemmeno feci scuse alla mia padrona, nè prestai attenzione ai sospiri del padrone, che, non potendo udire la voce della sua signora, bramava di udirne almeno il nome. Avevo deciso di lasciarli a loro stessi, e, sebbene questo fosse un processo faticosamente lento, cominciai alla fine a rallegrarmi per quello che dapprima mi pareva un incerto principio di fioca schiarita.

            La signora Linton, al terzo giorno, tolse i catenacci dall'uscio, e, avendo consumata l'acqua della brocca e della caraffa, chiese che le fosse rinnovata e volle pure una scodella di orzata perchè si riteneva sicura di essere morente. Queste ultime parole pensai fossero dette perchè le riferissi a Edgardo, ma, dubitando molto della loro sincerità, le serbai per me, e senz'altro le recai il tè col pan tostato. Ella si pose a mangiare e a bere avidamente; indi si lasciò ricadere sui guanciali, gemendo e stringendo i pugni. «Oh, voglio morire! voglio morire!» esclamò «Nessuno si cura di me! Perchè ho preso questo cibo?» E dopo un poco la sentii mormorare: «No, non voglio morire! Lui ne sarebbe contento! non mi ama affatto! non soffrirebbe per la mia mancanza!»

            «Desiderate qualcosa, signora?» le domandai a questo punto, mantenendo tuttavia la mia compostezza, a onta del suo sembiante spettrale e dei suoi modi strani ed esasperati.

            «Che cosa fa quell'essere apatico?» chiese togliendo dal suo volto emaciato i capelli inanellati. «È caduto in letargo, o è morto?»

            «Nè l'una, nè l'altra cosa,» risposi, «se parlate del signor Linton. Sta discretamente bene, credo, benchè i suoi studi l'occupino assai più di quel che dovrebbero: è continuamente fra i suoi libri, poichè non ha altra compagnia.»

            «Se avessi compreso il suo vero stato, non le avrei parlato in tal modo, ma non potevo liberarmi dal sospetto che il suo squilibrio non fosse tutta una commedia.

            «Fra i suoi libri?» gridò sorpresa. «E io sono morente! Io, sull'orlo della fossa, Dio mio! sa come sono cambiata?» proseguì, guardando con occhi spalancati la propria imagine riflessa in uno specchio che stava appeso alla parete opposta. «È quella Caterina Linton? Immagina forse che io sia una bambina viziata, che io stia recitando? Non puoi informarlo che la cosa è spaventosamente seria? Nelly, se non è troppo tardi, appena saprò quali sono i suoi veri sentimenti, sceglierò tra queste due alternative: o lasciarmi morire di fame, ma questo non sarebbe un castigo per lui a meno che abbia un cuore, o guarire e abbandonare il paese. Avete detto il vero di lui, or ora? Bada! È davvero così indifferente per lui che io viva o muoia?»

            «Ma come, signora?» risposi. «Il padrone non ha la minima idea della vostra esaltazione e naturalmente non gli passa nemmeno per la testa che possiate morir di fame.»

            «Ne sei sicura? Non potresti dirgli che è proprio questo che intendo fare?» replicò. «Persuadilo! digli che sei certa che io lo farò.»

            «No, signora Linton, risposi,» dimenticate che questa sera avete preso del cibo con molto gusto, e domani ne sentirete i buoni effetti.»

            «Fossi sicura che ciò lo farebbe morire,» m'interruppe, «mi ammazzerei subito! In queste tre terribili notti non ho mai chiuso occhio e ohimè, in quali tormenti sono stata! Ero sotto un incubo. Ma, Nelly, comincio a credere che tu abbia dell'antipatia per me. Quant'è strano. M'illudevo che, benchè tutti si odino e si disprezzino qui, non potessero fare a meno di amar me; ed ecco in poche ore mi si son fatti tutti nemici: tutti, è positivo, tutti quelli di questa casa. Com'è triste dover trovarsi faccia a faccia con la morte, circondata dai vostri freddi volti! Isabella, terrificata e riluttante, avrebbe paura di entrare nella stanza; deve esser tanto terribile cosa vedere Caterina spegnersi! Ed Edgardo, in piedi, in attesa della fine, solenne; poi, le sue preghiere di ringraziamento a Dio per aver ridata la pace alla sua casa, e il ritorno ai suoi libri. Ma in nome di ogni creatura sensibile, che cosa ha a fare coi suoi libri, mentre io sono morente?»

            La filosofica rassegnazione del signor Linton quale gliel'avevo dipinta, le era intollerabile. Lo stato febbrile che già l'agitava tutta, crebbe fino alla follia; ella prese a strappare con i denti il guanciale, e, sollevatasi tutta infiammata, mi ordinò di aprire la finestra. Si era a metà inverno, il vento soffiava forte da nord-est, quindi mi opposi al suo desiderio. L'espressione mutevole del volto e i rapidi cambiamenti di umore cominciarono ad allarmarmi terribilmente, mi ricordavano la sua prima malattia e l'ingiunzione del medico di non contrariarla. Un istante prima, era così violenta, ora appoggiandosi a un braccio senza avvedersi del mio rifiuto, sembrava trovare un puerile divertimento nel toglier le piume dagli strappi che lei stessa aveva prodotto e nell'allinearle sul lenzuolo secondo le loro diverse specie; la sua mente già si era perduta in altri ricordi.

            «Questa è una piuma di tacchino,» mormorava a se stessa, «e questa è di anitra selvatica; e questa è di piccione. Ah, mi hanno messo le piume di piccione, non c'è da meravigliarsi che non abbia potuto morire! Avrò cura di buttarle via, quando mi stenderò sul letto! Ed eccone una di gallo di montagna; e questa, la conoscerei tra mille, è di una pavoncella. Cara, che volteggiavi sopra il nostro capo in mezzo alla landa! Voleva arrivare al suo nido perchè le nubi avevano toccato i marosi e lei sentiva l'approssimarsi della pioggia. Questa piuma è stata raccolta in mezzo all'erica, la pavoncella non è stata uccisa, abbiamo veduto nell'inverno il suo nido pieno di piccoli scheletri. Heathcliff vi aveva messo una trappola e i genitori non avevano più osato ritornarvi. Dopo di questo gli feci promettere che non avrebbe mai più uccisa una pavoncella, e la promessa fu mantenuta. Oh, eccone altre! Nelly, ha forse uccise le mie pavoncelle? Ve ne sono di rosse? Lasciami vedere!»

            «Non continuate questo gioco da bambini,» la interruppi, portandole via il guanciale che stava svuotando a manciate, e rimettendolo poi con gli strappi volti verso il materasso. «Sdraiatevi e chiudete gli occhi; vaneggiate! Oh che disordine! Le piume volano attorno come neve.» E andavo qua e là, raccogliendole. «Vedo in te, Nelly,» ella riprese a dire come in sogno «una vecchia: ha i capelli grigi e le spalle ricurve. Questo letto è la grotta delle fate sotto la Rupe di Penniston, e stai raccogliendo le "frecce dei folletti" per far male alle nostre giovenche: e pretendi, mentre ti sto al fianco, che siano fiocchi di lana. Così diverrai fra cinquant'anni; so che ora non sei così. Non vaneggio; ti sbagli; altrimenti dovrei proprio credere che sei quella vecchia strega e che siamo realmente sotto la rupe; so invece benissimo che è notte e che ci sono due candele sulla tavola che fanno luccicare l'armadio nero come giaietto.»

            «L'armadio nero? dov'è?» chiesi. «Parlate in sogno!»

            «È contro la parete dove è sempre!» rispose. «Che strano! ci vedo una faccia.»

            «Non c'è nessun armadio nella camera, e non ve ne è mai stato alcuno!» dissi, sedendomi di nuovo al mio posto e rialzando una tenda per poterla sorvegliare meglio.

            «Non vedi quella faccia?» domandò, guardando fissamente lo specchio. Per quanto facessi e dicessi, non riuscivo a farle entrare in testa che quel volto era proprio il suo: mi alzai, quindi, e coprii lo specchio con uno scialle.

            «È ancora là dietro!» proseguì lei ansiosamente. «E si è mosso. Chi è? Spero non verrà fuori quando non sarai più qui! Oh, Nelly, in questa casa ci sono gli spiriti. Ho paura a star sola!»

            Le presi una mano tra le mie, le dissi di calmarsi: tremiti convulsi la scuotevano tutta, e non voleva distogliere gli occhi dallo specchio.

            «Non c'e nessuno qui!» insistetti. «Era la vostra immagine, signora: poco prima vi siete riconosciuta.»

            «Io?» esclamò senza respiro, «e l'orologio suona la mezzanotte? Allora è vero! Oh, è terribile!»

            Si aggrappò alle coperte, se le tirò fin sopra agli occhi. Feci per andare verso l'uscio, con l'intenzione di chiamare suo marito; ma un grido acuto mi trattenne; lo scialle era scivolato giù dallo specchio.

            «Che c'è?» esclamai.» Perchè tanta paura? Tornate in voi, signora Linton! quello è lo specchio, e non ci vedete che voi stessa, ed eccomi là anch'io, al vostro fianco.»

            Stupita e tremante, mi teneva stretta; ma l'orrore svanì a poco a poco dal suo volto, e il suo pallore si mutò in rossore come di vergogna.

            «Oh, povera me! credevo di essere a casa mia,» ella sospirò. «Credevo di essere a letto nella mia cameretta a Wuthering Heights. Per la grande debolezza, mi si è confusa la mente e ho gridato inconsciamente. Non dirmi nulla; ma rimani con me. Ho paura di addormentarmi; i miei incubi mi terrorizzano.»

            «Un buon sonno vi farà certo bene, signora,» le risposi; «e spero che queste sofferenze vi consiglieranno a non ritentare la prova di lasciarvi morir di fame.»

            «Oh, fossi almeno nel mio letto di ragazza nella vecchia casa!» riprese a dire con amarezza, e si torceva le mani, «con il vento che sibila tra gli abeti dietro l'inferriata. Lasciamelo riudire... viene direttamente dalla landa... lascia che lo respiri!»

            Per quietarla, tenni la finestra socchiusa per qualche istante. Subito entrò un'impetuosa folata di vento freddo; richiusi, e tornai al mio posto. Ora giaceva tranquilla, il volto bagnato di lacrime. L'esaurimento fisico aveva completamente prostrato il suo spirito: la nostra fiera Caterina, ora, era solo una bambina piangente. «Da quando mi trovo rinchiusa qua dentro?» domandò, rianimandosi improvvisamente.

            «Da lunedì sera,» risposi, «e questa è la notte di giovedì, o, per meglio dire, è venerdì mattina, ormai.»

            «Che! della stessa settimana?» esclamò. «Soltanto da così poco tempo?»

            «Abbastanza lungo, per voler vivere di sola acqua fredda e di cattivo umore,» le dissi io.

            «Mi sembra un numero interminabile di ore,» mormorò con incertezza, «deve essere molto di più. Ricordo di essere rimasta in salotto dopo la lite, e quanto crudelmente mi provocasse Edgardo, tanto che me ne sono fuggita disperata in questa stanza. Non appena ho chiusa la porta a chiave, sono caduta a terra, sopraffatta dall'oscurita assoluta. Invano avevo cercato di spiegare ad Edgardo che, se persisteva a tormentarmi, sarei stata travolta dai miei nervi o che sarei impazzita! Non avevo più dominio della mia mente nè del mio linguaggio e forse lui non immaginava quale fosse la mia angoscia: nè così ho avuto bisogno di allontanarmi da lui e dalla sua voce. Prima che mi fossi riavuta abbastanza da poter vedere e sentire, già cominciava ad albeggiare e, Nelly, ti dirò che cosa pensavo e che cosa mi ossessionava e mi ossessiona tanto da temerne per la ragione. Mentre giacevo in terra con la testa contro la gamba della tavola e scorgevo confusamente il vetro grigio della finestra, pensavo di essere nel letto di quercia a casa; ed il cuore mi doleva per una grande pena che, svegliandomi, non riuscivo a ricordare. Mi son messa a pensare, ero ansiosa di scoprire che cosa potesse essere e, inspiegabilmente, gli ultimi sette anni della mia vita mi parevano come un gran vuoto, come se non fossero esistiti. Ero bambina; mio padre era appena stato seppellito, e il motivo del mio dolore era la separazione tra me ed Heathcliff imposta da Hindley. Era la prima volta che dormivo sola, e svegliandomi da un triste sonno dopo una notte di lacrime, alzavo una mano per far scorrere da un lato i pannelli; la mano urtava invece nella tavola. L'ho fatta strisciare sul tappeto e ad un tratto mi è tornata la memoria: la mia angoscia allora è diventata disperazione. Non saprei dire perchè mi sono sentita così disperatamente infelice, dev'essere stata una esaltazione momentanea perchè era quasi senza ragione. Ma, supponi che a dodici anni fossi stata strappata dalle Heights, da ogni ricordo dell'infanzia e dal mio tutto, come era Heathcliff a quel tempo per me, e che di colpo fossi stata tramutata nella signora Linton, la signora di Thrushcross Grange, moglie di uno straniero; e così per sempre esiliata da quello che era stato il mio mondo. Puoi capire allora l'abisso nel quale brancolavo! Scuoti pure il capo, Nelly, ma tu hai contribuito a turbarmi in questo modo. Avresti dovuto parlare ad Edgardo e obbligarlo a lasciarmi tranquilla. Oh, ma io brucio! Vorrei esser fuori! Vorrei essere una ragazza mezzo selvaggia, rozza, ma libera! Vorrei ridere delle offese e non impazzirne! Perchè sono così cambiata? Perchè il mio sangue è sconvolto solo per poche parole? Sono certa che tornerei quella di una volta se fossi ancora tra l'erica su quelle colline. Apri la finestra! Tutta quanta, presto! Perchè non ti muovi?»

            «Perchè non voglio esser io a farvi morire di freddo!» risposi.

            «Di' piuttosto che mi volete negare ogni possibilità di vita,» gridò con ira. «Però non sono ancora un'invalida; aprirò da me.»

            E scivolando giù dal letto prima che riuscissi ad impedirglielo, attraversò con passo incerto la stanza, aprii i vetri e si affacciò incurante dell'aria rigida che le avvolgeva le spalle. La scongiurai, poi cercai di costringerla a togliersi di là. Ma subito mi accorsi che la sua forza nervosa era di molto superiore alla mia, e mi convinsi che i suoi atti e quel suo vaneggiare erano gli effetti di un reale delirio. La notte era senza luna, tutto era immerso in un'oscurità nebbiosa; non c'erano luci in nessuna casa, nè lontana, nè vicina; ovunque erano state spente già da tanto tempo, e quelle di Wuthering Heights non erano visibili; pure ella asseriva di vederle brillare.

            «Guarda!» esclamò con calore, «quella col lume è la mia stanza, con gli alberi che ondeggiano davanti; l'altro lume è nell'abbaino di Giuseppe. Sta alzato sino a tardi? Aspetta che io ritorni a casa per poter chiudere il cancello. Ebbene, dovrà aspettare un bel po'. È un viaggio duro, penoso, ed il cuore è triste!... e per farlo dobbiamo passare davanti alla cappella di Gimmerton! Spesso abbiamo sfidato gli spiriti e ci siamo sfidati a stare fra le tombe, ad evocarli e dir loro di venire. Ma, Heathcliff, se ora ti sfidassi, ne avresti ancora il coraggio? Se vieni ti terrò con me; non voglio giacere sola. Se mi seppellissero a dodici piedi di profondità e la chiesa crollasse su di me, io non riposerò fin che tu non mi sarai vicino.»

            Tacque un istante, poi riprese con uno strano sorriso: «Sta riflettendo... preferirebbe che andassi io da lui! Trova una via allora! non attraverso il cimitero! Sarai contento; mi hai sempre seguito! Come sei lento!»

            Visto che insistere contro quella sua follia sarebbe stato inutile, stavo cercando il modo per afferrare qualcosa da avvolgerle intorno senza allentare la stretta in cui la tenevo (non potevo fidarmi di lasciarla sola con la finestra spalancata) quando, con mia costernazione, udii il rumore della maniglia; entrò il signor Linton.

