Prefazione
Il libro di Corrado Stajano, Un eroe borghese, ha delle insolite qualità di montaggio narrativo e di stile unite al coraggioso impegno civile e alla non facile capacità di far luce su uno dei più complicati e scandalosi misteri politico-finanziari dell’Italia democristiana. Nel ricostruire la tragica e solitaria avventura di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore del grande impero bancario di Michela Sindona, Stajano ha fatto ricorso a un metodo narrativo che procede non linearmente, secondo la successione più o meno prevedibile dei fatti raccontati, ma per serie di situazioni fulmineamente accostate secondo nessi e associazioni impreviste, così da riprodurre sulla pagina quella sorta di spirale, di fatale convergenza sincronica con cui i fatti si dispongono nella loro confusione apparente, proprio nel momento in cui il loro sviluppo, il loro succedersi si rivela in tutta la sua coerenza e in tutta la sua chiarezza. Il lettore viene portato per mano, con piccoli, minuscoli accorgimenti, quasi trascurati tratti di stile, al centro della storia, la cui crescente drammaticità ha sede nella realtà raccontata e non nella retorica di chi racconta. Stajano non concede nulla a quello stereotipo di giornalista-scrittore, di giornalista maître-à-penser, di giornalista-solone che ci viene quotidianamente inflitto dalle testate dei nostri maggiori fogli nazionali. Stajano è uno di noi, un cittadino come noi, che si rompe la testa sulla documentazione di un delitto incredibile e si fa le nostre stesse domande. La novità e originalità del suo libro è anche una novità di linguaggio, che prevede l’abbandono delle formule tipo libro inchiesta o racconto giallo, e si cimenta con uno stile senza precedenti e senza modelli: uno stile che ha qualcosa del montaggio cinematografico e della combinazione scientifica di elementi apparentemente disorganici, apparentemente eterogenei, quanto interagenti in un quadro di realtà che ci sfugge proprio mentre lo abbiamo sotto gli occhi.
A questi valori di forma e di stile, si aggiunge nel libro di Stajano una libertà e un’indipendenza di giudizio rarissime e quasi introvabili nel saggismo italiano di tipo politico, dominato o dall’ideologia o dalla sudditanza a gruppi e schieramenti di potere intellettuale e politico già costituiti. Stajano è solo, davanti alla sua ricerca e al suo argomento, né più né meno, fatte le debite proporzioni, del suo Giorgio Ambrosoli davanti al suo tavolo di lavoro. Grazie a questa sintonia tra personaggio e autore, la storia del crack di Sindona, e poi la storia degli ostinati, mai domi tentativi democristiani di salvataggio del «salvatore della lira» - secondo la comica definizione, purtroppo di comicità solo involontaria, che di Sindona fu data da Andreotti in una memoranda occasione - si dipana con logica impressionante. A uccidere Ambrosoli fu non la necessità, ma la vendetta. Ma vendetta di che? Secondo una logica che nel nostro paese trova un senso e un consenso sempre più crescenti e sempre meno silenziosi, il vero colpevole, il cornuto, il piantagrane, lo «scassacazzi», quello che non sta alle regole non era Sindona, responsabile dopotutto d’interpretare solo un po’ più liberamente di altri certi meccanismi di autofinanziamento, ma Ambrosoli, responsabile, lui sì, d’interpretare con irresponsabile, infantile, inverecondo attaccamento alla propria immagine di uomo onesto il mandato che gli era stato affidato. Sarebbe bastata soltanto un po’ di quella corta memoria che affligge i nostri ministri quando si trovano in un’aula di tribunale, per garantire a Sindona le sue banche, e a Ambrosoli la vita. A perdere Ambrosoli, a fargli il vuoto intorno, non fu nemmeno la sua onestà - questa virtù così imperdonabile. Fu lo stupore degli avversari. Ambrosoli era stato chiamato a liquidare le banche di Sindona nella presunzione, e forse nella speranza, che nessuno avrebbe mai saputo né potuto districarsi nei labirinti finanziari ideati dall’ineffabile «salvatore della lira». Ambrosoli ci riuscì - e non bisogna essere così bravi quando si è incorruttibili, non è vero?
Cesare Garboli
(1991)