CAPITOLO XIX
Un nuovo sospetto
Non potemmo dire altro perché proprio in quel momento il dottor Reilly entrò, affermando di avere soppresso i più noiosi dei suoi clienti.
Lui e il signor Poirot iniziarono una discussione più o meno scientifica sulla psicologia e le condizioni mentali degli scrittori di lettere anonime. Il dottore citò alcuni casi che gli erano capitati nel disbrigo della sua professione, e il signor Poirot raccontò alcune sue personali esperienze in proposito.
«La cosa non è così semplice come può sembrare» concluse. «In esse si alleano il desiderio di dominio e un forte "complesso di inferiorità".»
Il dottor Reilly annuì.
«Ecco perché spesso si scopre che l'autore della lettera anonima è l'ultima persona della quale si sarebbe sospettato. Qualche tipo dall'aria inno-centissima, incapace — si direbbe — di far male a una mosca... ma con un inferno nel cuore.»
Poirot chiese:
«Credete che, per la signora Leidner, si potrebbe parlare di un "complesso d'inferiorità"?»
«Oh no!» rispose subito il dottore. «È l'ultima persona a cui avrei pensato per una cosa simile! Nessun "sentimento represso" in lei! Vita, vita, ec-co quel che le occorreva.»
«Ma credete psicologicamente possibile che lei abbia scritto quelle lettere?»
«Sì, lo credo, ma solo per desiderio di drammatizzare. Nella vita privata era un po' una "diva". Voleva essere il centro di tutto, sempre alla luce della ribalta. Per la legge degli opposti sposò il professor Leidner che è l'uo-mo più modesto e riservato del mondo. Egli l'adorava, ma l'adorazione accanto al focolare non poteva bastare a quella donna. Lei voleva anche essere l'eroina perseguitata.»
«Dunque voi non pensate, come il professore, che la signora potesse aver scritto quelle lettere senza poi serbar memoria del suo atto?»
«No. Non ho voluto dirlo in faccia al professore per non dargli un di-spiacere... Come affermare, davanti a un poveretto che ha perso da poco una moglie adorata, come affermare che questa moglie lo faceva impazzire solo per soddisfare il proprio desiderio di drammaticità? Già non è mai prudente dire a un uomo la verità sul conto di sua moglie. Strano, ma con le donne è diverso. Una donna può venire a sapere che il marito è un ladro, un ubriacone, un traditore, un cocainomane, la meno raccomandabile delle persone, senza batter ciglio e senza che il suo affetto per quel bruto ne venga diminuito! Le donne sono realiste in modo meraviglioso!»
«Ditemi, dottor Reilly, qual è, sinceramente, la vostra esatta opinione sulla signora Leidner?»
Il dottor Reilly si appoggiò alla spalliera della poltrona e trasse una lunga boccata di fumo dalla sua pipa.
«Sinceramente. Era intelligente, simpatica... diciamo pure piena di fascino. Non aveva alcun vizio antipatico, non era pigra e neppure vana, in fondo. L'ho sempre giudicata invece (non ne ho prove!) una perfetta mentitri-ce. Non so, però, e mi piacerebbe tanto saperlo, se mentisse a se stessa o soltanto agli altri. Io ho un debole per le donne bugiarde: una donna che non sa mentire è priva di fascino e di fantasia. Non credo, poi, che fosse una vera "cacciatrice di uomini": le piaceva solo vederseli ai piedi. Se voi sentiste a questo proposito mia figlia...»
«Abbiamo già avuto il piacere» disse sorridendo Poirot.
«Be'! Non si può dire che Sheila abbia perso tempo! Chissà che sforbi-ciate, eh? La giovane generazione non ha alcun riguardo verso i morti.
Condanna la "vecchia morale" per costruirsene una ancora più angusta. Pe-rò preferirei che Sheila non si desse tante arie e ammettesse tranquillamente che odiava la signora Leidner per i più consueti "motivi personali"!
Sheila, si può dire, è la sola giovane donna del paese e lei crede di aver diritto di sovranità su tutti i giovani rappresentanti del sesso forte. Naturalmente le seccava che una donna — anziana, secondo il suo punto di vista e che già aveva pescato due mariti — venisse a cacciare nella sua riserva.
Sheila è una ragazza attraente e piena di salute, ma la signora Leidner era qualcosa fuori dell'ordinario, aveva un fascino un po' misterioso... una specie di Belle Dame sans merci!»
Diedi un balzo sulla mia seggiola. Che combinazione!
