«Chi li ha messi nelle valigie?»
«La signorina Gorringe ha dato disposizione, signore. Quando è servita la stanza per la nuova signora che arrivava.»
Una spiegazione semplice, coerente. Ma se quella vecchietta era nel vero quando affermava di aver visto il canonico Pennyfather lasciare la sua camera alle tre di venerdì mattina, voleva dire che questi a un certo momento doveva essere ritornato in quella stanza. Nessuno l’aveva visto entrare nell’hotel. Che avesse deliberatamente evitato, per una qualche ragione, di farsi vedere? In camera non aveva lasciato tracce. Non s’era neppure steso sul letto. Che fosse stato tutto un sogno, quello di Miss Marple? Alla sua età era ben possibile. Gli balenò un’idea.
«E la sua borsa da viaggio?»
«Cosa, signore?»
«Una piccola borsa, blu scuro... una borsa della BEA o della BOAC... deve averla vista.»
«Ah, quella... sì, signore. Ma certamente l’avrà portata con sé, in viaggio.»
«Ma non è andato fuori. Non è mai andato in Svizzera, malgrado tutto. Dunque deve averla lasciata in camera. O, quanto meno, è tornato e l’ha posata qui con l’altro bagaglio.»
«Sì... sì... penso... non ne sono proprio sicura... credo di sì.»
Rapido e spontaneo, un pensiero attraversò la mente di papà Davy: “Non ti hanno dato l’imbeccata su questo, eh?”.
Rose Sheldon si era mantenuta calma e all’altezza della situazione fino a quel momento. Ma quella domanda l’aveva confusa. Non aveva saputo dare la risposta giusta. Eppure avrebbe dovuto conoscerla.
Il canonico si era portato dietro la borsa all’aeroporto, ma qui l’avevano mandato via. Se fosse ritornato al Bertram, avrebbe dovuto avere la borsa con sé. Ma Miss Marple non ne aveva fatto cenno quando aveva descritto il canonico che usciva dalla sua stanza e si avviava giù per le scale.
Probabilmente la borsa era rimasta in camera da letto, eppure non era stata accantonata nel deposito bagagli insieme alle valigie. Perché mai? Perché si supponeva che il canonico fosse andato in Svizzera. Fred Davy ringraziò amabilmente Rose e scese giù.
Il canonico Pennyfather! Una specie di enigma, il canonico Pennyfather...
Ha parlato tanto del suo viaggio in Svizzera, ha complicato le cose in modo da non andare in Svizzera, è ritornato all’hotel così misteriosamente che nessuno se n’è accorto, è uscito di nuovo alle prime ore del mattino. Per andare dove? A far che?
Può la distrazione giustificare tutto ciò?
Diversamente, che cosa stava combinando allora il canonico Pennyfather? E, soprattutto, dove si trovava?
Dalla scalinata, papà Davy lanciò uno sguardo confuso alle persone che stavano nel salone e si domandò se talune fossero in realtà proprio quello che sembravano essere.
Era diventato sospettoso a tal punto!
Persone anziane, gente all’antica, di mezza età, tutti molto distinti, e per lo più largamente provvisti di mezzi, militari, avvocati, ecclesiastici, due coniugi americani vicino alla porta, una famiglia accanto al caminetto. Nessuna persona di cattivo gusto, nessuno fuori posto; la maggior parte era lì a godersi un pomeriggio inglese d’altri tempi. Poteva veramente esserci qualcosa che non andava in un luogo che serviva il tè del pomeriggio secondo le più antiche consuetudini?
Di fuori stavano caricando su un tassì alcuni capaci bauli e le valigie di due americani. Sembrava che la signora e il signor Elmer Cabot fossero in partenza per l’Hôtel Vendôme, a Parigi.
Ferma sul bordo del marciapiede, la signora Cabot stava esprimendo le sue opinioni al marito.
«I Pendlebury avevano proprio ragione su questo posto, Elmer. È esattamente come ai tempi della vecchia Inghilterra. Così meravigliosamente edoardiano. Sono proprio sicura che Edoardo VII potrebbe venirsene diritto qui in qualsiasi momento a gustare il tè delle cinque. Ho intenzione di ritornare l’anno prossimo... sul serio, sai?»
«Se avremo da buttar via un milione di dollari o giù di lì» rispose asciutto il marito.
«Su, Elmer, non è poi andata così male.»
Il bagaglio era stato caricato e l’alto portiere aiutò a salire mormorando: “Grazie, signore” quando il signor Cabot fece l’atteso gesto. Il tassì si allontanò. Il portiere si rivolse a papà Davy.
«Tassì, signore?»
Il poliziotto alzò lo sguardo su di lui.
Un metro e ottantacinque circa. Un bel tipo. Un po’ sciupato. Ex militare. Una serie di medaglie... vere, probabilmente. Un po’ ambiguo? Beve troppo.
Domandò, ad alta voce: «Era nell’esercito?».
«Sì, signore. Guardie irlandesi.»
«Una medaglia al valor militare, vedo. Dove se l’è guadagnata?»
«Birmania.»
«Come si chiama?»
«Michael Gorman. Ero sergente.»
