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Una telefonata a
Anna verso le undici di sera previo rapido avvertimento pomeridiano
di farsi trovare pronta al telefono, da una cabina ad un incrocio
di Strada Maggiore. E' da parecchio che non le telefono,
sicuramente da almeno un paio di settimane prima di passare la
notte con Elena, e da quella notte è già passata un'altra settimana
- non ho più visto Elena, nel frattempo, dev'essere tornata a casa
per qualche tempo. La scheda viene mangiata dalla macchinetta,
qualche attimo di pausa e poi compare l'importo sul display, è una
scheda già usata ma una bella chiacchierata ci sta comunque.
Picchio con emozione sullo "0", poi sul "3", poi sullo "0"; ed è
come fare un pezzo di strada verso casa. Poi comincia il suo
numero, un "3", un "5", un altro "3" e via via tutti gli altri.
Pausa. C'è una pianura da attraversare, una pianura deserta e
nebbiosa a quest'ora di sera. Lo squillo del suo telefono, e la
solita inesplicabile paura. Spero che risponda subito, non vorrei
disturbare nessuno. Un altro squillo. Un'improvvisa ondata di paura
mi assale perchè questa telefonata è troppo importante per me, ha
una sua precisa collocazione spazio-temporale e non potrei
sopportare di rimandare, perderei tutto e mi riempirei - già lo so,
conosco le mie debolezze - di una cupa, immotivata e per questo più
profonda malinconia.
Ma la sua voce mi
risponde "Pronto" ed è come un'adorabile doccia fresca a
Ferragosto, come spalancare le finestre in primavera dopo un
temporale e godere l'abbraccio di una morbida brezza con l'odore
dell'erba bagnata e dei fiori che ricominciano a
sbocciare.
- Ciao, stella -
dico io e sento l'istante di gioia iniziale che ci pervade
entrambi, e quest'attimo è il momento più importante di tutta la
telefonata, d'ora in poi saremo schiavi solo di un umanissimo
bisogno di raccontarci tutto per soddisfare le nostre curiosità e
di scambiarci qualche parola dolce, ma il succo di tutto è in
questa iniziale breve vampata di felicità e di comunione,
quell'immenso abbraccio scambiato solo mentalmente, senza parole e
senza contatto fisico. Ora siamo davvero vicini e innamorati,
perchè "se desideri con tutto il cuore essere accanto a qualcuno
che ami, forse non ci sei già?" Ogni altra parola ci allontanerà da
questa nostra temporanea vicinanza spirituale e ci riporterà nella
nostra condizione materiale di corpi divisi da 180 chilometri di
pianura. Entrambi lo sappiamo ed entrambi esitiamo qualche attimo
in silenzio.
- Ciao -, mi dice
tranquilla e con quella sua cadenza strana, come se fosse un ciao
di congedo anzichè di benvenuto.
- Come stai? - le
chiedo.
- Sola - mi risponde
tentando di farla apparire come una battuta.
- No, dai - insisto.
- Non mi dire così, perchè poi anch'io mi sento solo -
- Sei tu che sei via
-, mi incalza subito crudelmente e io rischio di incazzarmi ma sono
troppo perso nella sua voce per poter pensare ad altro che ad
amarla. Lei sente il silenzio e capisce di aver detto una cosa
pericolosa e subito aggiunge: - Dimmi qualcosa, dai. E' tanto che
non ci sentiamo.
Io taccio ancora un
istante immaginandola con la cornetta in mano, stesa sul letto o
sul divano con uno dei suoi pigiamoni felpati o il suo preferito,
quello da uomo, che le piace perchè ha le gambe lunghe mentre gli
altri terminano sul polpaccio; immagino i suoi occhi persi di volta
in volta sul soffitto, o per terra, o contro la parete opposta;
immagino il gatto che gira blando leggero silenzioso etereo per la
camera e magari salta sul letto e le passa accanto e lei gli sfiora
la coda con le dita.
Per un attimo
rischio di affogare nelle dolci dense cascate del ricordo. Poi mi
riprendo.
- Lo so, mi sono
immerso completamente in quello che mi sta succedendo. Mi sto
divertendo da matti. Sai, Ramon mi fa conoscere un sacco di gente.
E' troppo forte.
- Io lo odio, tuo
cugino - mi interrompe lei ridendo.
- No, se lo
conoscessi non lo odieresti. E' un artista. E' pieno di energia...
