Jackson
«Sei pronto?» mi chiede Mark alle mie spalle. Lui è in alta uniforme, completo di guanti e tutto il resto.
Con un po’ d’aiuto sono stato in grado di indossare la mia. L’unica volta che ho indossato questa uniforme da quando mi sono congedato, è stato per il funerale di un membro del mio team. Odio che ancora una volta debba indossarla per la stessa ragione. Queste sono le uniche occasioni in cui la metto. Dopo questo, la brucerò e poi, forse, la smetteremo di andare ai funerali.
Stringo la cintura e sbuffo. Non posso farcela. Non posso seppellire un altro amico. «Cazzo. Non posso farcela. Va’ senza di me e basta» dico, distogliendo lo sguardo.
Subito dopo il suo pugno impatta contro la mia spalla ferita.
«Ma che cazzo!» esclamo, tentando di sbarazzarmi del formicolio al braccio.
«Ci andrai. Ti darò un pugno su quella faccia di cazzo se solo provi a dirlo ancora. Chiudi la bocca e ascolta. Forse mentre ti facevi il tuo bel sonnellino non mi hai sentito, forse il tuo cervellino non riesce a memorizzare, ma ne ho avuto abbastanza delle tue stronzate. Andrai. Giuro su Dio che oggi ci andrai» tuona Mark e si sfrega la mano sul viso.
Non l’ho mai visto così incazzato… be’, non con me almeno. «Non so di cosa diavolo stai parlando».
«Certo che no! Non eri l’unico in quel villaggio, stronzo. Non sei l’unico ad aver lasciato che Aaron partisse per occuparsi di quei problemi in Afghanistan che nessuno di noi sarebbe stato in grado di gestire. Non sei andato tu da Natalie a dirle che suo marito era morto. No, coglione, l’ho fatto io. Ho dovuto bussare alla sua porta, prenderla tra le braccia mentre perdeva la ragione. Perciò, baciami il culo».
«Sta’ attento, testa di cazzo» lo avverto.
Lui si gira come se non avessi parlato e mi deride: «“Non ci andrò”. Col cazzo che non lo farai. Non sei l’unico ad aver perso qualcuno!» grida e dà un pugno alla porta. «Li ho persi anch’io, cazzo! Erano anche amici miei, Muff. Tu non sei l’unico che vive con il senso di colpa». Mark pronuncia l’ultima parte con voce strozzata.
«Lo so!» replico, urlando a mia volta. «Ma io li ho mandati a morire. Vivo con questa colpa ogni singolo giorno».
«Ancora non capisci. Eravamo una squadra. Ho lasciato la Marina dopo di te perché dove vai tu, vado io. Vi ho seguito perché tu, io e Aaron eravamo una squadra». Mark solleva i pugni e avanza verso di me. «Ho visto ognuno di loro morire. Ho visto morire anche te, figlio di puttana». Mi punta un dito contro e me lo preme sul petto. Spingo via Mark, che barcolla.
«Non mettermi alla prova» lo avviso, alterato.
«Vuoi litigare con me? Oggi? Vuoi davvero che ti metta al tappeto?». Mark mi provoca e solleva le mani.
«Vaffanculo!». Non voglio litigare con lui, ma mi sta spingendo a farlo.
«No, vaffanculo tu. Io non me ne starò seduto comportandomi come se fossi l’unica persona a soffrire. Fa parte del lavoro, e lo sai. Io lo so. Quando siamo diventati dei SEAL sapevamo di poter morire, ma è ciò per cui abbiamo vissuto. Eppure, perdere lui… non doveva morire».
Le parole che voglio dirgli non escono. Vorrei mandarlo a fanculo, ma non posso. Ha perso tanti amici quanto me. Per quanto voglia contraddirlo, lui ha ragione. Mark e Aaron lavoravano insieme ogni giorno. Nell’ultimo anno avevano passato più tempo insieme di quanto non avessi fatto io mentre ripulivo quel casino che è la mia vita.
