EMMA DANTE (con voce tremante): É permesso?... (Silenzio). Posso entrare?... Signor Polifemo?... (Silenzio). C'è nessuno?

POLIFEMO (rimbomba una voce spaventosa): N'ata vota cu sta storia, 'a vuliti fernì, o no? Nun v'aviti sfastiriato ancora, e tutti 'i juòrni cu sta tarantella, ma 'u vuliti capì che m'aviti rotto 'o cazzo! M'aviti 'a lassà in pace. M'aviti 'a fà respira. Io nun ci 'a faccio cchiù! Facissi capo e muro ogni vota ca vi sento dìcere stu nome. E mò sta diventando un'esagerazione, una persecuzione, sulu con me v'aviti addivertì... almeno apprìmma erano sulu i ciclopi, mò se l'hanno imparato tutti quanti sta storia, chillo Omero nun teneva 'nu cazzo 'a fà chella jurnàta, proprio i fatti miei aveva 'a raccontà, m'ha fatto addiventà 'na barzelletta, e cche r'e, e cche sanghe 'e Giuda!

EMMA DANTE (spaventata): Scusate... scusate... non volevo offendervi... non vi inalberate! Forse è meglio se torno un'altra volta... mi sentite? Non volevo prendermi gioco di voi... mi tremano le gambe... non mi fate del male, signor Polifemo, vi prego... sono venuta soltanto per rivolgervi qualche domanda... per curiosità... non mi mangiate!... Ma dov'è l'uscita?... Signor Polifemo? É così buio qui dentro! Si soffoca! Dove siete?... Sono venuta di persona per parlarvi a quattr'occhi...

POLIFEMO: Ah, ma allora mu vuliti fa 'ncazzà?

EMMA DANTE: No! Abbiate pazienza... sono una cretina... proprio una cretina! He he he! Non ne azzecco una. Faccio un sacco di gaffe! Non so mai come comportarmi, le regole del bon ton proprio le sconosco. Per esempio, se uno si trova davanti a una spelonca come questa, dove non c'è il campanello e l'entrata è chiusa a metà da un enorme macigno, che fa, come si comporta? Varca la soglia in silenzio come farebbe un ladro, oppure dopo aver aspettato una buona mezz'oretta come ho fatto io, s'inoltra, sollecitando il padrone di casa a farsi vivo con la domanda retorica: c'è nessuno?

POLIFEMO: N'ata vota?

EMMA DANTE: É un modo di dire, una forma di cortesia...

POLIFEMO: Ma quale cortesia e cortesia, da quando è entrato quel nome nella mia vita, io sò ad diventato la pazziella pe' creature...

EMMA DANTE: Eh?

POLIFEMO: ...la pazziella pe' creature.

EMMA DANTE: E che cosa significa?

POLIFEMO: É un modo di dire, una forma di cortesia... pe' dicere che sono diventato lo zimbello del paese...

EMMA DANTE: Capisco!

POLIFEMO: Ehh!

EMMA DANTE: Certo, ciò che vi è successo è ridicolo!

POLIFEMO: Ridicolo, sì!

EMMA DANTE: Un giorno approda sull'isola una nave carica di stranieri, con a capo il più furbo dei furbi...

POLIFEMO: Un cornuto...

EMMA DANTE: Itacese di stirpe...

POLIFEMO: ...da Troia arrivava il figlio di puttana!

EMMA DANTE: ...dove era stato per vendicare il ratto di Elena...

POLIFEMO: ...un'altra puttana!

EMMA DANTE: Prova molto dura per lui! Insomma, sbattuto su queste sponde da venti e procelle, il forestiero scende dalla nave coi suoi uomini in cerca di cibarie e il destino lo porta fino a voi... soltanto che non vi trova in casa... dove eravate, signor Polifemo?

POLIFEMO: In officina, a costruire i fulmini per Zeus.

EMMA DANTE: Ah certo! Ad ogni buon conto, con i suoi uomini carichi di otri di vino tinto, lo straniero si introduce nella vostra caverna...

POLIFEMO: ...che era proprietà privata...

EMMA DANTE: ...e per rifocillarsi dal lungo viaggio assaggia alcuni dei vostri ottimi formaggi...