Dio, non te lo farò mai conoscere, potresti innamorarti di
lui.
- Non ci sperare...
non finchè ci sei tu in giro. - mi interrompe lei con una frase
detta ridendo, con una romantica esagerazione che mi fa comunque
piacere, grazie al tono della sua voce, è una bella sensazione che
magicamente passa atraverso il filo del telefono - amato carissimo
filo surriscaldato dalle nostre emozioni che lo percorrono in forma
di parole, e queste parole poi diventano gabbie nelle quali le
nostre passioni a malapena accettano di stare, e rischiano di
esplodere. E' per questo che il filo del telefono scotta, brucia
per la rabbia di sentimenti ingabbiati; ma rimane un romantico
messaggero, come un paggetto che porti messaggi d'amore da una casa
all'altra, da una città a un'altra, da un cuore a un
altro.
Sento un'ondata
d'affetto che mi zittisce per qualche istante. Ne sono realmente
degno? In realtà non ci ho mai pensato veramente, l'inquietudine mi
spinge a destra e a manca ma non bado molto alle reazioni della
gente, mi sono sentito sempre più solo negli ultimi tempi... fino a
che ho incontrato Anna, adorabile dono del cielo, inaspettato e
fantastico regalo.
-Tu sei stupenda,
Anna - le rispondo, - Dio mio, sei troppo forte. Ma dove ti ho
trovata, nell'uovo di Pasqua?
Sento il suo sorriso
che mi brucia nel cuore, la immagino mentre le sue labbra si
piegano all'insù a pochi centimetri di distanza dal ricevitore,
nella sua casa silenziosa, semi-addormentata, in una camera dolce
di poster colorati e di musica soft, con le mie lettere sparse sul
comodino e il suo profumo che aleggia.
- E allora, che
intenzioni hai?
- In che
senso?
- Quando torni a
casa? - Eccola, perfida. Aspetta di colpirmi dritto nel cuore e di
farmi sentire quanto mi manca per poi pormi la fatidica domanda,
ogni volta.
- Non lo so, non lo
so ancora. Verrò a trovarti presto, sì... - non le ho già dette,
queste parole? Il fatto è che VORREI partire all'istante solo per
rivederla, per abbracciarla, la sua voce mi basta per essere di
nuovo pazzo di lei, non so quale oscura forza mi trattiene qui in
questa cabina anzichè lasciarmi correre come un pazzo fino in
stazione e saltare sul primo treno per Brescia.
Non lo farò. Non la
andrò a trovare. Mi incatenerebbe a lei, ne sono certo. E io sono
un animale selvatico, con il brutto vizio di affezionarsi in
fretta.
- Sì, ci credo. - mi
risponde diffidente.
- Perchè non vieni
tu a trovarmi? - le propongo.
- Ci ho pensato, ma
non ti sento mai. Non so nemmeno cosa fai tutti i
giorni.
- Oh, be', in
effetti ho delle giornate piene, ma se vieni tu sospendo tutto. Ti
faccio da guida turistica. Con un programma
particolare.
- Sì? E che
cosa?
Sorrido. - Be', è
troppo bella la casa di Ramon, devi vederla. Devi conoscerlo. E
poi, magari, posso farti vedere una collezione di
farfalle...
-
Scemo.
- Oh, dai,
scherzavo.
- Sì,
sì.
C'è ancora qualche
attimo di silenzio, felice ma pericoloso, destinato a infrangere
l'illusoria serenità Made in Telecom e a ricordarci la nostra
stupida mortale condizione fisica di lontananza.
- Oh, Anna. -
comincio senza saper che altro dire, solo per rompere quel
maledetto silenzio.
- Cosa
c'è?
- Stai bene? Cioè,
intendo dire, sei allegra? Ti diverti?
- Sì. - Ma è un "sì"
privo di convinzione, come tuffarsi in una piscina
vuota.
- Senti, quello che
voglio dire è che voglio che tu stia bene, c'è un sacco di gente lì
intorno...
- Questo è un
discorso del cazzo e lo sai benissimo. Io ti penso ogni
giorno.
- Anch'io ti penso
ogni giorno, giuro, ti ho scritto un'altra lettera ieri sera... a
proposito, m'è arrivata la tua... grazie, è bellissima. Soprattutto
i disegnini sulla busta.
- Ti
piacciono?
- Sì, sono davvero
belli.
