CAPITOLO IX
Storia della signora Leidner
Subito dopo pranzo la signora Leidner andò come al solito in camera sua per un breve riposo. La sistemai a letto, col suo libro e molti cuscini dietro la schiena, e stavo per andarmene, quando lei mi richiamò.
«Rimanete, signorina Leatheran. Desidero dirvi una cosa.»
Rimasi.
«Chiudete la porta.»
Obbedii.
Lei si alzò dal letto e cominciò a passeggiare su e giù per la camera. Vedevo che stava riordinando i propri pensieri, che si trovava in una profonda indecisione, e non volli interromperla. Finalmente, come se avesse ormai raccolto le necessarie energie, si girò verso di me e disse:
«Sedete.»
Sedetti in silenzio e lei cominciò nervosamente:
«Certo vi sarete chiesta più volte che cosa significa tutto questo.»
Mi accontentai di chinare il capo.
«Ho deciso di dirvi... tutto. Debbo confidarmi con qualcuno, se non voglio impazzire.»
«E credo che farete bene» osservai. «Non si sa proprio che fare quando si è tenuti all'oscuro di tutto.»
Lei si fermò e mi guardò in faccia.
«Lo sapete di che cosa ho paura?»
«Di qualcuno.»
«Sì... Ma io non ho detto "di chi", ho detto di che cosa. »
Attesi. E lei proseguì:
« Ho paura di essere assassinata. »
Be', era detta. Io non mi mostrai particolarmente impressionata, renden-domi conto che la signora era vicina a una crisi nervosa. Dissi solo:
«Guarda un po'! Dunque, si tratta di questo!»
Lei cominciò a ridere e rise sino a quando le lacrime cominciarono a scorrerle lungo le guance.
«Oh, come l'avete detto!» boccheggiava. «Oh, che cosa buffa, che cosa buffa!»
«Su, su» dissi «così non va.»
La feci sedere in poltrona e le bagnai con un asciugamano umido la fronte e i polsi.
«Basta così» le imposi seccamente. «Raccontatemi con calma quello che avete da dire.»
Si calmò subito e riprese a parlare con voce normale.
«Voi siete un tesoro, signorina Leatheran. Mi fate sentire come una bambina di sei anni. Adesso vi racconto tutto.»
«Bene. E procedete con calma.»
Lei cominciò a parlare con lentezza e decisione.
«A vent'anni mi sposai con un giovane dei nostri dipartimenti di Stato.
Eravamo nel millenovecentodiciotto.»
«Lo so» dissi. «Vostro marito rimase ucciso in guerra. Me l'ha detto la signora Mercado.»
La signora Leidner scosse la testa.
«Così credono tutti. Ma la verità è molto diversa. Io ero una fanciulla piena di entusiasmo, di patriottismo, di idealismo. Pochi mesi dopo il matrimonio, scoprii — per un'imprevedibile combinazione — che l'uomo da me sposato era una spia al soldo dei tedeschi. Seppi che, in seguito a una informazione data da lui, una nave passeggeri americana era stata silurata provocando centinaia di vittime. Non so quello che altri avrebbero fatto al mio posto. Vi dirò quel che feci io. Andai direttamente da mio padre, che lavorava al Ministero della Guerra, e gli dissi tutta la verità... Frederick non fu ucciso in guerra... ma in America. Fucilato, come spia.»
«Oh, Dio mio!» esclamai. «Che cosa terribile!»
«Sì» disse. «Fu una cosa terribile. Era così buono, così gentile... Sempre... Ma io non esitai egualmente... Forse, ebbi torto.»
«È difficile dirlo. Io non so proprio che cosa avrei fatto.»
«Quanto vi dico, non fu mai risaputo al di fuori dell'ambiente riservatis-simo degli alti comandi. Ufficialmente mio marito era stato ucciso al fronte. E io ricevetti moltissime manifestazioni di simpatia, come vedova di guerra.»
La sua voce s'era fatta amara e io le dimostrai con uno sguardo tutta la mia comprensione.
«Mi vennero fatte anche molte proposte di matrimonio, ma io rifiutai sempre. Il colpo era stato troppo forte. Sentivo che mi sarebbe riuscito impossibile fidarmi ancora di qualcuno.»
«Comprendo benissimo.»
«Poi mi innamorai di un giovane e stavo per decidermi... quando capitò una cosa spaventosa! Ricevetti una lettera anonima, da Frederick, la quale diceva che se mai avessi sposato un altro uomo lui mi avrebbe uccisa.»
«Frederick? Il suo defunto marito?»
