AGATHA CHRISTIE

 

Poirot sul Nilo

Bandinotto

Traduzione di Maria Grazia Griffini

Titolo originale: Death on the Nile

1937 Agatha Christie

Prima edizione italiana: Mondadori 1939

Nuova edizione: Mondadori 1988

(C) 1993, Edizione CDE S.p.A. Milano

PRESENTAZIONE

di Gianni Rizzoni

 

 

SULLE ORME DI AGATHA

 

FRA TUTTI I PAESI del mondo che Agatha Christie aveva visitato nella sua lunga vita, quello che sicuramente doveva esserle rimasto nel cuore era ‘Egitto. Non per nulla alcuni dei suoi romanzi più belli, come Assassinio sul Nilo e l’unico “in costume”, che si svolge cioè nell’antichità (C’era una volta), sono ambientati nel paese del Nilo.

Per non dimenticare poi uno dei suoi primissimi drammi; scritto nel 1937, contemporaneamente ad Assassinio sul Nilo, che è specificatamente intitolato Akhenaton (a quanto mi risulta non è mai stato rappresentato)…

Perché questa passione? Per la moglie di un archeologo il paese del Nilo rappresentava sicuramente una esaltante avventura professionale e culturale, il luogo sacro di tante grandiose scoperte archeologiche inglesi che avevano avuto il loro fulcro nell’apertura della tomba di Tutanthamen, scoperta da Carter nel 1922-23.

In realtà l’amore di Agatha per l’Egitto risaliva a molti anni prima del matrimonio con Max e all’interessamento per l’archeologia, come racconta lei stessa in La mia vita. Anzi, durante il suo primo incontro con il paese dei Faraoni, nel 1908, la cultura e l’archeologia erano l’ultima cosa che potevano interessarla, come rivela lei stessa: «Mia madre cercava di ampliare la mia cultura, portandomi di tanto in tanto a visitare il Museo Nazionale, e una volta mi propose persino di risalire il Nilo per vedere le glorie di Luxor. Ma io protestai vivacemente, con le lacrime agli occhi: “Oh, no, mamma, non andiamo via proprio adesso.

Lunedì c’è il ballo in maschera e martedì ho promesso di andare a Sattara per un picnic…“ e continuai a elencare i numerosi impegni che mi aspettavano. Le meraviglie dell’antichità erano l’ultima cosa a cui pensavo e sono felice di non averle viste allora. Luxor, Karnat le bellezze d’Egitto dovevano investirmi con tutto il loro impatto circa vent’anni dopo; forse avrei bruciato un’esperienza se le avessi guardate con gli occhi inesperti di allora.»

Ma cosa ci facevano la diciottenne Agatha e mamma Clara al Cairo? Per spiegarlo, occorre ricordare che dopo la morte del padre (1901), la famiglia della scrittrice si era ritrovata se non in difficoltà, almeno in ristrettezze economiche. E questo impediva ad Agatha di affrontare un debutto in società degno della sua situazione sociale.

«Il debutto in società era considerato un avrenimento molto importante nella vita di una ragazza. Nelle famiglie benestanti; l’occasione era festeggiata da un ballo e, in seguito, la debuttante veniva mandata a Londra per una “season”. Naturalmente, allora, la “season ” non era quella specie di fiera commerciale e superorganizzata che è diventata negli ultimi venti o trent’anni. Le pessone che si invitavano ai balli e da cui si era a propria volta invitate, erano per lo più amici intimi.

C’era sempre qualche problema nel raccogliere i cavalieri, ma nell’insieme le feste erano del tutto informali, oppure si trattava di balli di beneficenza ai quali si andava in comitiva.

«Tutto questo a me non poteva accadere. Madge aveva fatto il suo debutto a New Yort, dove aveva partecipato a balli e a feste, anche se poi papà non aveva potuto affrontare la spesa di una “season” a Londra. Ora questo, però, era più che mai impensabile; eppure mia madre ambiva che anch’io, come una farfalla che esce dal bozzolo, mi trasformassi da ragazzina in giovane donna e mi affacciassi sul mondo, incontrando ragazze e giovanotti e, possibilmente, anche un compagno adatto. Vista la nostra situazione f nanziaria, mia madre pensò che sarebbe stato assai difficile per me entrare in società secondo le regole. Penso che la scelta del Cairo sia stata fatta principalmente nel mio interesse e, nel complesso, devo dire che si trattò di una scelta felice.»

Fu un’esperienza entusiasmante: «Per una ragazza, Il Cairo era davvero un paradiso» ricorda nostalgicamente la scrittrice. E c’è da crederle: ogni settimana partecipava a cinque feste da ballo organizzate a turno nei principali alberghi della capitale e, di pomeriggio, andava immancabilmente ad assistere alle partite di polo che i giovani ufficiali dei reggimenti dislocati al Cairo giocavano in interminabili tornei. In conclusione, «il viaggio in Egitto mi fu molto utile. Non so come avrei fatto altrimenti ad eliminare tanto in fretta la mia naturale gaucherie. Conobbi venti o trenta giovanotti e partecipai a una cinquantina di feste da ballo ma, fortunatamente, non ebbi il tempo di innamorarmi.»

In realtà, la giovane Agatha che sfarfalleggiava tra begli ufficiali e danarosi turisti inglesi qualche danno di cuore l’aveva fatto, come le rivelò poi la madre al ritorno in patria, raccontandole una richiesta di matrimonio – respinta – di un certo capitano Hibberd. Agatha non se ne era neppure accorta!

Trent’anni dopo il ritorno di Agatha sul Nilo fu di tutt’altra natura.

Esclusa la mondanità, la sua attenzione era tutta concentrata sull’archeologia, la storia, la cultura, il paesaggio. Ne troviamo una eco precisa nel viaggio di Poirot sul Nilo: tutto nel romanzo, dai dettagli geografici alla visita del tempio di Abu Simbel, dalla descrizione dalla nave alla stessa mappa delle cabine corrispondono al viaggio effettuato da Agatha e Max.

Poirot, in un certo senso, corre sulle loro orme. E anche noi possiamo seguire Agatha leggendo il suo romanzo non solo come uno dei più bei gialli della storia, ma anche come un “diario di bordo”.

 

 

 

POIROT SUL NILO

 

«Eccola! E lei!» disse il signor Burnaby, proprietario del Tre Corone.

Intanto allungava una gomitata al suo amico.

 

I due uomini rimasero a guardare con tondi occhi e bocche semiaperte.

 

Una imponente Rolls Royce rossa si era fermata in quel momento di fronte all’ufficio postale. Ne scese una ragazza: era senza cappello e indossava un abito che sembrava (ma sembrava soltanto) molto semplice.

Una ragazza con i capelli biondi e le fattezze regolari, energiche; una ragazza come se ne vedono poche a Malton-under-Wode.

 

A passo svelto e deciso, entrò nell’ufficio postale.

 

«E’ lei!» ripeté il signor Burnaby. E continuò con voce bassa, venata di rispetto: «Con tutti i milioni che ha… ne spenderà a migliaia nella tenuta! Ci saranno piscine e giardini all’italiana, e un salone da ballo e mezza casa buttata giù e costruita di nuovo….»

«Vuol dire che porterà un bel po’ di soldi in paese» osservò l’amico.

 

Era un tipo asciutto e magrolino, male in arnese. Parlava con un tono di voce pieno di invidia e di rancore.

 

Il signor Burnaby si disse d’accordo con lui.

 

«Sì, è una gran bella cosa per Malton-under-Wode. Una gran bella cosa.»

Era contento di questo fatto, il signor Burnaby, e non lo nascondeva.

 

«Così ci rimetterà tutti in sesto, proprio come si deve» aggiunse.

 

«Una bella differenza da Sir George, eh?» fece l’altro.

 

«Bah, quello lì, sono stati i cavalli a rovinarlo!» spiegò il signor Burnaby con indulgenza. «Non ha mai avuto un briciolo di fortuna.»

«Che cosa gli hanno dato per la tenuta?»

«Sessantamila sterline pulite pulite, a quello che ho sentito.»

L’uomo scarno e magrolino si lasciò sfuggire un fischio.

 

Il signor Burnaby continuò con aria trionfante: «E dicono che ne spenderà come minimo altre sessantamila prima di finire tutto!.»

«Caspita!» sbottò l’ometto macilento. «Si può sapere dove li ha presi tutti quei soldi?»

«America, a quanto ho sentito dire. Sua madre era l’unica figlia di uno di quei milionari che ci sono laggiù… proprio come al cinema, vero?»

La ragazza uscì dall’ufficio postale e risalì in macchina.

 

Mentre si allontanava, l’uomo mingherlino la seguì con lo sguardo.

 

«A me sembra tutto sbagliato…» bofonchiò. «Ricca e bella… è troppo!

Troppo. Quando una ragazza è ricca come lei non avrebbe il diritto di essere così bella. Perché bella, lo è… senza discussioni! Ha tutto, quella figliola. Non sembra giusto…»

Dalla rubrica di cronaca mondana del “Daily Blague”:

Fra le persone che cenavano a Chez Ma Tante abbiamo notato la bellissima Linnet Ridgeway. Era in compagnia di Lady Joanna Southwood, di Lord Windlesham e del signor Toby Bryce. La signorina Ridgeway, come è noto, è figlia di MelAuish Ridgeway che ha sposato Anna Hartz. Linnet Ridgeway ha ereditato un immenso patrimonio dal nonno, Leopold Hartz. La incantevole Linnet è il personaggio che, attualmente, suscita “sensazione” nell’alta società e si dice che presto verrà anche annunciato il suo fidanzamento. Certo che Lord Windlesham sembra molto épris!

 

Lady Joanna Southwood disse: «Tesoro, credo che sarà tutto assolutamente meraviglioso!.»

Era seduta nella camera da letto di Linnet Ridgeway a Wode Hall. Dalla finestra si spaziava con lo sguardo oltre il giardino, sull’aperta campagna e, in lontananza, su una striscia di bosco dalle ombre azzurrine.

 

«Direi che è quasi la perfezione, non trovi?» esclamò Linnet.

 

Era appoggiata, a braccia incrociate, al davanzale della finestra. Il suo viso era dinamico, luminoso, pieno di vitalità. Accanto a lei, Joanna Southwood, una donna alta ed esile di ventisette anni, dal viso lungo e intelligente e sopracciglia bizzarramente depilate, sembrava quasi scialba.

 

«E quante cose hai già sistemato in poco tempo! Hai fatto venire un mucchio di architetti e via dicendo?»

«Tre.»

«Che tipi sono gli architetti? Non credo di averne mai conosciuto uno.»

«Niente da dire su di loro. Però, in qualche caso, li ho trovati poco pratici.»

«Tesoro, immagino che sarai riuscita a riaggiustare tutto subito! Perché tu sei la creatura più pratica del mondo.»

Intanto Joanna aveva preso un filo di perle dal tavolino da toilette.

 

«Immagino che siano vere, eh, Linnet?»

«Naturale!»

«Capisco benissimo, cara, che è “naturale” per te, ma per la maggior parte della gente non lo sarebbe affatto. Semplici perle coltivate o, magari, addirittura comprate da Woolworth! Tesoro, sono assolutamente straordinarie… e con quale cura sono state scelte sia per la gradazione che per la sfumatura di colore… Devono valere una somma favolosa!»

«Non le trovi un po’ volgari, eh?»

«No, affatto… sono semplicemente di una bellezza squisita. Ma quanto possono valere?»

«Circa cinquantamila sterline.»

«Una bella cifra, davvero! E non hai paura che qualcuno le rubi?»

«No, le porto sempre e… in ogni caso, sono assicurate!»

«Non me le lasceresti portare fino a stasera a cena, tesoro? Sento che sarebbe una tale emozione…»

Linnet scoppiò in una risata. «Certo! Se ti fa piacere!» «Sai, Linnet, che ti invidio proprio! Hai semplicemente tutto. Eccoti qui a vent’anni, padrona di te stessa, con tutti i soldi che vuoi, a tua disposizione, oltre alla bellezza e a una salute invidiabile. Sei perfino intelligente! Quando compirai i ventun anni?»

«In giugno. Daremo una gran festa a Londra per celebrare la mia entrata nella maggiore età.»

«E poi sposerai Charles Windlesham! Tutti quegli insopportabili pettegoli dei cronisti mondani non parlano d’altro, e sono eccitatissimi. Lui, del resto, sembra proprio pazzamente innamorato.»

Linnet si strinse nelle spalle.

 

«Non so. Ad essere sincera, non avrei voglia di sposare nessuno per il momento.»

«Tesoro, come hai ragione! Dopo, non è mai più la stessa cosa, vero?»

Il telefono trillò e Linnet andò a rispondere.

 

«Pronto? Pronto?»

Rispose la voce del maggiordomo: «C’è in linea la signorina de Bellefort. Posso passarvi la comunicazione?.»

«Bellefort? Oh, sì, certo, passatemela pure.»

Uno scatto sommesso e, subito dopo, una voce ansiosa, dolce, un po’ affannata: «Pronto, parlo con la signorina Ridgeway? Linnet!.»

«Jackie, carissima! Sono addirittura secoli che non ho tue notizie!»

«Lo so. E tremendo, Linnet, ho un bisogno assoluto di vederti.»

«Perché non vieni a Wode Hall, allora, cara? E il mio nuovo giocattolo.

Come mi piacerebbe fartelo vedere!»

«E’ proprio quello che vorrei…»

«Allora salta su un treno o su una macchina.»

«Giusto, è quello che farò. Ho una due-posti spaventosamente sgangherata. L’ho comperata per quindici sterline e ci sono dei giorni in cui va a meraviglia. Ma è di umore molto mutevole. Pertanto se non sarò arrivata per l’ora del tè, vorrà dire che ha fatto i capricci. A presto, cara.»

Linnet appoggiò il ricevitore sulla forcella e tornò vicino a Joanna.

 

«Era la mia più vecchia amica, Jacqueline de Bellefort. Abbiamo studiato in un collegio di suore insieme, a Parigi. Poveretta, è stata talmente sfortunata! Suo padre era un conte francese; sua madre, un’americana… del Sud. Il padre se n’è andato con un’altra donna e la madre ha perduto tutte le sue sostanze nel crollo di Wall Street. Jackie è rimasta completamente al verde. Non so davvero come abbia fatto a cavarsela, e a tirare avanti, in questi ultimi due anni.»

Joanna stava lucidandosi le unghie rosso sangue con il piccolo strumento di cuoio morbido, imbottito, da manicure dell’amica. Piegò leggermente la testa su una spalla, tirandola un po’ indietro per giudicarne l’effetto.

 

«Tesoro,» disse con voce strascicata «non ti pare che sia un po’fastidioso? Se qualche disgrazia capita ai miei amici, io li lascio perdere immediatamente! Potrà sembrare crudele da parte mia ma se tu sapessi quante noie mi risparmia in seguito! Altrimenti ti cercano sempre per chiederti denaro in prestito, oppure qualcuno di loro apre una sartoria e ti vedi costretta a comperare certi vestiti talmente orribili… o magari, si mettono a dipingere paralumi o imparano a fare le sciarpe di batis.»

«Dunque, se io perdessi tutti i miei denari, tu mi “molleresti” fin da domani stesso?»

«Sì, cara, è proprio quello che farei. Non dirmi che non sono franca a parlare a questo modo! A me piace soltanto la gente che ha successo. Ma ti accorgerai che, più o meno, è così per tutti, o quasi… solo che, in genere, nessuno ha voglia di ammetterlo. Dicono semplicemente che non se la sentono più di sopportare Mary o Emily o Pamela!: “Con tutte le disgrazie che ha avuto, è diventata così amara e così indisponente, povera cara!”.»

«Sei tremenda, Joanna!»

«Io bado al sodo, insomma, come tutti gli altri.»

«Ma io non sono fatta così!»

«Grazie tante! Tu non hai nessun bisogno di fare calcoli sordidi e meschini come questi dal momento che i tuoi amministratori americani, tutte brave e simpatiche persone di mezza età, ti versano cospicue rendite ogni tre mesi!»

«Comunque, ti sbagli quanto a Jacqueline» riprese Linnet. «Non è per niente scroccona. Le ho chiesto se potevo aiutarla ma non ne ha voluto sentir parlare. E orgogliosa come il demonio!»

«Si può sapere, allora, perché aveva tanta fretta di vederti? Scommetto che vuole qualcosa. Aspetta, e vedrai.»

«Già, hai ragione; sembrava eccitata. Chissà perché!» ammise Linnet. «A volte capitano certe cose… e lei non ci mette niente ad agitarsi.

Figurati che, per farti un esempio, una volta ha ferito uno con un temperino!»

«Tesoro, che emozione!»

«Già, c’era un ragazzetto che stava tormentando un cane. Jackie ha tentato di farlo smettere. Lui non le ha dato ascolto. Lei, allora, lo ha acchiappato e si è messa a scuoterlo per le braccia ma quello era molto più robusto di lei e, alla fine, Jackie ha tirato fuori un temperino e glielo ha cacciato in corpo! C’è stata una di quelle scenate! Proprio tremenda.»

«Non ne dubito. Come deve essere stato imbarazzante.»

Entrò la cameriera di Linnet. Mormorando qualche parola di scusa, prese un abito dal guardaroba ed uscì di nuovo, portandolo con sé.

 

«Mi vuoi dire cosa è successo a Marie?» domandò Joanna. «Sembra abbia pianto.»

«Poveretta! Non so se ti ricordi quello che ti avevo raccontato. Voleva sposare un tale che ha un lavoro in Egitto. Ma sapeva pochino su di lui e, quindi, ho pensato che fosse meglio prendere informazioni. Così è saltato fuori che aveva già una moglie… e tre bambini.“

«Quanti nemici devi farti, Linnet.»

«Nemici?» Linnet non le nascose di essere sorpresa.

 

«Sì, nemici, tesoro mio. Sei efficiente in un modo addirittura spaventoso e sempre così incredibilmente capace di prendere la decisione più giusta!»

Linnet si mise a ridere. «Figuriamoci! Ma se io non ho un nemico al mondo!»

