23

Quando Zhenya e Lotte, che dormivano sul divano, si svegliarono, videro Alexi, che era seduto al tavolo e stava studiando i loro appunti.

«Avete fatto grandi progressi, tenuto conto che non sapevate niente del taccuino di cui stavo parlando. Bella coppia di bugiardi.»

«L’ho trovato quando lei se n’è andato» disse Zhenya.

«Un’altra menzogna.»

«Sono stata io a trovarlo» intervenne Lotte.

«Ah, è così? Vi coprite reciprocamente. Una bella prova d’amore, non c’è che dire.»

Zhenya si mise a sedere e cercò di rendersi presentabile. «Come ha fatto a entrare?»

«Con la chiave, e come se no?»

«Dov’è Anya?»

Alexi non rispose, ma si accese una sigaretta e rimase a osservarne la punta incandescente come se fosse stata un attizzatoio. Zhenya notò che, nonostante l’occhio nero non fosse affatto migliorato, l’uomo si era fatto la barba, si era cambiato e sembrava aver ritrovato tutta la sua autorevolezza.

«Hai una pistola?» gli chiese Alexi.

«No.»

«Mi hanno detto che all’investigatore Renko è stata regalata una pistola decorata come ricompensa per i suoi buoni servizi. Mi pare l’ultima delle persone che dovrebbe meritarsi un premio.»

«Non sono al corrente.»

«E tu, Lotte?»

«Io non l’ho mai incontrato.»

«È molto importante che io sappia dove si nasconde a Kaliningrad. Non ti ha chiamato, per caso?»

«No» rispose Zhenya.

Alexi sorrise. «E non ti ha chiesto nemmeno di tradurre il taccuino?»

«No.»

«Ovvio che sì.» Alexi fece scorrere le pagine piene di simboli e di elenchi di possibili significati. «Dove si trova ora Renko? Questo è il problema. Voi non lo sapete e Anya non vuole dirmelo. Lui lavora in coppia con un detective, un certo Victor Orlov.»

«Orlov è un ubriacone.»

«È quello che si dice in giro. Quindi restate solo voi due e, a partire da questo momento, lavorerete per me. Voglio che rimaniate qui finché non avrete finito. Adesso siamo nella stessa squadra.»

«Non sono riuscito a capirci niente, per ora» obiettò Zhenya.

«Ma tu e la tua amica avete un’idea, lo so benissimo. Il senso generale l’avete colto, vi mancano i dettagli.»

«È un linguaggio molto personale. Ci potrebbero volere settimane per decifrarlo, sempre che sia possibile.»

«Be’, voglio darvi un incentivo. La temperatura di una sigaretta accesa è di settecento gradi.»

«E allora?»

«La tua ragazza ha la pelle delicata come quella di un bambino.»

«Che cosa c’entra?»

«Fai due più due. Una genio come te dovrebbe capire al volo chi è più vulnerabile tra voi due.» Mentre parlava Alexi prese i loro cellulari.

Il cuore di Zhenya batteva all’impazzata e Lotte tremava al punto da battere i denti.

«Avete dieci ore» riprese Alexi.

«Non è ragionevole.»

«Vi sembro una persona ragionevole?»

«Ma non ce la faremo mai» protestò Zhenya.

«Dieci ore, non una di più. Lascerò un uomo fuori dalla porta.»

«Chi è Anya?» chiese Lotte.

«Se fossi in te, non mi preoccuperei dell’esistenza di un’altra donna. Dove sono le forbici?» Zhenya ne trovò un paio in un cassetto della scrivania e rimase immobile, come paralizzato, vedendo Alexi che tagliava il cavo del telefono fisso.

Se quella fosse stata una favola, Zhenya avrebbe sorpreso e sopraffatto Alexi. Ma la realtà era diversa. Non sarebbe stata l’opportuna comparsa di corpi contundenti a salvare la situazione; un eroe era tale se aveva nervi saldi e forza di volontà. Come pensava di diventare un soldato per difendere la Madre Russia se non riusciva a difendere nemmeno se stesso? Sapeva dove si trovava la pistola di Arkady, ma dove fossero i proiettili era ancora un mistero.

Lotte seguì con gli occhi Alexi che se ne andava e sussurrò a Zhenya. «Hai mai sparato a qualcuno?»

Zhenya annuì, pur nel timore di urtare la sua sensibilità, ma si avvide che la notizia la confortava.

«I proiettili sono nella libreria» gli disse Lotte.

«Sì» rispose, chiedendosi dove stesse andando a parare.

«Dobbiamo solo trovare il libro giusto, quello con un titolo adatto a ciò che cerchiamo.»

«Renko ha migliaia di libri. Ne è ossessionato.»

«E che tipo di libri sono?»

«Libri di argomento militare che appartenevano a suo padre. Molte raccolte di fiabe, Alice nel Paese delle Meraviglie, Ruslan e Ludmilla, Il mago di Oz. Me le leggeva quando ero piccolo.»