            Veniva allora dalla biblioteca, passando per il corridoio aveva sentito le nostre voci, e, spinto da curiosità e da timore, voleva sapere che cosa succedesse a un'ora così inoltrata.

            «Oh, signore,» gridai, prevenendo l'esclamazione venutagli alle labbra allo spettacolo che gli si presentava dinanzi, all'aria lugubre che aleggiava nella stanza. «La mia povera signora sta male; io non so più come fare a tenerla, è più forte di me! Venite, vi prego, e persuadetela a andare a letto. Dimenticate ogni rancore, sapete che non si può contrariarla.»

            «Caterina ammalata?» disse, correndo a noi. «Chiudi la finestra, Elena! Caterina! come...»

            Non potè continuare. L'aspetto spettrale della signora Linton gli tolse completamente la parola, e non faceva che volgere lo sguardo dall'una all'altra di noi. «Non ha fatto che straziarsi l'animo, rinchiusa qua dentro,» proseguii, «e non ha quasi mangiato, senza lagnarsi mai; non ha voluto veder nessuno di noi fino a stasera, così non abbiamo potuto avvertirvi del suo stato, non lo sapevamo. Ma non è nulla.»

            Le mie giustificazioni erano fragili; il padrone si accigliò. «Ah, dunque non è nulla, Elena Dean?» disse severamente. «Mi darai una spiegazione più precisa per avermi tenuto all'oscuro di questo!» e prese sua moglie tra le braccia con gli occhi pieni d'angoscia.

            Dapprima Caterina non parve riconoscerlo, come se egli fosse stato invisibile al suo sguardo distratto. Il delirio tuttavia non era continuo; distolti gli occhi dall'oscurità esterna in cui sembravano sprofondati, a poco a poco concentrò l'attenzione su di lui, e lo riconobbe.

            «Ah! sei venuto, Edgardo Linton!» disse con accento irritato. «Sei una di quelle persone che si trovano sempre quando meno sono desiderate, e, quando servono, non si trovano mai. Immagino che ora cominceranno i rimproveri, ne sono sicura, ma non serviranno a tenermi lontana dalla mia dimora, laggiù; il luogo di riposo che mi aspetta prima che la primavera sia finita! Eccolo là: non tra i Linton, bada, sotto la volta della cappella, ma all'aria aperta, con una pietra sopra; e tu puoi fare come ti pare, andare con loro o venire con me!»

            «Caterina, che cosa hai fatto!» disse il padrone. «Io non sono più nulla per te? Ami quel miserabile di un Heathcliff?»

            «Silenzio!» fece la signora Linton. «Taci! Se pronunci ancora quel nome, salto dalla finestra e la faccio finita con tutto. Quello che tu tocchi in questo momento puoi averlo, ma la mia anima sarà sulla cima di quella collina prima che tu l'abbia ripresa. Non ti voglio più, Edgardo! non mi è possibile altrimenti. Ritorna ai tuoi libri! Sono contenta che tu abbia di che consolarti, perchè tutto quello che avevi in me è finito!»

            «La sua mente vaneggia, signore!» dissi io. «Non ha fatto che dire cose insensate tutta la sera! lasciandola quieta e curandola, si rimetterà. D'ora innanzi dovremo ben guardarci dal contrariarla.»

            «Non desidero altri consigli da te,» rispose il signor Linton. «Conoscevi il temperamento della tua padrona e tuttavia mi hai spinto ad esasperarla. E non avermi dato il più piccolo avvertimento del suo stato in questi tre giorni! Che crudeltà! Mesi e mesi di malattia non le avrebbero causato un cambiamento simile.»

            Mi pareva davvero troppo ingiusto venir rimproverata per la maligna ostinazione di un'altra. Mi difesi.

            «Sapevo, è vero, che la signora Linton ha un carattere ostinato e autoritario,» gridai, «ma non sapevo che voi desideravate incoraggiarlo. Non sapevo di dover fare buon viso al signor Heathcliff per compiacerla. Informandovi, adempivo al mio dovere di serva fedele, e ecco il mio compenso! Bene, mi insegnerà a stare attenta. La prossima volta penserete ad informarvi voi.»

            «La prima volta che verrai a riportarmi altre storie simili lascerai il mio servizio, Elena Dean!» rispose.

            «Allora devo credere, signor Linton, che voi preferiate non sapere nulla,» dissi. «Heathcliff ha senza dubbio il vostro permesso di far la corte alla signorina e di metter il piede qui, ogni volta che la vostra assenza gliene offre la possibilità, per istigare la signora contro di voi.»

            Per quanto sconvolta fosse Caterina, pure la sua mente era attenta alla nostra conversazione. «Ah! Nelly ha fatto la traditrice!» esclamò con impeto. «Nelly è la mia nemica segreta. Strega!! Sei tu, dunque, che vai in cerca di frecce del diavolo per farci del male! Lasciami andare! Saprò io farla pentire! Lasciami, ti dico. Gliela farò gridare io, la sua ritrattazione.»

            Una furia folle le si accese negli occhi, e con sforzi disperati cercò di divincolarsi dalle braccia di Linton. Pochissimo disposta ad assistere allo scatenarsi di quella furia, decisi di correre per il medico, assumendone l'intera responsabilità, e senz'altro indugio lasciai la camera.

            Nell'attraversare il giardino per giungere alla strada, vidi qualche cosa di bianco pendere dal muro proprio dove sta infisso un gancio da briglia; si moveva a sbalzi, così che non pareva mosso dal vento. Ad onta della mia fretta, mi fermai ad osservare che cosa fosse, per non dover poi avere per sempre in mente l'idea che si trattasse di una creatura dell'altro mondo. Quali non furono la mia sorpresa e la mia perplessità nello scoprire al tatto più che alla vista, Fanny, la cagnolina della signorina Isabella, appesa a quel gancio con un fazzoletto, e quasi agli ultimi aneliti.

            Liberai subito la bestiola e sollevatala al di sopra del muro la calai giù in giardino. L'avevo veduta seguire la sua padrona quando era salita per coricarsi e non riuscivo a spiegarmi come potesse trovarsi lì fuori, e chi potesse averla trattata in quel modo: mentre scioglievo il nodo dal gancio, mi era sembrato di sentire galoppare dei cavalli in lontananza, ma erano tante le cose che preoccupavano la mia mente in quell'istante che non fermai la mia attenzione su quella circostanza, benchè fosse un rumore strano, in quel luogo, e alle due del mattino.

            Fortunatamente il dottor Kenneth usciva di casa, per andare da un malato nel villaggio, proprio nel momento in cui io arrivavo dalla strada, e il racconto che gli feci dello stato di Caterina Linton lo indusse a venir subito con me. Era un uomo semplice, rozzo, e non si fece scrupolo di dirmi i suoi dubbi ch'essa potesse sopravvivere a questo secondo attacco; a meno che non fosse un po' più sottomessa alle sue prescrizioni di quanto era stata la prima volta.

            «Nelly Dean,» mi disse, «non posso fare a meno di pensare che vi sia qualche altra causa di questo attacco. Che cosa è accaduto a Grange? Corrono strane voci. Una ragazza sana e robusta come Caterina non si ammala per così poco! Non è facile poi guarirla dalle febbri e mali consimili. Come è cominciato?»

            «Il padrone v'informera lui stesso,» risposi, «ma voi già conoscete il temperamento violento degli Earnshaw, e la signora Linton li supera tutti. Quel che vi posso dire è che c'è stata una lite e che lei è stata presa da una specie di accesso furioso. Così ha detto almeno: è fuggita nel momento culminante, e si è rinchiusa in camera sua. Da allora ha rifiutato di mangiare e ora ha il delirio; di tanto in tanto pare proprio impazzita, benchè riconosca quelli che le stanno intorno, ma ha la mente piena di idee strane, e di allucinazioni.»

            «Sarebbe un gran dolore per il signor Linton il perderla?» chiese Kenneth.

            «Un gran dolore? Se dovesse accadere qualche cosa ne avrebbe il cuore spezzato. Non allarmatelo più del necessario.»

            «Gliel'avevo detto di essere prudente,» rispose il mio compagno, «ma non ha dato retta al mio avvertimento, ed ora gli tocca sopportarne le conseguenze. Ultimamente non era in intimità con Heathcliff?»

            «Heathcliff viene spesso in visita a Grange,» risposi io, «ma più col pretesto che la signora l'ha conosciuto da ragazzo, che non perchè la sua compagnia sia gradita al padrone. Adesso è stato pregato di non venire, perchè ha manifestato certe presuntuose aspirazioni riguardo alla signorina Linton; credo che difficilmente sarà riammesso.»

            «E la signorina Linton non gli volge freddamente le spalle?» fu la nuova domanda del medico.

            «Non si confida con me,» risposi io, poco disposta a continuare quel discorso.

            «No, certamente! quella lì è scaltra!» soggiunse scuotendo il capo. «Non si confida e non domanda consigli! Ma è davvero una scriteriata. Lo so da buona fonte. La notte scorsa (ed era una bella notte!) si trovava a passeggiare con Heathcliff nella piantagione dietro la vostra casa, erano le due all'incirca; Heathcliff insisteva per persuaderla a non rientrare ma a balzare in sella del suo cavallo e ad andarsene via con lui! Il mio informatore mi ha detto che lei è riuscita a farlo desistere solo dandogli la sua parola che si sarebbe tenuta pronta per il loro prossimo appuntamento: quando il mio informatore non è riuscito a sentire; ad ogni modo avvertite il signor Linton che tenga gli occhi aperti.»

            Questa notizia mi riempì di nuovi timori, sì che piantai Kenneth e feci tutta la strada di corsa. La cagnetta era ancora in giarclino. Indugiai un minuto per aprirle il cancello, ma, invece di correre in direzione della porta di casa, essa si mise a correre su e giù, fiutando l'erba e sarebbe fuggita in strada se non l'avessi acchiappata e portata con me.

            Salii subito alla stanza di Isabella e i miei sospetti furono confermati: era vuota. Fossi arrivata qualche ora prima, la malattia della signora Linton sarebbe bastata a fermare la decisione sconsiderata della ragazza. Ma che fare ormai?

            C'era forse la possibilità di raggiungere i fuggitivi mettendosi subito all'inseguimento, ma in ogni caso non potevo farlo io; d'altronde non osavo dar l'allarme e mettere sottosopra tutta la casa; peggio ancora svelare la cosa al padrone che, angosciato come era già per la sua propria disgrazia, non avrebbe avuto la forza di sopportarne una seconda. Non vidi altro da fare che starmene zitta, lasciando che le cose seguissero il loro corso; arrivato Kenneth, andai ad annunciarlo con un volto non poco turbato. Caterina giaceva in un sonno agitato: suo marito era riuscito a calmare quell'accesso di follia, ed ora stava chino sopra il guanciale, intento ad osservare ogni più piccolo cambiamento di quei tratti così dolorosamente eloquenti.

            Il dottore, esaminato il caso, espresse a Linton la speranza di un miglioramento, purchè fosse mantenuta intorno all'ammalata un'assoluta e costante tranquillità; ma a me lasciò intravedere non tanto il pericolo di morte quanto quello di una permanente alienazione mentale.

            Per quella notte non chiusi occhio, e neanche il signor Linton; anzi non ci coricammo neppure, e i domestici erano tutti in piedi assai prima dell'ora consueta e si muovevano per la casa con passi leggeri, parlando sommesso. Tutti erano in attività tranne la signorina Isabella, e furono essi ad osservare che dormiva un sonno ben profondo; il fratello a sua volta chiese se si fosse alzata e sembrò impaziente di vederla, risentito che mostrasse così poca ansietà per la cognata. Tremavo all'idea che mi mandasse a chiamarla; ma mi fu risparmiata la pena di dover essere io la prima ad annunziarne la fuga.

            Una delle cameriere, una ragazza spensierata, che era andata a Gimmerton presto quella mattina per una commissione, tutta trafelata, si precipitò in casa, gridando: «Oh Dio! Dio! che cosa accadra ora? Padrone, padrone!... la nostra signorina...»

            «Non fate tanto chiasso!» mi affrettai a dirle, adirata per quel suo modo di fare.

            «Parla più piano, Maria; che cosa è accaduto?» le chiese il signor Linton. «Che cos'ha la signorina?»

             «Se ne è andata! Se ne è andata! Quell'Heathcliff è fuggito con lei,» rispose la ragazza senza respiro.

            «Non è vero,» esclamò Linton, alzandosi, agitatissimo. «Non può essere! Come ti è venuta un'idea simile? Elena Dean, andate a chiamarla; è incredibile, non può essere!»

            E riaccompagnando la ragazza verso l'uscio le domandò di nuovo che motivi avesse per fare un'affermazione simile.

            «Ho incontrato per la strada un ragazzo che viene a prendere il latte a Grange,» balbettò la ragazza, «e mi ha chiesto se a Grange fossimo nei guai. Pensando che parlasse della malattia della padrona, gli ho risposto di sì. "Allora immagino che qualcuno li avrà inseguiti" ha detto lui. L'ho guardato meravigliata. Ha capito che non ne sapevo nulla, e allora mi ha raccontato che un signore ed una signora si erano fermati alla bottega di un fabbro per far fissare un ferro ad uno dei loro cavalli, a due miglia da Gimmerton, non molto dopo la mezzanotte. La figlia del fabbro si era alzata per spiare chi fossero e li ha riconosciuti subito. L'uomo era Heathcliff, proprio lui, ne è certa, nessuno avrebbe potuto scambiarlo per un altro, e l'ha visto dare una corona a suo padre come compenso. La signora aveva il viso avvolto nel mantello, ma ha chiesto un sorso d'acqua, e, nel bere, il mantello le è scivolato sulle spalle, lasciando scoperto il volto così che ha avuto il tempo di vederla molto bene. Rimessisi in sella, Heathcliff ha preso le briglie delle due bestie, e lasciato dietro a sè il villaggio hanno cavalcato con la massima velocità possibile con quelle cattive strade. La ragazza col padre non ha fiatato, ma stamane ha raccontato la cosa a tutta Gimmerton.»

            Corsi a dare un'occhiata alla camera di Isabella per puro scrupolo, confermando al mio ritorno le parole della domestica. Il signor Linton aveva ripreso il suo posto al capezzale di Caterina; quando entrai, levò gli occhi, capì quel che significava il mio aspetto sconvolto, li riabbassò senza dare un ordine, nè profferire parola.

            «Dobbiamo cercare in qualche modo di raggiungerla e ricondurla a casa?» domandai. «Che fare?» «Se ne è andata di sua volontà,» rispose il padrone, «e aveva il diritto di andarsene se lo desiderava. Non occupatevene più. D'ora innanzi non sarà mia sorella che di nome; non perchè io non voglia riconoscerla, ma perchè è lei che si è staccata da me.»

            E fu tutto quanto disse in proposito: non fece altre indagini, e non la nominò più, tranne che per ordinarmi di mandarle alla sua nuova casa, ovunque fosse e non appena ne fossi venuta a conoscenza, le cose che le appartenevano e che si trovavano in casa.

           

 

XIII    (torna all'indice)

           

 

           

            Per due mesi i fuggiaschi rimasero assenti; in quel periodo la signora Linton ebbe e superò il peggior attacco di una febbre cerebrale. Una madre non avrebbe potuto curare una figlia unica con la tenerezza con cui la curò Edgardo. La vegliò giorno e notte sopportando con infinita pazienza tutti i fastidi che dei nervi irritabili e una mente scossa possono infliggere, e benchè Kenneth non mancasse di dichiarargli che quella ch'egli salvava dalla tomba avrebbe ricompensate le sue cure col diventare una fonte di costanti ansietà future o, in altri termini, che la sua propria salute e le sue proprie forze venivano sacrificate per preservare un relitto umano, la gratitudine e la gioia di Linton non conobbero limiti quando Caterina venne dichiarata fuori pericolo. Per ore ed ore rimaneva seduto presso di lei ad osservarne il graduale ritorno alla salute, alimentando le più vive speranze e forse l'illusione che anche la mente di lei avrebbe ritrovato il giusto equilibrio, e che Caterina sarebbe presto tornata ad essere quella di prima.

