Buio. Parte il tema di «Via col vento». A poco a poco la scena si illumina rivelando la sagoma di Kurt Cobain e alle sue spalle un fondale con un cielo azzurro e nuvole bianche. La musica scema. A questo punto si sente soltanto la voce di Kurt Cobain che canticchia a mezza bocca. Parlerà con un tono stanco, strascicato e privo di entusiasmo per tutta l'intervista, come non gli importasse più nulla di nulla.

KURT (canticchiando tra sé a mezza bocca): I'm so happy... 'cause today... I've found my friends... I'm so excited... It's ok... my will is good... yeah yeah yeah... yeah yeah yeah...

Entra il conduttore.

CONDUTTORE: Buonasera al pubblico del Paradiso e buonasera a Kurt Cobain, una delle rockstar più amate dalle giovani generazioni. Parleremo con lui della sua controversa vita e naturalmente del modo violento in cui se l'è tolta. Allora, signor Cobain, come andiamo?

KURT: Mi sono sparato in vena abbastanza roba da stendere un elefante. Poi mi sono ficcato in bocca la canna di un fucile e ho tirato il grilletto. Fai un po' tu.

CONDUTTORE: Sappiamo cosa ha fatto, signor Cobain. Siamo qui proprio per questo. Quel che intendevo è se ha cominciato ad ambientarsi, se ha avuto modo di dare un'occhiata in giro.

KURT: Un'occhiata in giro, dici.

CONDUTTORE: Sì. Credo che al pubblico interessi conoscere le sue impressioni.

KURT: Non mi pare ci sia granché da vedere. A parte le nuvolette bianche.

CONDUTTORE: Quassù è tutto così.

KURT: Quassù?

CONDUTTORE: Nell'alto dei cieli, sì.

KURT: Vuoi dire che sono in Paradiso?

CONDUTTORE: Quasi.

KURT: Fantastico. Mi ci voleva un po' di paradiso; la mia vita è stata un inferno.

CONDUTTORE: Sappiamo, sappiamo. Il soggiorno sulla terra non è stato di suo gradimento, a quanto pare. Ma non disperi. Siamo qui apposta per ascoltare le sue rimostranze e cercare di venirne a capo. Chiariremo tutto, non dubiti.

KURT: Chiarire? Ma di che cazzo parli? Mi sono appena fatto saltare il cervello. Mi sembra un po' tardi per chiarire. Fanculo te e le tue nuvolette.

CONDUTTORE: Ehm, signor Cobain...

KURT: Non insistere, lasciami morire in pace.

CONDUTTORE: Non voglio insistere. Solo rammentarle il luogo in cui ci troviamo.

KURT: Sì sì, me lo hai già detto, siamo in Paradiso.

CONDUTTORE: Quasi.

KURT: Va bene, quasi. E allora?

CONDUTTORE: É un luogo particolare, lei capisce.

KURT: Ah... Non si può dire cazzo in Paradiso, vero?

CONDUTTORE: Sarebbe meglio evitare, sa com'è.

KURT: No, non so com'è. Vedi, è la prima volta che mi sparo in bocca. Cioè, era un sacco di tempo che pensavo alla possibilità di andarmene davvero all'altro mondo. E ci ho anche già provato. Un mesetto fa. A Roma. In un albergo che si trova nella strada dove hanno girato quel famoso film...

CONDUTTORE: Via Veneto. La strada della Dolce Vita.

KURT: Proprio quella. Io però ho cercato di darmi una dolce morte. Ho ingollato una boccetta di Roipnol insieme a una bottiglia di champagne. Mi hanno preso per i capelli, come si dice. Ma non è durata. Ormai ero entrato in un vicolo cieco. Dopo qualche settimana ci ho riprovato e ci sono riuscito. Ma avessi saputo che mi aspettavano solo nuvolette bianche e una specie di maggiordomo che mi dice di stare attento agli aggettivi, mica mi suicidavo. Forse è meglio se mi mandate all'Inferno.

CONDUTTORE: Siamo ancora in tempo, signor Cobain.La sua posizione deve essere ancora chiarita e valutata.

KURT: Se è così, non state a perdere tempo. Non mi sento granché adatto per il Paradiso. Non ho mai ammazzato nessuno ma non sono nemmeno uno stinco di santo. Mi drogavo, commettevo atti impuri, dicevo un sacco di aggettivi. Insomma, non che è abbia seguito alla lettera i comandamenti.

