11.
Fiorile mi sorride quando la incontro. Ci incrociamo nel piazzale o al bar, o ancora fuori, la mattina, quando lei passa da una stanza all’altra per rifare i letti.
«Vengo da lei oggi, se vuole, deve mantenere la sua promessa, ricorda?»
Mi coglie impreparato. Ricordo la questione delle calze dal momento che le ho sempre io (non me le ha più chieste), ma non mi viene in mente nessun’altra promessa.
«La sua vita, deve raccontarmi la sua vita e poi leggermi qualcosa, se avanza tempo».
Dico che va bene, che l’aspetto alle quattro, e poi mi pento.
Aspettare Fiorile mi rende inquieto. Non so perché. Non è così quando vado dalla signora del negozio. Da lei vado con piacere, ma aspettare Fiorile m’innervosisce. Vuole che le racconti la mia vita e io non posso farlo. Devo inventarmene dei pezzi, mescolarli con pezzi veri col rischio di contraddirmi, come in un interrogatorio.
Per non pensarci attrezzo il nostro angolo vicino alla finestra. Metto le poltrone (quella della stanza accanto me l’hanno lasciata), sistemo il tavolino e poi vado da Napoleone che va a Sant’Elena. Una volta ho letto che gli inglesi avevano trovato un sistema per avvelenarlo senza che lui se ne accorgesse e senza fare la figura di quelli che avvelenano uno di cui non avrebbero dovuto aver paura. Avevano intriso la tappezzeria della sua camera da letto con l’arsenico contando sul fatto che l’umidità dell’isola l’avrebbe fatto trasudare lentamente e lui avrebbe respirato il veleno come in un aerosol mortale. Potevano inventarsi qualcosa di meno complicato, potevano ucciderlo e farlo sembrare un incidente oppure lasciarlo lì da solo, a morire di noia.
«Il fatto che lei sia qui ha un vantaggio» dice Fiorile passandosi una mano fra i capelli.
«Veramente? E quale?»
«Mah, vengo qui, parliamo, poi la vedo passare e se non la vedo mi chiedo dove si è cacciato».
«Non dimentichi che ogni tanto mi trascina alla spiaggia, giù per quella scala precipite...»
«Com’è la scala? Precipite?»
«Precipite, sì, vuol dire che va giù ripida come una discesa senza scala».
«Precipite... dica la verità, che se la fa addosso a scendere la scala».
«Non esattamente. Mi mette in ansia, poi pensavo di essere qualcosa di più di un rumore di fondo per lei».
«Che cosa pensava di essere?»
«Non lo so».
«Vede? Neanch’io lo so, però come rumore di fondo funziona piuttosto bene».
«Grazie».
«Prego. Allora?»
«Allora che?»
«Mi parli di lei, dov’è nato, quanti anni ha, se è sposato, se ha figli, che mestiere fa...»
«Be’ sono nato in una piccola città e mio padre faceva il libraio».
«Ecco perché gira con questa specie di biblioteca».
«Dev’essere per quello, sì. Senza libri mi sentirei molto solo. Non mi piace soltanto leggerli, mi piace anche vedermeli intorno. Penso a quanto ci è voluto per scriverli, a quanta vita c’è dentro, poi hanno un buon odore. Ci ha mai fatto caso? Quando si entra in un posto pieno di libri c’è sempre un buon odore».
«Non sono mai stata in un posto pieno di libri, tranne qui da lei e qui l’odore è buono, ma non credo che sia per via dei libri, forse non ce ne sono abbastanza. Forse è lei che ha un buon odore, io ci faccio caso agli odori, molto. Voglio dire, una persona può essere la migliore del mondo, ma se il suo odore non mi convince, rimane sempre qualcosa in sospeso, come un sospetto».
Fiorile incrocia le gambe e si sistema sulla poltrona: «E sua madre?»
«Mia madre non l’ho mai conosciuta. È morta che ero piccolo e mio padre non ha mai voluto risposarsi. Ogni tanto lo sorprendevo che parlava con una sua fotografia che teneva sul comodino. Le faceva dei lunghi discorsi. Le raccontava le sue giornate, le chiedeva delle cose, che cosa doveva fare, perché aveva fatto in un modo piuttosto che in un altro, come se lei potesse rispondere».