- Li ho fatti a
scuola. Durante le ore di lezione. Ecco, io non sto neanche attenta
alle lezioni per colpa tua. E tu vai via e mi lasci qua da
sola.
Sospiro. Mi prende
con le unghie. Risento le sue mani artigliate sulle maniche del mio
giubbino, in quella fredda mattinata di sole obliquo in stazione,
qualche tempo prima. Mi manca da morire, questa
ragazza.
- Mi manchi da
morire.
Sento un ruggito di
rabbia soffocato, e poi la sua voce concitata e nervosa: - Vedi,
non è vero, perchè altrimenti torneresti, e invece sono due mesi
che sei via e non ti fai più vedere. E se io avessi voglia di
stringerti?
- Lo sai perchè non
torno, te l'ho già spiegato. Sto vivendo la mia migliore occasione,
e se tu davvero ci tieni a me dovresti capire quanto è
importante.
Attimi di pausa.
Vorrei che parlassimo d'altro.
- Lo so -, comincia
con voce debole - ma è che anche tu mi manchi. Davvero. Anche
adesso, ecco, appena metti giù già mi manchi.
- Anna, io ti voglio
troppo bene. Fai finta che io ti stia abbracciando,
adesso.
- Non
funziona.
- Che
peccato.
- Mi dispiace, devi
proprio venire a casa.
Ma mi sta
ascoltando?, mi chiedo. Intendo dire, non sentire le mie parole
come un rumore qualsiasi; dico ascoltare, capire, avere lo stesso
alfabeto. Magari sto parlando con un'intelligenza artificiale.
Anzi, con una stupidità artificiale. Riproviamo.
- Anna io sono lì,
lì con te. Questo lo sai. E tu sei dentro di me. Non essere
materiale, ti prego. Anch'io avrei voglia di stringerti, ma non
dobbiamo essere così banali. Oh, Dio, che discorsi mielosi stiamo
facendo! Su, piccola! Stiamo facendo la nostra vita, non credi? Non
dovrebbe renderci felice, questa cosa?
- La fai semplice,
tu.
- No, è che è
davvero così. Dovresti davvero venire qui a provare come è facile
cambiare le proprie abitudini, i pensieri... in poco tempo ti
sembra di non aver fatto altro in tutta la vita. Sai, è troppo
importante, questo.
- Vuol dire che ti
trasferirai definitivamente lì?
- Non ne ho idea.
Non ho idea di cosa ci sia nel mio futuro. Certo, sarebbe bello.
Che ne dici? Io trovo una casa qui, tu finisci la scuola poi mi
raggiungi qui e ci sposiamo.
- Non dirlo perchè
poi lo faccio davvero. Anzi, non aspetto nemmeno di finire la
scuola.
Sospiro.
- Ma cos'hai nella
testa? - mi chiede sconsolata.
Sorrido prima di
risponderle.
- Non lo so, Anna.
Non lo so. Ma so che non voglio più compromessi, capisci? Mi sento
vero, qui, mi sento pieno più che mai. E' terribile, quando cominci
a farti sul serio la tua vita poi non riesci più a smettere, poi
non hai più paura di niente e non ti trattieni più, ed è solo così
che puoi andare lontano. Capisci?
- Capisco solo che
deve passare ancora un po' di tempo prima che io ti capisca. Non
posso che augurarti buona fortuna, e spero che mi aspetterai
davvero.
- Sicuro che ti
aspetterò. Già ti aspetto e ti aspetterò per sempre.
Cosa mi succede? Io
che dico "per sempre"? Non è che devo farmi perdonare
qualcosa?
- Mia madre è
contenta che tu sia andato via - riprende lei dopo qualche attimo
di silenzio. - Dice che la bolletta del telefono di questo mese è
la metà del solito.
- Be', vedi che c'è
anche qualcosa di positivo?
Poche risate
forzate.
- Vuoi dire che
tutte le tue telefonate erano per me? - riprendo.
- Praticamente. Mi
sto scazzando da morire.
- Perchè? Cosa fai
tutto il giorno?
- Studio, o almeno
ci provo. Poi capita che mi perdo via a ascoltare la musica, o
magari mi metto a massacrare qualche pezzo con la chitarra. Sono un
disastro.
- No, dovresti
impegnarti. E' troppo bello suonare.
- Senti, non
rompere. Ho tutto il diritto di buttare via i miei pomeriggi, va
bene?