            La prima volta che lasciò la camera fu al principio del mese di marzo. Il signor Linton quella mattina le aveva messo accanto al guanciale un fascio di crocus d'oro, e gli occhi di lei, dove da tanto tempo non aveva più brillato un raggio di gioia, si illuminarono al suo destarsi e mentre li raccoglieva avidamente: «Questi sono i primi fiori delle "Cime",» esclamò «Mi ricordano le brezze soavi e il tiepido sole e la neve quasi sciolta. Edgardo, non soffia il vento di mezzogiorno e la neve non è quasi tutta scomparsa?»

            «La neve è interamente scomparsa quaggiù, mia cara,» rispose il marito, «vedo solo due macchie bianche lungo tutta la catena delle colline; il cielo è azzurro, e le allodole cantano, e i rigagnoli e i ruscelli sono tutti in piena. Caterina, la scorsa primavera a quest'epoca ero ansioso di averti qui sotto questo tetto, ora vorrei che tu fossi a un miglio o due su quelle alture: l'aria è così dolce che sento ti guarirebbe.»

            «Non ci tornerò che un'ultima volta,» disse la convalescente; «e poi tu mi lascerai là, ed io vi resterò per sempre. La prossima primavera desidererai di nuovo avermi sotto questo tetto, e ricordando penserai che oggi eri felice.»

            Linton le prodigò le più amorevoli carezze e cercò di rallegrarla con le parole più affettuose; ma, guardando vagamente i fiori, ella lasciò che le lacrime le si raccogliessero tra le ciglia e le solcassero le guance. Sapevamo che stava realmente meglio; pensammo quindi che questa sua malinconia dovuta principalmente all'essere stata a lungo confinata sempre nella stessa camera avrebbe potuto essere in parte vinta con un cambiamento di luogo. Il padrone mi disse di accendere il fuoco nella sala rimasta per settimane deserta, e di mettere una poltrona in pieno sole presso la finestra; poi la portò giù, ed ella rimase seduta per lunghe ore godendo del gradevole tepore, e, come ci aspettavamo, parve rianimata dagli oggetti che la circondavano, i quali, sebbene familiari, non erano collegati ai tristi ricordi della sua odiata camera da letto.

            Verso sera sembrò molto stanca, ma fu impossibile persuaderla a ritornare nella sua camera, ed io dovetti adattarle a letto il sofà del salotto finchè non gliene fosse preparata un'altra. Per risparmiarle la fatica di salire e scendere le scale le sistemammo la stanza in cui ora dormite voi, al medesimo piano del salotto; e non molto tempo dopo si sentì abbastanza in forze per andare da una stanza all'altra, appoggiandosi al braccio di Edgardo. Ah! anch'io pensavo che con tante cure potesse guarire. E vi era doppio motivo per desiderarlo, perchè dalla sua esistenza dipendeva quella di un altro essere; nutrivamo infatti la speranza che in breve tempo il cuore del signor Linton sarebbe stato rallegrato dalla nascita di un erede e le sue terre messe così al sicuro dalla avidità di un estraneo.

            Dovrei dire che dopo circa sei settimane dalla sua partenza, Isabella mandò al fratello un breve biglietto per annunciargli il suo matrimonio con Heathcliff. Il biglietto era asciutto e freddo, ma in fondo c'erano scritte a matita vaghe parole di scusa e la preghiera di essere ricordata con affetto e di venire ad una riconciliazione, qualora il suo modo di procedere l'avesse offeso; diceva che allora non le era stato possibile agire altrimenti, e che, a cose fatte, non aveva più il potere di disfarle. Credo che Linton non le abbia risposto, e, quindici giorni dopo, ricevetti io una lunga lettera che trovai assai strana per essere scritta dalla penna di una sposa che aveva appena passata la luna di miele. Ve la leggerò poichè la conservo ancora. Qualunque ricordo di quelli che abbiamo amati in vita, ci diventa prezioso quand'essi sono morti.

            Cara Elena,

            sono arrivata la scorsa notte a Wuthering Heights, e ho saputo per la prima volta che Caterina è sata molto malata e che lo è tuttora. Immagino che non mi sia permesso scriverle e mio fratello sarà troppo adirato o troppo addolorato per rispondere al biglietto che gli ho mandato. Ma bisogna pure che scriva a qualcuno, e non mi rimane altra scelta che scrivere a voi.

            Fate sapere ad Edgardo che darei tutto il mondo per rivedere il suo viso e che il mio cuore è tornato a Thrushcross Grange ventiquattro ore dopo averla lasciata, ed è lì anche in questo momento pieno di tanto affetto per lui e per Caterina. Ah perchè non lo posso seguire! (queste parole sono sottolineate) sarebbe inutile aspettarmi, e ne traggano pure le conclusioni che vogliono; ma badino però di non attribuire nulla a mancanza di volontà o di affetto da parte mia. Il resto di questa lettera è per voi sola.

            Ho due domande da farvi: la prima è: come avete potuto conservare i normali affetti umani quando abitavate qui? Non so trovare sentimento alcuno che sia condiviso da quelli che mi stanno intorno. Il signor Heathcliflf è un uomo? Se lo è, è pazzo? E, se non è pazzo, e il demonio? Non dirò la ragione di tali domande, ma vi prego di spiegarmi, se potete, chi ho sposato; intendo dire quando verrete a trovarmi; e dovete venire, Elena, subito. Non scrivete, ma venite, e portatemi un cenno di Edgardo.

            Ora vi dirò come sono stata ricevuta nella mia nuova casa, poichè tale è mi dicono Wuthering Heights. È per divertirmi che mi soffermo su particolari come quello della mancanza di ogni comodità materiale. Son cose a cui penso solo quando ne sento la mancanza. Riderei e ballerei dalla gioia se trovassi che la mia infelicità è solo questa, e che tutto il resto non è che un sogno inverosimile.

            Il sole tramontava dietro a Grange quando ci dirigemmo verso la landa; pensai dunque che dovevano essere le sei. Mio marito si fermò una mezz'ora ad ispezionare il parco, i giardini, e tutto quanto in lungo e in largo, così che era già buio, quando smontammo da cavallo nel cortile selciato della fattoria, ed il tuo collega di un tempo, Giuseppe, sbucò fuori a riceverci alla luce di una candela di sego. Lo fece con una cortesia che torna tutta a suo credito. Come prima cosa alzò la fiamma sino al mio viso, mi guardò con occhio bieco e maligno, sporse il labbro inferiore e girò le spalle. Prese i due cavalli e li condusse in stalla, poi riapparve per richiudere il cancello esterno come se fossimo in un antico castello.

            Heathcliff si fermò con lui, ed io entrai in cucina, un buco oscuro e sporco; credo che non la riconosceresti tanto è cambiata da quando te ne occupavi. Vicino al fuoco stava un bambino truce, forte di membra e sudicio di vesti; l'espressione degli occhi e della bocca era simile a quella di Caterina.

            «Questo è il nipote legittimo di Edgardo,» pensai tra me, «mio nipote in un certo qual senso; bisogna che gli dia la mano, e che lo baci anche. È bene fare amicizia fin dal principio.»

            Mi avvicinai, e, cercando di prendere tra le mie mani le sue, dissi:

            «Come stai, mio caro?»

             Rispose in un gergo che non capii. «Vogliamo essere amici tu ed io, Hareton?» fu il mio secondo tentativo di conversazione. Una bestemmia e la minaccia di farmi sbranare dal cane se non tagliavo la corda fu il premio della mia insistenza.

            «Ehi, Throttler!» fece sottovoce il piccolo manigoldo, facendo balzare una specie di bull-dog bastardo, dalla tana in un angolo. «Ora te ne vuoi andare?» domandò con voce imperiosa.

            L'amore alla vita mi consigliò l'ubbidienza e ripassai la soglia in attesa che gli altri entrassero. Non vedevo il signor Heathcliff da nessuna parte e Giuseppe che raggiunsi nella scuderia e che pregai di accompagnarmi in casa, guardandomi con tanto d'occhi e arricciando il naso, rispose con un grugnito:

            «Mmm... mmm... mmm...! Quale cristiano ha mai udito qualcosa di simile?... Cosa mai cincischiate e masticate?... Come posso capire quel che dite?»

            «Dico che vorrei che mi accompagnaste in casa!» gridai, pensando che fosse sordo, e molto disgustata di tanta villania.

            «Io no; ho altro a fare!» rispose, rimettendosi al lavoro, e guardando con sovrano disprezzo il mio abito e il mio volto; il primo troppo bello, l'altro così triste, ne sono sicura, che più triste non lo poteva desiderare.

            Feci il giro del cortile e passando per un usciolo mi trovai davanti a un'altra porta alla quale ebbi l'audacia di bussare, nella speranza che comparisse qualche domestico più civile.

            Dopo breve attesa mi aprì un uomo alto, magro, senza fazzoletto al collo e in tutto il resto estremamente sudicio. Il viso si perdeva tra masse di capelli incolti che gli ricadevano sulle spalle ed i suoi occhi erano essi pure simili a quelli spettrali di Caterina con tutta la loro bellezza spenta.

            «Che volete qui?» domandò bruscamente. «Chi siete?»

            «Il mio nome era Isabella Linton,» risposi. «Non è la prima volta che mi vedete. Ho da poco sposato il signor Heathcliff che mi ha portata qui, credo col vostro permesso.»

            «È tornato allora?» domandò l'eremita, guardandomi come un lupo affamato.

            «Sì, siamo appena arrivati,» dissi io, «ma mi ha lasciato alla porta di cucina e quando ho cercato di entrare il vostro ragazzo faceva da sentinella, e mi ha costretto a sgombrare, minacciando di aizzarmi contro il mastino.»

            «Manco male che quel villano infernale ha mantenuta la parola!» grugnì il mio futuro padrone di casa, scrutando l'oscurità dietro le mie spalle, cercando di scorgervi Heathcliff; indi si abbandonò a un soliloquio di esecrazioni e di minacce circa quel che avrebbe fatto se quel demonio l'avesse ingannato.

            Già mi pentivo di aver tentato quel secondo ingresso e speravo di poter scappare via mentre continuavano ininterrotte quelle sue maledizioni, quando egli mi ordinò di entrare; chiuse e rimise i catenacci alla porta. C'era un gran fuoco, sola luce in quello stanzone dal pavimento grigio, uniforme; ed i piatti di peltro una volta così lucidi che solevo ammirare da ragazzina, erano diventati anch'essi opachi di ruggine e di polvere. Domandai se potessi chiamare la governante per farmi accompagnare in una camera da letto. Il signor Earnshaw non si degnò di rispondermi: camminò su e giù con le mani in tasca, apparentemente del tutto dimentico della mia presenza; era così profondamente assorto e di aspetto tanto scostante, che non osai disturbarlo di nuovo.

            Non vi sorprenderà, Elena, che io mi sia sentita nella più assoluta desolazione, e nella peggiore delle solitudini presso questo focolare inospitale, col pensiero che a quattro miglia da esso vi era la mia bella casa con le sole persone che io ami sulla terra. Ma le quattro miglia erano peggio che l'Atlantico, poichè io non potevo oltrepassarle! Mi chiedevo: «A chi rivolgermi per averne conforto e badate, non dite nulla a Edgardo e a Caterina, ma al di là e al di sopra di ogni dolore, sentii con disperazione che nessuno era o avrebbe voluto essere mio alleato contro Heathcliff.

             Avevo cercato rifugio a Wuthering Heights quasi con gioia perchè così potevo evitare di dover vivere sola con lui; ma lui conosceva le persone in mezzo alle quali avremmo vissuto, e non temeva il loro intervento.

            Mi misi a sedere e stetti a pensare con grande tristezza; l'orologio battè le otto, le nove, e il mio compagno continuava a camminare, la testa china sul petto e sempre in silenzio; solo di tanto in tanto gli sfuggiva un lamento o un'esclamazione amara. Cercavo di cogliere il suono di una voce femminile nella casa, ma tornavo presto ad un rimpianto disperato e alle più lugubri previsioni, che in fine mi sopraffecero così che non riuscii più a trattenere il pianto. Non mi resi subito conto di fino a che punto avessi involontariamente manifestata la mia pena, quando Earnshaw interrompendo quel suo andare e venire misurato si fermò di fronte a me, e mi guardò con grande sorpresa come se si fosse accorto soltanto allora della mia presenza.

            Approfittando di quel suo momento di riacquistata lucidità, esclamai:

            «Sono stanca del viaggio e vorrei coricarmi. Dove è la governante? Indicatemi dove posso trovarla se non viene lei da me.»

            «Non ne abbiamo!» rispose. «Servitevi da voi.»

            «Dove devo andare a dormire allora?» dissi tra i singhiozzi. Non avevo più orgoglio, vinta dalla fatica e dall'angoscia .

            «Giuseppe v'indicherà la camera di Heathcliff,» disse, «aprite l'uscio, è là»

            Stavo per ubbidire, ma mi fermò d'un tratto e soggiunse in un modo strano: «Abbiate la bontà di chiudervi a chiave e di mettere il catenaccio. Non dimenticatevene.»

            «Bene!» dissi. «Ma perchè, signor Earnshaw?» L'idea di rinchiudermi sola con Heathcliff non m'andava affatto. «Guardate!» rispose tirando fuori una pistola strana con un coltello a doppio taglio e a scrocco fissato alla canna. «Questa è una grande tentazione per un uomo disperato! Non vi pare? Non so trattenermi ogni notte dal salire e provare se la porta sia aperta. Se una volta la trovo aperta e finita per lui! Lo faccio invariabilmente, sebbene un istante prima abbia ripensato alle mille ragioni che dovrebbero trattenermi; deve essere un demonio che mi spinge a rovinare i miei stessi piani e a ucciderlo. Contro simile demonio si lotta fin che si può, ma poi viene la volta che neppure tutti gli angeli del cielo potrebbero salvarmi.»

            Guardai l'arma con curiosità. Un'idea mi attraversò la mente: che forza avrei se possedessi quell'arnese. Glielo tolsi dalle mani e ne toccai la lama. Mi guardò attonito per l'espressione che il mio viso doveva avere in quel breve istante: non di orrore, ma di bramosia. Riprese la pistola gelosamente, chiuse il coltello, e li ripose nella tasca nascosta.

            «Non m'importa se glielo dite» soggiunse. «Mettetelo in guardia e vegliate su di lui. Vedo che conoscete i nostri rapporti e il pericolo in cui si trova non vi spaventa»

            «Che cosa vi ha fatto Heathcliff? Quale torto può giustificare un odio così terribile? Non sarebbe meglio imporgli di lasciare questa casa?»

            «No!» gridò con voce tonante Earnshaw. «Se andasse via sarebbe un uomo morto: persuadetelo a farlo e diverrete un'assassina. Devo perdere tutto senza alcuna possibilità di ricupero? Hareton dovrà essere un accattone? Oh dannazione! Voglio riavere il mio, e voglio anche il suo oro; e poi il suo sangue e l'inferno si avrà l'anima sua. Sarà cento volte più nero con quell'ospite come non lo fu mai prima!»

            Mi avevate informata, Elena, delle abitudini del vostro ex padrone. Senza dubbio è sull'orlo della pazzia, almeno lo era la scorsa notte. Rabbrividivo di paura nell'essergli vicina e al confronto il cattivo umore di un rozzo servitore mi pareva gradevole.

            Ricominciò quel suo cupo andare e venire, ed io, alzato il catenaccio, fuggii in cucina.

            Giuseppe stava chino davanti al fuoco, spiando in una gran pentola che vi dondolava sopra; sulla panca lì accanto c'era una ciotola di legno colma di farina di orzo. L'acqua della pentola cominciò a bollire e Giuseppe si volse e fece l'atto di affondare la mano nella farina. Immaginai che questi preparativi fossero per la nostra cena; avevo fame e decisi che il pasto dovesse essere mangiabile; così gridai: «La zuppa la farò io!», tolsi dalla panca il recipiente ponendolo lontano, al sicuro, e mi levai il cappello e l'amazzone. «Il signor Earnshaw mi ha avvertita che devo servirmi da me, lo farò. Non voglio continuare a far la dama tra voi perchè temo che patirei la fame.»