POLIFEMO: Non li assaggia soltanto, siate precisa, signò! Li ho colti in flagrante, al mio rientro, con le caciotte al collo tipo collane hawaiane e gli agnellini al guinzaglio come cani da passeggio, pronti a spostarsi da un'altra parte, per continuare il rave. Avite a essere precisa nei dettagli, se no sta storia rimane occulta.

EMMA DANTE: Quando arrivaste, però, l'eroe non si nascose. Né scappò. V'affrontò, signor Polifemo! E non è facile trovarsi faccia a faccia con un gigante semiumano che ti fissa da un solo grande occhio al centro della fronte. Non è facile, dovete ammetterlo! Voglio confessarvi una cosa che forse non c'entra niente con la nostra conversazione: io faccio teatro.

POLIFEMO: Ah! E il mostro sarei io?

EMMA DANTE: Non ho mai creduto di essere normale, anzi, proprio per questo sono venuta da voi! La vostra diversità mi attrae, mi dà la carica, mi eccita. Proprio perché voi siete diverso io sono venuta a parlarvi.

POLIFEMO: Volete fare uno spettacolo su di me?

EMMA DANTE: Io non faccio spettacoli, faccio teatro. Cerco di stare lontana da ogni forma di civetteria e dalle campagne abbonamenti. Carmelo Bene lo conoscete?

POLIFEMO: Credo di averlo sentito nominare. E un cantore di rapsodie, no?

EMMA DANTE: Be', non proprio, anche se, forse, non gli dispiacerebbe essere definito così. Insomma, secondo Carmelo Bene: «Un teatro che non fa morti, che non sollecita crimini, delitti, sabotaggi, non può essere teatro, è spettacolo. Piccola fiera delle vanità. Un teatro che non sia reato è mera confezione. Insopportabile».

POLIFEMO: E uno così l'applaudono?

EMMA DANTE: Uno così fa paura, signor Polifemo, perché col terzo occhio sulla fronte, porta dritto il suo sguardo sulle cose e ne rileva le deformità, uno così scomoda i benpensanti all'esercizio dell'indignazione, mandando tutto in rovina, persino se stesso.

POLIFEMO: Ma perché non intervistate lui? Mi sembra che vi appassioni più di me.

EMMA DANTE: No, no... lui, no. É un morto fresco. Puzza ancora di santità! Ma torniamo al forestiero che vi accolse nella vostra casa a braccia aperte. Fu cordiale con voi, non potete negarlo!

POLIFEMO: E 'o vero! Mi fece sentire a casa... la vostra ironia mi piace, signò! Tutti guardavano a terra appena entrai (persino il gregge si sentiva in colpa per quella baldoria) tranne lui che, alzando gli occhi su di me, brindò alla mia e alla sua salute. Ci aveva proprio la faccia come il culo!

EMMA DANTE: Ci provò a farvi ragionare! Pregandovi in ginocchio col cuore in mano di non uccidere gente amica venuta in cerca di aiuto. Queste parole Euripide gli fece recitare: «C'è una legge per gli uomini: d'accogliere dei supplici naufragati, d'offrire doni e aiuto di vesti, e non di passare allo spiedo che infila i buoi le loro carni... dammi retta, Ciclope: lascia stare l'ingordigia procace, e la pietà scegli sull'empietà: per molti, un lucro disonesto si cangia in un castigo».

POLIFEMO: Basta, statevi zitta, signò, facitimi sta cortesia, non mi fate ricordà, ca mi sento 'i schiatta 'u core si penso n'ata vota a chella storia 'i mmerda!

EMMA DANTE: Ma perché parlate in napoletano?

POLIFEMO: E com'aggia 'a parla? In svedese?

EMMA DANTE: Che c'entra il napoletano? Voi siete siciliano!

POLIFEMO: Ma quannu mai?

EMMA DANTE: Non siete siciliano?

POLIFEMO: No.

EMMA DANTE: Come no? Volete scherzare? Questo è uno dei motivi per cui vi intervisto! La terra dei ciclopi si trova sulla costa orientale della Sicilia... ad Acitrezza per essere precisi, dove scagliaste gli enormi massi che sono stati leggendariamente identificati con i faraglioni. Tra l'altro lì c'è un ottimo ristorante che si chiama Polifemo dove si mangia pesce fresco... andiamo, pure i bambini lo sanno che siete siciliano...