CONDUTTORE: Sappiamo, sappiamo. Conosciamo le sue cattive abitudini di quando era ancora vivo. Fortunatamente si tratta di peccati veniali, piccole trasgressioni che, in sé, non comprometterebbero la sua ammissione. Il problema è un altro.

KURT: Quale?

CONDUTTORE: Il suo suicidio, signor Cobain.

KURT: Il mio suicidio è una cosa che non vi riguarda. Non era mica vostro il cervello che ho fatto esplodere.

CONDUTTORE: Non è questo il punto. La vita è un dono divino; togliersela di propria iniziativa non è un gesto molto apprezzato nelle alte sfere.

KURT: Il boss della situazione si è offeso, eh, maggiordomo? È questo il problema?

CONDUTTORE: Un regalo è sempre un regalo, non è gentile rifiutarlo. Com'è che dite sulla Terra? A caval donato non si guarda in bocca.

KURT: Sì, come no. Meglio un uovo oggi che una gallina domani, la salute è tutto, il silenzio è d'oro. Mai dette certe stronzate, io. E comunque non è mica di un cavallo che stiamo parlando, ma di me. E nella bocca mia ci guardo eccome, se permetti. Dovresti dire alle alte sfere di metterci un po' più di impegno nel fare i regali. Non è che basti sempre il pensiero. Un regalo è un regalo, ma anche una vita di merda è una vita merda.

CONDUTTORE: Mi scusi, signor Cobain, non mi sembra che le cose andassero poi tanto male. Era diventato una stella del rock, i giovani la adoravano, aveva venduto milioni di dischi in tutto il mondo e guadagnato soldi a palate. Poteva avere quel che voleva. Persino qui in Paradiso c'è gente che venderebbe l'anima per una vita come la sua.

KURT: Si vede che persino in Paradiso c'è gente che non sa niente della vita. Quando ero ragazzino mi piacevano i Beatles. Speravo che un giorno li avrei visti suonare dal vivo. Poi ho scoperto che non esistevano più. Si erano sciolti da un sacco di tempo, ma io lo ignoravo.

CONDUTTORE: Sì, ma che c'entra?

KURT: Tutti credono di sapere ciò che vogliono, ma nessuno ti può assicurare se quella cosa esiste davvero o è davvero come te la immagini. Lo devi scoprire da solo. Io da piccolo pensavo di essere un bambino come tutti gli altri, mi sentivo persino felice. Poi i miei genitori si sono separati e sono andato a vivere con mio padre in una roulotte del cazzo. Mi è crollato il mondo addosso.

CONDUTTORE: Le ho già detto di non disperare, signor Cobain. Siamo qui apposta per chiarire e valutare.

Ripercorreremo insieme le tappe della sua esistenza, dopodiché sarà il pubblico a decidere se effettivamente ha sofferto più del dovuto. Se è così, stia tranquillo che tutto si sistemerà: un posto in Paradiso non glielo nega nessuno.

KURT: Che pubblico? Ci siamo solo noi due quassù.

CONDUTTORE: Il pubblico che ci guarda dal Paradiso.

KURT: Come sarebbe? Mi hai detto che c'ero già, in paradiso?

CONDUTTORE: No, ho detto quasi. Per l'alto dei cieli vero e proprio manca ancora una piccola formalità.

KURT: Mi state facendo fare anticamera?

CONDUTTORE: Faccia conto di essere in televisione. Io le pongo qualche domanda, lei risponde, e il pubblico che è in Paradiso guarda e ascolta. Un'intervista, in pratica. Ci sarà abituato. Lei era una persona famosa, dopotutto. Chissà quante ne avrà fatte da vivo.

KURT: Troppe.

CONDUTTORE: Posso capire, ma una in più una in meno...

KURT: E dimmi, maggiordomo: tutte queste nuvolette bianche sarebbero le telecamere?

CONDUTTORE: Sono solo parte del paesaggio, ma se a lei piace pensarle come telecamere è liberissimo di farlo.

KURT: Poi cosa succede?

CONDUTTORE: Alla fine, intende?

KURT: Sì, alla fine di questa stronzata.