            «Dio buono!» brontolò il vecchio sedendosi e stropicciandosi le calze a coste dal ginocchio al piede. «Se vi devono essere dei nuovi ordini proprio ora che mi sono appena abituato a due padroni, e se si vuol mettermene sulle spalle un terzo, una padrona, è proprio ora che me ne vada. Non ho mai pensato che un giorno avrei lasciato il vecchio posto, ma temo che adesso sia vicino!»

            Queste lamentele non valsero ad attirare la mia attenzione; mi posi alacremente all'opera sospirando e pensando che divertimento sarebbe stato questo una volta per me; ma scacciai subito ogni ricordo. Ripensare alla passata felicità era un continuo strazio, e più grande era il pericolo di rievocare un'immagine e più rapido girava il mattarello e più fitte cascavano le manate di farina nell'acqua. Giuseppe seguiva il mio modo di cucinare con indignazione sempre crescente. «Ecco!» esclamò. «Hareton, stasera non cenerai; non vi saranno che grumi grossi come la mia testa. Ecco, ancora! Butterei via scodella e tutto quanto se fossi al tuo posto! Là sta la paletta per rimenare, e poi avrete finito. Bang, bang! È un miracolo che non abbiate sfondato la pentola.» Confesso che quanto versai nelle scodelle aveva l'aria di un orribile intruglio; le scodelle preparate erano quattro e dalla latteria portarono un gallone di latte appena munto. Hareton lo attirò a sè e cominciò a bere ingordamente sbrodolandosi. Protestai ed insistetti perchè si prendesse la sua porzione in una caraffa a parte, dichiarando che io non avrei potuto assaggiar goccia di quella bevanda trattata in sì sudicio modo. Il vecchio cinico si mostrò grandemente offeso della mia schizzinosità e prese a ripetermi più e più volte che il marmocchio era in tutto pari a me, e altrettanto sano, facendo grandi meraviglie che fossi tanto pretenziosa. Quel truce ragazzo intanto continuava a succhiare, lanciandomi occhiate di sfida, il viso rosso per l'ingordigia.

            «Cenerò in un'altra stanza,» dissi. «Non avete qualche posto che si possa chiamare salotto?»

            «Salotto!  fece eco con disprezzo, «salotto! No, non abbiamo salotti! Se non vi piace la nostra compagnia vi è quella del padrone; e se neppur quella vi piace non ci siamo che noi.»

            «Allora me ne andrò di sopra!» risposi; «mostratemi una stanza.»

            Misi la scodella su di un vassoio e andai io stessa a prendermi dell'altro latte. Con grandi brontolii il vecchio servo si alzò, e mi precedette per salire. Arrivati al solaio si mise ad aprire or un uscio ora un altro, soffermandosi per dare un'occhiata dentro.

            «Qui c'è una stanza,» disse alla fine spalancando con una spinta una specie di porta sgangherata e sconnessa. «È abbastanza buona per mangiarci la minestra. C'è un mucchio di grano in un angolo, perfettamente pulito. Se temete di insudiciare le vostre belle vesti di seta stendeteci sopra il fazzoletto.»

            La «stanza» era una specie di ripostiglio e odorava forte di orzo macinato e di grano; ce n'erano parecchi sacchi ammucchiati all'intorno, e spazio vuoto nel mezzo.

            «Come!» esclamai affrontandolo con collera. «Questo non è posto da dormirci. Desidero essere accompagnata in una stanza da letto.»

            «Stanza da letto!» ripete' in tono beffardo.

            «Non vi sono altre stanze da letto che queste; là in fondo c'è la mia.»

            «Mi additò una seconda soffitta diversa dalla prima soltanto perchè aveva le pareti nude; vi era un ampio letto, basso, senza cortine e con una coperta color indaco.

            «Che cosa volete che me ne faccia della vostra?» risposi. «Credo bene che il signor Heathcliff non alloggerà in cima alla casa!»

            «Oh! è quella del padrone Heathcliff che cercate? replicò come se lo scoprisse solo allora. «Non potevate dirlo subito? e allora vi avrei detto, senza far tutta questa fatica, che è proprio quella che non potete vedere; la tiene sempre chiusa a chiave.»

            «Avete una bella casa, Giuseppe,» non potei trattenermi dall'osservargli, «e dei piacevoli inquilini; sono sicura che il concentrato di tutta la pazzia del mondo si dev'esser annidato nel mio cervello il giorno che ho unito il mio destino al loro! A ogni modo, non si tratta di questo ora; devono esserci altre stanze. Per amor del cielo, fate presto e lasciate che mi riposi in qualche posto.»

            Non diede risposta a questa mia preghiera, brancolò, non meno arcigno, giù per quei gradini di legno sostando davanti a una stanza che per la qualità superiore del mobilio pensai dovesse essere la migliore. Vi era un bel tappeto, ma il disegno era coperto dalla polvere, un camino adorno di carta frastagliata tutta a pezzi, un bel letto di noce con ampie tende rosse cremisi di un certo pregio come stoffa e moderne di taglio, ma evidentemente reduci di qualche battaglia. Gli arazzi che pendevano a festoni erano stati strappati dai loro anelli e da un lato la bacchetta di ferro del sostegno era piegata ad arco così che il drappo strascicava al suolo. Le sedie erano pure rovinate, e profonde intaccature sfiguravano i pannelli delle pareti.

            Mentre cercavo il coraggio per decidermi a entrare e prender possesso dlella stanza, la mia stolta guida mi annunciò d'improvviso: «Questa è del padrone.»

            La mia cena ormai era fredda, l'appetito se n'era andato e la mia pazienza esaurita. Insistetti perchè mi fosse dato immediatamente un luogo in cui rifugiarmi e poter riposare.

            «Dove? in nome di tutti i diavoli?» fece quel vecchio bigotto. «Che Dio ci benedica! Che Dio ci perdoni! Dove? all'inferno, vorreste andare? noiosissima creatura viziata! Le avete vedute tutte le stanze meno lo stambugio di Hareton! Non c'è altro buco in cui ficcarvi in tutta la casa.»

            Mi venne tale ira che gettai a terra il vassoio e tutto quello che vi era sopra, e poi andai a sedermi in cima alla scala, mi nascosi il volto tra le mani e piansi.

            «Ech! ech!» esclamò Giuseppe. «Bene, bene signorina. Molto bene! È indubbio che il padrone inciamperà in questi piatti rotti, e allora ne sentiremo qualcuna delle sue, sapremo come dovranno andare le cose. Buona a nulla, meritereste di dover stare in castigo fino a Natale; metter sotto i piedi i preziosi doni di Dio con le vostre sfuriate! Ma, se non sbaglio, vedremo quanto dureranno le vostre arie! Credete che Heathcliff vorrà sopportare tali graziose maniere? Vorrei che vi cogliesse proprio in tutto il vostro splendore. Come lo vorrei!»

            E così borbottando rimproveri sopra rimproveri si ritirò nella sua tana, portandosi dietro il lume; io rimasi al buio. L'intervallo di meditazioni che seguì a quel mio atto insensato, mi indusse a considerare la necessità di soffocare il mio orgoglio e di frenare la mia collera, e anche a farne sparire le tracce.

            Un inaspettato aiuto mi venne dall'apparizione di Throttler che riconobbi per il figlio del nostro vecchio Skulker; aveva passata la sua prima infanzia di cucciolo a Grange e mio padre l'aveva poi donato a Hindley. Pensai che mi riconoscesse perchè spinse il naso contro il mio a mo' di saluto, e poi s'affrettò a divorare la minestra, mentre io a tastoni di gradino in gradino andavo raccogliendo i cocci sparsi qua e là e toglievo con il mio fazzoletto gli spruzzi di latte dalla balaustra. La nostra opera era quasi compiuta quando sentii il passo di Earnshaw nel corridoio; il mio aiutante abbassò la coda, addossandosi tutto contro la parete, io mi rifugiai nel vano della porta più vicina. L'ansia del cane di evitarlo non ebbe buon esito, come potei indovinare da un gran rotolio giù dalle scale e da un prolungato pietoso guaito. Io ebbi miglior fortuna. Passò oltre, entrò in camera sua, e vi si rinchiuse.

            Subito dopo Giuseppe salì con Hareton per metterlo a letto. Mi ero appena rifugiata nella stanza di quest'ultimo, e il vecchio, vedendomi, disse:

            «Ah! ora vi è abbastanza posto nella "casa" per voi e per la vostra superbia, mi pare! È vuota, potete tenervela tutta, voi e colui che fa sempre da terzo in una cattiva compagnia.»

            Con gioia, approfittai di tale permesso, e l'istante medesimo in cui mi buttai su di una sedia presso il fuoco m'addormentai. Il mio sonno fu profondo e dolce benchè troppo breve. Il signor Heathcliff mi risvegliò; era entrato allora, e mi domandò, con quel suo modo tanto amabile, che cosa facessi là. Gli dissi per qual motivo ero rimasta alzata sino a così tardi; e, cioè, che lui aveva in tasca la chiave della nostra camera da letto. L'aggettivo nostra fu un'offesa mortale per lui. Giurò che non era e non sarebbe mai stata mia; e lui avrebbe... Ma non voglio ripetere il suo linguaggio e nemmeno descrivere la sua condotta abituale; è talmente ingegnoso, talmente infaticabile nel suo cercare di attirarsi tutto il mio odio. Alle volte il mio stupore è così intenso che mi fa passare la paura: eppure, vi assicuro, una tigre o un serpente velenoso non potrebbero destare in me un terrore pari a quello che mi incute lui. Mi disse della malattia di Caterina, e accusò mio fratello d'esserne la causa, giurando che sarei stata io la vittima in sua vece, fino al giorno in cui non gli sarebbe stato dato di aver Edgardo in persona tra le mani.

            Come lo odio! Sono infelicissima, sono stata una pazza! Badate di non lasciarvi sfuggir parola su tutto questo con nessuno a Grange. Vi aspetterò ogni giorno; non datemi una disillusione!

            Isabella

           

 

XIV    (torna all'indice)

           

 

           

            Non appena ebbi finita questa lettera, andai dal padrone, e l'avvertii che, sua sorella era arrivata alle Heights che mi aveva mandata una lettera per esprimere il suo dolore per lo stato della signora Linton e il suo vivissimo desiderio di rivederlo e di avere un segno del suo perdono al più presto, a mezzo mio.

            «Perdono!» disse Linton. «Non ho nulla da perdonarle, Elena. Se credete, potete recarvi a Wuthering Heights, a dirle che io non sono adirato, bensì addolorato di averla persa, e tanto più perchè ho la convinzione che non sarà mai felice. A ogni modo è assolutamente impossibile che la veda; siamo ormai divisi per sempre; e, se lei desidera veramente di farmi cosa gradita, procuri di persuadere lo zotico che ha sposato ad abbandonare il paese.»

            «E non le scrivereste nemmeno una parola, signore?» implorai

            «No,» rispose, «è inutile. Le mie comunicazioni con la famiglia di Heathcliff dovranno essere non meno rare delle sue con la mia. Non ne devono esistere.»

            La freddezza del signor Edgardo mi afflisse molto: durante tutta la strada da Grange non feci altro che tormentarmi il cervello per riuscire a mettere un po' di cuore in quello che mi era stato detto, mentre l'andavo ripetendo dentro di me, onde attenuare l'impressione del rifiuto di quelle poche righe che avrebbero consolata Isabella. Credo veramente che lei avesse cominciato ad attendere la mia venuta fin dal mattino. Mentre salivo per il sentiero lastricato del giardino, la vidi spiar fuori dall'inferriata; allora le feci un cenno con il capo, ma ella si ritrasse lesta, come se temesse di essere osservata. Entrai senza battere alla porta. Non vidi mai scena più triste e desolante di quella che presentava quella casa una volta così lieta! Devo confessare, però, che, se fossi stata io al posto della giovane signora, avrei almeno tenuto pulito il focolare e con un cencio avrei spolverata la tavola. Ma Isabella aveva già preso anche lei l'aspetto di trascuratezza dell'ambiente. Il suo grazioso volto era pallido e come assente; i capelli, non arricciati, pendevano in parte giù dritti, in parte erano raccolti senza cura sulla nuca. Probabilmente non si era tolta l'abito dalla sera prima. Hindley non c'era. Il signor Heathcliff stava seduto a un tavolo, intento a esaminare alcune carte del suo portafoglio, ma si alzò al mio entrare; mi chiese molto amichevolmente come stessi e mi offrì una sedia. Fu il solo che mi sembrò avere un'aria civile, e pensai che non l'avevo mai visto così bello. Le circostanze avevano talmente alterate le rispettive condizioni, che Heathcliff avrebbe certamente fatto a un estraneo l'impressione di un perfetto gentiluomo per nascita ed educazione, e sua moglie quella di una piccola stracciona. Mi si avvicinò, ansiosa, per salutarmi, e mi tese una mano per ricevere l'attesa lettera. Scossi il capo. Non capì il mio segno, e mi seguì presso il canterano su cui ero andata a posare il cappello, sotto voce mi supplicò di darle subito quanto avessi portato. Heathcliff indovinò il significato della manovra e disse:

            «Se hai qualcosa per Isabella, come non dubito, dagliela. Non occorre tu ne faccia un mistero; tra noi non abbiamo segreti»

            «Oh, non ho nulla,» risposi, pensando che era meglio dir subito la verità. «Il mio padrone mi ha incaricato di dire alla sorella che per ora non deve aspettarsi una sua lettera, nè una sua visita. Vi manda i suoi saluti affettuosi, signora, ogni augurio per la vostra felicità e il suo perdono per il dolore che gli avete cagionato; ma pensa che da oggi la sua casa e la vostra dovrebbero troncare ogni rapporto, poichè nulla di buono potrebbe risultare dal mantenerli vivi.»

            La signora Heathcliff ebbe un leggero tremito convulsivo delle labbra, e ritornò al proprio posto presso la finestra. Il marito rimase in piedi vicino al focolare, poco discosto da me, e volle notizie di Caterina. Gli comunicai quel tanto che mi parve opportuno circa la malattia, ma, messa alle strette da quelle insistenti domande, finii per palesare quasi interamente i fatti che l'avevano originata. Ne attribuii la colpa a Caterina, come infatti meritava, e conclusi con la speranza che anche lui avrebbe seguito l'esempio di Linton, evitando in avvenire ogni rapporto con la famiglia di lei, buone o cattive che fossero le sue intenzioni. «La signora Linton è in via di guarigione, la sua vita è salva,» dissi, «ma non sarà mai più quella di prima; e, se vorrete avere veramente dei riguardi per lei, avrete cura di non mettervi di nuovo sulla sua via; anzi, dovreste lasciare questo paese per sempre, e, perchè non ne abbiate troppo rammarico, vi dirò che Caterina Linton somiglia così poco alla vostra vecchia amica Caterina Earnshaw, come questa giovane signora somiglia poco a me. Il suo aspetto è molto mutato, il carattere lo è ancora maggiormente, e chi si trova obbligato, per necessità, a esserle compagno, dovrà d'ora in avanti mantenere vivo il proprio affetto con il ricordo di quello che Caterina fu nel passato, per un puro senso di umanità e di dovere.»

            «È possibilissimo,» disse Heathcliff, sforzandosi di mostrarsi calmo, «è possibilissimo che il tuo padrone non abbia altro sentimento che quello dell'umanità per il prossimo, e del dovere. Ma credi forse che lascerò Caterina dipendere dal suo dovere e dalla sua umanità? E credi forse di poter paragonare i miei sentimenti per Caterina ai suoi? Prima che tu lasci questa casa esigerò da te una promessa, e, cioè, che tu mi ottenga un colloquio con lei: che tu acconsenta o rifiuti io la vedrò! Che hai a dire?»

