Io ho quarantadue anni e lei diciassette. Sono piú vecchio di suo padre. Ci crederesti che sto con una ragazza che ha un padre che è piú piccolo di me?

WOODY ALLEN in Manhattan

24 dicembre, lunedí, vigilia di Natale.

Erano trascorsi venti giorni.

Venti giorni di assoluto silenzio da parte dello stalker e, cosa ancora piú grave, da parte di Garano.

Questo perché, dopo avere visto Andrea, il marrone, fui ricoverata d’urgenza in ospedale.

Non so se a causa delle polpette al sugo di Mario, della doppia colazione, o di Garano, fatto sta che la sera dopo il famigerato aperitivo avevo la febbre alta e terribili crampi allo stomaco. Matelda fu costretta ad accompagnarmi al pronto soccorso, suo malgrado.

– Che avrai, Chiara? Ormai non hai piú manco un pezzo. Che ti potranno togliere?

Dopo una settimana, i medici ancora non riuscivano a venirne a capo. Mi avevano fatto, nell’ordine, una lastra, una Tac e una risonanza con liquido di contrasto all’addome. Analisi del sangue di ogni tipo, una radiografia al piede, da cui era emersa una grave tendinite, e una gastroscopia. Niente. Matelda era l’unica ad avere certezze: – Avrai l’Aids! Non ci possono essere altre spiegazioni.

I miei colleghi chiamavano tutti i giorni. Giovanni passò a trovarmi, Fabrizio, invece, pare non si fosse accorto della mia assenza. Anche François si teneva aggiornato sulla mia salute e mi parlava della sua crema snellente. Non c’era verso di fargli capire che era già stata messa in commercio da un’altra azienda. Non venne mai in ospedale, per fortuna. Quando ormai i medici avevano perso le speranze di trovare la causa dei miei mali, l’ortopedico del mio tendine, un uomo molto simpatico, suggerí che forse dovevano sottopormi a una colonscopia. L’idea venne accolta da tutto lo staff medico con entusiasmo. Mi furono somministrati quattro litri di purga, fui sedata, e al mio risveglio incrociai sguardi soddisfatti. Rettocolite ulcerosa, fu la diagnosi. Niente piú verdure bollite, frutta e cereali. Insomma, dovevo abolire tutto quello che nel pensiero comune era considerato «sano».

Fui dimessa dopo dieci giorni dal ricovero e andai a stare a casa di Rosa. Matelda stava facendo dei lavori di ristrutturazione. Non tornai in ufficio: ero in convalescenza e a breve ci sarebbero state le vacanze di Natale. Ecco spiegata la ragione del silenzio da parte dello stalker, o di François. Non poteva certo infastidirmi anche in ospedale! Forse, dopo la piccola vacanza a Cortina, sarei potuta tornare nel mio bilocale.

Il giorno della cena della Vigilia arrivò in un baleno. Già nel pomeriggio si respirava un clima di grande agitazione, soprattutto da parte di Rosa. Alle sette c’erano tutti: i genitori di Rosa, Matelda e Michela con il padre, gli immarcescibili zia Martina e zio Giuliano, che nessuno aveva mai capito di chi fossero zii ma che erano stati sempre presenti da quando ne avevo memoria, e infine io e mia madre. La cena era squisita, ovviamente, e dal momento che ero stata autorizzata a mangiare qualsiasi cosa, tranne verdure, mi abboffai di tortellini.

Al caffè, mi alzai barcollando e andai a prendere una boccata d’aria in terrazza. Quando rientrai, mi accorsi che c’era grande agitazione.

– Guarda questa quanto è bella! – diceva la madre a Rosa. – Qui sono venuta benissimo.

Alzarono tutti gli occhi verso di me e Rosa disse: – Abbiamo ritirato le foto del matrimonio.

– Sai, Rosa, – intervenne Carla, sua madre, – che il fotografo è rimasto sconvolto quando gli ho detto che avevo quasi sessant’anni?

– Tu hai sessant’anni, ma dal momento che hai smesso di festeggiarli quando ne hai compiuti quaranta, chi tiene piú il conto? – si lasciò sfuggire Rosa.

– Dovevi proprio ricordarmelo?

– Che bella idea che abbiamo avuto, – mi sussurrò Matelda.

– Quindi hai sessant’anni? – continuai io, imperterrita.

– Chiara!