«E se non sono indiscreto» disse Poirot «vostra figlia nutre qualche ten-dresse particolare per uno dei giovani di qui?»
«Non credo. Coleman ed Emmott le facevano da cavalieri serventi, ma penso che lei non si curi molto né dell'uno né dell'altro... Poi ci sono due ufficiali aviatori... Quello che le dispiace è vedere la giovinezza battuta dall'età matura. Lei è una graziosa ragazza, ma Louise Leidner era bella, con quegli occhi splendidi e quel biondo oro! Sì, era una bella donna!»
Ha ragione, dissi tra me, la bellezza è una gran cosa. E lei era bellissima.
E non di quella bellezza che vi rende gelosi... no. Non si poteva che ammirarla e servirla. La prima volta che la vidi, pensai che sarei stata capace di fare qualunque cosa per lei.
Però quella sera, dopo cena, mentre tornavo in automobile a Tell Yarimjah, una o due cose mi tornarono alla memoria, dandomi un senso di disagio.
Sul momento non avevo creduto una parola, dello sfogo di Sheila Reilly, reputandolo provocato da dispetto e malignità. Ma poi ricordai che la signora Leidner aveva voluto uscir da sola, quel pomeriggio, rifiutando in modo perentorio la mia compagnia. Forse era andata veramente incontro a Carey. E certo era un po' strano il modo in cui si trattavano. Tutto quel formalismo, mentre gli altri si chiamavano familiarmente per nome. Pareva che lui non volesse mai guardare la signora Leidner. Forse perché non la poteva soffrire, forse per il contrario. Mi riscossi. Stavo immaginando ogni sorta di cose, e tutto per colpa delle chiacchiere di una ragazza indispettita. Ecco i pericoli del pettegolezzo. No, la signora Leidner non era stata così. Certo non nutriva alcuna simpatia per Sheila Reilly. Quel giorno si era dimostrata veramente dispettosa, stuzzicando il signor Emmott a proposito della ragazza. E strano il modo in cui lui l'aveva guardata. Impossibile capire che cosa pensasse. Già non si riusciva mai a capirlo. Era così calmo, così cortese. Una persona di cui ci si poteva fidare. Invece, il signor Coleman, che giovane buffo e superficiale!
Ero a questo punto delle mie meditazioni quando arrivai. Erano le nove, la grande porta ad arco era chiusa e sbarrata e Ibrahim arrivò di corsa ad aprire.
Tutti andavano a letto presto a Tell Yarimjah. Nessuna luce in soggiorno; una era accesa nella stanza dei disegnatori e una nello studio del professor Leidner, ma quasi tutte le altre finestre erano oscure. Tutti dovevano essere andati a letto anche più presto del solito.
Passando davanti alla stanza dei disegnatori, guardai dentro. Il signor Carey, in maniche di camicia, lavorava. Sembrava ammalato, sfinito.
N'ebbi come un colpo. Non so che cosa ci fosse nel signor Carey: non diceva o faceva nulla di particolare, eppure non ci si poteva esimere dal no-tarlo, dall'interessarsi a lui.
Lui girò il capo e mi vide. Si tolse la pipa di bocca, e disse:
«Oh, signorina! Siete tornata da Hassanié?»
«Sì, signor Carey. Ancora al lavoro? Gli altri si son coricati presto, a quanto pare.»
«Già, ho pensato che era meglio mandare un po' avanti il lavoro. Domani riprendiamo gli scavi.»
«Di già?» chiesi un po' urtata.
«È la cosa migliore» mi rispose guardandomi stranamente. «Sono stato io a farlo presente al professor Leidner. Star qui a guardarsi in faccia non è molto igienico.»
«In un certo senso avete ragione» ammisi. «Aver qualcosa da fare è una distrazione.»
Il funerale, lo sapevo, avrebbe avuto luogo due giorni dopo.
Il signor Carey tornò a chinarsi sul suo piano dei lavori. Non so perché, ma il cuore mi doleva per lui. Ero certa che non avrebbe potuto trovare il sonno.
«Desiderereste un sonnifero, signor Carey?» gli chiesi esitante.
Lui scosse il capo con un sorriso.
«Oh, posso tirare avanti così, signorina. È una pessima abitudine, quella dei sonniferi!»
«Allora buona notte, signor Carey. E disponete pure di me per quanto possa occorrervi.»
«Grazie mille, signorina, ma credo che non avrò bisogno di nulla.»
«Sono tanto, tanto spiacente» dissi, in un impulso un po' irragionevole.
