5.
Che fare?
“Dopo aver eliminato l’impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile sia, deve essere la verità.”
Sir Arthur Conan Doyle
Nonostante il titolo “leninista” di questo capitolo, una domanda di questo genere non è di destra né di sinistra, proprio come il vincolo di bilancio. Questo breve capitolo fa da cerniera tra la prima parte, che ha spiegato perché il debito pubblico può diventare un problema se supera certe soglie, e il resto del libro, che discute le possibili soluzioni.
Ricapitoliamo: troppo debito pubblico fa male per tre motivi. Primo, ci espone a rischi di instabilità finanziaria che possono causare danni severi all’intera economia. Secondo, un debito elevato rallenta la crescita potenziale e ci impedisce di stabilizzare l’economia attraverso la politica fiscale in presenza di shock. Il terzo motivo (meno concreto senza dubbio, ma convincente per molti) è quello “morale”: accettare di vivere con un debito alto ci abitua a scaricare sulla collettività responsabilità che sono di ogni individuo.
Tengo a sottolineare che, pur riconoscendo che il debito possa diventare un problema, è necessario evitare posizioni estreme. Prima di tutto, quando si parla di ridurre il debito si parla di ridurlo rispetto al Pil, il che vuol dire che il debito in termini nominali (cioè in miliardi di euro) deve crescere meno rapidamente del Pil, non che lo si debba ripagare. Inoltre, non c’è motivo di pensare che il debito pubblico debba tendere allo zero anche rispetto al Pil, o che il bilancio pubblico debba sempre essere in pareggio. Certo, partendo dal nostro livello di debito, credo sia necessario ridurlo, anche considerevolmente, ma certo non azzerarlo. Ma di quanto occorre ridurlo?
L’obiettivo finale, di lungo periodo, potrebbe essere nell’ordine del 50-60 per cento del Pil. Come abbiamo visto nel capitolo 3, per un livello di debito di questo genere, la crescita potenziale non sarebbe significativamente penalizzata. Inoltre, un debito del 50-60 per cento del Pil permetterebbe di usare la politica fiscale in senso espansivo, anche in presenza di forti recessioni, senza avvicinarci troppo a quella soglia dell’85 per cento del Pil che almeno il Fondo monetario internazionale considera come livello di guardia. Fra l’altro, un debito inferiore al 60 per cento è anche coerente con le regole europee. Ma come si può ridurre il debito pubblico, e in che tempi?
In realtà, prima di chiederci come fare, è necessario chiederci se convenga farlo. Avere dimostrato che troppo debito pubblico fa male non comporta necessariamente che sia preferibile ridurlo: la cura può essere peggiore del male stesso. Facciamo qualche esempio. Abbiamo visto che se il debito pubblico è elevato non sarà possibile aumentare il deficit per sostenere l’economia in futuro quando questa è debole. Ma se per ridurre il debito aumentiamo le tasse, non indeboliamo, oggi, l’economia? E ancora, se abbiamo un debito alto dobbiamo far pagare più tasse per pagarne gli interessi. Ma per ripagare il debito non dobbiamo tenere le tasse ancora più alte? Qui sta appunto la difficoltà nel ridurre il debito pubblico: non si può farlo con un colpo di bacchetta magica e non è un processo privo di costi. Valutare questi costi per le diverse alternative possibili e confrontarli con i benefici di ridurre il debito costituirà l’oggetto del resto del libro.
Di soluzioni ce ne sono tante, ma poche sono quelle buone. Inizieremo con lo sgombrare il campo da alcune scorciatoie che riemergono ogni volta che si parla di debito pubblico, e che sono state particolarmente in voga negli ultimi anni perché sostenute esplicitamente da alcuni partiti politici italiani: primo, la reintroduzione della nostra moneta che, si sostiene, fra gli altri benefici faciliterebbe anche il finanziamento del debito; e, secondo, il ripudio del debito, un’operazione chirurgica per rimuovere il problema in tempi brevi. Fra l’altro, sarebbe difficile uscire dall’euro senza ristrutturare il debito pubblico, mentre una ristrutturazione del debito senza un’uscita dall’area dell’euro sarebbe possibile. È stato fatto in Grecia, anche se con risultati non molto convincenti. A complemento di questa discussione apriremo, infatti, nel capitolo 8, una parentesi sulla crisi greca. Discuteremo poi una terza scorciatoia, meno rivoluzionaria, la mutualizzazione del debito a livello europeo, chiedendo in sostanza l’aiuto dei nostri partner continentali per rendere il nostro debito più sostenibile, un’idea valida di per sé, ma secondo me irrealizzabile in pratica per motivi politici. La quarta soluzione è di vendere i “gioielli della Corona”, ovvero privatizzare le attività dello stato o comunque valorizzarle: sarebbe bello ma, come vedremo, non se ne può ricavare abbastanza da eliminare il problema del debito.
Infine, passeremo alle soluzioni più ortodosse, che, alla fine, sono quelle che possono dare i migliori risultati: primo, un certo grado di austerità, non cadendo in eccessi ma neanche pretendendo che il problema possa essere risolto senza rinunciare a qualcosa e senza una pianificazione dell’aggiustamento che lo renda credibile e sostenibile nel tempo; e, secondo, un’accelerazione della crescita attraverso le riforme. Questa strada non sarà facile e ci sembra forse improbabile che possa essere percorsa fino in fondo. Ma, se procediamo per esclusione, come dice Conan Doyle, quel che resta deve essere la soluzione corretta.