«Sì. Naturalmente, sulle prime credetti di sognare, o di esser pazza... Al-la fine andai da mio padre e seppi la verità. Mio marito non era stato fuci-lato. Era riuscito a fuggire, ma per incappare in una sorte forse peggiore. In un disastro ferroviario avvenuto poche settimane dopo, il suo corpo era stato ritrovato fra quelli delle vittime. Mio padre mi aveva tenuto nascosto l'episodio della fuga e, poiché Frederick era morto, aveva creduto opportuno continuare a tacere. Ora, la lettera da me ricevuta si prestava a molte nuove ipotesi... Era forse ancor vivo, mio marito? Mio padre andò molto a fondo con le sue ricerche e mi dichiarò poi che, per quanto si possa esser umanamente certi di qualcosa, l'uomo sepolto come Frederick era Frederick. Nel disastro le vittime erano rimaste sfigurate, e certezza assoluta non vi poteva essere; ma tutti gli elementi concorrevano a rendere quasi impossibile ogni probabilità contraria.
"Lo stesso fatto si rinnovò più di una volta... Quando la mia amicizia con un uomo si faceva troppo stretta, io ricevevo, una lettera minatoria."
«La calligrafia era quella di vostro marito?»
«È difficile dirlo» rispose lentamente. «Non avevo conservato lettere sue. Solo la memoria poteva soccorrermi.»
«E le lettere non contenevano alcuna allusione, alcuna parola speciale che potessero darvi una certezza?»
«No. Naturalmente, io e mio marito usavamo tra noi certe espressioni, certi nomignoli... Se ne avessi trovato traccia nelle lettere, avrei avuto la sicurezza matematica. Ma non fu così.»
«Già» dissi. «È strano. Si direbbe che non si tratti di vostro marito. Ma chi altri potrebbe essere?»
«Una spiegazione ci sarebbe. Frederick aveva un fratellino minore, un ragazzo di dieci o dodici anni all'epoca del nostro matrimonio. Egli adorava Frederick, e Frederick lo ricambiava di pari affetto. Che cosa accadde di quel ragazzo? Non lo so. Si chiamava William. Secondo me, dato il suo amore fanatico per il fratello, lui è cresciuto considerandomi colpevole e responsabile della sua morte. Era sempre stato geloso di me e può aver escogitato questo sistema per punirmi.»
«Sì, questo è possibile... I ragazzi hanno una sensibilità straordinaria per certe cose.»
«Certo. William può aver fatto scopo della sua vita la vendetta.»
«Continuate la vostra storia, signora.»
«Non c'è molto altro da dire. Tre anni fa conobbi Eric. Avevo deciso di non sposarmi più, ma lui riuscì a farmi cambiar parere. Subito dopo il nostro fidanzamento, cominciai ad aspettare la consueta lettera minatoria.
Non giunse. Allora mi convinsi che il mio persecutore fosse morto, o stanco del suo gioco crudele. Due giorni dopo il matrimonio ricevetti questa. »
Lei aprì un piccolo scrigno che stava sul tavolino, ne tirò fuori una lettera e me la porse. L'inchiostro era leggermente sbiadito. La calligrafia slan-ciata, un po' femminea, quasi.
Hai disobbedito. Non c'è più scampo. Dovevi rimanere soltanto la moglie di Frederick Bosner! Devi morire!
«Rimasi molto spaventata, ma non come lo sarei stata una volta. La vi-cinanza di Eric mi dava un tale senso di sicurezza. Un mese dopo mi giunse una seconda lettera: questa.»
Non ho dimenticato. Sto facendo i miei piani. Devi morire: non c'è più scampo per te. Perché hai disobbedito?
«E il professor Leidner è al corrente della cosa?»
«Sa che sono minacciata. Quando giunse la seconda lettera, gliele mostrai entrambe. È propenso a credere che si tratti di un maniaco, oppure di qualcuno che intende ricattarmi.»
Tacque un momento, poi continuò:
«Pochi giorni dopo aver ricevuto la seconda lettera sfuggimmo per miracolo alla morte per asfissia. Qualcuno era entrato nel nostro appartamento mentre dormivamo e aveva aperto il gas. Fortunatamente mi svegliai in tempo! Ma ormai non ne potevo più. Dissi a Eric che da anni ero perseguitata e quel pazzo, chiunque fosse, aveva davvero intenzione di uccidermi.
Per la prima volta, forse, cominciai a pensare che si trattasse di Frederick.
C'era qualcosa di spietato, dietro la sua gentilezza.
"Eric si dimostrò meno allarmato di me. Voleva ricorrere alla polizia, ma io mi opposi. Alla fine decidemmo che l'avrei accompagnato qui e che d'estate, anziché tornare in America, sarei rimasta a Londra o a Parigi.
"Così facemmo e tutto andò bene. Mi credetti al sicuro. Dopo tutto, avevamo messo mezzo mondo fra noi e il mio nemico.
"Ed ecco, tre settimane fa ricevetti una lettera con un francobollo dell'Irak..."
Mi porse una terza lettera.
Credevi di potermi sfuggire. T'inganni. Non c'è più scampo per te. Mi hai tradito e devi morire. Presto la morte ti raggiungerà.
«E, una settimana fa... questo. Proprio qui, su questo tavolo. E non era giunto per posta.»
Presi il foglio che mi porgeva. Vi erano scritte due sole parole:
Sono arrivato.
La signora Leidner mi fissò:
«Vedete? Capite, ora? Mi ucciderà. Si tratti di Frederick o del piccolo William, mi ucciderà. »
La sua voce cominciava a farsi acuta. La presi per un polso.
