Al termine delle lezioni del mattino, verso le due, Antonio invece di riposarsi e mangiare qualcosa, decise di andare a cercare la compagna che era a casa dalla madre. La bambina doveva essere alla scuola materna.

Era stata una mattinata faticosa per il caldo di una giornata con una cappa pesante nell’aria. Stare tante ore in campo sotto il sole, anche per uno abituato come lui, avrebbe potuto rappresentare un pericolo, considerata la sua situazione psicofisica.

Arrivato in quella casa, aveva detto poche cose, era andato in cucina, aveva impugnato un coltello e, tornato in sala, aveva sferrato colpi a destra e a manca lasciando le due donne in un lago di sangue. Senza neppure controllare le loro condizioni, si era precipitato alla scuola materna.

Qui aveva costretto le maestre a consegnargli la bambina. Con lei non c’era stato bisogno di parlare, l’aveva messa nei sedili posteriori dove c’era ancora un seggiolino per bambini.

La sua mente si trovava avvolta da un nube, simile a quella cappa che era nell’aria. Non se ne rendeva conto  ma ogni cosa, ogni gesto, ogni azione era governata dall’incapacità di modificare l’inconscio e lucido percorso autodistruttivo.

Il perché non lo potrà dire nessuno, stava avvenendo ed era inarrestabile. Solo un improvviso risveglio potrebbe evitare la tragedia che si stava avvicinando.

La bambina, che forse aveva fame o soltanto avvertiva che c’era qualcosa di minaccioso nel silenzio del padre, aveva cominciato  a piangere: avrebbe potuto essere la molla per far scattare una reazione, ma Antonio non la sentiva.

L’auto correva a forte velocità in direzione di Mongodoro. Il pericolo era rappresentato in ogni momento dai camion ingombranti che facevano la spola tra le due cittadine carichi di materiali di risulta, e potrebbero costituire un ostacolo fisso in movimento.

In una giornata particolarmente carica di particelle elettriche nell’aria, l’auto correva a forte velocità su una statale con pochissimo traffico, sino a quel momento.

 

I vicini avevano soccorso le due donne, chiamato il 113 e stava arrivando un’ambulanza.

Ma nessuno poteva immaginare che la bambina era in pericolo. Nessuno, per il momento conosceva il nome del responsabile dell’aggressione, le donne erano in stato d’incoscienza, la più giovane era quella che stava peggio, entrambe non erano in grado di parlare.

Furono avvertiti i congiunti più prossimi: il fratello e uno zio. E’ quest’ultimo che aveva pensato alla bambina decidendo di andare all’asilo.

Ma ormai era trascorsa mezz’ora dal fatto e l’auto di Antonio Bianchi correva in maniera folle verso un destino inevitabile. A pochi chilometri dalla piccola cittadina c’è una grande curva ed un dirupo dove in un recente passato erano accaduti molti incidenti.

E’ il punto critico della strada statale. A quella velocità l’auto inevitabilmente finirà nel dirupo sfracellandosi.

Se non interverrà qualcosa ad interrompere il procedimento ossessivo della mente di Antonio il suo destino e quello della bambina saranno segnati.

 

Quella cappa nell’aria era stata avvertita anche da Enrico. In ufficio con l’aria condizionata, non se n’era accorto, ma uscendo se l’era trovata addosso con tutto il suo carico minaccioso di particelle elettriche.

Certe menti sono più soggette di altre all’influenza di variazioni atmosferiche, così Enrico sentì la necessità impellente di entrare nella sua stanza segreta, cosa che da tempo non faceva.

Lo psichiatra lo aveva autorizzato a farlo, quando ne avesse sentito la necessità.

Nella stanza aveva intenzione di fare la domanda a cui Giovanni si era spesso rifiutato di rispondere.

Doveva andare dunque a casa più in fretta possibile prima che gli passasse la voglia d’interrogare Giovanni.