Lord Windlesham sedeva sotto un grande albero di cedro e il suo sguardo contemplava le armoniose proporzioni di Wode Hall. Niente guastava la sua antica bellezza perché le nuove costruzioni e le ali aggiunte restavano nascoste, dietro l’angolo dell’edificio. Era un panorama stupendo e pieno di pace, quello che aveva davanti, immerso nella luce di un sole autunnale. Eppure, mentre continuava a fissarlo, Charles Windlesham non vedeva più, di fronte a sé, Wode Hall ma, piuttosto, una imponente costruzione elisabettiana, un parco che si estendeva a perdita d’occhio, un paesaggio molto più triste… la culla della sua famiglia, Chantonbury e, in primo piano, una figura, la figura di una giovane donna con luminosi capelli biondi e un viso fiducioso e pieno di vitalità… Linnet, signora e padrona di Chantonbury!

 

Si sentiva pieno di grandi speranze. Il rifiuto di lei, tutto sommato, non poteva essere considerato definitivo. Piuttosto gli era quasi sembrata una preghiera per avere ancora un po’ di tempo. Be’, lui poteva anche permetterSi di aspettare.

 

Ma, se tutto fosse andato secondo i suoi desideri… D’accordo, era consigliabile sposare una ragazza ben fornita di dote ma la situazione, in fondo, non era tanto grave da costringerlo a sacrificare i propri sentimenti. Perché lui amava Linnet. L’avrebbe sposata anche se, in pratica, non avesse avuto un centesimo invece di essere una delle ragazze più ricche d’Inghilterra! Invece, per fortuna era proprio una delle ragazze più ricche d’Inghilterra…

 

Nel frattempo, lasciava sbrigliare la sua fantasia e faceva tanti progetti, uno più roseo e allettante dell’altro, per il futuro. Magari sarebbe stato capace di mettere le mani sulla proprietà di Roxdale, e perché non pensare ai restauri dell’ala occidentale del castello… e non ci sarebbe più stato bisogno nemmeno di rinunciare alle bandite di caccia in Scozia.

 

Charles Windlesham sognava sotto il sole.

 

Erano le quattro del pomeriggio quando la piccola, scassatissima, due-posti si arrestò sul viale facendo stridere la ghiaia. Ne scese una ragazza, piccola di statura, snella, con folti capelli bruni e ricci.

Salì di corsa i gradini e si attaccò al campanello, suonandolo con forza.

 

Pochi minuti più tardi veniva introdotta nell’ampio e sontuoso salotto mentre un maggiordomo con i modi da prelato l’annunciava con la debita, e lugubre, intonazione nella voce: «La signorina de Bellefort.»

«Linnet!»

«Jackie!»

Charles Windlesham rimase un po’ in disparte, osservando con evidente simpatia la piccola creatura focosa che si precipitava verso Linnet a braccia aperte.

 

«Lord Windlesham… la signorina de Bellefort, la mia migliore amica.»

“Una graziosa bambina” lui pensò,.“no, forse non proprio bella ma, indubbiamente, piena di fascino con tutti quei riccioli neri e gli occhi grandissimi”. Mormorò con garbo qualche parola di circostanza e s’allontanò discretamente per lasciare sole le due amiche.

 

Jacqueline partì subito in quarta; Linnet ricordava che questa era sempre stata una sua caratteristica.

 

«Windlesham? Windlesham? Ma è lui quello che, a dar retta ai giornali, stai per sposare! E proprio vero, Linnet? Lo sposerai?»

Linnet mormorò: «Forse.»

«Tesoro… come sono contenta! Ha un’aria simpatica.»

«Oh, non esser così spicciativa… in fondo, non ho ancora preso una decisione in proposito.»

«No, certo! Le regine procedono sempre con la debita ponderazione quando si tratta di scegliersi un consorte!»

«Non essere ridicola, Jackie.»

«Ma tusei una regina, Linnet! Lo sei sempre stata. Sa Mayesté, la reine Linétte. Linétte la blonde! E io… io sono la confidente della regina.

La fidata Damigella d’Onore.»

«Quante sciocchezze racconti, Jackie carissima! Piuttosto, dimmi un po’: dove sei stata in tutto questo tempo? Sei letteralmente scomparsa. A parte il fatto che non scrivi mai.»

«Detesto scrivere lettere! Dove sono stata? Oh, più o meno sommersa, cara. Dal lavoro, sai? Sì, una serie di lavori uno più noioso dell’altro con donne una più noiosa dell’altra!»

«Cara, vorrei che tu…»

«Avessi accettato la munificenza della regina? Be’, ti dirò in tutta franchezza, cara, che sono proprio qui per questo. No, non per avere dei quattrini in prestito. Non sono ancora scesa fino a questo punto! Però sono venuta a chiederti un enorme, un importantissimo favore!»

«Su, racconta.»

«Se hai intenzione di sposare questo Windlesham, forse capirai.»

Linnet sembrò sconcertata per un attimo; poi la sua faccia si illuminò.

 

«Jackie, vuoi forse dire che…?»

«Sì, carissima, sono fidanzata!»

«Ah, dunque non mi sbagliavo! Infatti mi eri sembrata subito particolarmente vivace ed emozionata… più del solito. Sei sempre impetuosa, ben inteso, ma oggi mi pare di notarlo più di altre volte.»

«Infatti sono proprio le sensazioni che provo.»

«Parlami di lui.»

«Si chiama Simon Doyle. E alto, con le spalle squadrate, ma incredibilmente semplice e infantile, a volte… un ragazzone… adorabile. Povero, per di più: non ha un centesimo. D’accordo, rientra in quella che tu chiameresti la “nobiltà di campagna” ma, purtroppo, una nobiltà estremamente impoverita, tra l’altro è anche il figlio cadetto… con quel che segue. I suoi sono originari del Devonshire. Lui adora la campagna e tutto quello che con la campagna ha a che vedere.

Invece in questi ultimi cinque anni ha dovuto lavorare nella City, in un ufficio soffocante. Adesso hanno ridotto il personale e lui è senza impiego. Linnet, morirò, se non posso sposarlo! Si morirò! Morirò!

Morirò…!»

«Non essere assurda, Jackie.»

«Morirò, ti dico! Sono pazza di lui. E lui è pazzo di me. Non possiamo vivere l’uno senza l’altra.»

«Ma, cara, hai preso proprio una bella sbandata!»

«Lo so. Non è terribile? D’altra parte quando l’amore arriva, tu non puoi farCi niente.»

Tacque per un attimo. I suoi grandi occhi neri si allargarono assumendo di colpo un’espressione tragica. Rabbrividì lievemente.

 

«E… a volte, è perfino spaventoso! Simon e io siamo fatti l’uno per l’altra. Non vorrò mai più bene a nessuno. E tu devi aiutarci, Linnet.

Ho sentito che hai comperato questa casa e mi è venuta un’idea.

Ascoltami, avrai bisogno di un amministratore… magari anche due.

Vorrei che tu offrissi questo posto a Simon.»

«Oh!» Linnet non le nascose di essere sconcertata.

 

Jacqueline continuò con impeto: «Sono faccende di cui è molto pratico.

Sa tutto riguardo le tenute di campagna… infatti ci è nato e cresciuto! E non manca nemmeno di una certa esperienza di affari. Oh, Linnet, lo assumerai per questo lavoro, vero? Lo farai per amor mio? Se non dovesse risultare all’altezza di quello che vuoi, licenzialo pure.

Ma ti accorgerai che andrà benissimo… così potremo vivere in una casetta, e io ti vedrò spesso… e avremo anche tutto l’occorrente nell’orto e nel giardino… oh, che cosa divina sarà!.»

Si alzò. «Dimmi di sì, Linnet. Dimmi che lo assumerai. Stupenda, bellissima Linnet! Alta, adorata Linnet! La mia Linnet, alla quale voglio un gran bene! Sì, di’ che lo farai!»

«Jackie…»

«Allora?»

LinnCt si mise a ridere.

 

«Come sei buffa, Jackie! Portami qui il tuo ragazzo, gli daremo un’occhiata e ne parleremo.»

Jackie si precipitò ad abbracciarla e la baciò con entusiasmo.

 

«Linnet, tesoro… sei una vera amica! Lo sapevo. Tu non mi abbandoneresti mai nei guai… mai! Sei la creatura più cara e adorabile del mondo. Addio!»

«Ma, Jackie, ti fermi, vero?»

«Chi, io? No. Torno a Londra e domani mi ripresento accompagnata da Simon e combiniamo tutto. Gli piacerai alla follia. Quanto a lui, è proprio un ragazzo adorabile.»

«Perché non ti fermi almeno a prendere il tè con noi?»

«No, non posso aspettare, Linnet. Sono troppo emozionata. Devo tornare in città a dirlo a Simon. Capisco di essere una bella matta, cara, ma non so che cosa farci. Mi auguro che il matrimonio mi faccia mettere la testa a posto. Dicono che ha un effetto così calmante sulla gente…»

Si avviò alla porta ma, sulla soglia, si fermò ancora un attimo e tornò indietro per un ultimo frettoloso abbraccio.

 

«Cara Linnet… non ce n’è un’altra come te!»

Monsieur Gaston Blondin, proprietario di quel piccolo ristorante alla moda che si chiamava Chez Ma Tante, non era tipo da profondersi in particolari cerimonie per rendere onore a gran parte della sua clientèla. Ricchezza, bellezza, nobiltà, celebrità gli erano del tutto indifferenti. Solo in casi rarissimi Monsieur Blondin si degnava, con garbata condiscendenza, di accogliere personalmente un ospite, dargli il benvenuto, accompagnarlo al tavolo e scambiare con lui qualche parola di circostanza.

 

Quella sera, Monsieur Blondin aveva esercitato queste sue prerogative regali per ben tre volte: una duchessa, un famoso corridore automobilista e un ometto dall’aspetto piuttosto comico con un paio di baffi neri smisurati che a nessuno, a prima vista, sarebbe sembrato di certo un personaggio tanto celebre da dare lustro a Chez Ma Tante con la sua presenza. Monsieur Blondin, invece, si fece in quattro per lui. Per quanto parecchi clienti fossero già stati rimandati indietro in quell’ultima mezz’ora perché non c’era un solo tavolo libero, per lo sconosciuto se ne materializzò d’incanto uno, situato- per di più – in un’ottima posizione. E Monsieur Blondin vi accompagnò il cliente dimostrando nei suoi confronti il massimo espressement.

 

«Per voi, Monsieur Poirot, un tavolo ci sarà sempre! Anzi, vorrei che ci onoraste un poco più di sovente con la vostra presenza!»

Hercule Poirot sorrise, ricordando certi avvenimenti del passato in cui avevano avuto parte un cadavere, un cameriere, Monsieur Blondin in persona e una affascinante signora.

 

«Troppo gentile, Monsieur Blondin» disse.

 

«Siete solo, Monsieur Poirot?»

«Sì, solo, solissimo.»

«Oh, bene. Il nostro Jules vi preparerà una cenetta che sarà un poema… un autentico poema! Le donne, per quanto incantevoli possano essere, hanno sempre un inconveniente, quello di distrarre l’attenzione da quanto si mangia. Vi assicuro, Monsieur Poirot, che sarete soddisfatto della vostra cena… e quanto al vino…»

A questo punto seguì un dialogo di carattere strettamente tecnico con la collaborazione di Jules, il maitre d’hotel.

 

Prima di allontanarsi, Monsieur Blondin indugiò ancora un attimo abbassando la voce in tono confidenziale.

 

«Avete qualche caso importante per le mani?»

Poirot scrollò il capo.

 

«Ahimè, vivo nell’ozio più completo… Ho fatto qualche economia a suo tempo e adesso mi trovo con i mezzi che mi permettono di stare a girare i pollici, come suol dirsi!»

«Vi invidio.»

«No, per carità! Avreste torto. Vi assicuro che non è divertente come sembra» sospirò. «E proprio vero quello che si dice che l’uomo è stato costretto a inventare il lavoro per evitarsi la fatica di essere costretto a pensare!»

Monsieur Blondin alzò le braccia al cielo.

 

«Ma se c’è tanto da fare al mondo… ci sono i viaggi!»

«Sì, i viaggi. In realtà, qualcosa di discreto in questo campo l’ho già fatto. Durante l’inverno credo che andrò in Egitto. Dicono che abbia un clima favoloso! Così potrò evitare le nebbie, il grigiore, la monotonia della pioggia che cade di continuo.»

«Ah, l’Egitto!» sospirò Monsieur Blondin.

 

«Da quel che mi è stato detto oggi ci si può andare quasi completamente in treno, evitando ogni viaggio per mare, all’infuori della traversata della Manica.»

«Ah, il mare non fa per voi?»

Hercule Poirot scrollò il capo rabbrividendo lievemente.

 

«La stessa cosa vale anche per me» rispose Monsieur Blondin in tono pieno di comprensione. «Curioso l’effetto che ha sullo stomaco!»

«Ma solo su certi stomaci! Perché c’è tanta gente alla quale il movimento del mare non fa la minima impressione. Anzi si divertono addirittura!»

«Questa è una vera ingiustizia del buon Dio!» esclamò Monsieur Blondin.

 

Scrollò tristemente la testa e, meditando ancora su questa riflessione sacrilega, si allontanò.

 

Camerieri silenziosi e dalle mani rapide e abili si misero a servire; apparve un piatto di pane tostato alla melba, il burro, un secchiello pieno di ghiaccio: tutti i complementi a un pasto di alta qualità.

 

L’orchestrina negra si abbandonò a un’estasi di suoni strani e discordanti. Londra danzava.

 

Hercule Poirot cominciò a guardarsi intorno, registrando le impressioni nella sua mente ordinata e precisa.

 

Quante facce stanche e annoiate! Eppure pareva che qualcuno di quei grassoni si divertisse sul serio… mentre sulla faccia delle donne che ballavano con loro l’espressione più comune era quella di una paziente rassegnazione. Anche quella cicciona vestita di viola aveva l’aria raggiante… era innegabile che il grasso offre dei compensi… un gusto, un entusiasmo… negati a coloro che hanno figure dalla linea più snella ed elegante.

 

C’erano anche parecchi giovani… qualcuno con l’aria assorta… qualcuno annoiato… qualcuno chiaramente infelice. Che assurdità dire che la giovinezza è il tempo della felicità… piuttosto sarebbe giusto definirla il tempo della più grande vulnerabilità!

 

Il suo sguardo si addolcì soffermandosi su una coppia, in particolare.

Una coppia molto bene assortita: lui alto, spalle larghe, lei magra, fine, delicata. Due corpi che si muovevano al ritmo della felicità perfetta. La felicità di quell’ora, quel luogo, di essere l’uno con l’altra.

 

Il ballo si interruppe bruscamente. Qualcuno applaudì poi la musica ricominciò. Dopo un altro giro di danza la coppia tornò al proprio tavolo, vicino a quello di Poirot. La ragazza aveva le guance in fiamme, rideva. Sedendosi alzò sorridendo la faccia verso il compagno e Poirot poté osservarla meglio.

 

Ma nei suoi occhi c’era qualcosa di più, che andava oltre quell’espressione gioiosa e ridente. Hercule Poirot scrollò il capo, dubbioso.

 

“E’ troppo innamorata, la piccina” si disse. “Non è al sicuro. No, non è al sicuro.”

Poi una parola colpì il suo orecchio: “Egitto”.

 

Le loro voci gli giungevano limpide e chiare; quella della ragazza era fresca, giovanile, arrogante, con un lieve accento straniero che risaltava particolarmente nella pronuncia della r; quella dell’uomo garbata, bassa, da persona distinta ed educata.

 

«No, Simon, non vendo la pelle dell’orso prima di averlo ammazzato! Ti assicuro che Linnet non ci deluderà!»

«Potrei essere io a deludere lei.»

«Figuriamoci… è proprio quello che ci vuole per te.»

«In realtà lo credo anch’io… Non ho dubbi sulle mie capacità. E poi ho tutte le intenzioni di farmi valere… per amor tuo!»

La ragazza scoppiò in una risata sommessa, dolce, di pura felicità.

 

«Aspetteremo tre mesi… per essere ben sicuri che non sarai licenziato… e pOi…»

«E poi ti offrirò tutti i miei beni terreni… sono queste le parole, più o meno, vero?»

«E, come ti dicevo, andremo in Egitto per la luna di miele. Cosa importa se sarà una grossa spesa! Ho desiderato vedere l’Egitto da sempre… il Nilo, le Piramidi e la sabbia…»

Lui, con voce un po’ roca, disse: «E tutto questo lo vedremo insieme, Jackie… insieme. Non sarà meraviglioso?.»

«Chissà! Sarà meraviglioso per te come lo sarà per me? Mi vuoi bene sul serio… quanto te ne voglio io?»

La sua voce si era fatta di colpo quasi aspra… e aveva sgranato gli occhi… quasi per il terrore.

 

La risposta dell’uomo giunse rapida, anche questa tagliente: «Non essere assurda, Jackie.»

Ma la ragazza ripeté: «Chissà….» Poi si strinse nelle spalle.

«Balliamo.»

Hercule Poirot mormorò tra sé: «Une qui aime et un qui se laisse aimer.

Sì, dico anch’io: “Chissà…”.»

Joanna Southwood disse: «E se fosse un pasticcione terribile?.»

Linnet scrollò il capo.

 

«Oh, impossibile. Mi fido troppo dei gusti di Jacqueline.»

Joanna mormorò: «Già, ma quando ci si innamora, è più difficile giudicare….»

Linnet scrollò di nuovo il capo con aria spazientita. Poi cambiò argomento.

 

«Adesso vado a cercare il signor Pierce per quei progetti.»

«Progetti?»

«Sì, quelli relativi a certe orribili vecchie casette malsane. Ho deciso di farle demolire e di trovare un altro alloggio a chi ci abita.»

«Come sei igienica e piena di spirito altruista, cara!»

«Ad ogni modo dovevano andarsene ugualmente, perché quelle casette guardavano proprio sulla mia nuova piscina.»

«Ma quelli che ci vivono adesso sono contenti di andarsene?»