«No, no» le dissi. «Non lasciatevi andare. Noi veglieremo. Avete dei sali qui?»
Lei annuì indicando la toletta. Le feci annusare i sali e un po' di colore ritornò alle sue guance.
«Va meglio, ora. Ma, signorina Leatheran, capite ora in quale stato mi trovo? Quando ho visto quell'uomo che spiava dalla finestra, ho pensato:
"È arrivato". Perfino quando giungeste voi qui, nutrivo dei sospetti... Pensavo che poteste essere un uomo travestito.»
«Che idea!»
«Lo so, è assurda, ma voi potevate anche esser d'accordo con lui... non essere un'infermiera...»
«Non c'è senso...»
«Lo so, ma spesso mi sento, ormai, come insensata.»
Colpita da un'improvvisa idea, le chiesi:
«Voi... riconoscereste vostro marito, vero?»
«Non so neppur questo» rispose lentamente Louise. «Sono trascorsi più di quindici anni. Potrei anche non riconoscerlo.»
Rabbrividì.
«Lo vidi una notte, ma era la faccia di un morto. Udii un "toc, toc" alla finestra. Poi vidi una faccia, una faccia da morto, spettrale, ghignante oltre i vetri... Mi misi a urlare... Poi mi dissero che non c'era nulla!»
«E non credete» chiesi esitando «che possa trattarsi di un sogno?»
«No. Sono certa di no.»
Non insistetti. Eppure quello era proprio il tipo di incubo che lei avrebbe dovuto avere, date le circostanze. Ma io non contraddico mai i pazienti.
Feci dunque del mio meglio per tranquillizzare la signora, e le feci osservare che difficilmente uno straniero sarebbe potuto arrivare inosservato.
Quando la lasciai, un po' più sollevata, credo, andai in cerca del professore e gli dissi del colloquio avuto con sua moglie.
«Sono contento che Louise vi abbia detto tutto» disse con semplicità.
«Ero molto preoccupato. Ma sono certo che quei volti spettrali e quei colpi alla finestra sono frutto della sua immaginazione. Non sapevo proprio che fare... Voi che ne dite di tutto questo?»
Ero un po' stupita del suo tono di voce, ma risposi con prontezza:
«È possibile che quelle lettere non siano altro che uno scherzo stupido e crudele.»
«Sì, è possibilissimo. Ma che cosa dobbiamo fare? Me la stanno ridu-cendo alla pazzia. Non so più che cosa pensare.»
Neppur io. M'era venuto in mente che ci potesse essere di mezzo qualche donna. Quelle lettere avevano qualcosa di femminile. Pensai alla signora Mercado. Se, per caso, lei avesse conosciuto le vicende del primo matrimonio della signora Leidner? Avrebbe potuto dar sfogo al proprio dispetto, terrorizzandola. Però, non partecipai i miei sospetti al professore.
Non si sa mai come prendano le cose, le persone.
«Insomma» dissi «speriamo per il meglio. Mi pare che, per il solo fatto di aver parlato, la signora Leidner stia già meglio. È uno sfogo, sapete? È
il tener chiuso le cose dentro di sé, che rovina i nervi.»
«Sono contento che vi abbia parlato» ripeté il professore. «È un buon segno. Questo dimostra che ha simpatia per voi, e fiducia... Io continuo a tormentarmi il cervello per scoprire che cosa sia meglio fare.»
Avevo sulla punta della lingua di chiedergli se non avesse pensato di avvertire discretamente della cosa la polizia locale, ma fui — più tardi — ben lieta di non averlo fatto.
Ecco quel che avvenne. Il giorno seguente il signor Coleman doveva recarsi ad Hassanié per prelevare i soldi necessari alla paga degli operai. Avrebbe portato con sé anche le nostre lettere da affidare alla posta aerea.
Le nostre lettere le mettevamo in una scatola di legno sul davanzale di una finestra della sala da pranzo; quella sera, per ultima cosa, il signor Coleman le prese e stava ordinandole in pacchetti quando gli sfuggì una esclamazione.
«Che c'è?» gli chiesi.
Lui mi porse una lettera, sogghignando.
«La nostra bella Louise sta davvero dando i numeri. Ha indirizzato questa lettera 42a Strada, Parigi (Francia). Ha fatto evidentemente confusione. Non vi spiace portargliela e chiederle istruzioni? Si è ritirata or ora...»
Presi la lettera e la portai subito alla signora affinché correggesse l'indirizzo. Era la prima volta che vedevo la sua calligrafia, eppure mi chiesi dove mai l'avessi vista, perché, certo, mi era nota.
Fu solo nel cuore della notte che di colpo me ne ricordai. A parte il fatto che era più grande e un po' disordinata essa somigliava in modo straordinario alla calligrafia delle lettere anonime.
Nuove idee mi traversarono la mente. Era possibile che la signora Leidner avesse scritto lei stessa quelle lettere?
E... il professor Leidner, aveva forse qualche sospetto di come stavano le cose?