«Magari gli rispondeva, che ne sa lei?»
«Non credo».
«Invece sì. Raramente i morti sono morti del tutto. Ci sono un sacco di persone che riescono a parlarci».
«Forse allora lei rispondeva, nei sogni, e mio padre doveva aspettare di essere addormentato per avere le sue risposte».
«Promette che non ride se le dico una cosa?»
«Non rido».
«Anche con Paul è andata un po’ così».
«Così come?»
«Ecco, a me piaceva, sì, insomma, neanche troppo, abbastanza, poi un giorno vengo a sapere da una mia amica che invece io a lui piacevo molto. Era un periodo che si facevano le sedute...»
«Le sedute?»
«Sì, le sedute spiritiche. Si mettono delle lettere oppure si usa un tabellone, si appoggiano le dita su un piattino, o sulla planchette, che è fatta apposta, ci si concentra, e l’oggetto comincia a muoversi...»
«Funziona?»
«Certo che funziona, bisogna essere dispari, concentrarsi molto, ma prima o poi lo spirito arriva e fa muovere il piattino, e quando il piattino comincia a muoversi si possono fare le domande».
«Non le è mai venuto il dubbio che qualcuno potesse spingerlo il piattino?»
«Per la verità sì, però non ci ho mai fatto molto caso. Insomma, un pomeriggio ci troviamo a casa della mia amica, quella che mi aveva detto che piacevo a Paul. C’era anche dell’altra gente, e Paul che non la smetteva di guardarmi, e visto che ci si annoiava abbiamo deciso di fare la planchette e chi ti viene fuori?»
«Non lo so».
«Lo spirito di Napoleone, proprio lui. Gli abbiamo chiesto “Chi sei?” e il piattino ha cominciato a muoversi velocissimo andando da una lettera all’altra: N...A...P...O...L...E...O...N...E».
«La miseria! E che cosa vi ha detto Napoleone?»
«Ci ha detto che dopotutto preferiva essere morto piuttosto che starsene su quell’isola... come si chiama?»
«Sant’Elena?»
«Sì, Sant’Elena. Poi ognuno ha cominciato a chiedere delle cose, roba personale, devo fare questo, devo fare quest’altro, cose così, insomma, e a un certo punto la mia amica ha chiesto se nella stanza ci fosse qualcuno che piaceva a qualcun altro e così è venuto fuori che io piacevo a Paul e che stava scritto che avremmo dovuto metterci insieme, perché quello era come un destino».
«Vi ha mica parlato di una storia di tappezzerie?»
«Tappezzerie? Perché avrebbe dovuto?»
«Niente. Chiedevo. Allora è così che è incominciata, la sua storia con Paul».
«Sì, più o meno».
«Non mi sembra una grande passione».
«Guardi che Paul non è male. Poi è ingegnere...»
«Poi l’ha detto Napoleone».
«Se mi prende in giro me ne vado».
«Non la prendo in giro, però mi sembra abbastanza evidente che, insomma, forse una spintarella qualcuno gliel’ha data al piattino».
«Non ci crede, vero?»
«Mi dispiace deluderla, ma non credo che un piattino dica delle cose sensate, a meno che qualcuno non lo spinga».
«La sa una cosa? Io la faccio anche da sola la planchette, mi metto lì, mi concentro, appoggio un dito e dopo un po’ quella comincia a muoversi...»
«E se alza il dito?»
«Si ferma».
«Visto?»
«Certo, s’interrompe il flusso dell’energia. È assolutamente necessario che il dito sia appoggiato sulla planchette. Allora, dicevo, mi metto lì, ma devo essere da sola, e molto concentrata, e poi parlo con Arthur, il mio spirito guida».
«Di che cosa parlate?» domando.
«Anche di lei, sa?»
«E lui che cosa dice?»
Fiorile abbassa gli occhi: «Che lei non è quello che dice di essere».