«In gran parte sono al settimo cielo per la gioia. Uno o due, invece, si sono comportati un po’ da sciocchi… anzi ci hanno fatto quasi perdere la pazienza. Pare che non capiscano assolutamente quanto miglioreranno le loro condizioni di vita!»

«Tu, però, a quel che mi sembra, hai intenzione di adottare le maniere forti, vero?»

«Mia cara Joanna, credimi… è soprattutto per il loro bene che lo faccio.»

«Sì, cara. Non ne dubito minimamente. Un vantaggio obbligatorio.»

Linnet si accigliò. Joanna scoppiò in una risata.

 

«Su, ammettilo anche tu, sei una gran tiranna! Diciamo pure una tiranna benefica, se preferisci!»

«Non è vero, non sono affatto una tiranna.»

«Però vuoi fare sempre quello che ti pare e piace!»

«Non mi sembra che io lo faccia in modo particolare!»

«Linnet Ridgeway, avresti il coraggio di guardarmi negli occhi e di citarmi una sola occasione in cui non sei riuscita a fare quello che volevi?»

«Certo, è capitato un mucchio di volte.»

«Oh, sì, un “mucchio di volte”… d’accordo… però non me ne hai dato nessun esempio concreto. La verità è che non riesci a trovarne neanche uno, cara, per quanto ti ci metta d’impegno! No, la tua è l’avanzata trionfale di Linnet Ridgeway, sul suo cocchio dorato.»

Linnet proruppe in tono brusco: «Mi trovi egoista?.»

«No… soltanto irresistibile. L’effetto combinato della ricchezza e della bellezza. Tutto crolla davanti a te. Quello che non riesci a comperare in contanti, sai ottenerlo con un sorriso. Risultato: Linnet Ridgeway, la RagazzaChe-Ha-Tutto.»

«Non essere ridicola, Joanna!»

«Be’, non è forse vero?»

«Immagino di sì… Tuttavia chissà perché, da come mi descrivi, mi lasci quasi disgustata!»

«Naturale, cara! A poco a poco, con il passare del tempo, troverai tutto terribilmente noioso e diventerai sempre più blasé. Ma, al momento, goditi la tua avanzata trionfale sul cocchio dorato. Però mi domando una cosa… sì, mi domando quello che succederebbe se tu volessi passare ad ogni costo da una strada sulla quale un cartello portasse la scritta: “Vietato il passaggio”.»

«Come sei sciocca, Joanna.»

Poiché Lord Windlesham le aveva raggiunte in quel momento, Linnet disse, rivolgendosi a lui: «Joanna non ha fatto che dirmi una quantità di cattiverie.» «Tutta invidia, tesoro, tutta invidia!» esclamò Joanna in tono distratto mentre si alzava.

 

Se ne andò senza una parola di scusa. Aveva colto un’espressione significativa negli occhi di Windlesham.

 

Lui rimase in silenzio per un minuto o due. Poi andò dritto allo scopo.

 

«Hai preso una decisione, Linnet?»

Linnet rispose lentamente: «Mi sto comportando in un modo proprio tanto crudele? Se non mi sento sicura dei miei sentimenti, dovrei dire “No”….»

Lui la interruppe: «Non dirlo. Hai ancora tempo per pensarci… tutto il tempo che vuoi. Però, sai cosa ti dico? Credo che, insieme, saremmo felici.»

«Perché vedi» il tono di Linnet era quasi di scusa, con una sfumatura quasi bambinesca «se tu sapessi come mi diverto… specialmente con tutto questo.» Fece un ampio gesto con la mano. «Volevo trasformare Wode Hall nella casa di campagna ideale, quella dei miei sogni, e credo di essere sulla buona strada, non ti pare?»

«Sì. E bellissima. Progettata in un modo stupendo. Ogni cosa è perfetta.

Sei molto intelligente, Linnet.»

Fece una pausa, poi continuò: «Ma anche Chantonbury ti piace, vero?

Naturalmente andrà un po’ modernizzato, ci vorrà qualche restauro… ma tu sei così brava in queste cose! Ti diverti a farle.»

«Oh, certo, Chantonbury è stupendo.»

Aveva parlato con entusiasmo, impulsivamente, ma si accorse di provare di colpo uno strano brivido di freddo. Nella completa soddisfazione che le dava in quel momento la sua vita si era insinuato un elemento estraneo, stonato e fastidioso. Lì per lì non lo analizzò a fondo ma, più tardi, quando Windlesham se ne fu andato, cercò di spiegarselo meglio.

 

Chantonbury… ecco, si trattava proprio di quello… Le aveva dato fastidio la menzione di Chantonbury. Ma perché? Chantonbury era una dimora famosa e gli antenati di Windlesham la possedevano fin dall’epoca di Elisabetta. Essere la signora di Chantonbury significava trovarsi sul gradino più alto della scala sociale. Windlesham era uno dei partiti più desiderabili dell’intera Inghilterra.

 

E, certamente, lui non avrebbe dato mai una grande importanza a Wode… in fondo non era niente di straordinario se lo si confrontava con Chantonbury.

 

Già, ma Wode era suo! Lo aveva visto, comperato, ricostruito e trasformato, ci aveva speso un mucchio di soldi. Era il suo possesso… il suo regno.

 

D’accordo, ma se lei avesse sposato Windlesham, in un certo senso non avrebbe più contato molto. Cosa se ne facevano di due case di campagna?

E, com’era naturale, fra le due, Wode Hall sarebbe stato quello da sacrificare.

 

Quanto a lei, Linnet Ridgeway, non sarebbe più esistita. Avrebbe assunto il nome di Contessa di Windlesham, portando una sostanziosa dote a Chantonbury e al suo padrone. Sarebbe stata non più una regina in senso assoluto ma semplicemente una regina-consorte.

 

“Mi sto comportando come una sciocca” si disse Linnet. Eppure era strano come la addolorasse l’idea di abbandonare Wode…

 

E poi, non c’era anche qualcos’altro che la tormentava e le dava fastidio?

 

La voce di Jackie con quella strana sfumatura roca e commossa, che diceva: “Morirò se non posso sposarlo! Sì, morirò, morirò…”.

 

Così decisa, così sicura di sé. Ma lei, Linnet, provava gli stessi sentimenti nei confronti di Windlesham? No, senz’altro, questo lo sapeva con certezza. Forse non sarebbe mai riuscita a provarli per nessuno.

Eppure doveva essere sì, certo, doveva essere meraviglioso… provare qualcosa di simile…

 

Dalla finestra aperta le arrivò il rumore di un’automobile.

 

Con uno sforzo si riscosse. Doveva essere Jackie con il suo giovanotto.

Bisognava uscire per riceverli.

 

Era ferma, in piedi, sulla porta d’ingresso spalancata quando Jacqueline e Simon Doyle scesero dalla vettura.

 

«Linnet!» Jackie le corse incontro. «Questo è Simon. Simon, ecco Linnet.

La donna più meravigliosa del mondo.»

Linnet vide un giovanotto alto, con le spalle larghe, gli occhi azzurro intenso, i capelli ricciuti, il mento squadrato e deciso e un sorriso semplice, accattivante, fanciullesco…

 

Gli porse la mano. E si accorse che veniva afferrata calorosamente da una mano salda… si accorse che le piaceva il modo in cui il giovanotto la guardava, la sua ammirazione ingenua e sincera.

 

Jackie gli aveva detto che lei era meravigliosa e, evidentemente, lui lo trovava vero.

 

Si sentì correre per le vene uno strano calore dolcissimo, che la inebriò.

 

«Non è simpatico tutto questo?» disse. «Su entra, Simon, così potrò dare il benvenuto con le debite forme al mio nuovo amministratore.»

Poi, voltandosi per precederli in casa, pensò: “Sono terribilmente… terribilmente felice. Mi piace il ragazzo di Jackie… mi piace alla follia…”. E subito dopo, provando un’improvvisa fitta di dolore: “Fortunata Jackie…”.

 

Tim Allerton si abbandonò contro la spalliera della poltrona di vimini in cui era seduto e sbadigliò guardando il mare. Poi allungò un rapido sguardo di sottecchi a sua madre.

 

La signora Allerton era una bella donna di cinquant’anni, con i capelli completamente bianchi. Assumendo un’espressione severa e arricciando le labbra con aria arcigna ogni volta che guardava suo figlio, tentava disperatamente di nascondere l’immenso affetto che aveva per lui.

Tuttavia capitava di rado che qualcuno, e a volte nemmeno un estraneo, si lasciasse ingannare da questo stratagemma; quanto a Tim in persona, poi… figuriamoci!

 

«Ti piace proprio Majorca, mamma?» disse.

 

«Be’…» rispose la signora Allerton dopo averci pensato su un momento «… non è cara.»

«Ma è fredda» disse Tim, rabbrividendo lievemente.

 

Era un giovanotto alto, molto magro, con i capelli scuri e il torace piuttosto stretto. La sua bocca aveva un’espressione di grande dolcezza, i suoi occhi erano tristi, il mento debole. Aveva mani lunghe e delicate.

 

Minacciato dalla tubercolosi qualche anno prima, in realtà non era mai stato molto robusto. Fra la gente di sua conoscenza si diceva che “scrivesse”, ma i suoi amici, per tacito accordo, non indagavano mai a fondo sulla sua produzione letteraria.

 

«Cosa stai pensando, Tim?»

La signora Allerton era già all’erta. I suoi luminosi occhi nocciola scuro avevano assunto un’espressione di sospetto.

 

Tim Allerton le rivolse un sorriso: «Stavo pensando all’Egitto.»

«L’Egitto?» ripeté la signora Allerton dubbiosa.

 

«Sì, cara… quello è un posto dove fa caldo sul serio… stupende spiagge dorate. Il Nilo. A me piacerebbe navigare sul Nilo, e a te?»

«Oh, certo! Piacerebbe anche a me.» Il suo tono era asciutto. «Ma l’Egitto è caro, figliolo mio. Non è adatto a chi deve badare al centesimo.»

Tim scoppiò in una risata. Si alzò in piedi, si stiracchiò. Tutto d’un tratto pareva diventato entusiasta e pieno di vitalità. Nella sua voce si sentiva una sfumatura di eccitazione.

 

«Quanto alle spese, saranno affar mio. Sì, cara mamma. Un colpetto andato a segno in Borsa. Con risultati incredibilmente soddisfacenti. Ho ricevuto stamattina la notizia.»

«Stamattina?» ribatté la signora Allerton in tono brusco. «Ma se hai ricevuto una sola lettera e quella era di…»

Si interruppe, mordendosi le labbra.

 

Tim per un attimo sembrò indeciso se mostrarsi divertito o adirato. Poi optò per la prima soluzione.

 

«E quella era di Joanna» disse, con voce glaciale, concludendo la frase lasciata in sospeso da sua madre. «Hai perfettamente ragione, mamma.

Saresti la regina degli investigatori! Il celeberrimo Hercule Poirot si sentirebbe traballare la corona sulla testa se gli capitasse di scontrarsi con te.»

La signora Allerton sembrò impermalita.

 

«A dir la verità mi è semplicemente capitato di vedere la calligrafia…»

«E hai capito che non era quella di un agente di Borsa? Giustissimo.

Infatti è stato ieri che ho avuto notizie da loro. In realtà la calligrafia della povera Joanna è abbastanza vistosa… copre tutta la busta con quelle lettere scarabocchiate disordinatamente, così grosse e sconnesse… sembrano gli sgambetti di un ragno ubriaco!»

«Cosa dice Joanna? Qualche novità interessante?»

La signora Allerton tentò di dare alla voce un’intonazione indifferente e distaccata ma l’amicizia fra suo figlio e la seconda cugina Joanna Southwood l’aveva sempre infastidita. Non che “ci fosse qualcosa” tra i due ragazzi, come si ripeteva. No, era sicurissima che non ci fosse niente. Tim non aveva mai manifestato un interesse sentimentale verso Joanna, né lei nei confronti del cugino. Pareva che la loro reciproca simpatia fosse soprattutto fondata sul pettegolezzo e sul gran numero di amici e conoscenti che avevano in comune. A tutti e due piaceva la gente, piaceva parlare della gente. Quanto a Joanna era spiritosa e divertente ma terribilmente caustica.

 

Quindi non era per il timore che Tim potesse innamorarsi di Joanna che la signora Allerton si sentiva diventare sempre un poco più rigida e severa del solito quando Joanna era presente oppure quando arrivava qualche sua lettera.

 

Si trattava di un sentimento difficile da definire, forse un’istintiva gelosia di fronte al sincero piacere che Tim manifestava sempre quando poteva stare insieme a Joanna. Il ragazzo e sua madre avevano raggiunto un accordo talmente armonioso e perfetto e stavano così bene l’uno in compagnia dell’altra che alla signora Allerton bastava vederlo attirato e interessato da un’altra donna per restarne sempre un po’ allarmata.

Tra l’altro si era messa in testa che la sua presenza, in quell’occasione, finisse per creare una specie di barriera fra quelle due creature che appartenevano a una generazione diversa dalla sua. Più di una volta le era capitato di trovarli intenti a parlare fitto fitto ma, vedendola, la loro conversazione si era fatta più impacciata e sembrava sempre che rivelasse l’impegno e lo forzo di farvi partecipare anche lei, come una specie di dovere.

 

No, tutto considerato, la signora Allerton non trovava affatto simpatica Joanna Southwood. La giudicava poco sincera, affettata e superficiale. E scopriva che era molto difficile controllarsi ed evitare di esprimere molto chiaramente, senza misurare le parole, questa opinione.

 

In risposta alla sua domanda, Tim tirò fuori di tasca la lettera e la scorse rapidamente, Si trattava di una lettera molto lunga, come sua madre non mancò di notare.

 

«In fatto di novità, non c’è molto» disse. «I Devenish stanno divorziando. Il vecchio Monty è stato arrestato perché guidava la macchina mentre era ubriaco. Windlesham è partito per il Canada. Pare che se la sia presa moltissimo quando Linnet Ridgeway ha rifiutato di sposarlo. E, a quel che sembra, lei è proprio decisa a convolare a giuste nozze con quel suo amministratore!»

«Che cosa straordinaria! Ma lui… è proprio un brutto tipo?»

«No, no, tutt’altro! E uno dei Doyle del Devonshire. Neanche un centesimo, naturalmente… anzi pare che fosse fidanzato con una delle migliori amiche di Linnet. E questa mi sembra una faccenda piuttosto brutta!»

«Sono perfettamente d’accordo!» interloquì la signora Allerton, arrossendo.

 

Tim le indirizzò uno sguardo pieno di affetto.

 

«Lo so, cara. Tu non approvi che si porti via il marito a un’altra e parecchie altre cose dello stesso genere.»

«Ai miei tempi, esistevano certi limiti oltre i quali era inconcepibile andare» disse la signora Allerton. «Secondo me era un’ottima cosa! Oggi sembra che i giovani siano convinti di poter fare tutto quello che vogliono.»

Tim sorrise.

 

«Non sembra soltanto… Lo fanno addirittura senza troppi complimenti.

Vedi Linnet Ridgeway!»

«Be’, io trovo che sia una cosa ignobile!»

Tim le strizzò un occhio.

 

«Su con la vita, cara vecchia sentimentale dai severi principi! Allegra!

Forse anch’io sarei d’accordo con te. Comunque, per quel che mi riguarda, finora non ho portato via la moglie o la fidanzata a nessuno!»

«Sono sicura che non faresti mai una cosa del genere» ribatté la signora Allerton. Poi aggiunse, con calore: «Ti ho educato come si conviene.»

«Quindi il merito è tutto tuo, e io non c’entro!»

Le rivolse un sorriso canzonatorio mentre ripiegava la lettera e la metteva via di nuovo.

 

La signora Allerton non poté fare a meno di pensare: “Mi fa vedere quasi tutte le lettere che riceve. Ma quando ne arriva una di Joanna, si accontenta di leggermene soltanto qualche brano”.

 

Tuttavia scacciò questo pensiero indegno e si impose di comportarsi, come sempre, da gentildonna.

 

«E Joanna? Si diverte?» domandò.

 

«Così così. A quanto pare sta meditando di aprire un negozio di specialità alimentari a Mayfair.»

«Continua a ripetere di essere in gravi difficoltà finanziarie» osservò la signora Allerton con una punta di veleno «eppure va sempre dappertutto e porta certi abiti che devono costare un occhio della testa. E sempre vestita con un’eleganza straordinaria.»

«Già, probabilmente» disse Tim «non è lei che li paga. No, mamma, non alludo a quello che ti fa sospettare la tua mentalità edoardiana! Ma semplicemente che lascia in giro un mucchio di conti in sospeso.»

La signora Allerton sospirò.

 

«Non sono mai riuscita a capire come certe persone riescano a fare cose del genere.»

«E’ una specie di dono naturale» rispose Tim. «Basta che tu abbia gusti un po’ stravaganti e ti manchi completamente il senso del valore del denaro… puoi stare sicura che chiunque è disposto a farti credito.»

«D’accordo, ma poi ci si trova in tribunale per bancarotta fraudolenta e si va a finire come il povero Sir George Wode.»

«Tu hai sempre avuto un debole per quel vecchio mercante di cavalli… probabilmente perché ti ha detto, ad un ballo, nel 1879, che assomigliavi a un “bocciolo di rosa”!»

«Nel 1879 io non ero ancora nata!» ribatté la signora Allerton con energia. «Sir George era una persona squisita e non ti permetto di chiamarlo mercante di cavalli!»

«Ho sentito raccontare un sacco di strane storie su di lui da gente che lo conosce.»

«Tu e Joanna non state mai attenti a quello che dite, quando parlate del vostro prossimo: qualsiasi cosa va bene, basta che sia maleducata e di cattivo gusto.»

Tim alzò le sopracciglia.

 

«Cara mamma, come ti stai scaldando! Non sapevo che tu avessi tutta questa simpatia per il vecchio Wode.»

«Come fai a non capire come deve aver sofferto quando si è visto costretto a vendere Wode Hall? Era affezionatissimo a quella tenuta.»