Dopo alcuni minuti d’incazzatura, entrambi facciamo un passo indietro. «Era un fratello per me» sussurra Mark. Sollevo lo sguardo e lui scuote la testa. «Era un uomo migliore di me e te. Non meritava di morire».
«Lo so. Sarebbe dovuto toccare a me» dico sentendomi svuotato di ogni emozione.
«Non sarebbe dovuto capitare a nessuno di noi».
«Non voglio più indossare questa uniforme».
Si dà un’occhiata e si porta una mano sul collo. «Sono stanco di partecipare a funerali. Il prossimo al quale intendo partecipare sarà il mio. E non mi fregherà un cazzo di quello che indosserai».
Ci sono momenti in cui desidero tornare a otto anni fa, allora ero giovane, stupido e io e i miei amici ignoravamo il mondo intorno a noi. Pensavamo di essere invincibili. Chi cazzo avrebbe abbattuto un gruppo di SEAL? Nessuno. Eravamo convinti di poter condurre vite pericolose e non pagare per i nostri peccati.
Non eravamo sposati, niente bambini, soltanto soldi da bruciare e tempo per correre dietro alle gonnelle. Le missioni per noi erano divertenti ed eravamo impazienti di affrontarle. Io non vedevo l’ora di partire perché la Virginia era troppo noiosa.
«Amico, io…» faccio per dire, ma lui mi interrompe.
«Non oggi, Muff». Scuote la testa. «Ti farò il culo un altro giorno, ma non oggi. Forza, andiamo».
Oggi sarà difficile per tutti, ma in modo particolare per Mark.
Arriviamo al luogo del funerale senza ulteriori incidenti. Ormai riesco ad appoggiare il peso sulla gamba se uso una stampella, ma oggi non la adopererò. Starò in piedi nonostante il dolore perché sarà il mio promemoria. Resisterò, perché Aaron se lo merita.
È stato montato un tendone e Natalie e la sua famiglia sono seduti mentre un picchetto d’onore è in piedi a guardia dell’urna. Ci sono alcuni dei ragazzi della squadra insieme alle loro mogli. Saluto tutti e resto in disparte sul fondo. Natalie mi si avvicina, esitante. «Jackson, grazie per tutto questo». Si morde il labbro e una lacrima scivola.
«Nat, non mi devi nulla».
«Aaron ti voleva bene come un fratello». Il suo è un sorriso triste.
Serro i pugni e raddrizzo le spalle. «Mi disp…»
Natalie mi appoggia la mano sul braccio e mi interrompe. «Non osare dirlo. Non l’hai ucciso tu. Odio tutti quelli che mi dicono di essere dispiaciuti perché posso scommettere mille dollari che, se si fosse trattato di te o di Mark, lui avrebbe desiderato essere al vostro posto».
Sua madre le si avvicina alle spalle e le porge Aarabelle. È una bambina bellissima con i capelli scuri e Natalie la tiene stretta a sé, poi si gira verso di me mentre io guardo quella piccola creatura tra le sue braccia. «Ho un pezzo di lui» sospira, cullandola.
Sollevo lo sguardo e lei bacia la testa di Aarabelle. Mark e io restiamo lì e la guardiamo allontanarsi e parlare con gli altri ragazzi del team presenti.
All’improvviso, l’energia nell’aria cambia e il mio corpo percepisce la presenza di Catherine. Scruto l’area per cercarla; il cuore mi batte più forte.
«Amico» Mark mi afferra la spalla e indica il nostro ex Sottufficiale Capo che si sta avvicinando. «Guarda, c’è Wolf».