            «Dico, signor Heathcliff,» risposi, «che non dovete vederla e per mezzo mio, non la vedrete mai! Un altro incontro tra voi e il padrone l'ucciderebbe.» «Questo potrebbe essere evitato con il tuo aiuto,» ribattè Heathcliff, ma, se vi fosse un simile pericolo e lui diventasse la causa di una sola nuova pena per lei, ebbene credo che sarei giustificato se arrivassi agli estremi! Vorrei che tu fossi abbastanza sincera da dirmi se Caterina soffrirebbe molto per la sua perdita: questo è il timore che mi trattiene. Ecco la diversità dei nostri sentimenti; se lui fosse stato al posto mio ed io al suo, l'avrei odiato di un odio che mi avrebbe avvelenata la vita come fiele, pure non avrei mai levata una mano contro di lui. Mostrati incredula quanto ti pare e piace! Io non l'avrei mai privato della compagnia di Caterina finchè ella avesse mostrato di desiderare la sua. Non appena tale desiderio fosse cessato, gli avrei strappato il cuore, e bevuto il sangue! Ma, prima d'allora... oh! tu non mi conosci... prima d'allora sarei morto a goccia a goccia, piuttosto che torcergli un capello!»

            «Eppure,» interruppi io, «non avete scrupolo di distruggere totalmente qualsiasi speranza di completa guarigione, con il voler risvegliare in lei il vostro ricordo, ora che vi ha quasi dimenticato, con il voler travolgerla in un nuovo tumulto di discordie e di angosce.»

            «Credi proprio che mi abbia quasi dimenticato?» disse. «Oh, Nelly, sai bene che non è vero. Lo sai quanto me che per ogni pensiero che lei concede a Linton, ne ha mille per me. In un miserabile periodo della mia vita, mi ero anch'io formata tale idea, che mi ha perseguitato al mio ritorno in questi luoghi tutta la scorsa estate; ma soltanto una sua dichiarazione potrebbe farmi accettare di nuovo quell'orribile idea. E, allora, Linton non sarebbe più nulla, e neppure Hindley e neppure tutti i miei sogni. Il mio avvenire starebbe tutto in due parole: morte e inferno! l'esistenza senza di lei sarebbe l'inferno. Eppure sono stato tanto pazzo da credere per un istante che lei potesse apprezzare l'attaccamento di Edgardo Linton più del mio. Ma, se lui amasse con tutte le forze del suo piccolo essere, non riuscirebbe nemmeno in ottant'anni ad amarla quanto io in un sol giorno. E Caterina ha il cuore profondo non meno del mio. Linton le è appena più caro del suo cane o del suo cavallo! Non è lui che possa essere amato come lo sono io!»

            «Caterina ed Edgardo si amano come mille altri si amano,» gridò Isabella con subitanea vivacità. «Nessuno ha il diritto di parlare in una simile maniera, e io non posso stare a sentire in silenzio ingiuriare mio fratello.»

            «Tuo fratello è immensamente affezionato anche a te, non è vero?» ribattè Heathcliff sprezzante. «Si vede dalla grande ansia che dimostra nel saperti in giro per il mondo.»

            «Non sa quanto io soffra!» ella rispose. «Questo non gliel'ho detto.»

            «Dunque vuol dire che qualcosa gli hai detto; gli hai scritto, suppongo?»

            «Gli ho scritto per dirgli che ero sposata; hai veduto il biglietto!»

            «E più nulla da allora?»

            «No.»

            «La mia giovane signora ha un aspetto ben triste, e il cambiamento di vita deve esserne la causa!» osservai. «Evidentemente l'affetto di qualcuno è venuto meno e immagino da quale parte; ma forse non sta a me parlarne.»

            «Puoi ben dire da parte sua,» disse Heathcliff. «Lei ormai è solo una sudiciona; si è stancata ben presto di cercare di piacermi. Non lo crederai, ma proprio il giorno dopo il nostro matrimonio piangeva perchè voleva ritornarsene a casa. A ogni modo farà meglio per questa casa, se non avrà pretese di eleganza e saprò badare che non mi sia di disonore, andando in giro.»

            «Ebbene, signore,» risposi io, «spero vorrete considerare che la signora Heathcliff è abituata a essere curata e servita, e che è stata allevata come una figlia unica di cui tutti sono pronti a ottemperare i desideri. Dovreste metterle al fianco una cameriera che tenga le sue cose in ordine, e voi dovreste trattarla con gentilezza. Qualsiasi cosa pensiate del signor Edgardo, non potete dubitare dell'attaccamento di vostra moglie, altrimenti non avrebbe abbandonato il lusso, gli agi e gli amici della sua casa, per stabilirsi con voi in una spelonca come questa.»

            «Tutte cose che ha abbandonato per la sua illusione,» rispose Heathcliff. «Si era intestata ch'io fossi un eroe da romanzo, dalla cui devozione cavalleresca potesse aspettarsi la più illimitata indulgenza. Non posso nemmeno considerarla un essere ragionevole, tanto ostinatamente ha persistito in questa idea favolosa del mio carattere. Ma, alla fine, credo che incominci a conoscermi; non scorgo più quei sorrisi melensi e le smorfie che mi urtavano tanto da principio, nè quella sciocca incapacità a rendersi conto che ero stato sincero quando le avevo detto quel che pensavo della sua infatuazione e di lei stessa. È stato un meraviglioso sforzo di perspicacia per lei scoprire che non l'amo affatto; infine stamani mi ha dato la tristissima notizia che sono realmente riuscito a far sì che lei mi odi. Una fatica erculea, ti assicuro! Ma posso attenermi alla tua dichiarazione, Isabella? Sei sicura di odiarmi? Se ti lascio sola per mezza giornata, non verrai ancora a sospirare e a strisciarmi intorno? Immagino che lei avrebbe preferito che io mi fingessi tutto tenerezza davanti a te, Nelly: la mia franchezza ferisce la sua vanità. Ma non m'importa che chiunque sappia che la passione è stata tutta da parte sua e che non ho mai mentito con lei. Non può accusarmi di averle mai dimostrato della tenerezza per ingannarla. La prima cosa che mi ha visto fare quando siamo usciti da Grange è stato impiccare per il collo la sua cagnetta; e quando lei mi ha supplicato di aver compassione, non le ho manifestato altro che il mio desiderio di poter fare altrettanto con ogni essere della sua casa, a eccezione di uno: probabilmente lei ha creduto che tale eccezione la riguardasse. Ma nessuna brutalità l'ha mai disgustata. Orbene, non ti pare un'assurdità, la massima prova d'ignoranza da parte di questa povera idiota sognare che io potessi amarla? Di' al tuo padrone, Nelly, che in vita mia non mi sono mai trovato con una creatura abbietta come questa. Ma digli anche, perchè metta il suo fratello e autorevole cuore in pace, che mi tengo strettamente nei limiti della legge. Finora ho evitato di darle il minimo diritto a reclamare la separazione; inoltre lei non sarebbe grata a nessuno che tentasse di separarci. Se lei desiderasse andarsene, potrebbe farlo; la noia che mi cagiona la sua presenza supera il piacere che provo nel tormentarla!»

            «Signor Heathcliff,» dissi, «questo è il linguaggio di un pazzo; vostra moglie è probabilmente convinta che siate pazzo, e solo per tale ragione vi ha sopportato fin qui; ma, ora che dite che può andarsene, si varrà certamente del vostro permesso. Signora, voi non siete così infatuata da rimanere con lui di vostra propria volontà, vero?»

            «Badate, Elena!» replicò Isabella, con gli occhi accesi d'ira; non era possibile dalla loro espressione mettere in dubbio il pieno successo dei tentativi del suo compagno per rendersi detestabile. «Non credere una sola delle sue parole. È un demonio di falsità! un mostro non un essere umano. Altre volte mi ha detto che potevo lasciarlo, e ne ho fatto il tentativo, ma non ho più il coraggio di ripeterlo! Voglio soltanto, Elena, che tu mi prometta di non riferir sillaba di questo suo infame discorso a mio fratello o a Caterina. Qualsiasi cosa lui pretenda di far credere, mira solo a provocare Edgardo fino all'esasperazione; dice che mi ha sposata apposta, per averlo in suo potere; ma questo non sarà mai; morirò prima! Spero anzi che lui arrivi a dimenticare la sua diabolica prudenza, e mi uccida! Il solo piacere che possa desiderare è morire o vederlo morto!»

            «Basta! basta!» disse Heathcliff. «Nelly, se sarai chiamata davanti a un tribunale, ricorderai il suo linguaggio. E osserva bene il suo aspetto; è quasi come io lo desidero. No; ora non puoi essere lasciata a te stessa, Isabella; e, come tuo protettore legale, devo trattenerti in mia custodia, per quanto sgradevole mi sia tale incombenza. Fila di sopra! Ho qualcosa da dire a Elena Dean in privato. Non da quella parte; di sopra, ho detto! È di qui che si sale, bambina!»

            L'afferrò per un braccio, e la cacciò fuori dalla stanza; indi ritornò, dicendo a se stesso: «No, no, non posso aver pietà! Più i vermi si contorcono e più desidero di fargli schizzar fuori le viscere!»

            «Ma capite voi che cosa significhi la parola pietà?» gli domandai, affrettandomi a prendere il mio cappello. «Avete mai sentito nella vostra vita il minimo senso di pietà?»

            «Metti giù quel cappello!» m'interruppe, accorgendosi della mia intenzione di andarmene. «Non te ne andrai ancora. Vieni qua, Nelly. Bisogna che ti persuada o ti costringa ad aiutarmi a vedere Caterina, e questo senza indugio. Ti giuro che non medito male alcuno: non desidero esser causa di angustie, nè esasperare o insultare il signor Linton, desidero soltanto sentire da lei come sta e come mai si è ammalata: e chiederle se posso fare qualcosa di utile. La scorsa notte sono stato nel giardino a Grange per sei ore, e ci ritornerò stanotte, e ogni giorno e ogni notte ci sarò finchè non troverò un'occasione per entrare. Se Edgardo Linton mi incontra, non esiterò a mettermelo sotto i piedi e a dargliene in dose sufficiente ad assicurarmi il suo consenso alla mia presenza. Se i suoi servi mi si opporranno, li toglierò di mezzo, minacciandoli con queste pistole. Ma non sarebbe meglio impedire che io venga alle mani con loro o con il loro padrone? E tu potresti farlo facilmente. Ti avvertirei della mia venuta e potresti lasciarmi entrare inosservato, e far la guardia fino alla mia uscita, con la coscienza perfettamente tranquilla di impedire più di un guaio.»

            Protestai di non voler fare la parte di traditrice nella casa del mio padrone, e insistei sulla crudeltà e l'egoismo di quel suo desiderio di distruggere per sua esclusiva soddisfazione la tranquillità della signora Linton. «Il più comune avvenimento la turba penosamente,» dissi. «È tutta nervi e sono sicura che non potrebbe sopportare la sorpresa di vedervi; ne sono sicurissima. Non persistete, signore altrimenti sarò costretta a informare il mio padrone dei vostri disegni, e lui prenderà le misure opportune per mettere al sicuro la sua casa ed i suoi abitanti da qualsiasi invasione non autorizzata.»

            «In tal caso provvederò a metter te al sicuro, donna!» esclamò Heathcliff. «Non partirai da Wuthering Heights fino a domani mattina. È una storia sciocca asserire che Caterina non potrebbe sopportare di vedermi; e, in quanto al sorprenderla, non lo desidero; devi prepararla tu e chiederle se posso andare da lei. Dici che non mi nomina mai. A chi dovrebbe parlare di me se sono un soggetto proibito in casa? Lei vi crede tutti quanti spie di suo marito. Oh, non dubito che non sia in un inferno per lei stare in mezzo a voi! Indovino dal suo stesso silenzio che cosa provi. Dici che è spesso agitata e ansiosa: è questa una prova di tranquillità? Parli della sua mente sconvolta; come potrebbe essere diversamente, in nome di tutti i diavoli, nel suo spaventoso isolamento? E quell'essere insulso e vile che la cura per dovere e umanità! Veniamo subito a una conclusione: vuoi restar qui, e troverò da me la via per andare da Caterina, calpestando Linton e i suoi servi? O vuoi essermi amica, come lo sei stata sempre finora. e fare quel che ti chiedo? Decidi! perchè non c'è motivo ch'io indugi più a lungo con te se persisti nella tua testardaggine.»

            Ebbene, signor Lockwood, ebbi un bel protestare le mie ragioni e lagnarmi e rifiutare decisamente per cinquanta volte, alla fine dovetti venire a patti. Mi presi l'incarico di portare una sua lettera alla mia padrona, e promisi che se lei avesse acconsentito lo avrei avvertito della prima assenza di Linton da casa, così lui avrebbe potuto venire e cercarsi un modo di entrare. Io non ci sarei stata, e anche i miei compagni di servizio non si sarebbero trovati sul suo passo. Era bene o male? Temo che fosse male, sebbene fosse comunque un modo di finirla. Pensai che con la mia adesione avrei impedito un altro diverbio, e contribuito forse a determinare una crisi favorevole nella malattia mentale di Caterina; mi ricordai tuttavia del severo rimprovero rivoltomi dal signor Edgardo per aver riportato delle storie, e cercai di calmare la mia inquietudine con il continuare ad affermare a me stessa che quel mio tradimento, se pur meritava d'esser chiamato così, sarebbe stato l'ultimo. Tuttavia, il mio viaggio di ritorno fu molto più triste della mia andata, ed ebbi non poche esitazioni prima di decidermi a porre nelle mani della signora Linton quella lettera.

            «Ma ecco Kenneth, scenderò per dirgli che state molto meglio. La mia storia è lunga come una tiritera, e servirà a farvi passare un'altra mattinata...»

            Sì, era una storia lunga, e tristi furono le mie riftessioni, mentre la brava donna scendeva a incontrare il medico; e non era proprio del genere che avrei scelto per divertire un malato. Ma non importa! mi dissi. Dalle erbe amare della signora Dean estrarrò medicine salutari, e prima di tutto starò in guardia dal fascino celato negli occhi lucenti di Caterina Heathcliff! Mi troverei in una curiosa situazione se mi lasciassi prendere il cuore da quella giovane persona, e scoprissi poi che la figlia non è altro che una seconda edizione della madre!

           

 

XV    (torna all'indice)

           

 

           

            Un'altra settimana è trascorsa; eccomi così più vicino alla guarigione e alla primavera! La governante mi ha raccontato tutta la storia in diverse riprese, cioè quando riusciva a dedicarmi un po' di tempo rubato alle sue occupazioni più pressanti. Mi accontenterò di riassumere un poco il seguito, ma trascrivendolo come l'ho sentito dalla sua viva voce perchè, essendo lei una buona narratrice, non credo saprei migliorarne di molto lo stile.

            «Quella sera,» ella mi narrò, «la sera della mia visita alle Heights, essendo certa come se io stessa lo vedessi che il signor Heathcliff si trovava nei dintorni della casa, evitai di uscire perchè avevo la sua lettera ancora in tasca, e non volevo essere più minacciata o comunque importunata. Avevo deciso di non consegnarla a Caterina finchè il padrone non si fosse assentato, perchè non sapevo immaginare in che modo lei l'avrebbe ricevuta. L'ebbe quindi solo dopo tre giorni. Il quarto giorno era una domenica e io gliela portai in camera, non appena i familiari si furono recati alla chiesa. D'abitudine, un servitore restava con me per badare alla casa, e durante le ore delle funzioni si chiudevano le porte. Ma quel giorno il tempo era così bello e mite, che pensai di lasciarle aperte; e, per riuscir meglio nel mio intento, sapendo chi sarebbe venuto, dissi al domestico che la mia padrona desiderava delle arance: corresse, quindi, ad acquistarne al villaggio, sarebbero state pagate poi. Quello uscì ed io salii...»

            La signora Linton stava seduta come di consueto nel vano della finestra aperta; indossava un abito bianco e aveva le spalle avvolte in un leggero scialle. I suoi capelli un tempo lunghi e folti erano stati tagliati in parte al principio della malattia, e ora erano raccolti in semplici trecce intorno alle tempie e sulla nuca. Come avevo detto a Heathcliff, era cambiata d'aspetto, ma, quando era calma, dal suo volto traspariva una bellezza non terrena. Il lampeggiare dei suoi occhi si era mutato in una malinconica dolcezza di sogno; sembrava non guardare gli oggetti circostanti; sembrava fissarsi lontano, molto lontano, nell'al di là, si sarebbe detto fuori di questo mondo. Inoltre il pallore del suo volto, convalescente, quell'aspetto emaciato e quella speciale espressione che derivava dallo stato della sua mente, accrescevano l'interesse e la commozione che lei destava; tanto che io, e credo chiunque altro la vedesse, non ci sentivamo affatto sicuri del suo miglioramento, e la consideravamo come destinata a morire.