POLIFEMO: ‘I creature sanno quello che gli raccontate voi e voi vi siete ammuccati tutto quello che v'hanno raccontato quelli prima di voi. La storia è imperfetta, signò, china 'i sbagli. Ogni generazione interpreta la storia secondo 'a propria esigenza e il proprio punto di vista, cagnanno 'nu pucariello l'interpretazione della generazione precedente. Cancella quacche traccia 'a ccà, s'inventa quacche fattarello 'a lla... 'a finale, ognuno riporta la propria versione dei fatti. Se poi si tratta addirittura dell'età dell'oro come nel caso mio, statte buono, e chi la ritrova più la verità! Voi per dedurre la mia provenienza vi siete basati su racconti di viaggiatori che navigavano con delle carte nautiche che facevano acqua da tutte le parti. Quelli non sapevano dov'erano le Indie, non sapevano dov'erano le Americhe, ammiscavano meridiani e paralleli, pigliavano il libeccio per maestrale e il maestrale per tramontana, solo col grecale non si sbagliavano mai, e le stelle, poi, non ne parliamo proprio, facevano 'nu burdello con l'Orsa maggiore, Orsa minore, Stella polare, Acquario, Pegaso... che se non era per gli dèi dell'Olimpo che usavano a tipo navigatore satellitare, non sapevano dove sbattere le corna e, con i millenni, questi errori di rotta mi hanno consegnato alla storia come un siciliano. Signò, v'aggio 'a deludere, 'o saccio, ma io song sempre stato 'i rimpetto ai Campi Flegrei.

EMMA DANTE: Mhh! Questo proprio non me l'aspettavo. Mi state dicendo che non avete mai vissuto negli antri segreti dell'Etna che stilla fuoco?

POLIFEMO: Ve lo metto per iscritto!

EMMA DANTE: Mhh! E che il vostro aspetto, i vostri modi non hanno niente a che fare con la cultura mafiosa legata alla prepotenza e alla prevaricazione?

POLIFEMO: Ma 'a vuliti fernì di eccitarvi con gli avanzi del folklore!

EMMA DANTE: E va bene, la storia è imperfetta, avete ragione. È un'invenzione dell'uomo, una sua esigenza! Poiché il presente svanisce, è necessaria la storia per assicurarci un posto nell'eternità. Ma mi dispiace dovervi contraddire, signor Polifemo, la vostra versione dei fatti non basta a contrastare la leggenda che si è perpetuata nei secoli, dando di voi un'immagine «sbagliata». La verità non esiste, voi stesso lo avete affermato, e noi siamo disposti a credere al falso se questo ci dà la certezza del futuro e ci garantisce la continuità. Non possiamo ogni volta azzerare tutto, capite? Voi resterete siciliano e noi comodamente seduti nella terrazza del ristorante Polifemo con vista sul mare, ripenseremo alla vostra storia provando un brivido alla schiena! Avreste dovuto parlare prima, ora è tardi! La vostra identità è ormai connaturata nell'errore. Ulisse, prima di partire, vi gridò il suo nome, consegnandosi alla storia per sempre. Avrebbe potuto restare Nessuno, e scampare l'ira di vostro padre Poseidone, avrebbe potuto nascondersi, cancellarsi, tornare a casa in fretta, liberandosi finalmente dalla sua odissea. Ma l'eroe che con intelligenza insidiosa cancella la faccia al suo nemico non ha il coraggio di restare Nessuno e grida il suo nome ai quattro venti con vanità e superbia: «Io sono Odisseo, distruttore di rocche, il figlio di Laerte che abita a Itaca».

POLIFEMO (seguendo il suo istinto primordiale inveisce contro Ulisse): «Patrì mio, che sei nei mari, tirati 'nnu funnu ddu bastardo 'nfame. Tutti i sò cumpari falli affogare e se sta scritto ca iddu ava 'a turnari, facci provare li peni dell'inferno, facci 'gghiccari sangu d'u cori, fallo 'nvecchiare e lassalu rimpatriari sulu come un cane!»

EMMA DANTE: La vostra maledizione fu accolta, parola per parola, e divenne destino. Credete a Enea, signor Polifemo: voi siete «mostro orrendo, difforme e smisurato», siete siciliano e fate paura. (Si sente un boato) Che cos'è questo rumore?

POLIFEMO: Il Vesuvio, signò, è attivo e ogni tanto s'incazza!