Non rispondo perché so che lei è qui. Alla fine, la intravedo. È ancora più bella di quanto ricordassi. La foto che ho di noi due non le rende giustizia. Il vento le scompiglia i capelli e combatto l’istinto di andare da lei, mettermi in ginocchio e strisciare. La voglio avvolgere tra le mie braccia, supplicarla di perdonarmi, sprofondare in lei e non andarmene mai, ma so che non servirà a nulla. Ha messo in chiaro che per lei è finita. Gli occhiali da sole le nascondono gli occhi, ma il modo in cui si sta aggrappando ad Ashton mi porta a credere che sia sconvolta.
Vedo che annuisce e scruta la folla, ma non mi scorge, o almeno non lo fa capire.
Ogni parte di me è attratta da lei. Ma ancora una volta mi respinge.
«Cole, è bello vederti. Avrei voluto fosse in circostanze migliori» mi saluta il sottufficiale Wolfel.
Gli stringo la mano. «Sono d’accordo, Wolf, anche per me è bello vederti».
«Ho sentito che la società sta andando bene».
Annuisco e cerco di tenere gli occhi su Catherine, che si avvicina a testa bassa. Desidero che mi guardi, ma tiene il capo chinato con risolutezza e mantiene le distanze. «Sì, desideriamo farla crescere. Mark e io intendiamo presentare offerte più grosse».
La voce del prete ci interrompe. Il suo tono è tetro e lo stato d’animo sotto il tendone muta. Parla della vita di Aaron da bambino, del suo eroismo da adulto e del vuoto che accompagna la sua perdita. Non c’è conforto perché il dolore non svanirà mai del tutto. Certo, col tempo diminuirà, ma Natalie è una vedova, Aarabelle crescerà senza un padre. Non soffrirà mai la perdita di un grande uomo e non saprà mai perché.
Fisso lo sguardo sulla donna che ho perso; trema e si asciuga le lacrime. I miei piedi si muovono di loro spontanea volontà. Non sopporto di vederla soffrire senza fare nulla. Sta crollando. Un altro passo, poi la stretta di Mark sulla spalla mi trattiene. Lui scuote la testa e io rimango al mio posto, ma il mio sguardo è fisso su Catherine.
«Oggi, ricordiamo un eroe che ha perso la vita troppo presto. Ricordiamo l’uomo che ha combattuto guerre e protetto coloro che non potevano proteggersi da soli. Ricordiamo un marito, un figlio, un padre e un amico». Il prete alza lo sguardo e sento Natalie piangere più forte mentre la sua famiglia la stringe tra le braccia.
I miei commilitoni si dispongono di lato e danno inizio al saluto militare. La tromba intona il Silenzio militare e i singhiozzi intorno a me aumentano d’intensità. Quel brano mi perseguita.
Due marinai affiancano il nostro ex Sottufficiale mentre consegna la bandiera alla vedova. Si inginocchia e pronuncia le parole che nessuna donna vorrebbe mai sentire.
La scusa che non dovrebbe mai arrivare. Una nazione grata un paio di palle. Non sarebbe meglio prometterle che uccideremo i figli di puttana che l’hanno obbligata a tenere tra le mani quella bandiera piegata?
Mark e io restiamo in piedi a guardarla mentre piange disperata, stringendo la bambina al petto. L’eco delle sue grida rompe il nostro contegno. Ci spingiamo in avanti allo stesso tempo e tutti e due le appoggiamo una mano sulle spalle comunicandole che non è sola e che noi siamo qui. La gamba mi pulsa dolorosamente, ma mi rifiuto di muovermi. Fanculo il dolore, perché non è niente in confronto a quello che sta provando lei. Il suo petto si solleva e noi restiamo alle sue spalle come due guardie.
Dietro di me sento la gente piangere, ma un suono spezza la mia presa. Quello della persona più importante per me, l’unica per la quale sarei disposto a spostarmi. Mi giro e vedo Ashton che l’attira a sé. Lancio un’occhiata a Mark che annuisce, prima di appoggiare la sua mano sull’altra spalla di Natalie prendendo il mio posto.