«Allora sono sicura che abbia scelto con cura quello dove nascondere le munizioni.» Prese a scorrere gli scaffali che ospitavano la narrativa esaminando gli autori a uno a uno – Bulgakov, Čechov, Puškin – e tirando in avanti ogni volume per guardare dietro.

«Guarda là» e puntò con il dito verso un titolo che stava troppo in alto perché potesse raggiungerlo. «Addio alle armi, di Hemingway.»

«Sei soddisfatta di te?»

«Molto.»

Ma quando Zhenya scostò il libro, tutto quello che trovò fu un’unica cartuccia.

Arkady attese che l’altra macchina sparisse prima di rimettersi seduto dritto. Sentiva una sorta di puntura sulla fronte, provocata da una scheggia di vetro, ma l’involucro corazzato dell’automobile non era stato sfondato e i finestrini antiproiettile erano scheggiati ma ancora interi.

Si allungò per slacciare la cintura di sicurezza di Maxim e poterlo quindi spingere fuori dalla portiera. Aiutandosi con un coltellino riuscì ad aprire lo sportello dello scomparto portaoggetti su cui si era tanto accanito. All’interno c’erano due biglietti per il traghetto e una pistola.

«Hanno cercato di ucciderci» disse Maxim in tono oltraggiato.

«È esatto. Devi stare più attento a sceglierti gli amici» lo consigliò Arkady, smontando dall’auto e tirandoselo dietro lungo un sentiero.

«La mia stupenda ZIL

«Be’, era un’auto corazzata, costruita per i vertici del Cremlino. Devo ammettere che, per essere un pezzo d’antiquariato, si è comportata molto bene.»

«Perché hai detto che devo scegliermi meglio gli amici?»

«Perché era tutto concordato. Altrimenti come avrebbero fatto a trovarci?»

«Credevo che volessero solo parlarti.»

«Mi pare che avessero altre intenzioni. Inoltre hai due biglietti di sola andata sul traghetto per Riga, domani. Per chi era l’altro?»

«Posso spiegarti tutto.»

«Chiudi il becco.» Arkady gli girò attorno, osservandolo come se in lui ci fosse qualcosa di anormale. «Alexi ti ha visto sparire quando ha cercato di appiattirmi al porto fluviale. Quando ha avuto bisogno che lo aiutassi te la sei battuta. È il genere di cose che un killer non gradisce affatto.»

«È una bella storia, peccato che te la sia inventata di sana pianta.»

«C’era un cane al porto, un eroico carlino di nome Polo. Non è una razza molto diffusa a Mosca.»

«Tutte fantasie.»

«Ti ha offerto dei soldi? E che fine ha fatto il premio letterario? Quei cinquantamila dollari che ti dovevano arrivare dall’America?»

Maxim parve sgonfiarsi. «Tutto finito. Hanno scelto qualcun altro.»

Arkady gli diede una spinta per farlo muovere.

«Perché non me l’hai detto?»

«Volevo sapere che cosa c’era in quel taccuino.»

«Per quale ragione?»

«Per riferirlo ad Alexi.»

«A che scopo dargli una mano?»

«Avevo paura.»

Arkady si chiese se fosse la verità, una mezza verità o una licenza poetica.

Zhenya e Lotte non avevano la minima idea di che tipo fosse l’uomo che Alexi aveva piazzato fuori dalla porta. Ignoravano se fosse alto o basso, vestito in tiro o coperto di stracci. Lo sentivano solo camminare avanti e indietro a passi strascicati come un orso allo zoo.

Zhenya aveva caricato la pistola di Arkady e se l’era infilata dietro, nella cintura. Lotte, invece, aveva trovato in un ripostiglio un paio di bastoncini da sci da cui aveva tolto le rondelle, ricavandone così due modeste lance.

Nel frattempo Zhenya aveva elaborato un altro filone tematico per decifrare il taccuino.

«Se ordini i simboli in un certo modo, le onde corrispondono all’oceano, i pesci sono navi o sottomarini e la stella rappresenta le autorità russe, nel caso specifico la Marina.»

«Potrebbe essere.»

«Visto che c’è il segno del dollaro, la R potrebbe alludere al rublo e il fatto che le R siano due potrebbe significare che i rubli siano un mucchio. Che cosa ne pensi?»

«Ma cosa c’entra tutto questo con Natalja Gončarova?»

«Adesso viene il bello» disse Zhenya. «Non è scritto da nessuna parte dove o quando quest’incontro abbia avuto luogo. Ho idea però che potrebbe essersi svolto sullo yacht di Grisha, il Natalja Gončarova. Una bella scelta, tanto per eliminare qualsiasi dubbio sul fatto che Grisha fosse il capo.»

«Che importanza può avere? Ormai è acqua passata.»

«Da come si comporta Alexi, direi di no. Anzi, sembra che per lui si tratti di vita o di morte.»

«Perché, secondo te c’è qualcosa che non lo è?»

«Gli scacchi.»

«Ovviamente non hai mai avuto un avversario di sesso maschile che non ha smesso di guardarti le tette per l’intera partita. Comunque, spero che anche questo sia acqua passata. Quello che mi preoccupa è nella quinta pagina, la faccia che ha una X al posto della bocca. Significa che nessuno deve dire una parola, noi compresi.»