– Uffa, Matelda! Erano anni che me lo domandavo.

– Se tu facessi ogni tanto la madre, invece di far finta di essere mia sorella, – riprese Rosa, – forse non te lo starei a ricordare. E poi era una battuta, potevi anche riderci sopra… o avevi paura che ti aumentassero le rughe sul collo?

Mio dio. Che stava succedendo?

– Perché? Ho le rughe sul collo? Sergio?

– Chi ha il culo a mollo? – chiese zia Martina. Ma per fortuna venne ignorata.

– Che sciocchezze. Sei bellissima. Volete smetterla di litigare, voi due?

– Che effetto fa, mamma, guardarsi allo specchio e vedersi sempre belle? Compiacersi della propria immagine ogni giorno, ogni minuto? Come ci si sente? Lo vorrei tanto sapere, sai? Perché per quanti sforzi io abbia fatto non sono riuscita a diventare come tu avresti voluto e questo per te è un problema, vero, mamma? E la vuoi sapere un’altra cosa? Te la devo dire, me la tengo dentro da troppo tempo. Quando ero piccola, io non avrei mai pensato che le imperfezioni fossero un difetto, che le mie imperfezioni potessero essere un problema, se non fosse stato per le cose che mi dicevi tu. Eri tu a farmi sentire sempre inadeguata, eri tu a farmele notare.

Ormai Rosa era impazzita.

– E dovevi dirmelo proprio ora? Se te lo sei tenuto dentro tutto questo tempo, potevi aspettare ancora un po’ –. Carla scomparve in cucina, seguita dal marito.

Rosa quando era piccola si sentiva inadeguata? Pensava di avere delle imperfezioni? Il mondo si era forse capovolto? Io mi sentivo inadeguata, io avevo le imperfezioni, non lei! Come si permetteva Rosa di togliermi anche questo primato?

– Scusate. Non avrei dovuto.

– Perché non giochiamo tutti a bridge? – intervenne il padre di Matelda e Michela.

– Papà! Ti pare il momento?

– A me sembra un’ottima idea, – disse Michela, – anche se non saprei da che parte cominciare…

– È facilissimo, ti insegno io!

– Ah, bene. Che belle scarpe che hai. Sono quelle che ti ho detto di comprare io?

– Rosa, ma veramente ti sentivi inadeguata? E credevi seriamente di avere delle imperfezioni?

– Chiara hai idea di cosa voglia dire essere figlia di mia madre? Chiunque è brutto in confronto a lei.

Non avevo mai pensato a questo aspetto. Per me Rosa era bellissima ed ero sempre stata convinta che lei non avesse problemi, proprio in virtú del fatto che era bella.

Appena la madre di Rosa tornò in soggiorno come se nulla fosse accaduto, decidemmo di aprire i regali. Rosa mi stupí e mi commosse. Aveva fatto una colletta con le altre, di sua iniziativa, e mi aveva regalato un abito stupendo, fatto dalla sua sarta preferita.

– Ma ragazze, è magnifico! Certo, è scollatissimo…

– E fa’ vedere qualcosa, Chiara. Se stai sempre tutta infagottata nessuno ti noterà mai.

– Hai ragione. Ma se anche cosí non riuscissi a trovare qualcuno, che scusa potrei tirare fuori?

– Se non cambi, non lo scoprirai mai.

– Giochiamo o no a bridge? Noi qui siamo pronti! – gridò il padre di Matelda e Michela.

– Che trambusto, – disse Carla, esausta.

– Chi è che ha messo il busto? – chiese zia Martina, ancora una volta inascoltata.

Per fortuna in quel momento mi squillò il cellulare e senza essere notata mi allontanai.

– Sono Garano.

Oddio. I tortellini si bloccarono nello stomaco e il cuore mi si fermò. Prima o poi di qualcosa dovevo pur morire.

– Garano!?

– Sí, è ancora il mio nome, in effetti.

– Non mi dire che hai chiamato per farmi gli auguri?

– Perché? Ti sposi?

– È la Vigilia!

– Di che? Della fine del mondo?

– Vedo che questi ultimi venti giorni non ti hanno cambiato.

– Moscardelli, per caso hai contato i giorni che sei stata senza vedermi?

Certo che li avevo contati.

– Mi fa piacere saperlo…

– Oddio, l’ho pensato ad alta voce?

– Sí.