- Va
bene.
- E mi raccomando,
tu non sentirti in colpa nemmeno un po', vero? Perchè non è a te
che penso, okay? Non sei tu che mi fai smettere di studiare. Non
apro il diario e rileggo le tue lettere. Non ti penso mai,
guarda.
- Sei sempre un
tesoro.
-
Leccaculo.
Quando dice così
vuol dire che è felice.
- Dai, ti vengo a
trovare Domenica - mi propone all'improvviso.
- Oddio...
davvero?
- Perchè
no?
Già, perchè no?
Eppure una strana paura mi assale all'improvviso. Mi manca già da
morire e mi riempie di dubbi ora che solo sento la sua voce, cosa
succederà se la vedo di persona?
- Non so... niente,
niente. Ma questa Domenica ho paura che saremo via.
- Ecco. Non mi vuoi
vedere, insomma.
- Che cazzo dici?
Non ci sono Domenica, ecco tutto. Ci vedremo presto, fidati di me.
- In realtà non merito nemmeno un briciolo di fiducia e me ne rendo
conto, dirò di più, non VOGLIO nemmeno che si fidi di me perchè
avere qualcuno che si fida di te è una grossa responsabilità e ora
non voglio responsabilità, voglio essere egoista come un bambino
appena nato.
- Certo certo.
"Fidati di me". E' ovvio che mi fido di te, altrimenti ti avrei già
mandato a farti benedire. Anche se a dir la verità non so nemmeno
perchè mi fido.
- Non dire sempre
che non sai perchè. Non c'è niente di male, sai? Lo sai benissimo
il perchè, è lo stesso motivo per cui io ti telefono a quest'ora di
sera invece che essere altrove.
- Grazie tante, sai
che sforzo.
Non l'ha presa bene.
Mi rendo conto che suona male, ma quello che ho detto aveva un
senso.
- Non hai capito -
riprendo. Faccio un istante di pausa per trovare le parole giuste.
- Vorrei farti capire quanto sei importante per me anche se dal
lato pratico non sembra. Vorrei che tu sapessi che ti porto dentro
ovunque sono, e che non ti servono le mie telefonate e le mie
parole ogni giorno per sentirmi vicino. Vorrei che capissi
questo... quello che mi preoccupa è che io questo non te lo potrò
mai dare, capisci? Ti posso riempire di dolcezza quando siamo
vicini, ma non sarò attaccato a te, lo sai. Devi fidarti di me se
vuoi, se pensi che ne valga la pena. Io ti darò tutto quello che
posso e soprattutto io ti cercherò e ti terrò sempre dentro di me.
Sei unica nella mia vita e non ti dimenticherò mai, qualsiasi cosa
succeda. -
Non so se l'ho
convinta del tutto. Devo fare qualcos'altro.
- Senti, per
Domenica dobbiamo decidere domani, io e Ramon. Se non andiamo via
ti chiamo subito e allora magari ci vediamo. Tu tieniti libera,
okay?
- Okay. Ah, senti,
porta Ramon in giro fino a tardi senza giubbotto, stanotte. Così si
prende una broncopolmonite e Domenica non andate da nessuna
parte.
- Sei una
peste.
- Sì.
E in un attimo
mentre la penso ho queste pericolose visioni di noi due che
viaggiamo insieme, chilometri in macchina mentre io guido e lei
dorme, e poi si sveglia e mi bacia, oppure in treno dormiamo
abbracciati e poi su un prato, nelle città camminando mano nella
mano, e poi su una scogliera a parlare di tutto quello che abbiamo
appena visto, cosa ci ha lasciato, e quando le parole si
esauriscono ci guardiamo in silenzio e guardiamo il mare mentre il
vento agita i nostri capelli.
- Sì, cavolo, devi
venire qui così ti faccio conoscere un po' di gente.
- Tanto per me i
bolognesi sono tutti antipatici.
- Vuoi sapere la
verità? Non ne ho conosciuto nemmeno uno. Tutte le persone che
Ramon mi ha fatto conoscere vengono da altre parti d'Italia. Le
uniche persone di Bologna che frequento sono quelle che lavorano
nei negozi.
Era proprio così, e
questo mi piaceva di Bologna, città di stranieri, meta preferita
dei ragazzi che si spostano, che mollano le loro radici per trovare
qualcosa di nuovo, più che altro dentro se stessi; gente che con
coraggio fugge dalle abitudini e dalla comodità per abbracciare la
vita e trovare il proprio spirito.