«Spiacente?» Lui sembrava sorpreso.
«Per... per tutti. È stata una cosa terribile. Specialmente per voi.»
«Per me? Perché per me?»
«Eravate un così vecchio amico di entrambi.»
«Sono un vecchio amico di Leidner... Non di lei in modo particolare.»
Parlava come se non l'avesse potuta soffrire. Avrei voluto che l'avesse udito la signorina Reilly.
«Be', buona notte» dissi. E mi avviai in fretta verso la mia camera.
Gironzolai un po', prima di svestirmi. Lavai qualche fazzoletto, un paio di guanti, scrissi il mio diario. Poi decisi di andare a letto, non senza aver dato un'ultima occhiata fuori dalla porta. La luce era ancora accesa nella stanza da disegno e nella parte sud del casamento.
Pensai che forse il professor Leidner era ancora alzato e al lavoro, e mi chiesi se fossi, o no, dovuta andare a dargli la buona notte. Non avrei voluto disturbarlo, eppure... Infine decisi di andare a chiedergli se non gli occorresse nulla.
Ma il professore non c'era. C'era solo la signorina Johnson. Aveva la testa appoggiata sul tavolo e piangeva come se le si spezzasse il cuore.
Ne provai un vero colpo. Una donna così tranquilla, così padrona di sé.
Faceva pena, a vederla.
«Oh, che c'è, cara?» esclamai, avvicinandomi e ponendole una mano sulla spalla. «Su, su, non dovete starvene qui tutta sola a piangere così.»
Lei non rispose, scossa dai singhiozzi.
«Su, cara» ripetei «dovete farvi forza. Andrò a prepararvi una buona tazza di tè.»
Lei alzò il capo e disse:
«No, non occorre, grazie. Sono stata una sciocca.»
«Che cosa vi ha sconvolta così?»
Non rispose subito. Poi mormorò:
«È tutto troppo spaventoso.»
«Be', non ricominciate a pensarci. Quel che è successo è successo, e non c'è rimedio.»
Lei si raddrizzò e cominciò a ravviarsi i capelli.
«Sto facendo proprio la figura della sciocca» disse. «Stavo riordinando un po' qui. È meglio far qualcosa. E poi... di colpo...»
«Sì, sì, capisco» dissi in fretta. «Ma adesso quel che vi occorre è una buona tazza di tè e una bottiglia di acqua calda nel letto.»
E dovette subirsi entrambe le cose, perché io non volli intendere ragione.
«Grazie, signorina Leatheran» mi disse quando fu a letto con la sua bottiglia, a sorbirsi il tè «voi siete una donna tanto buona e cortese. Di solito io non faccio di queste stupide figure.»
«Oh, è una cosa naturalissima con quel che è successo... e la polizia che fruga dappertutto. Anch'io mi sento piuttosto giù.»
Con una voce strana, la signorina Johnson disse lentamente:
«È giusto, ciò che avete detto poco fa. Quel che è successo è successo, e non c'è rimedio.»
Tacque per un minuto o due, poi soggiunse:
« Lei non era mai stata una donna buona.»
Non volli discutere. Era naturalissimo che la signorina Johnson e la signora Leidner non andassero d'accordo. Mi chiesi se la signorina Johnson non avesse provato quasi un senso di gioia per la morte della signora Leidner, e ne sentisse ora rimorso.
«Ora dormite e non pensate più a nulla» le dissi.
Raccolsi le poche cose che erano in giro per dare un aspetto più ordinato alla camera: una sottana, calze, una camicetta. Per terra c'era un pezzo di carta appallottolata. Doveva essere caduta da una tasca. La raccolsi e stavo lisciandola per vedere se era il caso che la buttassi via quando lei gridò in modo da farmi sobbalzare:
«Datemela!»
Obbedii, piuttosto stupita da quel tono perentorio. Lei mi strappò il foglio di mano e poi lo avvicinò alla fiamma della candela e ve lo tenne fino a quando fu tutto bruciato.
Come ho detto ero rimasta stupita e fissavo la signorina Johnson. Non avevo avuto il tempo di vedere di che si trattasse, ma, cosa strana, il foglio, bruciando, si arricciò in modo che potei distinguere alcune parole scritte a inchiostro.
Fu soltanto quando mi trovai a letto che compresi perché la calligrafia di quelle parole mi era familiare.
Quella era la stessa calligrafia che avevo visto sulle lettere anonime.
Allora era per questo che la signorina Johnson si era abbandonata ai ri-morsi?
Era stata lei a scrivere quelle lettere?