            Davanti a lei, sul davanzale della finestra, stava aperto un libro e di tanto in tanto il vento, appena percepibile, ne agitava le pagine. Credo l'avesse posato lì Linton; ella non cercava mai di svagarsi con la lettura nè con qualsiasi altra occupazione e il marito passava ore e ore a cercar di risvegliare in lei l'interesse a cose che una volta le avevano pur procurato divertimento. Ella si rendeva conto delle sue buone intenzioni e nei momenti buoni sopportava pazientemente quei tentativi, limitandosi a dimostrargliene 1'inutilità con qualche stanco sospiro represso, e infine inducendolo a desistere con il più triste dei sorrisi e dei baci. Ma altre volte gli voltava dispettosamente le spalle, nascondendosi il viso tra le mani, o anche lo respingeva bruscamente; egli allora si convinceva a lasciarla sola, sicuro di non poterle giovare.

            Suonavano le campane della chiesetta di Gimmerton, e lo scorrere del ruscello rapido e gonfio nella valle giungeva dolce all'orecchio, sostituendo il mormorìo delle foglie che nell'estate quando gli alberi eran folti risonava tutt'intorno a Grange. A Wuthering Heights, nei giorni miti che seguivano un forte gelo o una stagione di piogge continue, s'udiva sempre quel sussurro, e Caterina, ascoltandolo, pensava certo a Wuthering Heights, se pure pensava, e aveva sempre quello sguardo vuoto e lontano cui accennai prima, per cui non dava segno di riconoscer le cose con la vista come con l'udito.

            «C'è una lettera per voi, signora Linton,» dissi, ponendogliela cautamente nella mano che giaceva su un ginocchio. «Dovete leggerla subito perchè richiede una risposta. Devo romperne i sigilli?»

            «Sì,» rispose senza mutare la direzione dello sguardo.

            L'aprii, era molto breve. «Ora,» dissi, «leggetela.» Ritrasse la mano, e lasciò cadere la lettera. Gliela rimisi in grembo, e rimasi ad aspettare che le rivolgesse uno sguardo; ma tale mossa tardava talmente a venire, che alla fine domandai: «Devo leggervela io, signora? È di Heathcliff» Sembrò scuotersi, turbarsi, ebbe un lampo di riconoscimento, e fece uno sforzo come per riordinare le idee. Prese la lettera, e parve leggerla; quando giunse alla firma, sospirò; ma mi accorsi che non ne aveva afferrato il contenuto, perchè, chiestale una risposta, lei non fece che indicarmi il nome, fissandomi con uno sguardo triste e ansioso.

            «Ebbene, desidera vedervi,» dissi, indovinando che le occorreva un interprete. «Ora sarà già in giardino, impaziente di sapere quale risposta gli porterò.»

            Mentre parlavo, vidi un grosso cane sdraiato sull'erba al sole alzar le orecchie, come se stesse per abbaiare, e poi riabbassarle e annunciare con il dimenar della coda che qualcuno stava per avvicinarsi, ma non si trattava di un estraneo. La signora Linton si chinò in avanti e si pose in ascolto, trattenendo il respiro. Un minuto dopo, un passo risuonò nel salone; la casa aperta era stata una tentazione troppo forte perchè Heathcliff potesse trattenersi dall'entrare; molto probabilmente aveva immaginato che io non avessi l'intenzione di mantenere la promessa, e aveva risolto di affidarsi alla propria audacia. Con ansia estrema, Caterina rivolse lo sguardo verso l'entrata. Egli non trovava la camera di lei, ed ella mi ordinò di farlo entrare, ma, prima che avessi raggiunta la porta, Heathcliff era riuscito a trovarla da sè, con un passo o due fu al fianco di Caterina e se la strinse nelle braccia.

            Non parlò nè allento la stretta per parecchi minuti durante i quali la coprì di baci come non ne ebbe mai più a dare in vita sua; ma la mia padrona era stata la prima a baciarlo, e vidi che lui non poteva sopportar di guardarla in volto per il troppo strazio! Dal momentco che l'aveva veduta, la stessa mia convinzione gli era entrata nell'animo: che non c'era più speranza di una possibile guarigione, che la fine era certa.

            «Oh Cathy! Oh vita mia! come potrò sopportare?» furono le prime parole che pronunciò in un tono che non cercava di celare la sua disperazione. Indi, si mise a guardarla tanto fissamente che l'intensità stessa del suo sguardo pensai dovesse fargli sgorgare lacrime dagli occhi, ma le sue pupille ardevano d'angoscia e non si sciolsero in pianto.

            «Che cosa dici, ora?» disse Caterina, appoggiandosi alla spalliera della sedia e rispondendo al suo sguardo con uno sguardo subitamente corrucciato. «Edgardo e tu mi avete spezzato il cuore, Heathcliff! E tutt'e due siete venuti a lagnarvi del fatto, come se foste voi da compassionare! Non avrò pietà di voi, no, non ne avrò. Mi avete uccisa, avete abusato di me, vi dico. Come sei forte! Per quanti anni pensi di vivere dopo che io me ne sarò andata.»

            Heathcliff si era messo in ginocchio per abbracciarla; tentò di alzarsi, ma lei lo afferrò per i capelli e lo costrinse a restar giù. «Vorrei poterti tenere così,» disse amaramente, «finchè morissimo entrambi! Non m'importerebbe nulla delle tue sofferenze! Che cosa vuoi che m'importi delle tue pene? Perchè tu non dovresti soffrire? Io soffro! Mi dimenticherai? Sarai felice quando io sarò sotto terra? E fra vent'anni dirai: "Quella è la tomba di Caterina Earnshaw. Una volta, molto tempo fa, l'ho amata e ho sofferto per la sua perdita, ma ora è passato. Ho amato molte altre dopo di lei e i miei figli mi sono ora più cari di lei; alla mia morte non mi rallegrerò di andar da lei, ma mi dispiacerà di dover lasciar loro." Mi dirai questo, Heathcliff?»

            «Non torturarmi fino a rendermi pazzo come te!» gridò lui, liberandosi la testa con uno strappo, e stringendo i denti.

            Per uno spettatore estraneo, recitavano una strana e terribile scena. Neppure in cielo Caterina avrebbe trovato pace, se con il corpo non avesse abbandonato anche il suo carattere. Il pallore delle guance, le labbra esangui, e gli occhi scintillanti davano al suo volto un'espressione vendicativa e selvaggia, e le dita tenevano stretta una ciocca strappata dei capelli di lui. Heathcliff, mentre con una mano s'aiutava ad alzarsi, con l'altra le teneva un braccio e così inadeguata era la sua gentilezza allo stato d'animo di Caterina che, quando glielo lasciò libero, vidi quattro lividi precisi sulla pelle scolorita.

            «Hai un demonio in corpo,» esclamò selvaggiamente, «per parlarmi così mentre stai per morire? Non pensi che tutte queste parole s'imprimeranno nella mia memoria come un ferro rovente, e che mi dilanieranno sempre più profondamente ed in eterno dopo che mi avrai lasciato? Tu sai di mentire dicendo che io ti ho uccisa, e sai anche che non potrei dimenticarti come non potrei dimenticare la mia propria esistenza! Non basta al tuo egoismo diabolico la sicurezza che, mentre tu sarai in pace, io mi contorcerò qui fra tormenti d'inferno?»

            «Io non sarò in pace,» disse Caterina lamentosamente, richiamata a un senso di debolezza fisica dal battito ineguale, violento del suo cuore, che in quell'eccessiva agitazione si vedeva distintamente palpitare. Non aggiunse altro fin che la crisi passò, poi riprese più gentilmente:

            «Non ti auguro un tormento più grande del mio, Heathcliff; vorrei soltanto che non fossimo più divisi, e, se una mia parola dovesse un giorno farti soffrire, pensa ch'io proverò un'uguale pena sotto terra e per amor mio perdonami; vieni qui; inginocchiati ancora. Non mi hai mai fatto del male in vita tua. Se nutri dell'ira, questo sarà un ricordo peggiore delle mie dure parole. Non vuoi venire ancora qui? Vieni!»

            Heathcliff si mise dietro la sua sedia, chinandosi verso di lei, ma in modo che lei non potesse vedergli il volto che era livido per l'emozione. Ella fece l'atto di voltarsi, ma lui non glielo permise; con una rapicda mossa si tolse di là, e si diresse al focolare ove rimase in silenzio, volgendoci le spalle. Lo sguardo della signora Linton lo seguiva sospettosamente: ogni suo movimento destava in lei una nuova emozione. Dopo una lunga pausa e dopo una nuova lunga occhiata, ella prese a dire rivolgendosi a me con accento di accorata amarezza:

            «Vedi, Nelly; non cederebbe un momento neppure per trattenermi sull'orlo della tomba. Così mi ama! Bene, non importa! Questo non è il mio Heathcliff! Io amerò il mio, e me lo porterò con me: egli è nella mia anima. E,» soggiunse pensosamente, «dopo tutto la cosa che più mi dà noia è questo corpo infermo. Sono stanca di stare qui rinchiusa. Desidero solo fuggire in quel mondo glorioso lassù e restarci per sempre; non mi basta di vederlo confusamente tra le lacrime e di desiderarlo nel mio cuore dolorante; voglio esserci davvero. Nelly tu credi di essere migliore e più felice di me, in piena salute e in piene forze; sei addolorata per me, ma presto, molto presto tutto sarà diverso. Io sarò triste per te. Sarò incomparabilmente al di là e al di sopra di voi tutti. Mi stupisce che lui non voglia starmi vicino.» E parlando a se stessa proseguì: «Credevo che lo desiderasse. Heathcliff, caro! non dovresti essere più adirato ora. Vieni accanto a me, ti prego.»

            Nella sua ansietà si alzò e si appoggiò al bracciolo della sedia. A quella supplica così intensa, egli si volse con un'espressione assolutamente disperata. I suoi occhi, spalancati e pieni di pianto, la guardarono fieramente, e il petto gli si sollevò convulso. Per un istante rimasero separati; non vidi come si abbracciarono. Caterina era corsa verso di lui, ed egli l'aveva presa tra le braccia, in una stretta convulsa da cui pensai che la mia padrona non sarebbe più uscita viva; infatti mi sembrò subito esanime. Lui la adagiò sulla sedia più vicina, e, quando cercai di avvicinarmi per vedere se fosse proprio svenuta, mi si avventò addosso come un cane idrofobo, e con un atto di gelosia furiosa risollevatala la strinse di nuovo nelle braccia. Ebbi l'impressione di non trovarmi con una creatura della mia propria specie; benchè gli parlassi sembrava non capire; così mi tenni da una parte in silenzio e molto turbata.

            Un movimento di Caterina mi tolse alla fine da quell'ansia: alzò una mano per circondargli il collo, e appoggiò una guancia alla sua, mentre era nelle sue braccia; allora lui, coprendola di baci frenetici, disse disperatamente:

            «Ora capisco quanto sei stata crudele; crudele e falsa. Perchè mi hai disprezzato? Perchè hai tradito il tuo cuore? Non ti posso consolare. Te lo meriti; ti sei uccisa da te. Sì, puoi baciarmi e piangere; puoi strapparmi baci e lacrime; essi ti distruggeranno, ti  danneranno. Tu mi amavi, e allora che diritto avevi di lasciarmi? Che diritto, rispondimi; un miserabile capriccio per Linton? Perchè nè la miseria, nè il dolore, nè la degradazione, nè la morte, nessuna altra cosa mandata da Dio o da Satana avrebbe dovuto separarci; e tu l'hai fatto di tua volontà. Io non ti ho spezzato il cuore; tu te lo sei spezzato, e hai spezzato anche il mio. Peggio, molto peggio per me se son forte. Voglio vivere forse? Che vita sarà la mia quando tu... oh Dio, ti piacerebbe vivere con la tua anima nella tomba?»

            «Lasciami sola. Lasciami sola!» singhiozzò Caterina. «Se ho fatto male, ora ne muoio. Basta. Tu pure mi hai lasciata; ma non te lo rimprovero. Ti perdono, e tu perdonami!»

            «È duro perdonare e vedere questi occhi, e sentire queste mani sottili,» rispose lui. «Baciami ancora, e non mostrarmi i tuoi occhi. Posso perdonare quello che tu hai fatto per me. Io amo la mia carnefice; ma la tua! Come potrei?»

            Rimasero silenziosi, coi volti accostati, e bagnati dalle lacrime l'uno dell'altro. Credo veramente che piangessero tutti e due, poichè pare che anche Heathcliff in una occasione come questa potesse piangere!

            Intanto la mia inquietudine cresceva; il pomeriggio trascorreva rapido; il servo incaricato della commissione era tornato, e nello sfolgorìo di luce che il sole verso il tramonto spandeva sopra la valle, potevo distinguere la gente affollarsi sotto il portico della chiesetta di Gimmerton.

            «Le funzioni sono finite,» annunciai, «fra una mezz'ora il padrone sarà qui.»

            Heathcliff lanciò una maledizione, e abbracciò Caterina più stretta; lei non si mosse.

            Pochi istanti dopo vidi un gruppo di servi passare dalla strada maestra dalla parte della cucina. Il signor Linton non era molto lontano; aprì il cancello e salì lentamente, godendo, probabilmente, di quel dolce pomeriggio quasi d'estate.

            «Viene, viene!» esclamai. «Per amor del cielo, affrettatevi a scendere. Sullo scalone non incontrerete nessuno. Oh, fate presto, e rimanete tra gli alberi fin che sarà entrato in casa.»

            «Devo andare, Cathy,» disse Heathcliff, cercando di sciogliersi dalle braccia di lei. «Ma se io vivo ti rivedrò prima che tu dorma. Non mi allontanerò che di qualche passo dalla tua finestra.»

            «Non devi andartene! rispose Caterina, trattenendolo con tutte le sue forze. «Non te ne andrai, te lo dico io!»

            «Per un'ora soltanto,» supplicò, lui con passione.

            «Nemmeno per un istante,» rispose lei.

            «Devo andarmene. Linton sarà qui tra poco,» insistette l'intruso, allarmato.

            Stava per alzarsi e liberarsi dalla stretta, ma Caterina gli si aggrappò più forte, anelante: sul suo volto era una folle risoluzione.

            «No!» gridò. «Oh, non andartene, non andartene. È l'ultima volta: Edgardo non ci farà del male. Heathcliff, morirò, morirò.»

            «Maledetto stupido! Eccolo,» gridò Heathcliff, lasciandosi ricadere sulla sedia. «Silenzio, mia diletta! Taci, taci, Caterina. Resterò Se mi uccidesse con un sol colpo, morirei benedicendolo.»

            E di nuovo si strinsero l'uno all'altra. Sentii il mio padrone salire le scale e un sudore freddo m'imperlò la fronte; ero terrorizzata. «Date retta ai suoi vaneggiamenti?» dissi con passione. «Non sa quel che si dice! Volete rovinarla perchè è pazza? Alzatevi! Potreste essere libero all'istante. Questa è l'azione più diabolica che abbiate mai commesso. Siamo tutti quanti rovinati; padrone, padrona, e servi.»

            Mi torsi le mani e gridai. A quel chiasso il signor Linton affrettò il passo. Nella mia agitazione mi rallegrai sinceramente nell'osservare che le braccia di Caterina erano inerti e che aveva il capo reclinato.

            «È svenuta, o è morta,» pensai; «meglio, piuttosto che esser di peso e causa di dolore a quanti la circondano, molto meglio se fosse morta.»

            Edgardo, pallido per lo stupore e l'ira, si precipitò verso quell'ospite indesiderato. Non so cosa volesse fare; ad ogni modo l'avversario troncò ogni iniziativa deponendogli tra le braccia quel corpo che sembrava esanime.

            «Guardate!» disse; «se non siete un demonio, aiutatela, poi parlerete con me!»

