23.

Con Fiorile invece non ho fatto niente. Niente di amoroso.

Mi ha portato a vedere l’ingegnere.

Per la verità sono stato io a indirizzare il discorso su Paul, l’ingegnere. L’ho fatto quella famosa volta che si era distesa sul mio letto con la gonna leggermente sollevata e tutto il resto e io, non sapendo bene che fare, ho preso a parlare di Paul, così, per distrarla.

«Che tipo è il suo fidanzato?» le ho domandato.

«Un tipo normale, piuttosto bello».

«Bello come il suo camionista spagnolo? Quello che scendeva dalla cabina come se avesse danzato da Alicante fin qua?»

«No, quello era bello da morire. Diciamo che Paul è bellino, piacente, insomma... è alto e poi è ingegnere».

«Capisco».

«Cosa vuole capire lei?»

«Capisco il fascino dell’ingegnere».

«Ma quale fascino. È noioso da matti. Però magari mi porta via di qua. Gli ingegneri sono molto richiesti».

«Tanto male non dev’essere».

«Ci tiene tanto a vederlo?»

«Massì, mi piacerebbe».

«Va bene. Ci andiamo domani».

L’ha detto con un’aria un po’ delusa, abbassando la gonna e scendendo dal letto con una mezza giravolta.

Il giorno dopo abbiamo preso l’autobus. C’è una fermata proprio davanti all’albergo. Ormai ne conosco persino gli orari. Lo prendo per andare in paese tutti i martedì per i miei incontri con la Signora del Negozio di Biancheria, e anche quando mi stufo di stare chiuso dall’uomo-pompa. Non è un brutto paese. Piuttosto insignificante, questo sì, però c’è il mare e così posso sedermi a guardarlo mentre si muove. Il mare non mi annoia mai. Ci si può divertire a predirne le ricorrenze, applicando ad esempio la teoria della quinta onda. Pare che dopo quattro onde normali, la quinta sia più potente. Ho provato tantissime volte a verificarla, la teoria della quinta onda, ma non ci sono mai riuscito: a volte le onde non si distinguevano, erano troppo piccole, non sembravano neanche onde, altre volte perdevo il conto, altre ancora funzionava per qualche tempo, diciamo mezz’oretta, e poi il ritmo si sfaldava e non ritornava più. Insomma, credo che la teoria della quinta onda sia una balla, oppure che si verifichi solo certe volte, ma allora che fondamento scientifico avrebbe? Una cosa che funziona a intermittenza non è niente, è caso.

Quando mi stanco delle mie verifiche vado al cinema. Sembra incredibile, ma in questo posto sperduto c’è persino un cinema. Si trova proprio nel bel mezzo dell’abitato, nella zona che da queste parti chiamano pomposamente Centro Storico, una manciata di viuzze che conservano la loro antica pavimentazione di pietre gobbute, quelle che a camminarci sopra viene male ai piedi. Il Cinema si chiama Goletta, proprio così, Cinema Teatro Goletta. Una volta ho domandato alla cassiera se il signor Goletta si occupasse ancora del cinema.

«Mi prende in giro?» ha fatto quella di rimando.

«Per nulla, forse qualche suo discendente?»

«Andiamo, lo sanno tutti, non c’è mai stato nessun signor Goletta».

«Ah no?»

«No».

La cassiera del Cinema Teatro Goletta non è tanto simpatica. È sempre di cattivo umore, chissà perché, forse ha male da qualche parte.

«Allora perché si chiama Goletta?»

«Lei non è di queste parti, vero?»

«Vero! Da cosa l’ha capito?»

«Qui lo sanno tutti perché il cinema si chiama Goletta».

«Non vuole dirmelo?»

«Glielo dico un’altra volta. Adesso vada dentro che mi blocca la fila».

Mi sono girato e non c’era nessun altro al di fuori di un paio di vecchietti che ridacchiavano dandosi di gomito.

