Capita anche adesso.
Talora nemmeno mi accorgo di puntare sul mio interlocutore uno sguardo eloquente che magari lo spinge a rivedere le sue posizioni oppure lo induce a non prendermi sotto gamba. Può darsi che in campo abbia funzionato nei confronti di qualche avversario che pensava di farmi fesso in virtù della mia giovane età.
Di certo ha funzionato non molto tempo fa.
Mi capita di incontrare per caso un vecchio compagno dell’istituto commerciale.
Sappiamo bene come funzionano queste cose, dopo tanti anni la confidenza, se mai c’è stata, è svanita, c’è un po’ di imbarazzo, magari si maledice mentalmente l’occasione che crea solo impaccio e sorrisi imbarazzati. L’altro però insiste a ricordare i vecchi tempi condivisi con un futuro campione del mondo e si forza a ricordare episodi tra i quali uno secondo il quale io avrei lanciato un cancellino contro una professoressa.
Ricordo quasi tutti i lanci effettuati nel corso della mia carriera, quello no. E non perché abbia cancellato la “memoria del reato”. Ma solo perché, vuoi per carattere vuoi per educazione, mi sono sempre astenuto da gesti irrispettosi.
Così parte il mio sguardo in tralice.
La mimica facciale è di gesso, solo gli occhi si muovono mentre le palpebre si abbassano un poco dando a quello sguardo un taglio tutto particolare.
Poi parlo, gli chiedo se è sicuro di ciò che ha appena raccontato.
E lui, alzando gli occhi come se scrutasse dentro al passato più remoto, si arrende a confessare che forse ricorda male, che forse a compiere quel gesto è stato un altro eccetera.
“Bene così”, gli dico.
Scherza coi fanti ma lascia stare i baffi.
Dopodiché, arrivederci e auguri.