Tim si trattenne dal rispondere perché gli era salita alle labbra la battuta più logica. In fondo, a ben pensarci, chi era lui, Tim Allerton, per giudicare gli altri? Preferì, quindi, dire con aria meditabonda: «Sai che devo quasi darti ragione? Linnet lo ha invitato ad andare giù, a Wode, a vedere i lavori che aveva fatto eseguire nella proprietà, ma lui ha rifiutato con la massima scortesia.»

«Naturale! Mi stupisco che lei non abbia pensato che era una “indelicatezza”.»

«Fra l’altro credo che Sir George la veda come il fumo negli occhi… se gli capita di incontrarla, non fa che bofonchiare tra sé le cose più atroci nei suoi confronti! Non può perdonarle di aver pagato un prezzo addirittura strepitoso per quella specie di rudere rosicchiato dai tarli!»

«E questo, non lo capisci?» rispose la signora Allerton con asprezza.

 

«Francamente, non ci riesco» ribatté Tim con la massima calma. «Perché vivere nel passato? Perché aggrapparsi alle cose che oggi non hanno più ragione di essere?»

«Già, ma cosa ti proponi di mettere al loro posto?»

Lui alzò le spalle.

 

«Eccitamento, forse. Novità. La gioia di non sapere mai quello che può capitarci da un giorno all’altro. Invece di ereditare un pezzo di terra inutile, il piacere di guadagnare un mucchio di soldi con i propri meriti… la propria abilità, l’intelligenza!»

«Già, magari con un colpo fortunato in Borsa, vero?»

Lui rise.

 

«Perché no?»

«E cosa penseresti, per esempio, di una grossa perdita, di pari entità, in Borsa?»

«Questa mi sembra un’osservazione assolutamente priva di tatto, cara mamma. E molto poco appropriata, soprattutto oggi… allora cosa ne pensi del mio progetto di un viaggio in Egitto?»

«Ecco…»

Lui la interruppe, sorridendole: «Allora è deciso. Del resto abbiamo sempre avuto tutti e due un gran desiderio di visitare l’Egitto.»

«Quando proporresti di andare?»

«Oh, il mese prossimo. Mi pare che gennaio sia l’epoca migliore. Così potremo goderci la deliziosa compagnia degli altri clienti di questo albergo ancora per qualche settimana.»

«Tim!» esclamò la signora Allerton in tono di rimprovero. Poi aggiunse con aria colpevole: «Purtroppo… ho paura di aver promesso alla signora Leech che l’avresti accompagnata al commissariato di polizia. Non capisce una sola parola di spagnolo.»

Tim fece una smorfia.

 

«Per il suo anello? Ancora per il rubino color sangue di piccione? Ma perché insiste a credere che le sia stato rubato? Se proprio vuoi, ci vado; ma è una perdita di tempo! Otterrà soltanto lo scopo di cacciare nei guai qualche disgraziata cameriera. Gliel’ho visto al dito con questi occhi quel giorno, quando è entrata in mare! Le sarà scivolato in acqua senza che lei se ne accorgesse.»

«Dice che è sicurissima di averlo tolto e lasciato sul tavolino da toilette.»

«Be’, si sbaglia. Ti garantisco che l’ho visto! Quella donna è matta!

Del resto chiunque abbia un po’ di sale in zucca non andrebbe a tuffarsi in mare di dicembre, cercando di far credere al prossimo che l’acqua è caldissima soltanto perché, in quel momento, splende il sole. A parte il fatto che alle donne grasse come lei bisognerebbe vietare di bagnarsi, sempre e comunque: sono veramente disgustose in costume da bagno!»

La signora Allerton mormorò: «Sì, comincio a credere che farò meglio a rinunciare ai bagni anch’io.»

Tim scoppiò in una risata.

 

«Tu? Proprio tu che potresti dare dei punti alle ragazzine!»

La signora Allerton sospirò: «Come vorrei che ci fosse un po’ di gente giovane per te, qui!.»

Ma Tim Allerton scrollò il capo con energia.

 

«Io, no. Mi pare che stiamo benissimo insieme, noi due, anche così!»

«Però ti farebbe piacere che Joanna fosse qui.»

«No, affatto.» Il tono di Tim era inaspettatamente risoluto. «Ti sbagli.

Joanna mi diverte ma, in fondo in fondo, non mi è molto simpatica e mi dà sui nervi quando ce l’ho in giro per troppo tempo. Sono felicissimo che non sia qui. E credo che mi rassegnerei senza troppa difficoltà se non dovessi più vederla per il resto dei miei giorni.»

Poi aggiunse, quasi sottovoce: «C’è una sola donna al mondo per la quale io nutro un sincero rispetto e la più profonda ammirazione e credo, signora Allerton, che tu sappia benissimo di chi si tratta.»

Sua madre arrossì, confusa.

 

Tim disse in tono grave: «Non ci sono molte donne realmente simpatiche e perbene al mondo. E tu sei una di queste.»

A New York, in un appartamento che guardava su Central Park, la signora Robson esclamò: «Ma è una cosa stupenda! Sei proprio una ragazza molto fortunata, Cornelia.»

Per tutta risposta Cornelia Robson arrossì violentemente. Era una ragazzona goffa e maldestra con gli occhi castani un po’ simili a quelli di un cane.

 

«Oh, sarà proprio meraviglioso!» mormorò con il fiato mozzo.

 

La signorina Van Schuyler inclinò il capo con aria soddisfatta di fronte a questo modo di comportarsi così corretto da parte delle sue parenti povere.

 

«Ho sempre sognato di fare un viaggio in Europa» sospirò Cornelia «ma non mi sono mai fatta illusioni sulla eventualità di poterci andare davvero!»

«Naturalmente verrà con me anche la signorina Bowers, come al solito» riprese la signorina Van Schuyler «ma come dama di compagnia la trovo un po’ limitata… molto limitata. Ci sono molte piccole cose che Cornelia potrà fare per me.»

«Certo, e ne sarò felicissima, cugina Marie» interloquì Cornelia con vivacità.

 

«Bene, bene, dunque è tutto sistemato» riprese la signorina Van Schuyler. «E adesso cara, vai a cercare la signorina Bowers. E l’ora dello zabaglione.»

Cornelia si allontanò mentre sua madre diceva: «Mia cara Marie, non puoi immaginare quanto ti sono grata! Sai benissimo, credo, che Cornelia è molto avvilita di non poter avere successo in società. La fa sentire un po’ mortificata, ho l’impressione. Se potessi permettermi di portarla un po’ in giro, a visitare altri luoghi… ma sai benissimo come sono andate le cose da che Ned è morto.»

«Sono felicissima di condurla con me» disse la signorina Van Schuyler.

«Cornelia è sempre stata una ragazza molto gentile e premurosa, servizievole, non egoista come certi ragazzi del giorno d’oggi!»

La signora Robson si alzò per baciare la guancia rugosa e giallastra della ricca parente.

 

«Ti sarà grata in eterno» dichiarò.

 

Sulle scale incontrò una donna alta, dall’aspetto efficiente e attivo, la quale stava portando un bicchiere che conteneva un liquido giallo e schiumoso.

 

«Dunque, signorina Bowers, si parte per l’Europa, eh?»

«Sì, signora Robson.»

«Che viaggio meraviglioso!»

«Ecco, sì, credo proprio che sarà molto piacevole.»

«Ma voi siete già stata all’estero, vero?»

«Oh, sì, signora Robson. Sono andata a Parigi con la signorina Van Schuyler nell’autunno scorso. Però in Egitto mai.»

La signora Robson esitò.

 

«Spero… che non ci saranno… fastidi.»

Aveva abbassato la voce.

 

Tuttavia la signorina Bowers rispose nel suo solito tono: «Oh, no, signora Robson; a questo penserò io. Del resto sono abituata a tener sempre gli occhi bene aperti.»

Sul volto della signora Robson rimase un’ombra leggera, però, mentre continuava a scendere le scale.

 

Nel suo centralissimo ufficio, il signor Andrew Pennington stava aprendo la posta personale. D’un tratto strinse un pugno e lo lasciò cadere con forza sul piano della scrivania mentre diventava paonazzo e due grosse vene gli si disegnavano sulla fronte. Premette il pulsante del campanello e una stenodattilografa, dall’aspetto curato ed elegante, accorse con lodevole prontezza.

 

«Potete dire al signor Rockford di venire un minuto qui da me?»

«Certo, signor Pennington.»

Pochi minuti più tardi Sterndale Rockford, il socio di Pennington, entrava. I due uomini si assomigliavano parecchio: entrambi alti, segaligni, con i capelli brizzolati e la faccia intelligente, accuratamente rasata.

 

«Cosa c’è, Pennington?»

Pennington alzò gli occhi dalla lettera che stava rileggendo.

 

«Linnet si è sposata…» disse.

 

«Cosa?»

«Hai sentito benissimo! Linnet Ridgeway si è sposata!»

«Come? Quando? E perché mai non ne abbiamo saputo niente?»

Pennington lanciò un’occhiata al calendario che teneva sulla scrivania.

 

«Non era sposata quando ha scritto questa lettera. Ma adesso lo è. La cerimonia è stata celebrata la mattina del quattro. Cioè oggi.»

Rockford si lasciò cadere in una poltrona.

 

«Perbacco! Senza preavviso… niente? E lui, chi sarebbe?»

Pennington riportò gli occhi sulla lettera.

 

«Doyle. Simon Doyle.»

«E chi sarebbe? Ne hai mai sentito parlare?»

«No. E neanche lei dice molto…» Scorse ancora rapidamente quelle righe scritte con grafia chiara e slanciata. «Ho la vaga idea che ci sia sotto qualcosa di misterioso… ma questo non ha importanza. Resta il fatto che si è sposata.»

Gli occhi dei due uomini si incontrarono.

 

Rockford annuì.

 

«Qui occorre riflettere» disse in tono pacato.

 

«Cosa facciamo?»

«Lo chiedo a te.»

I due soci rimasero in silenzio.

 

Poi Rockford domandò: «Hai qualche idea?.»

Pennington disse lentamente: «Il Normandie salpa oggi. Uno di noi due dovrà prenderlo.»

«Sei impazzito? Che cosa ti è saltato in testa?»

Pennington cominciò: «Quegli avvocati inglesi…» e si interruppe.

 

«Be’, cosa c’entrano gli avvocati inglesi? Non avrai intenzione di andare ad affrontarli, vero? Deve averti dato di volta il cervello!»

«Non ti sto dicendo che tu… o io… dobbiamo andare in Inghilterra.»

«Quale sarebbe questa idea grandiosa, allora?»

Pennington passò una mano, come per lisciarla, sulla lettera che aveva davanti.

 

«Linnet va in Egitto per la luna di miele. Dice che avrebbe intenzione di fermarsi un mese o anche più…»

«In Egitto… eh?»

Rockford ci pensò su un momento. Poi alzò gli occhi e incontrò lo sguardo del socio.

 

«L’Egitto…» disse. «Ecco qual è la tua idea!»

«Sì, un incontro del tutto casuale, durante un viaggio. Linnet e suo marito… un’atmosfera da luna di miele. Potrebbe andare.»

Rockford disse in tono dubbioso: «E furba, Linnet… ma….»

Pennington continuò a voce bassa: «Penso che esistano i modi di… combinare.»

Di nuovo i loro occhi si incontrarono. Rockford annuì.

 

«Va bene, figliolo.»

Pennington guardò l’orologio.

 

«Dovremo affrettarci… chiunque di noi sia a partire.»

«Vai tu» disse subito Rockford. «Tu sei sempre riuscito ad entrare nelle grazie di Linnet. “Zio Andrew”. Ecco il tono da prendere e la via da seguire!»

La faccia di Pennington si indurì. «Spero di farcela» disse.

 

«Devi farcela» ribatté il suo socio. «La situazione è critica…»

 

William Carmichael disse al giovanottello magro e sparuto che aveva aperto la porta e lo guardava con aria interrogativa: «Mandatemi il signor Jim per favore.»

Jim Fanthorp entrò e guardò con aria interrogativa lo zio. L’anziano signore alzò la testa, gli rivolse un cenno di saluto e un grugnito.

 

«Uhm, sei qui?» «Mi volevi?» «Sì, dà un’occhiata a questo…»

Il giovanotto si mise a sedere e attirò verso di sé un fascio di carte.

L’anziano signore lo scrutava.

 

«Be’?»

La risposta arrivò con prontezza. «Secondo me, c’è puzza d’imbroglio.» Il socio anziano dello studio Carmichael, Gran Carmichael, si lasciò sfuggire di nuovo il grugnito che gli era caratteristico.

 

Jim Fanthorp rilesse la lettera appena arrivata per via aerea dall’Egitto:

… mi sembra quasi una vergogna scrivere una lettera d’affari in una giornata come questa. Abbiamo trascorso una settimana a Mena House*1 e fatto una spedizione al Fajun. Dopodomani abbiamo intenzione di risalire il Nilo fino a Luxor e Assuan con il piroscafo, magari arriveremo fino a Kartum. Stamattina, quando siamo andati alla Agenzia Cookt per ritivare i biglietti, chi è stata la prima persona che ho visto?… Il mio amministratore americano, Andrew Pennington. Se non sbaglio dovete averlo conosciuto un paio d’anni fa quando è venuto in Europa. Non immaginavo nemmeno lontanamente che fosse in Egitto, come lui non aveva la minima idea che ci fossi io! E non sapeva neanche che mi fossi sposata! Evidentemente la lettera con la quale gli annunciavo il mio matrimonio deve essere arrivata quando lui era appena partito. Ha intenzione di risalire il Nilo facendo il nostro stesso viaggio. Non è una strana coincidenza? Non so come ringraziarvi di tutto quello che avete fatto per me…

 

Il giovanotto stava per voltare la pagina quando il signor Carmichael gli tolse la lettera dalle mani.

 

«Questo è tutto» disse. «Il resto non ha importanza. Be’, cosa ne dici?» Il nipote rifletté un momento, poi disse: «Ebbene… secondo me non si tratta affatto di una strana coincidenza….» L’altro annuì, con aria di approvazione. «Che ne diresti di fare un viaggetto in Egitto?» sbraitò.

«Lo ritieni consigliabile?»

«A mio avviso non c’è tempo da perdere.» «D’accordo, ma perché proprio io?»

«Adopera il cervello, figliolo, adopera il cervello. Linnet Ridgeway non ti ha mai visto né conosciuto; e nemmeno Pennington. Se parti con l’aereo, arrivi giusto in tempo!»

«Non… non sono entusiasta di andarci. E poi… cosa devo fare?»

«Adopera gli occhi… Le orecchie… e il cervello… se ne hai. Poi, in caso di necessità… agisci.»

«Non… non mi piace neanche un po’!»

«Può darsi… ma devi andare lo stesso.»

«E’ proprio… necessario?»

«Secondo me» disse Carmichael «è assolutamente indispensabile.»

 

La signora Otterbourne, accomodandosi meglio il turbante indigeno, esclamò con visibile agitazione: «Insomma, non riesco a capire per quale motivo non dovremmo andare in Egitto. Non ne posso più di Gerusalemme!.»

Poiché sua figlia continuava a tacere, riprese: «Se non altro potresti rispondere quando ti si parla.»

Rosalie Otterbourne stava osservando la fotografia riprodotta su un giornale. Più sotto, la didascalia diceva:

La signora Doyle, nota nella società londinese, prima del matrimonio, come l’affascinante signorina Linnet Ridgeway. La signora Doyle con il marito Simon stanno trascorrendo una vacanza in Egitto.

 

Domandò: «Ti piacerebbe andare in Egitto, mamma?.»

«Sì, certamente!» rispose la signora Otterbourne in tono irritato. «Per quel che mi riguarda, qui ci hanno trattate veramente senza il minimo riguardo. Il solo fatto che mi trovo qui costituisce una bella pubblicità per l’albergo… e avrebbero dovuto farmi uno sconto particolare sul prezzo. Ma è bastato che accennassi a questa probabilità e si sono mostrati impertinenti… molto impertinenti. Così, mi sono affrettata a dire chiaro e tondo quello che pensavo di loro.»

La ragazza sospirò e aggiunse: «Un posto vale l’altro. Per quel che mi riguarda, sarei contenta se potessimo andarcene anche subito.»

«Questa mattina, fra l’altro» riprese la signora Otterbourne «il direttore ha avuto la scortesia di informarmi che tutte le camere sono state prenotate da tempo e che gli occorreranno anche le nostre fra due giorni.»

«Sicché dobbiamo assolutamente andarcene in qualche altro posto.»

«Niente affatto. Io sono dispostissima a combattere per difendere quello che è un mio diritto!»

Rosalie mormorò: «Secondo me, potremmo pure andare in Egitto. Tanto, non fa nessuna differenza!.»

«Certo che non è una questione di vita o di morte» ammise la signora Otterbourne.

 

Ma in questo si ingannava, e molto, perché si trattava precisamente di una questione di vita o di morte.

 

 

«Quello è Hercule Poirot, il celebre investigatore» disse la signora Allerton. Lei e il figlio sedevano in due ampie poltrone di vimini, dipinte in un bel rosso vivo, davanti al Cataract Hotel*2 di Assuan.

Stavano seguendo con gli occhi due figure che si allontanavano, un ometto che indossava un completo di seta bianca e una ragazza alta e snella.

 

Tim Allerton si raddrizzò sulla persona con una vivacità che gli era insolita.

 

«Quel buffo ometto?» domandò incredulo.

 

«Sì, proprio quel buffo ometto!»

«Si può sapere cosa diavolo è venuto a fare qui?» domandò Tim.

 

Sua madre scoppiò in una risata.

 

«Caro, sembri così emozionato! Chissà perché agli uomini piace tanto tutto ciò che ha a che vedere col delitto? Io detesto i romanzi polizieschi e non li leggo mai. Però non credo che Monsieur Poirot sia qui per motivi professionali. Ha guadagnato un sacco di quattrini e adesso se li gode andando in giro per il mondo.»

«Sembra che abbia subito messo gli occhi sulla ragazza più bella che c’è in questo posto.»

La signora Allerton piegò la testa da un lato considerando il signor Poirot e la sua compagna che si allontanavano.

 

La ragazza superava Poirot di almeno dieci centimetri e camminava con un bel passo slanciato e scattante, né impettito né dinoccolato.