CONDUTTORE: Il pubblico che è in Paradiso decide. Ognuno dei residenti nell'alto dei cieli esprime la propria opinione mediante una procedura che potremmo paragonare al televoto di certi reality show.

KURT: Mi stai dicendo che tutta la gente morta dalla notte dei tempi ci sta guardando e voterà per stabilire se devo andare all'Inferno o in Paradiso?

CONDUTTORE: Più o meno.

KURT: Pensavo fosse il boss a decidere certe cose.

CONDUTTORE: Il boss?

KURT: Sì, il boss. Voglio dire: il capoccia, il comandante in capo, Dio, com'è che lo chiamate da queste parti?

CONDUTTORE: Da queste parti siamo tutti Dio. Accedendo all'alto dei cieli si diventa un tutt'uno con il boss, come lo chiama lei. Ciò nonostante, ognuno mantiene la propria individualità, questo al fine di godere della gloria eterna, giacché se non c'è individualità non c'è godimento. Mi segue?

KURT: Per niente.

CONDUTTORE: Non importa. Mettiamola così: il Paradiso è un posto molto democratico. Ma non perdiamo altro tempo, che la lista delle persone da intervistare è lunga. Prima diceva di aver vissuto un periodo in cui è stato felice.

KURT: Sì, quando ero molto piccolo. Avrò avuto cinque o sei anni.

CONDUTTORE: Si sentiva amato dai suoi?

KURT: Oh sì. All'inizio, perlomeno. I miei mi compravano qualunque cosa: avevano il terrore della povertà. Mi ripetevano in continuazione di evitare le cattive compagnie, che per loro erano i bambini delle famiglie più povere. Per farmi capire che noi non eravamo poveri, mi riempivano di regali. Mi vestivano di tutto punto, quasi come te, maggiordomo. Mi sa che dovevo sembrare un piccolo lord del cazzo. La verità però è che i miei erano dei poveracci. Mio padre lavorava in un distributore di benzina. Era un meccanico, pensa te. Mia madre, invece, faceva quello che capitava: cameriera, segretaria... Sbarcare il lunario non è stato facile per loro, ma sono comunque riusciti a comprarsi la tipica villetta americana a due piani dotata di tutti i comfort minuscolo-borghesi. Io ero il loro bambino felice e sorridente, una creatura vivace, il centro spumeggiante dell'universo famigliare. Non potevo immaginare che quel piccolo mondo che stravedeva per me e mi riempiva di affetto era sul punto di crollarmi addosso.

CONDUTTORE: Cos'è successo?

KURT: Le cose cominciarono a non andare più tanto bene. I problemi finanziari opprimevano mio padre, mentre mia madre ce la faceva sempre meno a stare dietro a me e a mia sorella. La quotidianità li ha messi alla prova. Hanno cominciato a litigare, finché, in un bel giorno di pioggia, si sono separati e il mondo mi è crollato addosso.

CONDUTTORE: Capisco il dramma, ma non è stato mica il primo bambino con genitori divorziati.

KURT: Fanculo. Ne sono uscito distrutto. Sono diventato... come dire? triste su tutta la linea. Non mi si poteva più parlare. Ero così irascibile. Sempre accigliato. Scontroso. Divenni anche molto introverso. Potevo stare giornate intere senza pronunciare una sola parola. Mi tenevo tutto dentro. La notte, a letto, piangevo disperatamente; cercavo di trattenere il respiro fino a scoppiare. Pensavo che se mi fossi fatto esplodere la testa, qualcuno si sarebbe dispiaciuto per me e magari avrebbe fatto in modo che le cose tornassero come prima.

CONDUTTORE: É stato allora che ha cominciato a coltivare intenzioni suicide?

KURT: Probabilmente sì.

CONDUTTORE: Quanti anni aveva?

KURT: Non ricordo bene. Sette o otto, credo.

CONDUTTORE: Un po' presto per pensare di togliersi la vita.

KURT: Che ci vuoi fare, si vede che ero un bambino precoce. Comunque i guai veri sono arrivati dopo, a dieci anni, quando sono venuti fuori i miei problemi di stomaco.

CONDUTTORE: Problemi di stomaco, in che senso?