EMMA DANTE: Fatelo smettere! La terra trema! Fate qualcosa!

POLIFEMO: Dovrei smettere di respirare per accontentarvi.

Il boato si fa più forte e spaventoso.

EMMA DANTE: Cos'è questo caldo asfissiante? Manca l'aria qui dentro... Che succede?

POLIFEMO: Siamo nel punto più alto dell'orlo craterico, signò, e quando sbuffo, le fumarole emettono vapore con temperature a volte superiori ai cinquecento gradi.

EMMA DANTE: Ma dove siete? Perché vi nascondete? Possibile che dobbiamo parlare senza poterci guardare?

POLIFEMO: E chi si nasconde? Io sono qua.

EMMA DANTE: Qua dove?

POLIFEMO: Arrèt ' a voi!

EMMA DANTE (spaventata): Ahhh! Ahhh!

POLIFEMO: Hoi loco, vi ho messo paura! Siete contenta?

EMMA DANTE: Sono pronta, mostratevi! Non scapperò, lo giuro. Vi guarderò la fronte senza impressionarmi.

POLIFEMO: Eccomi!

EMMA DANTE (terrorizzata): Ahhh! Dove? Non vi vedo!

POLIFEMO: Voi non mi vedete? Ci sta 'a rirere! Ma nun avess'a essere 'u cuntrario?

Il boato s'interrompe.

EMMA DANTE: Signor Polifemo?

POLIFEMO: Eh?

EMMA DANTE: La vostra voce è chiara, vi sento vicino, eppure non vi vedo. Come mai?

POLIFEMO: Non sapete guarda', signò. Io sono qua, nella penombra, accanto a voi.

EMMA DANTE: E la chiamate penombra? Questo è buio pesto... umido e denso.

POLIFEMO: Ehh! Ormai non trase cchiù 'a luce. E che trase a fare? L'Aurora divina dalle dita di rose s'ha sfastiriato di tuzzulià a sta porta. Quella è smorfiosa, profumiera, dalla mattina alla sera la devi corteggiare e 'a fine r'a jurnàta rischi pure che non te la dà. Io song vecchio, signò, e depresso, nun tengo genio di sta appresso a sti 'ccose, preferisco fottermi l'oscurità.

EMMA DANTE: Spostate quel macigno, signor Polifemo, e fatevi vedere. Potremmo scendere in spiaggia e fare due chiacchiere al sole? Non vi manca il mare?

POLIFEMO: Da qui sento l'onde che sbattono ncoppa 'a rena e il grido dei gabbiani ca mi schiattano 'e rrecchie mentre si buttano 'i capa pi vulà dinto all'acqua. Che scendo a fare? Lo so a memoria il mare. E m'abbasta. Signò, io sono orbo ma veco 'u stesso tutte cose, perché mi ricordo. Per voi sò sempre stato violento e primitivo, «mostro orrendo, difforme e smisurato», senza legge né dio, ma chesto non significa che n'aggio mai canosciuto 'a felicità. Chest'anima selvaggia di pastore aveva una grazia. Ero 'nnamurato 'e chesta terra sempre prena che offriva frutti spontanei a destra e a manca, e chest'isola, immacolata e perfetta, m'appassiunava: non c'era guerra né voglia di conquista, non c'era ancora la civiltà. Il mio occhio stupito e feroce come gli occhi delle bestie fissava tutte cose dinto 'a memoria da un unico punto di vista: chillo d'u bene. Tra i boschi e i campi, con le mie greggi, correvo senza penzieri, ca 'a capa fresca. Huaneme! E comme steve bello! Ero beato. Chesta è 'a verità!

EMMA DANTE: Volete farmi credere che per voi è stata un'opera di bene rifiutare l'ospitalità a quei forestieri che venivano dal mare, e divorarli senza pietà?

POLIFEMO: Steve cecando d'a fame, m'ata 'a credere, non ci vedevo più dall'occhio, dovevo mangiare...

EMMA DANTE: A cena, colazione e pranzo?

POLIFEMO: Chesta è 'a natura mia. Che ci posso fare? Sono antropofago, mi piacciono l'ommini...

EMMA DANTE: Crudi!