            Si diresse verso il salotto e sedette. Il signor Linton mi chiamò, e con grande difficoltà riuscimmo a far riprendere i sensi a Caterina: ma era stordita; sospirò, si lamentò, senza riconoscere nessuno. Edgardo nella sua ansia per lei dimenticò l'odiato nemico. Non me ne dimenticai io. Alla prima occasione, andai da lui, per pregarlo d'andarsene via, lo assicurai che Caterina stava meglio, e che comunque lo avrei informato il mattino dopo di come lei avrebbe passato la notte.

            «Uscirò di qui,» rispose, «ma resterò in giardino: e, bada, Nelly, di mantenere la tua parola riguardo a domani. Sarò sotto a quei larici. Ricordati di quel che devi fare, o ci sarà un'altra mia visita, sia Linton in casa o fuori!»

            Rivolse una rapida occhiata in direzione della camera di Caterina e, accertatosi che quel che gli avevo asserito appariva vero, liberò la casa dalla sua infausta presenza.

           

 

XVI    (torna all'indice)

           

 

           

            Quella notte, verso le dodici, nacque la Caterina da voi vista a Wuthering Heights: una fragile bambinetta di sette mesi; e due ore dopo la madre morì, senza aver riacquistato conoscenza, sia per accorgersi dell'assenza di Heathcliff sia per riconoscere Edgardo. La disperazione di costui per la morte della moglie è un argomento troppo penoso perchè mi ci dilunghi. Le conseguenze dimostrarono che peso avesse quel dolore. Credo che l'esser rimasto senza un maschio, un erede, contribuisse ad accrescerlo, e, alla vista di quella debole orfanella, non potevo trattenere il mio rincrescimento. Era solo un povero esserino, male accolto. Durante le prime ore della sua esistenza, avrebbe potuto piangere fino a morirne, nessuno ci avrebbe fatto caso.

            A quella nostra indifferenza ponemmo qualche riparo; ma certo l'inizio di quella vita fu senza amici come è probabile, sarà la fine.

            La mattina seguente, luminosa e gaia, penetrò attenuata attraverso le cortine della stanza silenziosa, diffondendo una luce dolce e quieta sul letto e su chi vi giaceva. Edgardo Linton stava con il capo sul guanciale a occhi chiusi. I suoi lineamenti giovanili e belli apparivano cadaverici quasi come quelli della moglie lì accanto a lui e altrettanto rigidi: ma la sua era l'immobilità di un'angoscia esausta, e quella di lei di una perfetta pace. La fronte marmorea, le ciglia abbassate, le labbra schiuse al sorriso; nessun angelo in cielo poteva apparire più bello di lei. E io partecipai dell'infinita calma nella quale giaceva: la mia mente non versò mai in uno stato più religioso di quando mi trovai a contemplare l'immagine imperturbabile del divino riposo. Istintivamente ripetei le parole che ella aveva pronunciato soltanto poche ore innanzi: Incomparabilmente al di là e al di sopra di noi tutti! Sia ella ancora sulla terra o in cielo il suo spirito è in grembo a Dio!

            Sarà, forse, una mia singolarità, ma, vegliando in una camera ardente, sarei felice se al mio compito non fossero partecipi persone pazze di dolore. Vedo un riposo che nulla può interrompere, e sento l'assoluta certezza di un al di là senza fine e senz'ombre: l'Eternità in cui si entra quando la vita non ha limiti di durata e l'amore è nella sua espressione più alta e la gioia nella sua maggior compiutezza. In quell'occasione mi fu dato pensare quanto egoismo si annidasse anche in un affetto come quello del signor Linton, poichè lui si doleva tanto della dipartita di Caterina. È vero che si poteva dubitare che dopo un'esistenza capricciosa e irrequieta come era stata la sua, fosse approdata alla fine a un porto di pace. Sì, in momenti di fredda riflessione se ne poteva dubitare ma non allora, in presenza della sua salma. Testimoniava la sua tranquillità e sembrava pegno di un'eguale quiete per chi da poco aveva dovuto separarsi da lei.

            «Credete che persone come quelle possano esser felici in un altro mondo? Darei non so che cosa per saperlo...»

            Rifiutai di rispondere alla domanda della signora Dean che mi parve piuttosto irreligiosa. Ella proseguì:

            «Riandando alla vita di Caterina Linton, temo che non abbiamo diritto di pensare che lei sia felice, ma abbandoniamola nelle mani del Creatore...»

            Il padrone sembrava addormentato ed io mi permisi, subito dopo il crepuscolo, di lasciare la camera per andare fuori all'aria pura e fresca. I domestici credettero che io fossi uscita per scuotermi di dosso il torpore di una veglia protratta, ma in realtà il mio scopo principale era vedere Heathcliff. Se era davvero rimasto tutta la notte tra i larici, non doveva aver sentito del trambusto a Grange, a meno che gli fosse giunto il galoppo del messaggero diretto a Gimmerton; se invece si era avvicinato, dal passare e ripassare dei lumi, dall'aprirsi e chiudersi delle porte esterne doveva sapere che in casa non era proprio tutto tranquillo. Desideravo e temevo a un tempo di trovarlo. Sentivo che la terribile notizia doveva essergli comunicata, ed ero ansiosa di liberarmi di un tal compito, ma come fare non sapevo. Era là, pochi passi più oltre, nel parco; s'appoggiava a un vecchio faggio, a capo scoperto, con i capelli fradici di rugiada che dalle gemme dei rami continuava a gocciolare intorno a lui. Doveva trovarsi da un pezzo in quella posizione, poichè scorsi una coppia di merli poco discosto da lui fabbricare il loro nido, indifferenti alla sua vicinanza, come se fosse addirittura un tronco d'albero. Volaron via al mio sopraggiungere, e lui alzò gli occhi e parlò:

            «È morta!» disse. «Non ho aspettato te per saperlo. Via quel fazzoletto, non smoccicare davanti a me! Maledetti tutti; le vostre lacrime, lei non le vuole!»

            Piangevo non solo per lei ma anche per lui; alle volte ci succede di compassionare le creature che non hanno il minimo sentimento di pietà per se stesse nè per gli altri. Non appena lo vidi, m'accorsi che già sapeva della sciagura, e un'idea strana m'attraversò la mente: che il suo cuore avesse conosciuto l'umiltà e che ora lui addirittura pregasse, perchè le sue labbra si schiudevano, e il suo sguardo era rivolto a terra.

            «Sì, è morta!» risposi, frenando i miei singhiozzi asciugandomi le guance. «È andata in cielo, spero, dove a noi tutti è dato di raggiungerla, purchè ci ravvediamo a tempo, e abbandoniamo le cattive abitudini per seguire il bene.»

            «Dunque, lei si è ravveduta a tempo?» chiese Heathcliff con un sogghigno. «È morta come una santa? Vieni qua, dimmi tutto. Com'e morta?.....»

            Cercò di pronunciare il nome ma non ci riuscì; comprimendo la bocca, lottò in silenzio con la propria angoscia, sfidando, nel frattempo, qualsiasi mia dimostrazione di dolore con uno sguardo feroce e durissimo. «Com'è morta?» riprese a dire alla fine, costretto, nonostante la sua fierezza, ad appoggiarsi all'albero; dopo lo storzo fatto, tremava contro ogni sua volontà.

            «Povero disgraziato!» pensai. «Tu pure hai cuore e nervi come i tuoi simili! Perchè sei tanto smanioso di nasconderli? Il tuo orgoglio non può ingannare Dio. Vuoi che ti strazi finchè non ti strapperà un grido di umiliazione.»

            Gli risposi ad alta voce. «È morta come un agnello. Ha avuto un sospiro, e si è stesa come un bambino che si risveglia dal sonno, e poi ci ricade dentro, e si riaddormenta; cinque minuti dopo ho sentito una leggera pulsazione al cuore e poi più nulla.»

            «E... non ha detto il mio nome?» chiese, con esitazione, temendo che la risposta avrebbe svelato particolari che non si sentiva capace di ascoltare.

            «Non si è mai riavuta,» dissi, «dal momento che la lasciaste, non ha riconosciuto nessuno. Giace con un dolce sorriso sul volto; in ultimo, la sua mente ha vagato al tempo piacevole della sua infanzia. La sua vita si è chiusa con un dolce sogno; possa svegliarsi altrettanto soavemente nell'aldilà.»

            «Possa svegliarsi tra i tormenti! gridò con terribile veemenza, battendo i piedi e ruggendo in un subitaneo parossismo di passione. «Ha mentito fino alla fine! Dov'è? Non , non in cielo, non morta; dov'è? Hai detto che non t'importava nulla delle mie pene! E io prego, la ripeto, la mia preghiera fin che la mia lingua riuscirà a pronunciarla: Caterina Hearnshaw, possa tu non riposare mai fin che vivo io! Hai detto che ti ho uccisa io... perseguitami, dunque! Credo che gli uccisi perseguitino i loro uccisori. So di spiriti che hanno vagato sulla terra! Rimani con me sempre, prendi qualsiasi forma, fammi diventar pazzo! soltanto non lasciarmi in questo abisso, dove non posso trovarti! Oh, Dio; è indicibile! Non posso vivere senza la mia vita! Non posso vivere senza l'anima mia!»

            Si slanciò con la testa contro il tronco nodoso, e, alzando gli occhi, mandò un urlo, non come un uomo, ma come una belva spinta a morte con lame e spade. Vidi spruzzi di sangue intorno alla corteccia dell'albero, la fronte e la mano eran tutt'e due macchiate; probabilmente la scena che vedevo era una ripetizione di altre avvenute durante la notte. Non suscitò in me la minima compassione; piuttosto m'inorridì; tuttavia, non me la sentivo, di lasciarlo solo in quello stato. Ma, nell'istante stesso in cui si riebbe, lui s'accorse che lo stavo osservando; allora mi gridò di andarmene e io ubbidii. Non era in mio potere calmarlo o consolarlo!

            Fu stabilito che il funerale della signora Linton avrebbe avuto luogo il venerdì successivo alla sua morte; - fino a quel giorno la sua bara rimase scoperta nel salone, cosparsa di fiori e foglie profumate. Linton passò i suoi giorni e le sue notti là presso, insonne guardiano, e, - circostanza a tutti nascosta, eccettuato che a me, Heathcliff pure passò le sue notti, lì fuori, ugualmente senza riposo. Non gli parlai, ma sapevo del suo progetto di entrare se appena gli fosse stato possibile; e al martedì, un po' dopo il crepuscolo, quando il mio padrone, per la gran stanchezza, era stato costretto a ritirarsi per un paio d'ore, commossa dalla perseveranza di Heathcliff, andai ad aprire una delle finestre, per offrirgli l'occasione di dare l'addio alla svanente immagine del suo idolo. Heathcliff ne approfittò subito, deciso a una breve cauta entrata. Non avrei potuto esser sicura di quella sua visita se il drappo intorno al volto della morta non fosse apparso smosso, e non avessi scorto sul pavimento un ricciolo di capelli chiari, legato con un filo d'argento dopo averlo osservato un poco mi convinsi che era stato tolto dal medaglione che pendeva al collo di Caterina Heathcliff aveva aperto il monile e, buttatone via il contenuto, vi aveva posto una ciocca dei suoi capelli li aveva intrecciati e rinchiusi insieme.

            Il signor Hindley, naturalmente, fu invitato ai funerali; non mandò scuse, nè si fece vedere, così che il seguito fu composto solo dai possidenti dei dintorni e dalla servitù. Isabella non fu neppure invitata.

            Con generale sorpresa Caterina non fu sepolta nella chiesetta sotto i monumenti scolpiti dei Linton, nè presso le tombe dei suoi propri parenti, ma al di fuori sotto un verde pendio, in un angolo del cimitero, dove il muro è così basso che l'erica e le pianticine dei mirtilli vi si sono arrampicate dalla landa; e zolle di torba nascondono quasi interamente la sua tomba e quella di Edgardo Linton. Ciascuna tomba ha solo una semplice lapide, alla testa, e ai piedi un blocco di pietra grigia.

           

 

XVII    (torna all'indice)

           

 

           

            Quel venerdì fu l'unica giornata bella di tutto il mese. A sera il tempo cambiò: il vento mutò direzione e portò dapprima la pioggia, poi il nevischio, infine la neve. L'indomani nessuno avrebbe potuto quasi credere che avevamo avuto tre settimane di estate. Le primule e i fiori di croco erano stati nascosti da mucchi di neve, le allodole tacevano, le giovani foglie degli alberelli precocemente rinverditi, erano annerite per il gelo. E triste, e freddo, e lugubre quell'indomani venne! Il mio padrone non uscì di camera; e io, preso possesso dello squallido salotto, lo convertii in una stanza per bambini: me ne stavo là seduta con quella pupattola sulle ginocchia, la dondolavo, guardando i fiocchi di neve che continuavano ad avventarsi contro i vetri di quella finestra senza tende, quando la porta s'aprì e qualcuno entrò, ansando, ridendo! La mia collera fu per un momento più grande del mio stupore. Pensando che si trattasse di una delle cameriere, gridai:

            «Zitta! Come potete mostrare tanta leggerezza in questo luogo? Che cosa direbbe il signor Linton se vi sentisse?»

            «Scusatemi!» mi rispose una voce familiare; «ma so che Edgardo è a letto, e non posso frenarmi.»

            Con tali parole la visitatrice avanzò verso il focolare, trafelata, comprimendosi un fianco con una mano.

            «Ho fatto tutta la strada di corsa da Wuthering Heights, dove non ho volato!» riprese dopo una pausa. «Non potrei contare le cadute che ho fatto. Oh, ne sono tutta contusa! Non allarmatevi! Vi darò una spiegazione, appena mi sarà possibile; ora fatemi soltanto il piacere di uscire a ordinarmi la carrozza per proseguire per Gimmerton, e dite a una domestica di togliere dal guardaroba qualche mio abito.»

            L'intrusa era la signora Heathcliff. Certamente, non si trovava in una situazione allegra: i capelli sparsi sulle spalle gocciolavano di neve e pioggia; indossava l'abito che soleva portare da ragazza, e che si addiceva più alla sua età che non alla sua posizione: una vesticciuola scollata con maniche corte; nulla in capo nè intorno al collo. L'abitino era di seta leggera; essendo bagnato, le si accollava addosso. I suoi piedi erano protetti dalle sole pianelle sottilissime. Come se questo non bastasse aveva sotto un orecchio un profondo taglio, cui soltanto il freddo impediva di sanguinare copiosamente; il suo volto era pallido, graffiato e contuso, e tutta la sua persona quasi non si reggeva dalla stanchezza. Vi sarà facile comprendere come lo spavento da me provato da principio non diminuì, quando l'ebbi esaminata più attentamente. «Mia cara signora!» esclamai, «non mi muoverò punto, non vi presterò minimamente ascolto finchè non vi sarete tolta tutte le cose che avete indosso, e non ve ne sarete messa di asciutte; e certamente non andrete a Gimmerton stanotte, così è inutile ordinare la carrozza.»

            «Ma debbo andarci,» rispose, «a piedi, o in vettura: però non ho nulla in contrario a vestirmi un po' più decentemente. E... oh, guarda come il sangue mi scorre lungo il collo ora! Il fuoco fa bruciare la ferita!»

            Ella insistette perchè eseguissi i suoi ordini prima di permettermi di occuparmi di lei; e finchè il cocchiere non ebbe ricevuto l'ordine di tenersi pronto, e una cameriera non fu mandata a prepararle gli indumenti necessari, non potei fasciarle la ferita, nè aiutarla a togliersi quel vestito fradicio.