 

«Effettivamente è proprio carina» disse la signora Allerton, lanciando un’occhiata di sottecchi a Tim. E si accorse, con segreto divertimento, che lui aveva subito abboccato.

 

«Direi che è qualcosa di più che carina! Peccato che abbia un pessimo carattere e sia sempre così imbronciata.»

«Forse è semplicemente la sua espressione, caro.» «Secondo me è un demonietto antipatico… anche se mi sembra abbastanza carina…»

L’oggetto di queste osservazioni camminava a passo lento al fianco di Poirot. Rosalie Otterbourne stava giocherellando con un parasole chiuso, la sua espressione era proprio quella che Tim aveva appena descritto.

Appariva imbronciata e scontrosa. Aveva le sopracciglia aggrottate e la bocca rosso vivo aveva gli angoli piegati all’ingiù.

 

Uscendo dal cancello dell’albergo svoltarono a sinistra e si inoltrarono nella fresca ombra dei giardini pubblici.

 

Hercule Poirot chiacchierava amabilmente con espressione felice e beata.

Indossava un abito di seta bianca, accuratamente stirato, un panama, e stringeva in mano un raffinatissimo scacciamosche con il manico di ambra.

 

«E’ qualcosa che mi lascia incantato» stava dicendo. «Le rocce nere dell’Elefantina, il sole, e quelle piccole barche sul fiume. Sì, è proprio bello essere VIVI.»

Tacque per qualche attimo, poi soggiunse: «Non siete del mio parere, mademoiselle?.»

Rosalie Otterbourne rispose in tono un po’ asciutto: «Sarà come dite, e ci credo. Ma per me Assuan è un posto triste e noioso. L’albergo è mezzo vuoto e fra tutti i clienti non ce n’è uno che sia al di sotto dei cento….»

S’interruppe, mordendosi un labbro.

 

Gli occhi di Hercule Poirot ebbero uno scintillio malizioso.

 

«E’ vero, verissimo! Io ho già un piede nella fossa.»

«Non… non stavo alludendo a voi» ribatté la ragazza. «Mi spiace. Ciò che ho detto non è stato molto cortese.»

«Per carità! E naturale che possiate desiderare una compagnia della vostra età. Però, un giovanotto, almeno, c’è.»

«Quello che sta sempre attaccato alle gonne della madre? Trovo lei molto simpatica… ma quanto a lui, è insopportabile… così presuntuoso!»

Poirot sorrise.

 

«Io… anch’io sono presuntuoso?»

«Oh, non mi pare.»

Era fin troppo chiaro che l’argomento non la interessava affatto, ma questo non parve infastidire Poirot il quale si limitò a osservare placidamente, con aria soddisfatta: «I miei migliori amici dicono sempre che io sono molto presuntuoso.»

«Ecco…» rispose Rosalie in tono incerto «forse voi avete dei buoni motivi per essere presuntuoso! Disgraziatamente non trovo il minimo interesse per i delitti.»

Con molta solennità Poirot disse: «Sono felice di sapere che non avete segreti colpevoli da nascondere.»

Per un attimo la maschera imbronciata della ragazza si trasformò mentre lanciava all’investigatore una rapida occhiata interrogativa.

 

Questi sembrò non accorgersene e proseguì: «La vostra signora mamma non si è vista oggi, a pranzo. Mi auguro non sia indisposta, vero?.»

«Questo posto non fa per lei» rispose Rosalie asciutta. «Sarò ben contenta quando ce ne andremo.»

«Sbaglio o partiremo tutti insieme per la stessa escursione? Non venite anche voi a fare la gita fino a Wadi Halfa e alla Seconda Cateratta?»

«Sì.»

Uscirono dall’ombra dei giardini pubblici e si incamminarono per un tratto polveroso di strada che costeggiava il fiume. Cinque venditori di collane, due venditori di cartoline e tre di scarabei di gesso, un paio di ragazzini che si tiravano dietro un asinello e alcuni altri, più piccoli ma non meno speranzosi, che tentavano di smerciare ninnoli da pochi soldi li presero d’assalto.

 

«Volete collane, signore? Molto belle, signore. Costano poco…»

«Signora, tu volere scarabeo? Guarda… scarabeo della grande regina… porta fortuna, molta fortuna…»

«Ehi, signore, lapislazzolo autentico… molto bello, costa poco…»

«Vuoi fare gita a dorso d’asino, signore? Questo asino molto buono.

Questo asino chiamarsi Whisky e Soda, signore…»

«Non volete andare a cava di granito? Questo asino bravo bravo. Altri asini molto cattivi, signore, tutti asini che cadono…»

«Cartoline.. cartoline… poco prezzo… bellissime…»

«Ehi, signora… soltanto dieci piastre… costano pochissimo… lapislazzolo… questo essere avorio…»

«Questo scacciamosche è molto buono… tutto in ambra.»

«Gita, volete fare gita in barca, signore? Io avere barca bellissima, signore…»

«Tornate in albergo, signora… questo asino di prima classe…»

Hercule Poirot tentava con qualche blando gesto di liberarsi da quella specie di nugolo di mosche dalle sembianze umane; Rosalie, invece, camminava in mezzo a loro come una sonnambula.

 

«E’ meglio fingere di essere sordi e ciechi» osservò.

 

Intanto i bambinetti che offrivano ninnoli da pochi soldi continuavano a correrle al fianco mormorando con voce piagnucolosa: «Bascisc… bascisc… Hip Hip Hurrah… molto buono, molto bello…»

Trascinavano in modo molto pittoresco, nella polvere, i loro stracci multicolori e avevano le palpebre letteralmente coperte di mosche. Erano i più insistenti. Gli altri a poco a poco rimasero indietro e pronti a lanciarsi all’attacco di nuovi arrivati.

 

Ieri come oggi, intorno ai turisti si agitano bambini sorridenti e vocianti. Il paesaggio geografico ed umano, è rimasto intatto nei secoli. Questo gruppo di case e questi bambini sono uguali a quelli che tiravano per le maniche Agatha o che attorniavano Poirot. A proposito di Poirot bisogna ricordare un’altra sua avventura in Egitto

Narrata dal capitano Hastings nel racconto La maledizione della tomba egizia: «Dovevamo raggiungere l’accampamento a dorso di cammello; gli animali ci aspettavano inginocchiati, accuditi da alcuni pittoreschi ragazzi. Sorvolo sullo spettacolo di Poirot sul cammello. Cominciò gemendo o lamentandosi e finì urlando, gesticolando e invocando la Vergine Maria e ogni santo del calendario.»

Adesso a Rosalie e Poirot non restava che liberarsi di chi li invitava nei loro negozi, ma in questo caso il tono dell’invito era suadente e melato…

 

«Volete entrare nel mio negozio, signore? Non piacere questo coccodrillo di avorio, signore? Non siete ancora venuto in mio negozio, signore?

Posso mostrarvi cose molto belle.»

Entrarono nella quinta bottega e Rosalie consegnò alcuni rotoli di pellicola da sviluppare (lo scopo della loro passeggiata).

 

Quando ne uscirono, si incamminarono verso la riva del fiume. Uno dei piroscafi del Nilo stava attraccando proprio in quella. Poirot e Rosalie si soffermarono a osservare con interesse i passeggeri.

 

«Quanti sono, vero?» fu il commento di Rosalie. Girò la testa perché in quel preciso momento Tim Allerton era arrivato a raggiungerli. Pareva un po’ sfiatato come se avesse fatto la strada di corsa.

 

Rimasero lì in silenzio per un minuto o due, infine fu Tim a parlare.

 

«La solita brutta gente, mi pare» osservò in tono asciutto indicando i passeggeri che sbarcavano.

 

«Sì, di solito sono proprio terribili» convenne Rosalie.

 

Avevano tutti e tre quell’aria di superiorità che assumono coloro che già si trovano da qualche tempo in un posto quando osservano i nuovi arrivati.

 

«Ohi! Ohi!» esclamò Tim con una improvvisa vivacità nella voce. «Che mi venga un accidente se quella non è Linnet Ridgeway.»

L’informazione, che lasciò Poirot indifferente, suscitò l’interesse di Rosalie la quale, protendendosi in avanti e abbandonando la solita espressione imbronciata, gli domandò: «Dov’è? E quella in bianco?.»

«Sì, vicino a quel giovanotto alto. Adesso stanno scendendo a terra. Oh, immagino che lui sia il marito. Però non riesco a ricordarmi come si chiama.»

«Doyle» disse Rosalie. «Simon Doyle. C’era tutto sui giornali. Lei sguazza letteralmente nell’oro, o sbaglio?»

«Sì, è forse la ragazza più ricca d’Inghilterra» replicò Tim in tono giulivo.

 

I tre compagni continuarono a osservare in silenzio i passeggeri che scendevano dal piroscafo.

 

Poirot scrutò con interesse l’oggetto dei commenti dei suoi compagni e mormorò: «E bellissima.»

«Certe persone hanno proprio tutto!» esclamò Rosalie con amarezza. E sul suo volto apparve una strana espressione cupa e aggrottata mentre osservava la giovane donna che scendeva la passerella.

 

Linnet Doyle aveva lo stesso aspetto, curatissimo e perfetto in ogni particolare, che avrebbe avuto se si fosse presentata alla ribalta di un palcoscenico in una rivista. Aveva qualcosa della sicurezza di sé che possiede una grande attrice. Era abituata ad essere al centro dell’interesse generale; ovunque andasse, era abituata ad essere scrutata e ammirata.

 

Non le sfuggirono le occhiate scrutatrici che le venivano rivolte… ma al tempo stesso si comportò come se non le avesse nemmeno notate; tributi simili facevano parte della sua vita.

 

Scese a terra recitando una parte, anche se forse la recitava inconsciamente. La sposa ricca, bellissima, famosa in luna di miele. Si volse con un lieve sorriso e una battuta all’uomo alto che le stava di fianco. Lui rispose e il suono della sua voce parve suscitare l’interesse di Hercule Poirot. I suoi occhi ebbero un lampo mentre aggrottava le sopracciglia.

 

La coppia gli passò vicino, ed egli udì Simon Doyle che diceva: «Cercheremo di ricuperare il tempo perduto, tesoro. Se questo posto ti piace possiamo anche fermarci un paio di settimane.» Intanto, voltando la faccia, la guardava, pieno di ansia, adorante, un po’ umile.

 

Gli occhi di Poirot lo scrutarono da capo a piedi con attenzione; notò le spalle quadrate, la faccia abbronzata, gli occhi azzurro-cupo, il sorriso così semplice e quasi infantile.

 

«Un uomo fortunato, quello» disse Tim quando furono passati. «Ha azzeccato un colpo magnifico: riuscire a scovare un’ereditiera senza adenoidi e senza i piedi piatti!»

«Sembrano incredibilmente felici» disse Rosalie con una sfumatura di invidia nella voce. E subito aggiunse, ma a voce talmente bassa che Tim non riuscì ad afferrare ciò che diceva: «Non è giusto.»

Ma Poirot l’aveva sentita. Era immerso nei suoi pensieri da un po’ di tempo, ma in quel momento le lanciò un rapido sguardo.

 

«Adesso devo andare perché ho una commissione da fare per mia madre» disse Tim.

 

Salutò togliendosi il cappello e si allontanò. Poirot e Rosalie ritornarono sui loro passi lentamente, in direzione dell’albergo, respingendo con un cenno della mano nuove insistenti offerte di asinelli.

 

«Cosa non è giusto, mademoiselle?» domandò Poirot garbatamente.

 

La ragazza arrossì di stizza. «Non capisco che cosa volete dire.»

«Stavo semplicemente ripetendo ciò che avete detto poco fa sottovoce.

Sì, sì, l’avete proprio detto!»

Rosalie Otterbourne alzò le spalle.

 

«Sì, ecco… mi sembra un po’ troppo per una persona sola: soldi, bellezza, una magnifica figura e…»

Si interruppe, e Poirot concluse per lei: «E amore? E così? E amore? Ma questo voi non lo sapete… lui avrebbe potuto sposarla per i suoi soldi!.»

«Ma non avete visto come la guardava?»

«Oh, sì, mademoiselle. Ho visto tutto quello che c’era da vedere… anzi ho visto anche qualcosa che a voi è sfuggito.»

«E cosa sarebbe?»

Lentamente Poirot disse: «Ho visto, mademoiselle, due ombre scure sotto gli occhi di una donna. Ho visto una mano che stringeva un parasole con tanta forza che le nocche erano diventate bianche…»

Rosalie lo guardò con tanto d’occhi.

 

«Si può sapere cosa vorreste dire?»

«Voglio dire che non è tutto oro quello che riluce. Mi spiego… anche se questa signora è ricca, bellissima e amata c’è comunque qualcosa che non va. Non solo questo… so anche dell’altro.»

«E sarebbe?»

«So di aver già sentito quella voce prima d’ora» riprese Poirot aggrottando le sopracciglia. «In qualche posto, in qualche momento ho sentito la voce di Monsieur Doyle… e vorrei ricordarmi dove.»

Ma Rosalie non lo ascoltava più. Si era fermata e con la punta del parasole s’era messa a tracciare confusi disegni sulla sabbia soffice.

Improvvisamente proruppe con fierezza: «Sono odiosa. Capisco di essere terribilmente odiosa. Sì, sono una creatura indegna e vorrei vergognarmi. Ma come mi piacerebbe strapparle di dosso quei bei vestiti e allungare uno schiaffo su quella faccia stupenda, arrogante, così sicura di sé. Capisco di essere soltanto gelosa, magari invidiosa… purtroppo è quello che provo. Non so cosa farci. E talmente fortunata, talmente sicura di sé!.»

Hercule Poirot sembrò un po’ stupito da quello sfogo e prendendo la ragazza per un braccio la scrollò garbatamente.

 

«Tenez… adesso che vi siete sfogata, sono sicuro che vi sentirete senz’altro meglio!»

«La verità è che la odio! Non ho mai odiato nessuno così a prima vista.»

«Fantastico!»

Rosalie lo guardò dubbiosa. Poi le sue labbra ebbero un fremito e scoppiò in una risata.

 

«Bien» disse Poirot e si mise a ridere a sua volta.

 

Proseguirono la loro camminata verso l’albergo come due buoni amici.

 

«Devo andare dalla mamma» disse Rosalie mentre entravano nel fresco atrio ombroso.

 

Poirot uscì sulla terrazza che dava sul Nilo. Qui erano già stati preparati i tavolini per il tè ma era ancora troppo presto. Rimase per qualche attimo a contemplare il fiume poi scese lentamente a passeggiare nel giardino.

 

C’erano alcune persone che giocavano a tennis sotto il sole cocente. Si fermò a osservarle per un po’, poi proseguì per un ripido sentiero. E qui, seduta su una panchina dalla quale si godeva il panorama del Nilo, scorse la ragazza di Chez Ma Tante. La riconobbe immediatamente. La sua faccia gli si era scolpita nella memoria, come l’aveva vista quella sera. Ma adesso l’espressione era diversa. La ragazza gli parve più pallida e più magra e, sul suo volto, vide le tracce di una profonda stanchezza e di una immensa infelicità.

 

Tornò indietro di qualche passo. Lei non lo aveva visto, e Poirot rimase ad osservarla senza che lei se ne accorgesse. Batteva nervosamente il piede per terra e nei suoi occhi, illuminati da una luce ardente e cupa, si poteva scorgere anche una strana espressione, quasi di sofferenza trionfante. Fissava il Nilo dove le barche dalle vele bianche scivolavano su e giù lungo la corrente.

 

Un viso… e una voce. Adesso li ricordava tutti e due. Il viso di questa ragazza e la voce che aveva appena udito, la voce di uno sposo fresco fresco…

 

Ed ecco che, mentre seguitava ad osservare la ragazza, che non si era accorta della sua presenza, una nuova scena del dramma si svolse.

 

Poco più in alto si sentì un suono di voci. La giovane balzò in piedi di scatto. Lungo il sentiero apparvero Linnet Doyle e il marito. La voce di Linnet era lieta e piena di fiducia, l’espressione tesa, la mano contratta… niente di tutto ciò si notava più. Linnet era felice.

 

La ragazza fece qualche passo avanti. Gli altri due si fermarono di botto.

 

«Salve, Linnet» disse Jacqueline de Bellefort. «Dunque eccoti qui! Pare impossibile ma continuiamo a incontrarci. Ciao Simon, come stai?»

Linnet Doyle si era tirata indietro di scatto, appoggiandosi alla roccia con un piccolo grido. Il bel viso di Simon Doyle si contorse dall’ira.

Si fece avanti con aria stranamente minacciosa verso la snella figura della ragazza.

 

Ma questa con uno scatto improvviso, un lieve movimento della testa, quasi da uccellino, gli fece capire che si era accorta della presenza di un estraneo. Anche Simon girò la testa e vide Poirot.

 

Un po’ imbarazzato disse: «Salve, Jacqueline; non ci aspettavamo di trovarti qui.»

Ma le sue parole non avevano affatto un tono convincente. La ragazza gli rivolse un sorriso smagliante.

 

«Proprio una bella sorpresa, vero?» domandò. Poi, con un lieve cenno del capo li salutò e si mise in cammino risalendo il sentiero.

 

Poirot, per delicatezza, si avviò nella direzione opposta.

 

Mentre si allontanava, sentì Linnet Doyle che diceva: «Simon… per amor di Dio! Simon… che cosa si può fare?.»

La cena era finita. Luci soffuse illuminavano la terrazza del Cataract Hotel. Buona parte degli ospiti erano ancora seduti ai tavolini. Simon e Linnet Doyle uscirono in compagnia di un uomo alto, dai capelli grigi e l’aspetto distinto, che aveva lo sguardo incisivo e la faccia rasata da americano. Mentre il gruppetto esitava un attimo sulla soglia, Tim Allerton si alzò dalla seggiola e si fece avanti.

 

«Di sicuro non vi ricordate di me» disse con garbo a Linnet «ma sono il cugino di Joanna Southwood.»

«Ma certo… che sciocca! Siete Tim Allerton. Questo è mio marito…» un lieve tremore nella voce (orgoglio, timidezza?) «…e questo il mio amministratore americano, il signor Pennington.»