POLIFEMO: Eh! Crudi! Qual è 'u probblèma? Noi avevamo altre leggi, altre abitudini, non credevamo molto nell'ospitalità. Signò, chesti erano uomini che sapevano seminare e raccogliere frutti, che navigavano, trafficavano, combattevano, ingannavano, che s'imbriacavano di vino fino a stramazzare al suolo senza dignità, erano spacconi e arroganti, con pretese di amicizia e di doni, ma erano lontani dagli dèi e dagli animali, avevano paura dell'aldilà. Io ho seguito il mio istinto, signò, me l'aggio magnati, senza formalità. D'altra parte, chesti m'hanno venuto a 'nquietà, intrufolandosi dint'a casa mia senza manco chiedere il permesso. Eh!!? Non so' cose ca si fanno! Se dobbiamo rispettare i vincoli di ospitalità, 'u forestiero aspetta fòra 'a porta: l'ospite arriva, lo fa entrare, gli offre una bella mozzarella 'i bufala, possibilmente senza diossine, gli chiede se vuole restare a dormire... signò, io sarò 'gnurante ma nisciuno mi fa fesso.

EMMA DANTE: Dite bene: Nessuno si è preso gioco di voi, Nessuno vi ha imbrogliato. É un gioco di parole, una finezza verbale, una trappola mitica nella quale resterete incastrato per l'eternità.

POLIFEMO: Che fa mi provocate? Ma 'a vuliti fernì o no di nominare stu quaquaraquà, sta cosa fitusa, sta nullità? Mi siddiò, 'u capìstivu? 'A me casa era ordinata e pulita, prima che un fango ci mettesse i piedi, lasciannu scie di 'mmerda ovunque. 'Un l'aviti a nominare cchiù 'u signor Nessuno, levatemelo d'innanzi si no fazzu càdere 'u cielo cu tutti i santi... disgraziato! 'U truvai dintra 'nsemula all’avutri bastardi ca s'avìano manciato tutti i formaggi, avìano acceso 'u fuoco e bevuto 'u latte, spaparanzati sui divani di pietra. La comitiva era al completo! 'Un ci vitti cchiù, cu l'occhiu iniettato di sangu, fici tràsiri i pecori e i capruni, sollevai un macigno e 'u misi all'entrata, mancu 'u stetti a sentire a 'ddu fetente, pigghiài due d'a so razza, ci scripentài 'i testi contro 'u spigolo d'u muru e mi manciavu di gusto. Senza nicchere e nacchere mi nn'agghiuttivu n'avutri due l'indomani n'a matinata e n'avutri due ancora doppu. Ci nisceva materia grigia d'u cervello immischiata a sangue rappreso, talé, la roccia ancora imbrattata è. Ma mi futtìu l'infame, 'a sira mi fici 'mbriacari e m'azziccò 'nto sonnu, a tradimento, un lignu rovente dintra 'u bulbo dell'occhio. Come un trapano mu fici ruotare 'nu cranio penetrandomi in profondità fino alla ragione. Mi levò i pascoli, 'u suli, mi levò 'u mari e 'a serenità, mi levò 'a vista... ma che minchia succede? Sto parlando in siciliano!

EMMA DANTE: É naturale! State raccontando la storia!

POLIFEMO: Ridatemi 'u me dialetto, si no vi scanno!

EMMA DANTE: La tracotanza dei ciclopi è congenita nel vostro cuore di mostro. Sfogatevi! Coraggio! Sfogate su di me la vostra rabbia epica!

Si sente un boato.

POLIFEMO: Vi dissi: ridatemi 'u me dialetto!

EMMA DANTE: Prendetevelo!

POLIFEMO: M'avete rotto 'o cazzo!

Il boato cresce, copre le parole e fa tremare la terra. Poi improvvisamente il silenzio.

EMMA DANTE: Signor Polifemo? (Silenzio). Signor Polifemo?

POLIFEMO: «Ahi ahi ahi, ahi ahià! sgorga sangue a quantità...»

EMMA DANTE: Vi siete fatto male?

POLIFEMO: «... io barcollo disperato col mio occhio bruciacchiato».

EMMA DANTE: Siete caduto?

POLIFEMO: Nisciuno è stato. Nisciuno ha colpa. (Silenzio).

EMMA DANTE: Dove siete? (Silenzio).

POLIFEMO: Sono sempre qua.

EMMA DANTE: Ma qua dove?

POLIFEMO: Ovunque. Nella pietra.