KURT: Mal di pancia. Mi ricoverarono in ospedale perché non mangiavo. Mi diedero del bario da bere e mi fecero delle lastre allo stomaco. Fu l'inizio di un calvario che mi ha accompagnato per tutta la vita. Terribili spasmi gastrici che mi facevano vomitare l'anima. Sembra assurdo a dirsi, ma alla fine mi sono sparato per un cazzo di mal di pancia. I dottori non hanno mai saputo darmi una spiegazione. Fatto sta che col tempo il dolore allo stomaco è diventato il mio pensiero fisso e il pensiero mi faceva ancora più male del dolore allo stomaco, e siccome il dolore non passava, io sprofondavo sempre più nel baratro della depressione. Incontravo sempre qualcuno che mi chiedeva: Ma perché cavolo sei depresso?

CONDUTTORE: E cosa rispondeva?

KURT: La verità: Perché sono sveglio. Perché sennò?

CONDUTTORE: Può dirci, in concreto, come ha vissuto gli anni subito dopo il divorzio dei suoi genitori?

KURT: Come un pacco postale. Mi spostavano da una casa all'altra. Per un certo tempo sono andato a vivere con mio padre in quella roulotte di cui dicevo. Gli avevo fatto promettere che non si sarebbe più risposato. Avevo paura di perderlo, lo stronzo. Mio padre acconsentì. Rimarremo insieme per sempre, tu e io, mi disse. Tempo un anno, è comparsa sulla scena una baldracca di nome Jenny. Pure lei divorziata e con due bambini. Dopo un po' si sono sposati.

CONDUTTORE: L'ha vissuta come un tradimento?

KURT: Vorrei vedere, una promessa è una promessa.

CONDUTTORE: Suo padre cercò di spiegarsi, di farle accettare la cosa in qualche modo?

KURT: Mi disse: Le cose cambiano, sai com'è. Nient'altro. Del resto non è che la gente fosse granché portata per i pensieri complessi dalle mie parti.

CONDUTTORE: Si riferisce alla sua città natale?

KURT: Sì, Aberdeen. Vuoi che ti dia un'idea del posto?

CONDUTTORE: Perché no?

KURT: É presto detto: immagina una cittadina di bifolchi dove piove trecento giorni all'anno e ci sono alberi dappertutto. Non è che puoi fare molto in un posto così. Infatti la vita quotidiana della gente di Aberdeen consiste nell'abbattere alberi e bere, scopare e bere, parlare di sesso e bere un altro po'. L'unica forma di evasione è l'alcolismo. Nessuno ha un'anima: lavorano tutti come bestie e scopano come animali. Vivere ad Aberdeen, per me, è stato come essere rinchiuso in un grande carcere.

CONDUTTORE: Sognava di andarsene, immagino.

KURT: Un piano ce l'avevo, in effetti. L'idea era quella di formare una band e andare a Seattle, distante circa duecento chilometri. Meditavo di conquistarla con la mia musica. Dopodiché il successo sarebbe dilagato in tutta l'America. Pensavo che gli Stati Uniti fossero grandi quanto il cortile di casa mia. Ben presto mi resi conto che le cose non erano così semplici come credevo. Tanto per cominciare non riuscivo a trovare nessuno che fosse disposto a formare una band con me.

CONDUTTORE: Mi sembra che un modo l'abbia trovato, alla fine.

KURT: Già, l'ho trovato.

CONDUTTORE: Lo dice senza entusiasmo. Diventare una rockstar non le ha forse portato quel che sperava?

KURT: Quel che avevo da dire al riguardo l'ho scritto in una lettera, prima di spararmi in bocca. Leggila.

CONDUTTORE: Non potrebbe essere così cortese da farci un sunto? Giusto per dare un'idea al pubblico che ci guarda dal Paradiso.

KURT: In parole povere? A un certo punto, tutte le volte che dovevo salire sul palco e suonare ho cominciato a provare una strana sensazione. Prima dell'inizio del concerto, voglio dire, quando le luci si abbassano e dalla folla si alza quel ruggito maniacale. La gente è lì fuori. In attesa. Si aspetta che tu la faccia divertire. Da principio era emozionante, mi dava energia. Ma dopo un po' l'adorazione del pubblico mi è diventata indifferente. Tutte le sere la stessa storia. Mi sembrava di timbrare il cartellino.