– Comunque, è la vigilia di Natale, e le persone normali…

– Porca vacca, è la Vigilia! Non so come abbia fatto a dimenticarmene, dal momento che sono circondato da persone che me lo ricordano di continuo. Sarò breve. Volevo controllare che non ti fosse successo qualcos’altro e dirti che…

– In quel caso saresti venuto a salvarmi?

– Ci hai preso gusto, eh?

– Sei rimasto insopportabile.

– Ti sono mancato, è evidente.

– Ah, be’, se lo dici tu.

Non volevo certo raccontargli dell’ospedale e della colonscopia. Non era una cosa molto sensuale da dire. Quindi mentii: – Comunque, visto che me lo chiedi, no, non è successo niente.

– Ottimo, allora…

– Però sono sempre del parere che ci sia François dietro tutto questo. Chi altri avrebbe potuto sapere che non ero in casa, se non lui? Chi poteva rubarmi la borsa? Insomma…

– Moscardelli, se anche François Benvenuti ti avesse realmente svaligiato casa, si è trattato comunque di un tentativo maldestro e arrangiato all’ultimo minuto.

Non sono neanche degna di uno stalker professionista, pensai.

– E non sei contenta?

– Certo –. Non ne potevo piú: dovevo smetterla di pensare ad alta voce. – Ora, se mi hai detto tutto quello che mi dovevi dire, io tornerei di là.

– Non metterti a piangere però.

– Ti saluto. Buon Natale.

Riattaccai. Basta farsi mettere i piedi in testa: la nuova Chiara stava arrivando. Avevo sempre pensato che la vita dovesse essere affrontata di petto, a testa alta. Non potevo crollare davanti a un commissario qualsiasi. Il cellulare continuava a squillare.

– Pronto.

– Moscardelli, sei svenuta?

– No.

– Hai inciampato in qualcosa? Hai rotto un asciugacapelli?

– No.

– Allora, se mi dài l’indirizzo, appena finisco qui ti passo a prendere e parliamo.

– Di cosa?

– Di quello che vuoi.

Meraviglioso.

– Io però pensavo di fare due chiacchiere su François, – precisò.

– Ah.

Gli diedi l’indirizzo, che altro potevo fare?

Tornai in salone, dove era scoppiata di nuovo la bufera.

Matelda e Michela si erano messe a giocare a bridge con zia Martina, che stava sbaragliando tutti.

Sorda sí, ma mica stupida.

Rosa e Carla urlavano, mentre Sergio non sapeva chi calmare.

Io mi accasciai sul divano e piluccai gli aperitivi che erano ancora sul tavolino del caffè. Non riuscivo a stare ferma. Mi alzavo, mi risedevo. Garano stava per arrivare. Mi precipitai in bagno per controllare che fosse tutto a posto. Sarebbe stato meglio non farlo. Mi raggiunse Matelda: – Zia Martina è tremenda. Che stai facendo con la faccia spalmata sul vetro?

– Mati, sono cosí da buttare?

– No, Chiara, ma è quello che vedi tu che conta. Se tu pensi di essere da buttare, allora sei da buttare. Se ti convinci che sei una strafica, sarai sempre da buttare ma non te ne accorgerai neanche, perché penserai di essere una strafica.

– Mica ho capito…

– A me è spuntato un bozzo proprio sotto la scapola. Che sarà? Me la faranno una Tac, il giorno di Natale?

– Matelda, sarà una puntura di zanzara!

– A dicembre? No, no, qui c’è qualcosa che non va… e se spingo qui, – disse, mettendosi la mano sul petto, – mi fa malissimo.

– E tu allora non spingere. Sta arrivando Garano.

– Ah.

– Quindi? Che faccio? Insomma, avevo tanti buoni propositi, ma ogni volta che c’è di mezzo lui, vengo assalita dal panico.

Il mio cellulare squillò.

– Ma te lo porti anche in bagno?

– Certo! Pronto?

– Garano.

– Sí, lo so che sei tu.

– Ottimo. Quindi?

– Non lo so, non ho capito che devo fare.

– Scendere, cosí parliamo.

– Va bene, va bene. Arrivo.

Mi precipitai in salone, seguita da Matelda, che continuava a toccarsi il suo bozzo. Salutai in fretta mamma e Rosa e mi precipitai di sotto. Uscendo dall’ascensore, inciampai e caddi a terra.