EMMA DANTE: Siete rimasto intrappolato da qualche parte? Dove? Fatemi un cenno?

POLIFEMO: Song io 'a caverna. Song tutt'uno con la roccia, non l'avete ancora capito? Per vedermi intero dovete uscire, ma nun ve conviene, sono brutto fuori, monotono e gigantesco, un'enorme montagna senza cuore. Sono di pietra, signò, e voi mi abitate!

EMMA DANTE: Volete dire che io sono dentro di voi?

POLIFEMO: Com'è vero che Odisseo penetrò nel cavallo di Troia, voi mi siete entrata nella testa, signò!

EMMA DANTE: He he he! Quest'è bella! Io dentro la vostra testa!

POLIFEMO: Al posto dell'occhio tengo 'n fronte una grotta oscura, e il macigno ca 'nzerra a metà l'entrata è la mia palpebra spezzata. Voi site trasuta dinto, signò, nel monumento, e n'avite appena sfiorato la grandezza. Immense sale vuote mi scorrono dint'e vene, sorde e mute. Andate! Visitatele tutte! Tanto come trasìte accussì ascìte, tale e quale, perché non troverete altro che pietra, polvere, monumenti dentro monumenti. La mia voce non è riuscita a entrare nelle vostre orecchie, come invece ha fatto quella di Omero, di Virgilio, di Euripide, di Teocrito, di Ovidio. Perché la mia voce è privata e voi non siete pronta a coglierne il segreto, vi manca il senso del partecipare. Comme 'e creature vi facite cullà da rapsodie popolari, credendo ai mostri e agli eroi. Signò, io sonu sempre stato un essere pacifico, monòcolo, sì, ma armonioso, e le pecore, i montoni, i capretti non s'hanno mai appauràto 'i me. E ora jatevenne! Jamme bella! Sciò sciò! Ca mi fa male 'a capa!

EMMA DANTE: Va bene, va bene, me ne vado... tolgo il disturbo. Ma... prima posso chiedervi una cortesia?

POLIFEMO: Facit'ampresso!

EMMA DANTE: Mi piacerebbe uscire di qui con un vostro ricordo, qualcosa a cui siete affezionato... non so: una pietruzza, una storiella, un detto... qualcosa che gli altri non sanno, e che possa testimoniare il mio viaggio dentro la vostra testa...

POLIFEMO: «Crapetto caso e ova».

EMMA DANTE: Eh?

POLIFEMO: Non è un piatto veloce. Deve cuocere almeno tre ore. Ci vonnu un chilo e mezzo di capretto fatto a pezzi, mezzo chilo di piselli, parmigiano grattugiato, sale, olio, pepe, quattro ova, una cipolla e un limone. Tenete tutto bene a mente, signò, perché sta ricetta come ve la dico io nun la sa Nisciuno.

EMMA DANTE: Ah!

POLIFEMO: Pulite bene il crapetto, lavatelo e asciugatelo. Faciti indora 'a cipolla in una tièlla con l'olio e con lo strutto e quando vedete che è arrivato il momento aggiungete il crapetto e facitilo rosola a fuoco miccio miccio. Ogni tanto s'asciuga e voi lo allungate con un poco d'acqua. Dopo due ore, due ore e mezzo di cottura ci mettete i piselli freschi, no sti schifezze surgelate... e quando tutto è cotto a puntino versate nella tièlla le ova sbattute con sale e formaggio, e facitele rapprendere mescolando con energia. Prima di servire questa specialità napoletana, inventata da me, modestamente, ci spremete sopra mezzo limone di Sorrento e buon appetito! Non so che vino consigliarvi, signò, come sapete sonu astemio!

EMMA DANTE: Però, in compenso, siete un raffinato chef... Chi l'avrebbe mai detto!

POLIFEMO: Prima mangiavo carni crude... poi m'hanno accecato e mi sono evoluto! Quando si perde uno dei cinque sensi, lo sapete meglio di me, se ne raffina un altro.

EMMA DANTE: Arrivederci, signor Polifemo!

POLIFEMO: Addio!

EMMA DANTE: Immagino non vi interessi sapere il mio nome?

POLIFEMO: Che me ne fotte di come vi chiamate? Anche voi diventerete polvere e purtata d'u grecale, 'nu juorno, ripasserete 'i ccà. 'A polvere nun è niente, signò, nun tène nome.