Comunque mi piace andare al cinema Goletta. Sempre meglio che stare chiuso dall’uomo-pompa ad aspettare questa benedetta lettera. Chissà se arriverà mai. Forse mi hanno parcheggiato qua perché me ne stessi un po’ fuori dal giro, per la mia sicurezza, magari il nemico sta dandomi la caccia. Già, ma quale nemico? Nel mio lavoro i nemici cambiano in continuazione e spesso i peggiori sono quelli che fino al giorno prima erano i nostri migliori amici. C’è una girandola infinita di amici-nemici che si scambiano le parti, roba da mal di testa, da non capirci più niente. O forse è una punizione. Ho fatto qualcosa di male, qualcosa che non so, che non riesco neanche a immaginare, e allora sono stato mandato qui con la scusa della lettera: «Teniamolo un po’ dall’uomo-pompa, così impara», devono essersi detti qualcosa del genere alla Direzione Centrale, sempreché io abbia fatto qualcosa di male, qualcosa che però, per quanto possa sforzarmi, non riesco neppure a immaginare.

L’autobus non l’abbiamo preso insieme.

«Vada prima lei» mi ha detto Fiorile.

«Perché?»

«Perché perché... vada prima lei».

Sono andato prima io. Non so perché non voglia prendere l’autobus con me, non ne vedo il motivo. Anche se ci fosse qualcosa di male potrebbe sempre dire che ci siamo incontrati per caso. D’altronde come si fa altrimenti ad andare in paese? O con la macchina o con l’autobus, o anche a piedi, solo che è distante.

Una volta arrivato mi sono messo su una panchina ad aspettarla e lei è arrivata, puntuale, un quarto d’ora dopo.

«Benarrivata» le ho detto.

«Aspetti che mi sia allontanata e poi mi venga dietro. Stia a venti metri da me» ha sibilato passandomi vicino senza alzare la testa. Faceva finta di non conoscermi. Non sapessi che è la figlia di Delphine e dell’uomo-pompa direi che è una collega. Credo invece che giochi a fare la misteriosa. Comunque la faccio passare e mi metto a venti metri da lei.

Abbiamo camminato fino all’entrata dei cantieri.

«Ecco» mi ha sussurrato quando l’ho raggiunta, «si metta là, dall’altra parte dell’entrata. Quando esce glielo indico».

«Ma scusi perché tutti questi misteri, non può presentarmelo e basta?»

«Non posso presentarglielo e basta, è gelosissimo, se mi vede con lei mi fa una testa così. Anzi, sa che cosa le dico? Glielo indico, ma non lo saluto, gli avevo detto che oggi facevo i compiti, quindi non dovrei essere qui...»

«Be’, gli ha fatto una sorpresa, dovrebbe fargli piacere».

«Ma quale sorpresa, lei non lo conosce Paul, se gli dico che faccio i compiti e poi mi trova qua è capace che mi tormenta di domande fino a sfinirmi. Si metta là, dall’altra parte, faccia il bravo».

Che senso aveva discutere? Mi sono piazzato dall’altra parte dell’entrata e mi sono appoggiato a un lampione.

Verso le sei è suonata una sirena e la gente ha cominciato a uscire dai cantieri. Un fiume di persone. Pareva impossibile che quel paesetto insignificante le contenesse tutte. Fiorile si è fatta attenta. Scrutava la fiumana, cercava Paul che a un certo punto è arrivato. Me l’ha indicato attirando la mia attenzione agitando la mano. Ha fatto anche un saltino, forse per superare in altezza la folla, oppure per rendere il suo movimento più visibile. Effettivamente non è un granché questo Paul. Alto, allampanato, vestito in maniera piuttosto ordinaria. Credo anche che abbia i capelli unti. Di sicuro gli stanno appiccicati alla fronte e dalla mia postazione mi è sembrato anche un po’ brufoloso. Devo aver fatto un’espressione incredula, indicandolo col dito, attento a non farmi vedere. Una faccia tipo: Ma è proprio lui? «Sì che è lui» ha risposto Fiorile senza parlare, con un gesto che comprendeva un’alzata di spalle e un movimento della testa.

Poi, così come aveva detto, si è girata e ha cominciato a camminare verso la fermata dell’autobus. Io ho aspettato qualche istante e le sono andato dietro a venti metri, come voleva che facessi.