Tim disse: «Vorrei proprio presentarvi a mia madre.»

Pochi minuti dopo erano tutti seduti insieme intorno a un tavolino, Linnet d’angolo fra Tim e Pennington che chiacchieravano animatamente con lei, cercando di conquistarsi la sua attenzione. La signora Allerton parlava con Simon Doyle.

 

La porta girevole dell’albergo si mosse e la bella figura di Linnet ebbe un fremito e s’irrigidì di colpo. Ma si rilassò subito quando uscì un ometto che attraversò la terrazza.

 

La signora Allerton disse: «Non siete l’unica celebrità che abbiamo qui, mia cara. Quel buffo ometto è Hercule Poirot.»

Aveva parlato senza dare troppa importanza a ciò che stava dicendo, più che altro perché il suo tatto le aveva fatto istintivamente capire che occorreva riempire una pausa un po’ imbarazzante, ma Linnet sembrò colpita da quell’osservazione.

 

«Hercule Poirot? Certo… ho sentito parlare di lui…»

E sembrò che per un attimo restasse assorta nelle proprie riflessioni.

Tanto che i due uomini seduti di fianco a lei parvero momentaneamente sconcertati.

 

Poirot si era incamminato senza fretta verso il limite della terrazza ma, in quel momento, qualcuno richiamò la sua attenzione.

 

«Accomodatevi qui, Monsieur Poirot. Che serata stupenda!»

Lui ubbidì.

 

«Mais oui, madame, è davvero bellissima.»

Sorrise educatamente alla signora Otterbourne. Mamma mia, che effetto strano facevano tutti quei veli fluttuanti in cui si era ammantata, e quel ridicolo turbante!

 

La signora Otterbourne riprese con voce sonora e lamentosa: «Mi sembra davvero che qui le persone famose non manchino… cosa ne dite? Immagino che presto ne parleranno anche i giornali. Donne dalla bellezza celebre, famose in società, scrittori di fama….»

Si interruppe con una lieve risatina di falsa modestia.

 

Poirot intuì, più che vederla, l’espressione accigliata e scontrosa della ragazza seduta di fronte a lui, la quale trasalì e strinse le labbra in una smorfia ancora più scontrosa.

 

«Lavora a qualche nuovo romanzo, madame?» provò a chiederle.

 

La signora Otterbourne proruppe di nuovo in quella risatina vagamente imbarazzata.

 

«A dir la verità mi accorgo di essere terribilmente pigra. Eppure devo riprendere il lavoro. Il mio pubblico comincia a farsi impaziente… e il mio editore, poveretto! Mi arrivano lettere supplichevoli ogni momento! Perfino telegrammi!»

Poirot sentì di nuovo la ragazza che si agitava nell’oscurità.

 

«Credo di potervi confidare, Monsieur Poirot, che, almeno in parte, mi trovo qui perché sono alla caccia di un po’ di colore locale. Neve sul volto del deserto… ecco il titolo del mio nuovo libro. Possente… suggestivo. Neve… sul deserto… che si scioglie al primo alito ardente della passione.»

Rosalie si alzò mormorando qualcosa e si allontanò di qualche passo scendendo nel giardino buio.

 

«Bisogna essere forti» riprese la signora Otterbourne, scrollando con aria enfatica il turbante. «Ci vogliono gusti forti… ecco di che cosa sono fatti i miei libri… perché è questo che ha importanza. Anche se le biblioteche mi mettono al bando… pazienza! Io dico la verità. Il sesso… ah! Monsieur Poirot… per quale motivo tutti hanno questa paura del sesso? In fondo è il perno dell’universo! Avete letto i miei romanzi?»

«Ahimè, madame! Non leggo molti romanzi. La mia professione, capite…»

La signora Otterbourne disse con fermezza: «Voglio darvi una copia di Sotto ilfico. Sono sicura che lo troverete significativo. E molto schietto, senza riserve… ma assolutamente reale!.»

«Molto gentile da parte vostra, madame. Lo leggerò con piacere.»

La signora Otterbourne rimase in silenzio per qualche minuto. Intanto giocherellava con una lunga collana che le girava un paio di volte intorno al collo. Rapidamente si guardò intorno, da parte a parte.

 

«Forse… potrei fare un salto di sopra a prenderne una copia.»

«Oh, madame, per carità, non è il caso che vi disturbiate magari più tardi.»

«No, no. Nessun disturbo.» Si alzò. «Avrei piacere di mostrarvi…»

«Cosa c’è, mamma?» Rosalie era comparsa d’improvviso al suo fianco.

 

«Niente, cara. Salivo un momento in camera a prendere un libro per Monsieur Poirot.»

«Il Fico? Vado io.»

«Non sai dov’è, cara. Lascia che ci vada…»

«No, so benissimo dov’è.»

La ragazza attraversò rapida la terrazza ed entrò nell’albergo.

 

«Permettetemi che mi congratuli con voi, madame, perché avete una figliola adorabile» disse Poirot con un inchino.

 

«Rosalie? Sì, sì… è una bella ragazza. Ma molto dura, Monsieur Poirot.

Nessuna comprensione per chi sta male. E convinta di saperne sempre più degli altri. Figuratevi che è persuasa di saperne più di me sulla mia salute…»

Poirot fece cenno a un cameriere.

 

«Un liquore, madame? Una chartreuse? Oppure una crème de menthe?»

La signora Otterbourne scrollò vigorosamente il capo.

 

«No, no, io sono astemia. Avrete notato che non bevo mai nient’altro all’infuori di acqua… o, magari, limonata. Non sopporto il sapore delle bevande alcoliche.»

«Allora, permette che vi ordini una spremuta di limone, madame?»

E fece l’ordinazione al cameriere: una spremuta di limone e un bénédictine.

 

La porta girevole dell’albergo si mosse di nuovo. Ne uscì Rosalie che si diresse verso di loro con un libro in mano.

 

«Eccola qua» disse. La sua voce era assolutamente inespressiva… a tal punto che non si poteva non accorgersene!

 

«Monsieur Poirot mi ha appena ordinato una spremuta di limone» disse sua madre.

 

«E voi, mademoiselle, cosa prendete?»

«Niente.» Poi aggiunse, accorgendosi subito di essere stata troppo brusca: «Niente, grazie.»

Poirot accettò il volume che la signora Otterbourne gli porgeva.

Conservava ancora la sovraccoperta originale, a colori vivaci e stridenti. Rappresentava una gentile signora con i capelli molto ben acconciati e le unghie rosso vivo, nel tradizionale costume di Eva, seduta su una pelle di tigre. Sopra di lei si allargavano le fronde di un albero che aveva le foglie di una quercia ma i rami carichi di grosse mele dai colori più insoliti e sgargianti.

 

Era intitolato Sotto il fico, di Salomé Otterbourne. Nel risvolto di copertina, si parlava con entusiasmo dello stupefacente coraggio e del realismo del romanzo, che rappresentava un vero e proprio studio della vita amorosa di una donna moderna. “Spietato, anticonformista, realistico” erano gli aggettivi che venivano usati.

 

Poirot abbozzò un inchino mormorando: «Molto onorato, madame.»

Rialzando la testa i suoi occhi incrociarono lo sguardo della figlia dell’autrice. E gli sfuggì un impercettibile sussulto nel leggervi una sofferenza tanto eloquente.

 

Fu in quel momento che arrivarono le bibite, provocando una gradita distrazione.

 

Poirot alzò il bicchiere in un gesto pieno di galanteria.

 

«A votre santé, madame… mademoiselle.»

La signora Otterbourne, sorseggiando la spremuta di limone, mormorò: «Com’è rinfrescante… proprio squisita!.»

Poi il silenzio calò su di loro. Si misero a contemplare le lucenti rocce nere del Nilo. Al chiarore della luna assumevano aspetti fantastici. Assomigliavano a enormi mostri preistorici emersi solo in parte dall’acqua. Si alzò improvvisamente una brezza leggera e, altrettanto improvvisamente, svanì. Nell’aria c’era una sensazione come di tacita aspettativa. Hercule Poirot riportò di nuovo lo sguardo sulla terrazza e sulle persone che vi sedevano. Sbagliava, oppure anche gli altri pareva che provassero lo stesso curioso senso di attesa? Un po’ come quando, sul palcoscenico, si aspetta l’entrata della primadonna. In quel preciso momento la porta girevole dell’albergo tornò a muoversi e, stavolta, sembrò che lo facesse con un’importanza tutta speciale. Tutti smisero di parlare e si voltarono a guardare in quella direzione. Dalla porta uscì una ragazza bruna, snella, che portava un abito da sera color rosso vino. Si fermò per un attimo, poi attraversò con deliberata lentezza la terrazza e andò a sedersi a un tavolino vuoto. Non c’era niente di sfacciato, niente che non fosse irreprensibile nel suo modo di muoversi o nel suo contegno, eppure la sua entrata sembrò studiata, un po’ teatrale. «Guarda un po’!» disse la signora Otterbourne. E scrollò il capo avvolto nel turbante. «Chissà chi crede di essere quella ragazza!» Poirot non rispose. Osservava. La ragazza era andata a scegliere, per sedersi, un posto dal quale poteva deliberatamente fissare in faccia Linnet Doyle. E Poirot si accorse che quasi subito Linnet Doyle, chinandosi in avanti, mormorava qualcosa a qualcuno e, un attimo più tardi, si alzava in piedi per cambiare posto. Adesso era seduta in modo da volgere le spalle alla nuova arrivata. Poirot annuì pensosamente. Erano passati appena cinque minuti quando l’altra ragazza si alzò per andarsi a sedere sul lato opposto della terrazza. Fumava, con un vago sorriso sulle labbra, e pareva l’immagine della soddisfazione e della tranquillità. Tuttavia il suo sguardo vagamente assorto era sempre fisso, quasi inconsciamente, sulla moglie di Simon Doyle. Dopo un quarto d’ora Linnet Doyle si alzò di scatto e rientrò nell’albergo. Suo marito la seguì quasi subito.

 

Jacqueline de Bellefort sorrise e girò la sedia. Si accese una sigaretta e si mise a contemplare la vista del Nilo. Intanto continuava a sorridere tra sé.

 

«Monsieur Poirot.»

Poirot si alzò frettolosamente in piedi. Era rimasto fuori, sulla terrazza, quando gli altri se n’erano già andati da parecchio tempo, assorto nelle proprie meditazioni, fissando quelle rocce lisce, lucenti e nere, ma il fatto di sentir risuonare il suo nome lo aveva costretto a tornare bruscamente alla realtà.

 

Era una voce educata, piena di sicurezza, una voce incantevole anche se, forse, un tantino arrogante.

 

Hercule Poirot, alzandosi in fretta, si trovò ad incontrare lo sguardo imperioso di Linnet Doyle, la quale indossava un sontuoso mantello di velluto rosso cupo sull’abito da sera di satin bianco, e appariva più seducente e più regale di quanto Poirot avesse mai creduto possibile.

 

«Siete il signor Hercule Poirot?» domandò Linnet.

 

Ma non sembrava neppure una domanda.

 

«Ai vostri ordini, madame.»

«Dunque sapete chi sono?»

«Sì, madame. Ho sentito il vostro nome. So benissimo chi siete.»

Linnet assentì. Era esattamente quello che si aspettava. Proseguì con il suo tono incantevole, ma autoritario: «Vi spiacerebbe seguirmi nella sala da gioco, Monsieur Poirot? Sono molto ansiosa di parlarvi.»

«Certo, madame.»

Linnet lo precedette dentro l’albergo. Poirot la seguì. Lei lo condusse nella sala da gioco deserta e gli indicò di chiudere la porta. Poi si lasciò cadere sulla seggiola davanti a uno dei tavolini e Poirot occupò quella di fronte.

 

Linnet abbordò subito l’argomento che le stava a cuore. Senza esitazioni di sorta. Non faceva fatica a trovare le parole adatte.

 

«Ho sentito parlare molto di voi, Monsieur Poirot, e so che siete un uomo intelligente. Ora, sono accadute determinate circostanze a motivo delle quali mi trovo ad avere una urgente necessità di qualcuno che mi aiuti… e sono convinta che potreste essere voi la persona in grado di farlo.»

Poirot chinò il capo. «Siete amabilissima, madame, però devo avvertirvi che sono in vacanza e, quando sono in vacanza, non mi assumo mai impegni professionali.»

«Se è per questo, potremo trovare il modo di accordarci.»

Non venne detto in tono offensivo… ma solo con la pacata sicurezza di una giovane donna che era sempre stata capace di sistemare le cose a modo proprio.

 

Infatti Linnet Doyle proseguì: «Mi trovo a essere oggetto, Monsieur Poirot, di una persecuzione intollerabile. E questa persecuzione deve finire! La mia idea era di rivolgermi alla polizia ma mio… mio marito sembra, piuttosto, dell’opinione che la polizia, in questo caso, abbia le mani legate….»

«Forse… se voleste spiegarmi un po’ meglio di che cosa si tratta» mormorò Poirot in tono cortese.

 

«Oh, sì, certamente. Si tratta di una cosa semplicissima.»

Nessuna esitazione… nessun tremito nella voce. Linnet Doyle aveva una mentalità lucida, chiara, da donna d’affari. Fece solo una breve pausa per raccogliere le idee e presentare a Poirot i fatti nel modo più conciso possibile.

 

«Prima che io conoscessi mio marito, lui era fidanzato con una certa signorina de Bellefort. Era anche una mia amica. Mio marito ha rotto il fidanzamento con lei… non erano assolutamente adatti l’uno all’altra.

Lei, mi dispiace dirlo, ha preso la faccenda piuttosto male… per quello che mi riguarda ne sono molto addolorata… ma in questi casi non ci si può far niente! Lei ha fatto certe… be’, chiamiamole minacce… alle quali ho prestato pochissima attenzione e che, del resto posso ben dirlo, non ha assolutamente tentato di realizzare nella pratica. Invece ha adottato un modo di comportarsi assolutamente incredibile… cioè quello di… seguirci dovunque noi andiamo.»

Poirot alzò le sopracciglia.

 

«Ah… un modo di vendicarsi… uhm… piuttosto insolito.»

«Sì del tutto insolito, e molto ridicolo! Ma anche fastidioso.»

Si morse un labbro.

 

Poirot assentì.

 

«Certo, lo immagino benissimo. Sbaglio o siete in viaggio di nozze?»

«Sì. La prima volta… è accaduto… a Venezia. C’era anche lei… al Danieli. Ho pensato che fosse pura e semplice coincidenza. Un po’ imbarazzante, ma niente di grave. Poi l’abbiamo trovata sul piroscafo a Brindisi. E abbiamo… e abbiamO avuto la sensazione, da quanto ci è sembrato di capire, che facesse un viaggio in Palestina. E così l’abbiamo lasciata, o almeno era quello che credevamO, sul piroscafo.

Ma… ma quando siamo arrivati a Mena House… era qui ad aspettarci.»

Poirot assentì di nuovo.

 

«E adesso?»

«Abbiamo risalito il Nilo col piroscafo. Quasi quasi… mi aspettavo di trovarla a bordo. Quando non l’ho vista ho concluso che doveva avere smesso di comportarsi in quel modo così… così infantile. Invece quando siamo arrivati… era… era già qui… ad attenderci.»

Poirot la fissò per un attimo con aria scrutatrice. Era ancora perfettamente padrona di sé, controllatissima, però stringeva l’orlo del tavolino con tanta forza che le nocche delle dita erano bianche.

 

Lui disse: «E avete paura che questo stato di cose possa continuare?.»

«Sì.» Fece una pausa. «Naturalmente tutta questa faccenda è una completa idiozia! Jacqueline, facendo così, si sta rendendo ridicola. Mi meraviglio che non abbia un poco più di orgoglio… di dignità.»

Poirot fece un gesto vago.

 

«Ci sono momenti, madame, nei quali l’orgoglio e la dignità… vanno a farsi benedire, come suol dirsi! Sono soffocati da… sentimenti ed emozioni più forti.»

«Sì, capisco» rispose Linnet in tono spazientito. «Ma si può sapere che cosa spera diguadagnare da tutto questo?»

«Non si tratta sempre di una questione diguadagno, madame!»

Qualcosa nel tono della sua voce colpì Linnet spiacevolmente. Infatti arrossì e si affrettò a ribattere: «Avete ragione. Del resto, discutere di moventi non ci interessa affatto. La cosa più importante, in tutta questa storia, è che bisogna assolutamente farla smettere.»

«E come vi proponete di ottenerlo, madame?» Poirot le domandò.

 

«Ecco naturalmente mio marito e io non possiamo continuare a sopportare un simile fastidio. Esisterà pure qualche metodo legale per difendersi in casi del genere.» Di nuovo aveva parlato in tono spazientito. Poirot la guardò con aria pensierosa e poi le chiese: «Vi ha minacciato in pubblico? Ha usato parole offensive? Ha tentato di nuocervi materialmente?»

«No.» «E allora, in tutta franchezza, madame, non vedo che cosa possiate fare.

Se una gentil signorina ha piacere di viaggiare e di visitare determinati luoghi, e questi luoghi sono proprio quelli dove anche voi e vostro marito Vi trovate… eh bien… cosa c’è di male in tutto questo?

L’aria è libera a tutti! Mi pare di aver capito che la persona in questione non abbia assolutamente tentato di invadere la vostra intimità, vero? Questi incontri sono sempre avvenuti in pubblico?»

«Vorreste dire che non posso farci niente?»

Linnet sembrava incredula.

 

Poirot ribatté con la massima tranquillità: «No, niente del tutto, stando a quantO mi dite. Mademoiselle de Bellefort è nel suo pieno diritto di comportarsi come si comporta.»

«Ma… ma è esasperante! Considero intollerabile di dover accettare una cosa simile!»

Poirot rispose in tono secco: «Avete tutta la mia simpatia, madame… soprattutto perché mi par di capire che non avete avuto occasione molto spesso di dovervi rassegnare a qualcosa.»

Linnet aveva corrugato le sopracciglia.

 

«Eppure deve esserci un mezzo per far cessare tutto questo» mormorò.