Non era un problema di fidarsi di più o fidarsi di meno, ma ora che Alexi aveva cercato di ucciderlo, Maxim sembrava ansioso di collaborare. Almeno fin quando non arrivarono alla curva successiva. D’altra parte, dove altro poteva stare Arkady se non nell’appartamento di Maxim? Kaliningrad gli dava sempre più l’impressione di un’isola, dove alberghi e terminal erano sorvegliati a vista dalla mafia e dalla polizia. Per giunta gli sembrava di non dormire da giorni. Chiuse gli occhi e sognò che una bottiglia di vodka stava rotolando avanti e indietro sotto il divano, che un verme di piombo gli divorava il cervello, che un cagnetto con la faccia da scimmia gli leccava il viso, finché non si svegliò al canto mattutino dei passeri e scoprì che Anya era seduta su una sedia di fronte a lui.

«Hai un taglio» gli disse.

Arkady si toccò la testa.

«Ahi.»

«La prossima volta ti consiglio di provarci con un punteruolo per il ghiaccio.»

«Dov’è Maxim?»

«È uscito per andare a noleggiare una macchina.»

«Che cosa ci fai qui?»

«Che bella accoglienza.»

Arkady ignorò la tazza di tè che lei gli porgeva. Non aveva un filo di trucco, anche se indossava ancora il tubino aderente ricoperto di paillette rosse.

«Dov’è Alexi?» le chiese.

«A Mosca, a Kaliningrad, chi lo sa. Sfreccia avanti e indietro sul jet privato di suo padre. Al momento penso che non abbia voglia di farsi vedere in faccia, e tu sai bene il perché. Ti sei fatto un nemico.»

«Non ne andavo pazzo neanche prima. Ti ha portata lui a Kaliningrad, vero?»

«Sì, ma adesso le nostre strade si sono separate.»

«Avete litigato o vi siete stancati della reciproca compagnia?»

«È stato lui a mollarmi.»

«Davvero? È dura da credere. Sembravate fatti uno per l’altro.»

«Arkady, a volte sei veramente un figlio di puttana.»

«Come vanno le tue ricerche per l’articolo su Tatiana?» le chiese.

«Procedono.»

«Mi fa piacere sentirlo.»

«E la tua indagine?»

«Segue il suo corso.»

«Be’, certo, tutte le volte che ti vedo con delle schegge di vetro nei capelli, so che stai facendo progressi.»

Arkady si mosse e una pila di dischi che stava in fondo al divano scivolò sul pavimento. Chissà che cosa stava aspettando Anya. Forse che Alexi tornasse e la portasse via con sé? Magari era tutto un sogno, il ricordo di aver diviso il letto con Anya, di lei che dormiva con addosso la sua camicia, di lui che le respirava tra i capelli. Era strano vedere quella stessa donna con gli occhi di un altro uomo. Lo faceva sentire spaesato.

«Hai notizie di Zhenya?» le chiese.

«No. A volte sparisce. Esattamente come te.»

«Sai se ha ancora il taccuino?»

«È possibile. Comunque quell’oggetto è del tutto inutile.»

«Allora perché Alexi fa di tutto per averlo?»

Anya si strinse nelle spalle.

Forse Alexi l’aveva lasciata quando aveva scoperto che non aveva più il taccuino. Be’, ora era qui, e non sembrava particolarmente provata dalle notti passate con quel pazzo pieno di soldi.

«Tornerai a Mosca?» gli chiese Anya.

«Prima devo sistemare alcune cose che sono rimaste in sospeso.»

«E cioè?»

«Sai se Alexi ha mai messo le mani sulla chiave del mio appartamento?»

«Io non gliel’ho data.»

«Non è quello che ti ho chiesto. Volevo sapere se ci sono stati dei momenti in cui ha potuto frugare nella tua borsa.»

«Difficile dirlo. Non ti fidi di me?»

«Non lo so. Non so più chi sei. Non so se sto parlando con l’Anya che conoscevo o con quella che se la spassava con Alexi.»

Il telefono di Arkady squillò. Era Vova, il ragazzo della spiaggia. Arkady rimase ad ascoltarlo per qualche istante, poi chiuse la comunicazione.

«Devo andare.»

«Nessuno te lo impedisce.»

«Posso avere le chiavi?»

«Certo.» Anya frugò nella borsetta e gliele ficcò in mano.

«Grazie.» Arkady la oltrepassò, sfiorandola, e si diresse verso la porta.

Lei si lasciò cadere sulla sedia. Si chiese che cosa si fosse aspettata da lui. Non era tipo da lasciarsi condizionare. Rimase ad ascoltare le mosche che sbattevano sulla finestra, fissando senza vederli gli album di musica jazz sparpagliati sul pavimento, poi aprì una scatoletta e si ficcò in bocca una manciata di aspirine, che masticò e inghiottì. Sollevò l’orlo del vestito coperto di paillette rosse e si mise a studiare una bruciatura di sigaretta sulla parte interna della coscia.