Mi avvicino alle spalle di Catherine, senza pensare, la mia mano le sfiora la schiena e si appoggia sulla pelle del braccio. Essere così vicino a lei è come ricevere una scossa elettrica. Nel giro di pochi secondi, i sentimenti che ero riuscito ad allontanare mi piombano addosso. Desidero toccarla e sentirla contro di me.
«Catherine». La mia voce è bassa e carica di emozione.
Lei piange, cadendo in avanti, e Ashton l’afferra. Lei scuote le braccia ma io non sposto la mano. Non posso far a meno di toccarla. Non smetterò. Lei è mia e la proteggerò. Guardo Ashton che chiude gli occhi e annuisce brevemente.
È il permesso che mi serve. Afferro Catherine e la attiro tra le mie braccia. La stringo ancora una volta e il mio mondo cambia. Il suo tocco, il suo profumo di vaniglia mi colpiscono e non riesco a respirare. Tutto quello che conta è tra le mie braccia e non la lascerò andare di nuovo.
«Catherine, va tutto bene» sussurro, accarezzandole i capelli. La stringo di più senza lasciare spazio tra noi.
Lei si aggrappa a me, mi attira ancora più vicino e affonda la testa nel mio petto. Questa follia finirà; oggi saprà tutto e non mi lascerà mai più.
«Jackson» piange ed esala un respiro profondo. «Ti prego» implora, ma non capisco cosa diavolo mi stia chiedendo.
Catherine fa per scostarsi, ma stringo la presa e cambio posizione per bilanciarmi. «Non ti lascerò andare. In questo momento, ho bisogno di te» confesso senza vergogna.
Lei annuisce contro il mio petto, mentre il funerale continua. La presenza di Catherine mi dà forza, mi permette di dire addio al mio compagno d’armi.
La gente sfila, ma noi restiamo aggrappati l’uno all’altra.
Mark rimuove la sua spilla dal petto e si avvicina all’urna, chiude gli occhi e la mette giù, recitando il suo addio silenzioso. Dopo alcuni minuti, Ashton si avvicina e gli appoggia la mano sulla spalla, lui gliela prende e si allontanano.
È il mio turno. Mi distacco da Catherine e rimuovo il mio tridente. Le prendo il viso tra le mani e la fisso negli occhi, in cui scorgo tutto il dolore e la sofferenza. Giuro che non sarò mai più la causa di quello sguardo. Quando saprà tutto, potremo voltare pagina.
«Devo…».
La mano di Catherine mi sfiora le labbra, inducendomi a tacere. Si protende e mi bacia. Non voglio muovermi, voglio restare con lei, così, per sempre. Quando si distacca, sento subito la sua assenza.
Senza una parola, mi avvicino all’urna. Rimango lì da solo per un momento e saluto Aaron.
«Mi dispiace molto. Farò in modo che lei stia bene. Ci sarò per Aarabelle e le racconterò dell’uomo che eri. Non ti dimenticheremo mai». La mia voce è flebile e spero che ovunque sia possa sentirmi. Non infrangerò mai il giuramento che ho fatto a lui.
Metto la spilla accanto alle altre cinque che sono state appoggiate dagli altri membri della nostra squadra venuti a rendere omaggio. Quando mi giro per prendere la mano di Catherine, vedo che si sta incamminando verso la macchina.
Sono colto dal panico. La perderò.
«Cazzo» impreco e provo a muovermi in fretta.
Ashton è accanto a lei e discutono. Spero che questo mi conceda abbastanza tempo per fermarla.
Catherine vede che mi avvicino, quindi afferra le chiavi e chiude lo sportello.
Mi fermo e la fisso, mentre si affretta ad andarsene.
«Smetti di fare il coglione e sistema questo casino. Se la ami, combatti come un uomo. Sono stanco di vederti comportarti da codardo» dice Mark e mi lancia le sue chiavi. «Seguila».
Mi muovo il più velocemente possibile e salgo sull’auto di Mark, pronto a inseguirla. Non è finita. Neanche per sogno.