- Non importa. E'
l'aria di Bologna che rovina le persone.
- Dici? Ma se tutti
sono così felici, qui?
- Fanno finta. Anche
tu non sei così felice come dici. Lo sento dalla tua
voce.
- Tu sei fissata.
Oh, sta finendo la scheda. Ci siamo. Ti saluto.
- Quando mi
richiami?
- Non so. Presto,
comunque: lo sai che non resisto senza sentirti.
- Ti
odio.
- Io ti amo. E non è
vero che tu mi odi.
Pausa. E proprio in
quel momento la linea cade, la scheda viene sputata fuori dalla
macchinetta e una luce rossa comincia a lampeggiare, mentre dalla
cornetta un insistente suono ritmico tipo allarme antiaereo
sottolinea che non c'è più nessuno dall'altra parte del filo. Il
perfido telefono ci ha regalato qualche attimo di illusoria
vicinanza salvo poi strapparcela e separarci con un improvviso
colpo d'accetta. Sto così qualche istante, quasi incredulo, poi
riattacco, piglio la scheda e la guardo sconsolato, e infine la
lascio cadere a terra e me ne esco nella fresca aria di Strada
Maggiore.
Cammino verso le due
torri lentamente, lasciando che i miei stivali picchino sul
marciapiede - non ho voglia di stare sotto i portici, stasera. Sto
ripensando alle ultime parole di Anna, quando ha detto che non mi
sente davvero felice. Ha preso un abbaglio, mi dico. Sto vivendo in
quello che oserei definire il mio habitat naturale, pieno di vita
ed energia e mille cose da fare ad ogni momento, una stupenda città
in cui il centro storico è un viavai di gente a tutte le ore, fino
a tardi - anche adesso mi tocca ogni tanto spostarmi per evitare
gruppetti di persone -. e librerie, tante e grandi e aperte fino
alle due di notte nelle quali non solo è bello andare a cercare un
libro ma addirittura stare e sfogliare pagine, come mi ha insegnato
Ramon; e poi osterie per tutti i gusti, in tutti gli stili, con
tutte le musiche, tutte rigorosamente affollate in ogni giorno
della settimana - non riusciresti a sentirti solo neanche se lo
volessi. C'è mio cugino Ramon che sta vivendo un'esperienza
eccezionale, è riuscito a emergere dalla banale quotidiana lotta
per la sopravvivenza, e io ora posso stare con lui e imparare tutto
ciò che c'è da imparare - ho un vero maestro, finalmente. E' pieno
di persone interessanti e l'aria è frizzante ed è bello girare
quando piove senza ombrello e saltare su uno dei mille autobus che
passano ad ogni istante, e fare un salto alla Montagnola di Venerdì
e perdersi tra le bancarelle dove vendono veramente di tutto;
passeggiare lungo i portici ad alto scorrimento di via Indipendenza
e il saliscendi di piazza VIII Agosto; posso affacciarmi dalla
finestra della camera dove dormo e vedere la torre più alta, e se
scendo in due minuti sono in piazza Ravegnana, all'ombra dei due
colossi che dominano il centro, illuminati con effetto onda sotto
Natale; posso entrare nelle latterie e gustarmi un cappuccio a metà
mattina con una brioche morbida e godermi un'accesa discussione
sulle ultime partite della Virtus e della Fortitudo; apro il
giornale e leggo ogni giorno di concerti o manifestazioni, che a
Bologna succede di tutto, dal Motor Show che riempie la città di
altri forestieri, ad Arte in Fiera dove trovi tutti i fumetti che
vuoi, alle partite della nazionale bosniaca al Dall'Ara, alle prime
visioni dei più bei film italiani; posso andare al cinema, a uno
dei quasi quaranta cinema che ci sono in città, e sicuro che tutti
i più bei film del momento sono fuori.
Insomma, è perfetto,
qui.
Già, sì, ma allora
cos'era quel velo di tristezza che mi cominciò a prendere da quella
sera in poi quando mi stavo per addormentare, all'inizio quasi
impercettibile come un granello di sabbia e poi, col passare dei
giorni, sempre più grande, più presente, più incombente? C'era
ancora qualcosa che non andava.
Proprio sul più
bello, insomma.
Sempre così la mia
vita.