            «E ora, Elena,» disse quando il mio compito fu finito, ed ella si fu seduta su di una poltrona presso il focolare, con una tazza di tè davanti, «ora, prima di sederti accanto a me, porta via la bimba della povera Caterina. Non amo vederla! Non devi pensare che non ricordi Caterina perchè, entrando, mi sono comportata tanto pazzamente. Ho pianto molto, amaramente, sì assai più di chiunque altro. Ci eravamo separate in collera, ricordi, e non me lo perdonerò mai. Tuttavia, non volevo condividere il dolore con lui! con quel bruto! Oh, dammi l'attizzatoio!» e in così dire si tolse l'anello d'oro dal dito medio: «Questa è l'ultima cosa sua che tengo con me», e di colpo lo gettò sul pavimento. «Lo schiaccerò,» disse, pestandolo con puerile disprezzo, «e poi lo brucerò!» e, raccolto quell'oggetto così maltrattato, lo lasciò cadere tra i tizzoni accesi. «Ecco! Se Heathcliff mi riavrà, me ne comprerà un altro. Sarebbe capace di venire a cercarmi, pur di dar fastidio a Edgardo. Non oso rimanere per il timore che una simile idea turbini in quel suo malvagio cervello! E poi Edgardo non è stato buono con me, vero? Non voglio implorare il suo aiuto, nè causargli altri dispiaceri. La necessità mi ha costretta a cercare ricovero qui, però, se non avessi saputo che Edgardo non s'aggira per la casa, non avrei oltrepassata la cucina; ti avrei chiesto di portarmi quanto mi occorre, e sarei ripartita, e andata lontana da quel maledetto... da quel demonio incarnato! Ah, com'era infuriato! Se mi avesse presa! È un peccato che Hindley non sia pari suo per forza: non sarei corsa via finchè non l'avessi visto completamente disfatto!»

            «Bene, bene, non parlate così in fretta, signora,» la interruppi, «continuate a spostare il fazzoletto che vi ho legato intorno al viso, farete sanguinare di nuovo la ferita. Bevete il tè, e respirate normalmente, e smettete di ridere; ridere sotto questo tetto e nella vostra situazione è assai fuori di posto!»

            «Hai ragione!» rispose. «Ma ascolta la bambina! Continua a vagire lamentosamente; allontanala da me, ti ripeto; mi fermerò solo per poco.»

            Suonai il campanello e affidai la bambina alle cure di una domestica, indi chiesi a Isabella che cosa l'avesse indotta a fuggire da Wuthering Heights in condizioni così sconcertanti e dove intendesse andare dato che rifiutava di rimanere con noi.

            «Io dovrei e vorrei rimaner qua,» rispose, «per due motivi: per consolare Edgardo e per aver cura della piccola, e anche perchè Grange è la mia vera casa. Ma ti assicuro che Heathcliff non mi ci lascerebbe! Credi che sopporterebbe di vedermi rifiorire e ridiventare gaia, che sopporterebbe di saperci tranquilli, senza meditare di avvelenare la nostra quiete? Ora ho la soddisfazione di sapere con assoluta certezza che mi detesta al punto che gli è di gran noia l'avermi davanti agli occhi, vale a dire nella condizione di osservarlo o di ascoltarlo. Ho notato che al mio avvicinarsi, i muscoli del viso gli si contraggono involontariamente in un'espressione di odio, dovuto in parte alla consapevolezza che ho buone ragioni per provare risentimento per lui, e in parte a una naturale avversione. È tanto forte in lui quest'avversione che mi rende quasi certa che non mi inseguirebbe per l'Inghilterra supposto che io riuscissi a sfuggirgli; perciò bisogna che sparisca. Sono guarita da quel mio desiderio d'essere uccisa da lui: vorrei piuttosto che si suicidasse! Ha realmente distrutto il mio amore, così ora mi sento padrona di me stessa. Potrò ancora ricordarmi l'amore che ho avuto per lui; l'ho amato, ed ho una vaga impressione che potrei ancora amarlo, se... no, no! Anche se mi avesse idolatrata, la sua natura demoniaca si sarebbe in qualche modo rivelata! Caterina doveva avere gusti assai pervertiti per averlo tanto caro, pur conscendolo a fondo, come lo conosceva. Mostro! come vorrei fosse cancellato dal creato e dalla mia memoria!»

            «Silenzio, silenzio! Anche lui ha un'anima!» dissi. «Siate più caritatevole; vi sono uomini peggiori.»

            «Non è un essere umano!» replicò Isabella, «e non ha diritto alla mia pietà. Gli ho dato il mio cuore ed egli lo ha preso e stretto a morte e respinto da sè. È col cuore che si sente, Elena: e poichè ha distrutto il mio, non posso aver pietà di lui: e non l'avrei neppure se piangesse fino al giorno della sua morte, e versasse lacrime di sangue per Caterina! No, no, non vorrei averne!» Isabella ruppe in pianto, ma di colpo riprese: «Vuoi sapere cosa mi ha spinto alla fuga? Sono stata costretta ad affrontare il rischio, perchè ero riuscita a scatenare la sua ira al massimo, oltre la sua stessa malvagità. Strappare i nervi con tenaglie arroventate richiede maggior sangue freddo che dare una mazzata sul capo. Era tanto fuori di sè da dimenticare la prudenza demoniaca di cui si vantava e lasciarsi andare alla violenza omicida. Ho avuto la soddisfazione di esasperarlo; questo ha ridestato in me l'istinto di conservazione, così sono fuggita; e se mai gli ritornassi tra le mani, avrebbe da me una vendetta esemplare...»

            Ieri, il signor Hindley doveva essere al funerale. Per questo non si è ubriacato o, almeno, non del tutto; non è andato a letto rabbioso alle sei per poi alzarsi ubriaco alle dodici. Si è alzato abbattuto, la mente rivolta al suicidio; invece si è seduto accanto al fuoco a bere bicchieri colmi di acquavite.

            Heathcliff, - tremo al solo nominarlo, - da domenica è rimasto fuori di casa. Da chi sia stato nutrito, se dagli angeli del cielo o dai suoi simili in terra, non saprei dirlo; ma per quasi una settimana non ha mangiato con noi. È rincasato all'alba, è salito in camera sua e si è chiuso a chiave, come se qualcuno si fosse mai sognato di desiderare la sua compagnia. Là è rimasto a pregare come un metodista, soltanto che la divinità implorata non è che morta polvere e cenere; e Dio, cui si rivolgeva, era confuso in modo curioso col proprio «padre nero!» Finite queste belle preghiere - generalmente duravano finchè diveniva roco e la voce gli si spegneva in gola - ripartiva subito, direttamente fin giù a Grange! Mi meraviglio che Edgardo non abbia mandato a chiamare un poliziotto, e che non glielo abbia dato in custodia! A me, pur addolorata per Caterina, questa liberazione dalla più degradante oppressione pareva un sollievo.

            Son tornata abbastanza serena da ascoltare senza piangere le eterne prediche di Giuseppe, da andare e venire nella casa non più col passo impaurito di un ladro. Non credere che piangessi per quello che mi poteva dire Giuseppe, ma lui e Hareton erano una compagnia odiosa. Preferivo ascoltare gli spaventosi discorsi di Hindley, piuttosto che restare col «signorino» e il suo sostenitore, quell'odioso vecchio! Quando Heathcliff è in casa, sono spesso costretta a rifugiarmi in cucina, e a subire la loro compagnia, se non voglio morir di fame nelle stanze umide e disabitate; quando è assente, come questa settimana, mi sistemo con un tavolo ed una sedia accanto al fuoco nella «casa», senza badare a Hindley; lui non si occupa di quel che faccio io. Se nessuno lo provoca è molto più tranquillo di una volta; più taciturno e depresso, e meno irascibile. Giuseppe dice che è un altro uomo, e che il Signore gli ha toccato il cuore, e lo ha purificato come «attraverso il fuoco»! Io non vedo i segni del favorevole cambiamento, ma non è affar mio.

             Ieri sera son rimasta nella mia nicchia a leggere dei vecchi libri fin verso la mezzanotte. Era troppo triste salire con la neve che turbinava al di fuori, e i miei pensieri continuamente rivolti al cimitero e alla fossa appena scavata! Non osavo quasi alzare gli occhi dalla pagina che mi stava davanti, subito mi si presentava quella scena malinconica. Hindley era seduto di fronte a me, teneva il capo appoggiato ad una mano, e la sua meditazione era forse simile alla mia. Aveva smesso di bere in tempo per restare lucido, e per due o tre ore non si era mosso, nè aveva mai parlato. Non vi era nessun rumore nella casa tranne l'ululare del vento, che ogni tanto squassava le finestre, e il leggero crepitìo dei tizzoni, e ad intervalli lo scatto del mio smoccolatoio quando accorciavo il lungo lucignolo della candela. Hareton e Giuseppe erano probabilmente a letto e profondamente addormentati. Ero molto molto triste, e mentre leggevo sospiravo perchè sembrava che tutta la gioia fosse svanita dal mondo per non tornarvi mai più!

            Il doloroso silenzio fu alla fine interrotto dal rumore del catenaccio di cucina: Heathcliff era tornato dalla sua veglia più presto del solito forse a causa della bufera. Quella porta era chiusa a chiave e lo sentimmo fare ilgiro della casa per entrare dall'altra parte. Mi alzai con un'esclamazione così eloquente da indurre il mio compagno, che aveva lo sguardo fisso alla porta, a voltarsi e a guardarmi.

            «Voglio lasciarlo fuori cinque minuti,» esclamò. «Avete nulla in contrario?»

            «No; per conto mio potete lasciarlo fuori tutta la notte!» risposi. «Sì, lasciatelo; mettete la chiave nella serratura e tirate i catenacci.»

            Hindley ci riuscì prima che il suo ospite giungesse all'ingresso principale; poi prese la sedia, venne a mettersi al tavolo di fronte a me, si appoggiò, e spiò nei miei occhi l'ardente odio che luceva nei suoi; non ve lo trovò o almeno non esattamente uguale al suo, lui aveva l'aspetto e i propositi di un assassino, ma vi scoprì quanto bastava per incoraggiarlo a parlare.

            «Voi ed io,» disse, «abbiamo ognuno un gran conto da regolare con quell'uomo là fuori! Se non fossimo codardi, potremmo metterci d'accordo e farla finita. Siete debole come vostro fratello? e disposta a sopportare tutto fino alla fine senza tentare una volta di vendicarvi?»

            «Ho sopportato abbastanza!» risposi, «e sarei felice di una vendetta che non ricadesse su di me; ma l'inganno e la violenza sono spade a due tagli; feriscono chi ricorre ad esse peggio degli stessi nemici.»

            «L'inganno e la violenza si ripagano con l'inganno e la violenza!» gridò Hindley. «Signora Heathcliff, non vi chiedo nulla, ma non movetevi e non parlate... Ditemi, siete capace? Sono certo che proverete gusto quanto me nell'assistere alla fine di quel demonio; egli sarà la vostra morte, a meno che non lo colpiate prima, e la mia rovina. Maledetto furfante indemoniato! Picchia alla porta come se fosse già padrone qui dentro! Promettete di tacere e prima che quell'orologio suoni - mancano tre minuti all'una - sarete una donna libera!»

            Levò dal petto le armi che ti ho descritto nella mia lettera e fece l'atto di spegnere il lume; ma io me ne impadronii e lo afferrai per il braccio.

            «Non starò in silenzio!» dissi. «Non dovete toccarlo. Lasciate chiusa la porta e restatevene tranquillo!»

            «No! ho preso la mia decisione, e, per Dio, non ci rinuncio!» gridò quel disperato. «A vostro dispetto voglio farvi del bene, e rendere giustizia ad Hareton! Non preoccupatevi di difendermi, Caterina non c'è più: nessuno al mondo mi piangerebbe o si vergognerebbe se io mi tagliassi la gola in questo stesso minuto. È ora di farla finita!»

            Non potevo lottare contro un orso, o tentare di far ragionare un pazzo; la mia sola risorsa era correre alla finestra e avvertire la vittima prestabilita di quel che l'aspettava.

            «Faresti meglio a cercare riparo altrove stanotte!» esclamai in tono quasi di trionfo. «Il signor Earnshaw ha intenzione di ucciderti se insisti per voler entrare.»

            «Faresti meglio ad aprire la porta, tu...» rispose, indirizzandomi un appellativo elegante che non voglio ripetere.

            «Io non mi immischio,» replicai. «Entra e fatti uccidere se vuoi. Io ho fatto il mio dovere.»

            Così dicendo chiusi la finestra e tornai al mio posto accanto al fuoco; non ero abbastanza ipocrita da fingere ansietà per il pericolo che lo sovrastava. Earnshaw mi maledì con rabbia gridando che amavo ancora quel furfante e chiamandomi con ogni sorta di titoli per la viltà che mostravo. In cuor mio (e la coscienza non mi rimproverò mai), pensavo che benedizione sarebbe stata per lui se Heathcliff l'avesse tolto dalla miseria di quaggiù, e che benedizione per me se lui fosse riuscito a spedir Heathcliff alla sua giusta dimora! Mentre facevo queste riflessioni la finestra venne scardinata con un colpo, e Heathcliff col suo truce aspetto apparve nel vano, tuttavia le sbarre erano troppo strette per lasciarlo passare con le spalle, ed io sorrisi esultando della mia sicurezza immaginaria. Aveva i capelli e i vestiti bianchi di neve, e i denti aguzzi da cannibale, scoperti per il freddo e la rabbia, scintillavano nell'oscurità.

            «Isabella, lasciami  entrare, o te ne pentirai!» ruggì, come dice Giuseppe.

            «Non voglio essere complice di un delitto,» risposi. «Il signor Hindley sta di sentinella con un coltello e una pistola carica.»

            «Lasciami entrare dalla porta di cucina» disse.

            «Hindley ci arriverà prima di te,» risposi: «e che miserabile amore è il tuo, che non può sopportare un po'di neve! Fin che splendeva la luna d'estate ci hai lasciato in pace, ma alla prima bufera invernale corri a rifugiarti in casa. Heathcliff, se fossi in te, andrei a sdraiarmi sulla tomba e là morirei come un cane fedele. Certo che ora non vale più la pena di vivere nel mondo! Mi avevi instillato l'idea che Caterina era tutta la gioia della tua vita; non capisco come fai a sopravvivere alla sua perdita!»

            «È là, vero?» esclamò il mio compagno, precipitandosi verso il vano. «Se posso metter fuori un braccio lo colpisco.»

            Temo, Elena, che mi giudicherai assolutamente malvagia; ma non sai tutto, quindi non puoi giudicarmi. Per nulla al mondo avrei cercato di ucciderlo; ma neppure mi sarei opposta. Non potevo fare a meno di desiderare la sua morte. Perciò fui terribilmente delusa e angosciata dal terrore per le conseguenze del mio linguaggio offensivo quando Heathcliff, lanciatosi sopra l'arma di Earnshaw, gliela strappò di mano.

            Il colpo esplose, e il coltello scattando gli si conficcò nel polso. Heathcliff lo tirò fuori di viva forza lacerando le carni, e se lo cacciò gocciolante nella tasca. Con una pietra abbattè poi il sostegno tra le due finestre e con un salto fu dentro. Il suo avversario era caduto privo di sensi per il dolore e per la perdita del sangue che sgorgava da un'arteria o da una larga ferita. Quel criminale lo prese calci, lo calpestò e gli fece battere ripetutamente il capo sul nudo suolo di pietra, tenendomi nel frattempo con una mano per impedirmi di chiamare Giuseppe. Dovette esercitare su se stesso una forza sovrumana per impedirsi di ucciderlo ma, alla fine, senza fiato, smise, e trascinò sulla panca quel corpo apparentemente inanimato. Strappata una manica alla giacca di Hindley, fasciò la ferita con brutale durezza, sputando e bestemmiando durante l'operazione con tale energia, come prima ne aveva usata nell'assestar calci. Trovandomi libera, corsi a chiamare subito il vecchio servo il quale, compreso, grado a grado, il senso del mio racconto frettoloso, corse giù ansante, facendo i gradini due a due.

            «Che c'è adesso? che succede?»

            «Che succede?!» urlò Heathcliff; «il vostro padrone è pazzo; e se vive un altro mese lo farò chiudere in un manicomio. E come avete fatto, in nome dell'inferno, a chiudermi fuori, vecchio mastino sdentato? Non restate lì a biascicare e a brontolare... Qua, non voglio curarlo io! Lavate quella porcheria, e badate alle scintille della candela: è pieno di acquavite!»

            «E così l'avete assassinato?» esclamò Giuseppe, levando le mani e gli occhi al cielo per l'orrore. «Mai ho visto simile spettacolo! Possa il Signore...»