 

Poirot si strinse nelle spalle.

 

«Potete sempre andarvene… trasferirvi in qualche altro posto…» le suggerì.

 

«In tal caso ci seguirebbe!»

«Probabilmente… sì.»

«Ma è assurdo!»

«Infatti.»

«E poi, per quale motivo io… noi… dovremmo scappare? Come se… come se…»

Si interruppe.

 

«Precisamente, madame. Come se…! Perché è tutto qui, o sbaglio?»

Linnet alzò di scatto la testa e lo fissò. «Cosa volete dire?» Poirot cambiò di colpo tono e, protendendosi in avanti, parlò con voce garbata, come se volesse dirle qualcosa in confidenza: «Per quale motivo questa faccenda vi indispettisce tanto, madame?.» «Perché? Perché è esasperante! Fastidiosa al massimo grado! Ve l’ho già detto il perché!» Poirot scrollò il capo. «Non completamente.» «Come sarebbe?» Linnet ripeté.» Poirot si appoggiò allo schienale della seggiola, incrociò le braccia e cominciò a parlare in tono distaccato, assolutamente impersonale. «Ecoutez, madame. Voglio raccontarvi una piccola storia. Un giorno, un paio di mesi fa, stavo cenando in un piccolo ristorante di Londra. Al tavolo vicino al mio erano seduti un giovanotto e una ragazza. Felicissimi, almeno così mi è sembrato, e innamoratissimi. Parlavano fiduciosi del futuro. Guardate che non è mia abitudine tendere l’orecchio per ascoltare i discorsi che non mi riguardano; ma erano talmente indifferenti a tutto ciò che li circondava, che non badavano nemmeno a che qualcuno potesse ascoltarli.

Il giovanotto mi voltava le spalle, però potevo osservare molto bene il viso della ragaZza. Era un viso estremamente espressivo. Doveva essere innamoratissima… e non è una di quelle persone che si innamorano di frequente e prendono l’amore alla leggera. Per lei si trattava chiaramente di un amore che era tutto, per la vita e per la morte. Erano fidanzati e dovevano sposarsi, almeno a quanto ho capito; e parlavano dei luoghi dove avrebbero voluto trascorrere la luna di miele. Il loro progetto era di venire in Egitto.»

Fece una pausa.

 

Linnet domandò brusca: «Be’?.»

Poirot proseguì: «Ormai sono passati un paio di mesi però vi assicuro che il viso di quella ragazza… non l’ho dimenticato. E sapevo che, se lo avessi rivisto, avrei subito ricordato di chi si trattava. Come ricordo benissimo anche la voce del giovanotto. Di conseguenza, credo che ormai abbiate indovinato, madame, quand’è stato che ho visto l’uno e ho sentito parlare l’altra. Proprio qui, in Egitto. Il giovanotto è in viaggio di nozze, certo… però con un’altra donna.»

Linnet gli domandò ancora in tono asciutto: «E con questo? Vi avevo già menzionato come stavano i fatti.»

«I fatti… sì.»

«E allora?»

Poirot riprese lentamente: «La ragazza del ristorante aveva accennato a un’amica… un’amica che, di questo era sicurissima, non l’avrebbe mai abbandonata né delusa. Credo che quell’amica foste voi, madame.»

«Vi ho già detto che eravamo amiche» Linnet arrossì.

 

«Lei si fidava di voi?»

«Sì.»

Esitò per un attimo, mordicchiandosi un labbro spazientita; poi, visto che Poirot non sembrava disposto a parlare, soggiunse: «Certo che tutta questa faccenda è stata molto spiacevole! Ma sono cose che capitano, Monsieur Poirot.»

«Ah! Sì, capitano, madame.» Fece una pausa. «Sbaglio o voi appartenete alla Chiesa anglicana?»

«Sì.» Linnet sembrò vagamente stupita.

 

«Di conseguenza avrete sentito più di una volta leggere ad alta voce in chiesa qualche brano della Bibbia. E avrete sentito parlare del re Davide e dell’uomo ricco che aveva molte greggi e molti armenti e dell’uomo povero che possedeva soltanto una pecora… e come andò che l’uomo ricco tolse all’uomo povero anche quella sua unica pecora. Anche questa è una delle cose che capitano, madame!»

Linnet si raddrizzò sulla persona e i suoi occhi ebbero un lampo di collera.

 

«Capisco perfettamente a che cosa state mirando, Monsieur Poirot! Per dirla nel modo più brutale, voi siete convinto che io abbia portato via alla mia amica il fidanzato. State prendendo in considerazione questa faccenda da un punto di vista puramente sentimentale… immagino che sia quello con il quale vedono le cose le persone della vostra generazione… e può anche darsi che sia vero. Ma la vera, e triste, realtà è tutt’altra. Non voglio negare che Jackie fosse innamorata follemente di Simon ma non mi sembra che abbiate fatto attenzione a un altro particolare… per esempio al fatto che, forse, lui non le voleva altrettanto bene. Certo, le era affezionato, ma credo che, fin da prima di conoscermi, avesse già cominciato a temere di aver commesso uno sbaglio. Provate un po’ ad osservare le cose con lucidità, Monsieur Poirot. Simon scopre di amare me, non Jackie. Cosa può fare? Sposare una donna che non ama, per tener fede nobilmente ed eroicamente all’impegno morale che ha preso… e di conseguenza rovinare con molta probabilità la vita di tre persone… perché c’è da domandarsi se, date queste circostanze, sarebbe mai riuscito a rendere Jackie felice. Se lui fosse già stato sposato con Jackie quando mi ha conosciuto condivido la vostra opinione cheforse il suo dovere sarebbe stato quello di non lasciarla… anche se non ne sono del tutto sicura. Perché quando una persona è infelice, ne soffrono anche le altre. Un fidanzamento non è un legame così definitivo, in fondo! Se si è fatto un errore, molto meglio affrontare la realtà dei fatti prima che diventi troppo tardi. Ammetto che deve essere stato un gran brutto colpo per Jackie e ne sono profondamente dispiaciuta… ma le cose ormai stanno così. Era inevitabile.»

«Chissà!»

Linnet lo guardò sgranando gli occhi.

 

«Cosa volete dire?» «Il vostro atteggiamento madame. Vedete, l’inseguimento del quale siete vittima potrebbe suscitare in voi due reazioni differenti: per esempio, infastidirvi e irritarvi certo; oppure provocare la vostra compassione accorgendovi che la vostra amica è rimasta talmente sconvolta e addolorata da perdere completamente il rispetto per le convenienze.

Invece voi reagite in tutt’altro modo. No, per voi questa persecuzione è intollerabile e perché?

 

La risposta non può essere che una… perché provate un senso di colpa.»

Linnet si alzò di scatto.

 

«Come osate? Insomma, Monsieur Poirot, questo è troppo!»

«E invece oso, madame! Anzi continuerò a parlarvi con estrema franchezza. E arriverò al punto di dirvi che, anche se avete tentato di confondere le carte perfino con voi stessa, avete portato via di proposito vostro marito a quellamica. Aggiungerò che dovete aver sentito subito una forte attrazione per lui. E dirò anche che deve esserci stato un momento in cui avete esitato, accorgendovi che esisteva la possibilità di fare una scelta… che avreste potuto tagliar corto subito oppure procedere sulla strada imboccata. E che l’iniziativa è stata tutta vostra… non di Monsieur Doyle. Siete bella, madame; siete ricca, intelligente… e avete un grande fascino. Avreste potuto esercitare quel fascino oppure farne a meno. Avevate tutto quello che la vita può offrire, madame. La vostra amica non possedeva che una sola cosa. Lo sapevate ma, benché abbiate esitato, non vi siete tirata indietro. Avete allungato la mano e, come l’uomo ricco della Bibbia, avete portato via l’unica pecora all’uomo povero.»

Ci fu un silenzio.

 

Linnet, dominandosi con uno sforzo, esclamò in tono glaciale: «Tutto questo non c’entra affatto!.»

«Non è vero, c’entra… eccome! Non ho fatto che spiegarvi il motivo per il quale le improvvise apparizioni qua e là di Mademoiselle de Bellefort vi hanno turbato tanto a fondo. Perché, anche se il suo modo di agire è poco femminile e privo di dignità, a voi resta sempre l’intimo convincimento che abbia la ragione dalla sua parte.»

«Questo non è vero.»

Poirot alzò le spalle.

 

«Vi rifiutate di essere onesta con voi stessa.»

«No, non è vero.»

Poirot riprese in tono garbato: «Sono quasi sicuro di poter dire, madame, che fino a questo momento avete avuto una vita felice, che siete stata generosa e buona nei confronti degli altri.»

«Sì, è quello che ho cercato di fare» rispose Linnet.

 

Ogni traccia di nervosismo e di stizza era scomparsa dal suo volto.

Pronunciò queste parole con semplicità… quasi in tono desolato.

 

«Ecco perché la sensazione di aver deliberatamente fatto del male a una persona vi turba tanto, e perché siete così riluttante ad ammetterlo!

Perdonatemi se sono stato impertinente ma, in ogni evento, la psicologia è il fattore più importante.»

Linnet disse piano: «Anche supponendo che sia vero quello che dite… ma badate bene che non lo ammetto… cosa si può fare, a questo punto? Il passato non si cambia; bisogna affrontare le cose come sono.»

Poirot assentì.

 

«Avete un’intelligenza lucida e razionale. Sono d’accordo con voi, il passato non si cambia. Bisogna accettare le cose come stanno. A volte, madame, non resta altro da fare… accettare le conseguenze delle proprie azioni.»

«Con questo vorreste dire…» gli domandò Linnet incredula «che non posso far niente… proprio niente?»

«Dovete mostrarvi coraggiosa, madame; ecco la mia opinione.»

«Non potreste…» disse Linnet lentamente «parlare con Jackie… con la signorina de Bellefort? Farla ragionare?»

«Sì, posso farlo. Ed è quello che farò se lo desiderate. Ma non mi aspetto grandi risultati. Ho l’impressione che Mademoiselle de Bellefort sia ormai in preda alla sua idea fissa e che nessuno potrà dissuaderla.»

«Ma insomma… potremo pur far qualcosa per liberarcene?»

«Certo, potreste tornare in Inghilterra e stabilirvi in casa vostra.»

«Ma, anche in questo caso, comincio ad avere il sospetto che Jacqueline sarebbe capacissima di venire a vivere al villaggio, in modo che io sia costretta a vederla ogni volta che esco dal giardino!»

«Verissimo.»

«Tra l’altro» disse Linnet lentamente «non credo che Simon sarebbe d’accordo se gli proponessi di scappare.»

«Qual è la sua reazione a tutto questo?»

«E’ furioso… semplicemente furioso.»

Poirot assentì con aria meditabonda.

 

Linnet gli domandò in tono supplichevole: «Dunque le… Le parlerete?.»

«Certo, è quello che farò. Ma, credetemi, sono sicuro che non otterrò niente.»

«Jackie è proprio straordinaria!» esclamò Linnet con violenza. «Non si sa mai quello che ha in mente!»

«Poco fa mi avete accennato a certe minacce… Non volete dirmi di che cosa si trattava?»

Linnet alzò le spalle.

 

«Ha minacciato… ecco… di ucciderci tutti e due. In certi casi Jackie è esagerata, impetuosa… carattere latino!»

«Capisco.» Il tono di Poirot era grave.

 

Linnet gli domandò ancora in tono supplichevole: «Allora… non volete assumervi questo incarico per conto mio?.»

«No, madame.» Il suo tono era fermo. «Non accetterò l’incarico che mi offrite. Farò quello che posso nell’interesse dell’umanità. Questo, sì.

La situazione di fronte alla quale ci troviamo è difficile e piena di pericoli. Farò quello che posso per chiarirla… ma non mi sento affatto ottimista per quel che riguarda le mie possibilità di successo.»

Linnet Doyle mormorò lentamente: «Però non volete accettare questo incarico da parte mia?.»

«No, madame» disse Hercule Poirot.

 

Hercule Poirot trovò Jacqueline de Bellefort seduta su una roccia dalla quale si poteva contemplare il panorama del Nilo. Era stato quasi sicuro che non fosse ancora salita in camera sua e che non avrebbe avuto difficoltà a trovarla nel giardino dell’albergo.

 

Sedeva con il mento appoggiato al palmo delle mani e non voltò la testa né si guardò intorno quando sentì che qualcuno si avvicinava.

 

«Mademoiselle de Bellefort?» domandò Poirot. «Mi permettete di parlarvi un momento?»

Jacqueline girò appena il capo. Un lieve sorriso le aleggiava sulle labbra.

 

«Certo» disse. «Siete Monsieur Hercule Poirot, vero? Credo anche di sapere perché siete qui, o sbaglio? Avete accettato di agire per conto della signora Doyle la quale vi ha promesso un grosso compenso qualora riusciate nella vostra missione.»

Poirot si mise a sedere sulla panchina accanto a lei.

 

«Avete indovinato, ma solo in parte» rispose con un sorriso. «Ho finito di parlare proprio adesso con Madame Doyle ma, a rigor di termini, non intendo accettare nessun compenso da parte sua né tantomeno ho accettato di assumermi l’incarico che voleva affidarmi.»

«Oh!»

Jacqueline lo scrutò con attenzione.

 

«In tal caso, per quale motivo siete qui?» gli domandò brusca.

 

Ma Poirot le rispose con un’altra domanda: «Non mi avete mai visto prima d’ora, mademoiselle?.»

Lei fece di no con la testa.

 

«Non mi pare.»

«Eppure io ho visto voi. Ero seduto al tavolino accanto al vostro, una sera, da Chez Ma Tante. E voi eravate con Monsieur Simon Doyle.»

La faccia della ragazza assunse d’improvviso una strana espressione, come se vi fosse calata una maschera.

 

«Mi ricordo di quella serata…» disse.

 

«Da allora sono accadute molte cose» rispose Poirot.

 

«Potete ben dirlo!» La sua voce era carica di amarezza e di sconforto.

 

«Mademoiselle, voglio parlarvi da amico. Seppellite il passato!»

Lei parve sconcertata.

 

«Cosa intendete dire?»

«Dimenticate il passato. Guardate al futuro! Quello che è stato, è stato. Amarezza e rancore non possono cambiare più nulla.»

«Sono sicura che tutto questo farebbe enormemente comodo alla cara Linnet!»

Poirot fece un gesto.

 

«Non è a lei che stavo pensando in questo momento! Ma a voi! Avete sofferto… non ne dubito… ma tutto quello che state facendo adesso non ottiene altro scopo che di prolungare le vostre sofferenze.»

Jacqueline scrollò il capo.

 

«Ecco dove sbagliate. A volte… quasi quasi ho l’impressione di divertirmi.»

«Ed è proprio questa la cosa peggiore di tutte, mademozselle.»

Lei alzò gli occhi di scatto a guardarlo.

 

«Non siete stupido» disse. E soggiunse piano: «E credo siate animato dalle migliori intenzioni.»

«Tornatevene a casa, mademoiselle. Siete giovane, avete cervello e tutto il mondo a vostra disposizione.»

Jacqueline scrollò di nuovo il capo.

 

«No. Non capite… o non volete capire. Tutto il mio mondo è Simon.»

«L’amore non è tutto, mademoiselle» riprese Poirot con dolcezza. «E quello che pensiamo soltanto quando siamo giovani.»

Ma la ragazza fece ancora segno di no.

 

«No, non capite.» Gli scoccò un rapido sguardo. «Perché sapete tutto, naturalmente… avete parlato con Linnet? E poi eravate al ristorante quella sera… Simon e io ci amavamo.»

«Io so che voi lo amavate.»

A Jaqueline non sfuggì il tono con il quale aveva pronunciato queste parole e ripeté con enfasi: «Noi ci amavamo. E io volevo un gran bene a Linnet… mi fidavo di lei. Era la mia migliore amica. Da quando è nata, Linnet è sempre stata abituata a comperare ciò che le piaceva. Non si è mai rifiutata nulla. Quando ha visto Simon, ha scoperto che lo voleva… e se lo è preso; tutto qui.»

«Lui… si è lasciato… comperare?»

Jacqueline scrollò di nuovo la testolina bruna.

 

«No, non è andata proprio così. Se così fosse, non mi troverei qui, ora… State tentando di insinuare che Simon non è degno del mio amore… se avesse sposato Linnet per il suo denaro, sarebbe verissimo.

Ma non l’ha sposata per il suo denaro. E una questione molto più complicata. Esiste a questo mondo qualcosa che si chiama fascino… capacità di incantare… Monsieur Poirot. E la ricchezza contribuisce a rendere tutto questo ancora più attraente. Linnet era circondata da una “atmosfera speciale”, capite? Era una regina… una principessa… trasudava ricchezza e lusso dalla cima della testa alla punta dei piedi… un po’ come una primadonna sul palcoscenico. Aveva il mondo intero ai suoi piedi, uno dei Pari più ricchi e più ricercati d’Inghilterra aspirava a sposarla. E lei invece si è chinata verso un umile, sconosciuto, Simon Doyle… e vi meravigliate che tutto questo gli sia andato alla testa?» Fece un gesto improvviso con la mano. «Ma provate a guardare la luna, lassù in cielo. La vedete con molta chiarezza, vero? Perché è vera, reale… ma se spuntasse il sole, non riuscireste più a vederla. E stato un po’ così… io ero la luna… e quando è sorto il sole, Simon non è più riuscito a vedermi… è rimasto abbagliato. Non era capace di vedere altro che il sole… Linnet.»

Tacque per qualche minuto, poi continuò: «Quindi, adesso capite quello che è stato… fascino, incantesimo… gli è andata alla testa. E poi c’era anche la sua abitudine al comando… la sua piena sicurezza… è talmente sicura di sé da infondere sicurezza anche negli altri. Simon sarà stato un debole, forse, ma bisogna capire che è anche un ragazzo molto semplice. Avrebbe amato me, soltanto me, se Linnet non fosse arrivata per rapirlo deliberatamente con il suo cocchio d’oro. E io so… so benissimo… che non si sarebbe mai innamorato di Linnet, se Linnet non si fosse messa d’impegno a farlo innamorare di sé.»