CONDUTTORE: Be', non poteva pretendere mica di provare in eterno lo stesso entusiasmo. Ci si abitua a tutto. Qualunque cosa, perfino la più eccitante, finisce per diventare routine. Bisogna accettarlo.

KURT: Bisogna? E chi l'ha detto? Meglio bruciare in una grande vampata che spegnersi a poco a poco. Ho scritto anche questo nella lettera.

CONDUTTORE: Mi permetta di insistere: fare il cantante è un lavoro. Senza dubbio più divertente di altri, ma pur sempre un lavoro.

KURT: É proprio questo il punto: io ho sempre odiato il lavoro. Di qualunque tipo. Mio padre, invece...

Lui aveva sviluppato un vero culto religioso per lo sgobbare, come tutti gli altri zombi alcolizzati di Aberdeen. Dopo che fu licenziato dalla stazione di servizio, venne assunto come controllore presso una ditta di legname. E sai cosa faceva quando aveva un giorno libero? Mi portava al suo nuovo posto di lavoro. Era questa la sua idea di domenica insieme. Poi mi lasciava da solo seduto nell'ufficio, mentre lui andava fuori a contare tronchi. Perché questo era il suo compito: contare tronchi. Non faceva altro tutto il giorno. Anche i giorni liberi.

CONDUTTORE: Ha mai provato a lavorare, signor Cobain? Un lavoro normale, intendo.

KURT: Quando ho mollato il liceo sono stato costretto a cercarne uno. Ma ho capito subito che tra me e il lavoro non correva buon sangue. Resistevo al massimo un paio di settimane.

CONDUTTORE: Cos'è che non andava?

KURT: Dipende. A volte il problema era che il capo era uno stronzo. Altre, invece, gli stronzi della situazione erano i miei colleghi. Il più delle volte, però, era proprio il lavoro in sé.

CONDUTTORE: E cioè?

KURT: E cioè che si trattava di un lavoro di merda.

CONDUTTORE: Che mi dice della musica? Non crede le mancherà ora che si è sparato?

KURT: Immagino di sì. Per un sacco di tempo la musica è stata la cosa più importante della mia vita. Ma poco male. Il rock non ha futuro. Non c'è più fede. Già oggi i ragazzi se ne fregano del rock: al massimo lo considerano una colonna sonora per la loro vita sociale e sessuale. Credo che le nuove generazioni faranno altri passi in questa direzione, se ne fregheranno di quel che rappresenta la musica. Si limiteranno a utilizzare i suoni all'interno delle loro macchine della realtà virtuale.

CONDUTTORE: Macchine della realtà virtuale?

KURT: Sì, tutto il futuro sarà virtuale. Ci saranno macchine che garantiranno feste virtuali, macchine per relazioni sociali virtuali, macchine per sentimenti virtuali, macchine per scopate virtuali... e anche per paradisi virtuali. Tipo questa stronzata di trasmissione.

CONDUTTORE: Si moderi, signor Cobain. Con le sue esternazioni corre il rischio di mal disporre il pubblico che ci sta guardando. E poi, perché tanto pessimismo? Le ricordo che ormai si è suicidato, è il momento di guardare il mondo con occhi diversi.

KURT: Hai ragione, maggiordomo. Ho tutta la morte davanti. Sarò ottimista. É solo che certe volte mi esce fuori questo mio lato da stronzetto sarcastico. È una cosa naturale, sai com'è. Una roba un po' grunge.

CONDUTTORE: Credo proprio sia meglio chiudere qua. Vuol fare un appello prima del televoto?

KURT: Sento di dover chiedere una cosa soltanto. Non sono mai stato in Paradiso, per cui non ho idea di che gente voi siate. Ma se qualcuno di voi odia le persone di colore diverso o gli omosessuali o le donne o è a favore della guerra o di tutte le altre stronzate che hanno ridotto il mondo nello stato in cui era quando l'ho lasciato, forse è meglio che non mi votiate. Lasciate perdere. Mandatemi pure all'Inferno e andate aff...

CONDUTTORE: Signor Cobain!

KURT: Sì, ho capito. Niente aggettivi.

CONDUTTORE: Ha qualcos'altro da dire?

KURT: A parte gli aggettivi, no.

CONDUTTORE: Bene, allora via al televoto.