«Dunque è questo che pensate… capisco.»

«Non lo penso, lo so. Amava me… mi amerà sempre.»

«Anche ora?»

Alle labbra della ragazza parve salire una risposta pronta, che soffocò subito. Si girò a guardare Poirot. Era arrossita fino alla radice dei capelli. Distolse rapida lo sguardo; abbassò la testa. E infine disse con voce sommessa, controllata: «Sì, lo capisco. Adesso Simon mi odia.

Sì, mi odia… farò meglio a stare in guardia!.»

Frugò rapidamente nella borsetta di seta che aveva deposto sulla panchina accanto a sé. Poi tese la mano verso Poirot. Sul palmo aveva una piccola rivoltella dall’impugnatura di madreperla… un grazioso giocattolo, sembrava!

 

«Carina, vero?» disse. «Quasi un po’ troppo, per essere vera. E invece è vera, è vera! Uno di questi proiettili potrebbe uccidere un uomo o una donna. E io sono un’ottima tiratrice.»

Sorrise lentamente, come se fosse assorta in lontani ricordi.

 

«Da piccola sono andata con mia madre nella sua casa della Carolina del Sud e il nonno mi ha insegnato a sparare. Era uno di quei gentiluomini all’antica che credono nell’utilità di saper sparare… soprattutto quando c’è di mezzo il proprio onore da difendere. Del resto anche mio padre, da giovanotto, aveva fatto parecchi duelli. Era un ottimo spadaccino. Una volta ha ammazzato un uomo. E c’era di mezzo una donna.

Quindi vedete, Monsieur Poirot…» e lo affrontò con lo sguardo «… nelle mie vene scorre sangue caldo! Ho comperato questa rivoltella subito dopo… che era accaduto. Volevo uccidere l’uno o l’altra… purtroppo non sono stata capace di scegliere. Ucciderli tutti e due non mi avrebbe dato una soddisfazione completa. Se avessi almeno avuto la sicurezza che Linnet sarebbe rimasta atterrita, in quel momento… invece ha un grandissimo coraggio! Sapevo che non sarebbe scappata, magari mi avrebbe affrontato. E poi ho pensato che era meglio… aspettare! Un’idea che mi piacque sempre di più. Del resto, potevo sempre ucciderli, in un momento qualsiasi… sarebbe stato più divertente aspettare e continuare a pensarci! Poi mi è balenata un’idea diversa… seguirli! Nel momento preciso in cui fossero andati in qualche luogo lontano, solitario, convinti di poter stare insieme, e felici, avrebbero visto… me! E l’idea si è rivelata ottima. Linnet l’ha presa malissimo… è stata la punizione peggiore che avrei potuto inventare! Tutta questa storia le dà un fastidio tremendo… è stato a questo punto che ho cominciato a divertirmi… se penso che non ci può far niente, lei! Io sono sempre educatissima, cordiale, gentile! Non pronuncio una sola parola alla quale possano appigliarsi! E a questo modo, avveleno loro tutto… tutto…»

La sua risata si levò alta, argentina e squillante.

 

Poirot la afferrò per un braccio.

 

«Zitta. Calmatevi, vi dico.»

Jacqueline lo guardò.

 

«Be’?» gli fece, con un sorriso che ormai era di aperta sfida.

 

«Mademoiselle, vi scongiuro di non fare ciò che state facendo.»

«Insomma, secondo voi dovrei lasciare quella cara Linnet in pace, e tranquilla!»

«No, si tratta di qualcosa di molto più profondo. Non aprite il vostro cuore al male.»

Jacqueline rimase a bocca aperta e guardò Hercule Poirot, gli occhi colmi di stupore.

 

Intanto questi continuava con aria grave: «Perché… se lo fate… il male verrà… sì, ne sono sicuro… il male verrà… entrerà in voi, si comporterà da padrone e, alla fine, scoprirete di non essere più capace di scacciarlo.»

Jacqueline lo fissava. Per un attimo nei suoi occhi apparve una strana inquietudine, un lampo di incertezza.

 

«Io… non so…» disse. Poi esclamò in tono tagliente: «Non potete fermarmi!.»

«No» rispose Hercule Poirot. «Non posso fermarvi.»

La sua voce era triste.

 

«Anche se volessi… ucciderla, voi non potreste fermarmi.»

«No… non vi fermerei purché siate disposta a pagare lo scotto della vostra azione.»

Jacqueline de Bellefort si mise a ridere.

 

«Oh, non ho certo paura della morte! In fondo, per quale motivo dovrei continuare a vivere? Suppongo che, per voi, sia molto male uccidere una persona che vi ha offeso… anche se vi ha portato via tutto quello che avevate al mondo?»

Poirot rispose in tono fermo: «Sì, mademoiselle. Credo che… uccidere… sia una colpa per la quale non c’è perdono.»

Jacqueline rise di nuovo.

 

«Quindi dovreste approvare il piano di vendetta che sto mettendo in atto perché, potete ben capire, fintanto che funziona non mi servirò di questa rivoltella… Però ho paura… sì, a volte ho paura… mi vedo calare una nube rossa davanti agli occhi… mi viene un desiderio spasmodico di farle del male… di accoltellarla, di appoggiarle questa cara mia piccola rivoltella alla tempia e poi… così, di premere il grilletto… Oh!»

Poirot trasalì a questa esclamazione.

 

«Cosa c’è, mademoiselle?»

Lei aveva girato la testa e fissava le ombre intorno a loro.

 

«Qualcuno… c’era qualcuno lassù. Ma adesso se n’è andato.»

Hercule Poirot si guardò intorno. Il luogo sembrava completamente deserto.

 

«Mi pare che qui non ci sia nessun altro all’infuori di noi, mademolselle.» Si alzò. «Comunque ho detto tutto ciò che ero venuto a dire. Vi auguro la buonanotte.»

Anche Jacqueline si alzò e gli domandò in tono quasi di supplica: «Perché capite… vero… che non posso fare quello che mi chiedete?.»

Poirot scrollò la testa.

 

«No… perché potreste farlo! Esiste sempre un momento…! Anche per la vostra amica Linnet… c’è stato un momento in cui avrebbe potuto tirarsi indietro… se lo è lasciato sfuggire. E se ci si comporta così, si finisce per trovarsi Impegnati a compiere una determinata impresa e… un’altra occasione simile non torna più.»

«Già, occasioni simili non tornano più…» disse Jacqueline de Bellefort.

 

Rimase assorta per un attimo, poi alzò la testa con aria di sfida.

 

«Buonanotte, Monsieur Poirot.»

Lui scrollò il capo tristemente e la seguì lungo il sentiero verso l’albergo.

 

 

La mattina dopo Simon Doyle raggiunse Hercule Poirot mentre questi usciva dall’albergo per scendere in città.

 

«Buongiorno, Monsieur Poirot.»

«Buongiorno, Monsieur Doyle.»

«Andate in città? Vi dispiace se vi accompagno?»

«Anzi, sarà un piacere.»

I due uomini s’incamminarono fianco a fianco, oltrepassarono il cancello e s’inoltrarono nell’ombra fresca dei giardini.

 

Poi Simon si tolse la pipa di bocca e disse: «Mi pare di aver capito, Monsieur Poirot, che avete avuto un colloquio con mia moglie ieri sera.»

«Esatto.»

Simon Doyle aveva aggrottato le sopracciglia. Era uno di quegli uomini fatti più che altro per l’azione, i quali hanno sempre una certa difficoltà a formulare con le parole i propri pensieri e non sempre riescono ad esprimersi chiaramente.

 

«Sono lieto di una cosa» disse. «Che le abbiate fatto capire che in questa faccenda non possiamo far nulla.»

«Effettivamente da un punto di vista legale non esistono soluzioni per porvi rimedio» convenne Poirot.

 

«Proprio così. Tuttavia mi sembra che Linnet non sia riuscita ad afferrare il concetto.» Abbozzò un sorriso. «Vedete, Linnet è sempre stata abituata a credere che, non appena c’è qualcosa che ci dà fastidio, basta rivolgersi automaticamente alla polizia!»

«Sarebbe molto comodo se si potesse fare come dite» ribatté Poirot.

 

Ci fu un silenzio. Poi Simon esclamò d’improvviso diventando rosso come un papavero mentre parlava: «E… è un’infamia lasciarsi vittimizzare a questO modo! Linnet non ha nessuna colpa! Se a qualcuno può far piacere dire che mi sono comportato come un mascalzone, liberissimo di farlo!

Può anche darsi che abbia ragione. Ma non voglio che sia Linnet a soffrirne… Lei non c’entra per niente.»

Poirot chinò il capo con aria grave ma continuò a tacere.

 

«Avete uhm siete riuscito a parlare con Jackie con la signorina de Bellefort?»

«Sì, le ho parlato.»

«E siete riuscito a farla ragionare?»

«Purtroppo, no.»

«Come fa a non rendersi conto che si sta comportando in un modo ridicolo?» Proruppe Simon in tono irritato. «Non capisce che nessuna donna con un minimo di dignità si comporterebbe come lei sta facendo?

Non ha un po’ di orgoglio o di rispetto per se stessa?»

Poirot alzò le spalle.

 

«Possiamo dire… che le è rimasta soltanto la sensazione di… essere stata gravemente offesa, non è così?»

«Certo, ma, accidenti, caro signore, le ragazze che si rispettano non si comportano come lei! Ammetto che il colpevole sono soltanto io. L’ho trattata molto male… con quel che segue. Capirei che non volesse più saperne di me e non desiderasse di rivedermi mai più. Ma questa faccenda di seguirmi in giro per il mondo… è… insomma è indecente! Dà spettacolo in un modo assurdo! Cosa diavolo spera di cavarne da tutto questo?»

«Forse… è la sua vendetta!»

«Che idiozia! Capirei di più se avesse tentato qualche gesto melodrammatico… per esempio prendermi come un bersaglio e spararmi addosso!»

«Perché secondo voi sarebbe più logico, vero? Più in carattere?»

«Francamente, sì. Ha sangue caldo, quella creatura… un temperamento indomabile. Non mi sorprenderebbe se fosse capace di commettere qualsiasi pazzia… quando è in collera. Ma questa storia… questo continuo spiarci…» scrollò la testa.

 

«E’ molto più sottile… capisco! E intelligente!»

Doyle lo guardò con tanto d’occhi.

 

«No, non capite. Linnet, continuando così, si sta riducendo con i nervi a pezzi.»

«E i vostri nervi?»

Simon per un attimo lo guardò stupito.

 

«I miei? Se sapeste… mi piacerebbe torcere il collo a quella ragazzina indemoniata!»

«Dunque non rimane più nulla, in voi, dell’antico sentimento?»

«Caro Monsieur Poirot… come posso spiegarmi? E un po’ come la luna quando sorge il sole. Non vi accorgete nemmeno più che esista. Mi è bastato conoscere Linnet, vederla la prima volta… e Jackie non è più esistita.»

«Tiens, c’est drole, sa!» mormorò Poirot.

 

«Come dite?»

«Niente… il vostro paragone mi ha interessato.»

Arrossendo nuovamente, Simon disse: «Suppongo che Jackie vi abbia detto che ho sposato Linnet soltanto per il suo denaro? Bene, è una maledetta bugia! Io non avrei mai e poi mai sposato una donna per interesse!

Quello che Jackie continua a non capire è che… diventa molto difficile per un uomo come me… accorgersi che… che una donna è innamorata di lui come lei era innamorata di me.»

«Ah?» Poirot aveva alzato di scatto la testa e lo guardava.

 

Simon proseguì, più impacciato: «Può… può sembrare una mascalzonata da parte mia… è una cosa poco bella da dire ma… Jackie mi voleva troppo bene!.»

«Une qui aime et un qui se laisse aimer» mormorò Poirot.

 

«Eh? Come avete detto? Perché, capite, a nessun uomo fa piacere accorgersi che una donna gli vuole più bene di quanto lui gliene possa volere…» La sua voce, mentre continuava a parlare, si faceva più intensa: «Un uomo non vuole sentirsiposseduto, anima e corpo. E un modo di comportarsi troppo maledettamente… possessivo! Quest’uomo è mio… mi appartiene! Ecco… queste sono cose che io non sopporto… ma sarebbero intollerabili per qualsiasi altro uomo! Viene una gran voglia di scappare… di sentirsi libero. Un uomo vuole possedere la propria donna; non gli fa piacere pensare che sia lei a possederlo!.»

Si interruppe accendendosi una sigaretta con le mani che gli tremavano lievemente.

 

«E sarebbe questo ciò che provate nei confronti di Mademoiselle Jacqueline?» domandò Poirot.

 

«Come dite?» Simon lo fissò per un attimo, infine ammise: «Ecco… sì… sì, in realtà è proprio così. Lei non se ne rende conto, naturalmente. E non sono cose che io avrei mai il coraggio di raccontarle. ma cominciavo a sentirmi irrequieto… quando poi ho conosciuto Linnet, mi ha letteralmente affascinato! Non avevo mai visto una creatura più stupenda! E andato tutto in un modo talmente incredibile! Tutti pieni di deferenza nei suoi confronti, un sacco di adoratori… e lei che viene a scegliere proprio un povero diavolo come il sottoscritto!»

La sua voce aveva un tono stupefatto, di ammirazione quasi infantile.

 

«Già…» disse Poirot. Annuì con aria meditabonda. «Sì… capisco.»

«Insomma si può sapere perché Jackie non affronta la situazione da uomo?» domandò Simon con aria risentita.

 

Un lieve sorriso fece fremere il labbro superiore di Poirot.

 

«Ecco, Monsieur Doyle, tanto per cominciare, dovete ben capire che lei non è un uomo.»

«No, no, d’accordo… volevo dire perché non accetta la realtà un po’ sportivamente! In fondo, quando ci mettono davanti una medicina amara da bere, non resta che buttarla giù! Sono il primo ad ammettere che la colpa è tutta mia. D’altra parte, cosa potevo fare? Quando non si prova più niente per una donna, sarebbe una autentica follia insistere a volerla sposare! Fra l’altro, adesso che mi sto accorgendo che tipo di persona sia realmente Jackie e a quali punti sia capace di spingersi, mi rendo conto di essere stato fortunato e di averla scampata bella.»

«Fino a quali punti sia capace di spingersi» ripeté Poirot con aria pensierosa. «E avete un’idea precisa, Monsieur Doyle, di quali siano realmente questi punti?»

Simon lo guardò, un po’ sconcertato.

 

«No… perlomeno… insomma cosa volete dire?»

«Eravate al corrente del fatto che porta sempre una rivoltella con sé?»

Simon aggrottò le sopracciglia, poi scrollò il capo.

 

«Non credo che la userà… ormai. Forse avrebbe potuto usarla prima ma, ormai, credo che quel momento sia passato. Adesso si comporta così per puro e semplice dispetto… cercando di rivalersi su di noi, e di tormentarci.»

Poirot alzò le spalle.

 

«Può darsi che sia come dite» rispose in tono dubbioso.

 

«Perché, capite, è Linnet che mi preoccupa» dichiarò Simon, forse senza una vera e propria necessità.

 

«Capisco benissimo» disse Poirot.

 

«Tutto sommato, non ho paura che Jackie arrivi addirittura a mettersi a sparare all’impazzata o a compiere qualche gesto melodrammatico, ma questa storia… spiarci, persegultarci come sta facendo… ha ridotto Linnet in uno stato pietoso, con i nervi a pezzi. Se permettete, vi racconterò qual è il mio progetto… chissà che non possiate consigliarmi qualche piccolo ritocco per migliorarlo. Dunque, tanto per cominciare, ho già annunciato apertamente, parlandone con tutti, che la nostra intenzione è quella di fermarci qui per dieci giorni. Invece domani il battello da crociera Karnat parte da Shellal per raggiungere Wadi Halfa. Quello che mi propongo è di fissare i nostri posti sotto un finto nome; poi domani partiremo per un’escursione a Philae e la cameriera di Linnet potrà pensare ai bagagli. Noi raggiungeremo il Karnak a Shellal. Quando Jackie si accorgerà che non siamo tornati, sarà troppo tardi… ormai il nostro viaggio sarà già iniziato. Penserà che ce la siamo squagliata, piantandola in asso per tornare al Cairo. Anzi, adesso che ci penso, non è escluso che convinca il portiere a raccontarle proprio questo, dietro buona mancia! Anche qualche indagine negli uffici turistici non le servirà perché i nostri veri nomi non apparirebbero fra quelli dei passeggeri… Cosa ne pensate?»

«Mi sembra un progetto molto ben congegnato, certo. Ma… se lei si decidesse ad aspettare qui il vostro ritorno?»

«Può anche darsi che non torniamo affatto. Potremmo proseguire fino a Kartum e di lì, magari in aereo, raggiungere il Kenia. Non potrà seguirci intorno al mondo!»

«No, fra l’altro arriverà anche il momento in cui saranno i motivi finanziari a impedirglielo. Da quello che ho capito, non è affatto ricca.»

Simon lo guardò ammirato.

 

«Molto intuitivo da parte vostra! Sapete che io non ci avevo pensato?

Jackie, infatti, è più povera di così!» «Eppure è riuscita a seguirvi fin qui»

Simon rispose con aria dubbiosa: «A quanto ne so, ha una piccola rendita.

 

Però non deve superare le duecento sterline l’anno. Immagino sì immagino che abbia cominciato a intaccare il suo capitale per fare quello che sta facendo.» «Quando arriverà il momento in cui, esaurite le sue risorse, si troverà senza un soldo?»

«Sì?»

Simon non sembrava del tutto a proprio agio. Questo pensiero, evidentemente, lo lasciava turbato. Poirot, intanto, lo scrutava con attenzione.

 

«No» concluse. «No, certo che non è un pensiero molto allegro»

«Be’, io non so cosa farci!» ribatté Simon quasi con rabbia. Poi aggiunse: «Piuttosto, ditemi, cosa ne pensate del mio progetto?.» «Penso che potrebbe funzionare, certo. Naturalmente è sempre una ritirata.»

Simon arrossì.

 

«Con questo cosa volete dire che scappiamo? D’accordo, sarà anche vero… ma Linnet…»