«Un buon lavoro, qui?»
«È un posto tranquillo.»
«Non le sarebbe piaciuto di più l’Hilton?»
«No. Qui mi piace. Qui viene della bella gente e molti sono degli appassionati delle corse... per Ascot e Newbury. Ho avuto delle buone informazioni da loro, occasionalmente.»
«Ah, dunque, irlandese e giocatore d’azzardo, è così?»
«Oh, allora, che sarebbe la vita senza una scommessa?»
«Tranquilla e monotona» rispose l’ispettore capo. «Come la mia.»
«Davvero, signore?»
«Riesce a indovinare la mia professione?» chiese papà Davy.
L’irlandese ridacchiò.
«Non si offenda, signore, ma se mi è permesso indovinare direi che lei è un poliziotto.»
«Centrato in pieno.» Davy toccò quindi l’argomento che gli stava a cuore. «Ricorda il canonico Pennyfather?»
«Il canonico Pennyfather, ecco, non mi sembra di ricordare il nome...»
«Un anziano pastore.»
Michael Gorman rise.
«Ah già, l’albergo è pieno di preti come un uovo.»
«È scomparso da qui.»
«Oh, quello!» Il portiere sembrò leggermente colto di sorpresa.
«Lo conosceva?»
«Non me ne sarei ricordato, se non fosse stato per tutte le domande che mi hanno rivolto sul suo conto. Tutto quello che so è che l’ho messo in un tassì e che se ne è andato al Club Athenaeum. Quella è l’ultima volta che l’ho visto. Qualcuno m’ha detto che era andato in Svizzera, ma poi ho sentito dire che non c’è mai arrivato. Si è perduto, sembra.»
«Quel giorno, più tardi, non l’ha per caso rivisto?»
«Più tardi... No davvero.»
«A che ora finisce il turno?»
«Alle undici e trenta.»
L’ispettore capo Davy fece un cenno con il capo, rifiutò un tassì e si incamminò lentamente lungo Pond Street. Un’auto gli rombò accanto, vicino al bordo del marciapiede, e si arrestò davanti al Bertram Hotel con uno stridio di freni. L’ispettore capo Davy si girò con calma e notò il numero della targa. FAN 2266. Gli richiamava alla mente qualcosa, quel numero, sebbene per il momento non riuscisse a inquadrarlo.
Lentamente, ritornò sui suoi passi. Raggiunse l’ingresso appena un attimo prima che l’uomo dell’auto, il quale era entrato da qualche momento, uscisse di nuovo. Il giovanotto e l’automobile erano degni l’uno dell’altra. Quest’ultima era un modello da corsa, bianca, con lunghe cromature scintillanti. Lui aveva lo stesso aspetto da impaziente levriero, un bel volto e un corpo asciutto senza un grammo di più del necessario.
Michael Gorman tenne la portiera aperta, il giovanotto balzò dentro, gli gettò una moneta e si allontanò velocemente e rumorosamente a pieno motore.
«Sa chi è?» disse Michael Gorman all’ispettore capo che lo raggiunse.
«Un pilota pericoloso, in ogni caso.»
«Ladislaus Malinowski. Due anni fa ha vinto il Grand Prix... è stato campione del mondo. L’anno scorso ha avuto un brutto incidente. Dicono che ora è di nuovo a posto.»
«Non mi dirà che sta al Bertram. Proprio non ce lo vedo qui...»
Michael Gorman ridacchiò.
«No, lui non sta qui. Ma c’è una sua amica...» E ammiccò.
Uscì un facchino, in grembiule a righe, con altri bagagli lussuosi, di americani.
L’ispettore capo rimase soprappensiero a osservare mentre i bagagli venivano sistemati in una Daimler da noleggio, e intanto cercava di ricordare quello che sapeva su Ladislaus Malinowski. Un tipo avventato... si diceva che fosse legato a una signora molto nota... come diavolo si chiamava?
Stava quasi per tornarsene via, mentre ancora fissava con gli occhi un elegante baule, quando ci ripensò ed entrò di nuovo nell’hotel.
Andò nell’ufficio e chiese alla signorina Gorringe il registro. La signorina Gorringe era occupata con quegli americani che se ne stavano andando, così gli spinse il libro lungo il ripiano del bancone. Fred Davy girò le pagine ricolme dei nomi più rappresentativi e poté così avere uno stralcio del genere di clientela del Bertram Hotel. Costituivano, pensò l’ispettore capo, una specie di campionario...
Mentre chiudeva il libro, gli saltò all’occhio un nome su una delle prime pagine. Sir William Ludgrove.
Il giudice Ludgrove, che era stato riconosciuto da un poliziotto vicino al luogo di una rapina a una banca. Il giudice Ludgrove... il canonico Pennyfather... entrambi clienti abituali del Bertram Hotel...
«Spero abbia gradito il tè, signore.» Era Henry, che gli stava vicino. Parlava con il fare cortese e la studiata premura del perfetto albergatore.
«Il miglior tè che abbia preso da anni» rispose l’ispettore capo Davy.
Si ricordò che non l’aveva pagato. Cercò di farlo, ma Henry lo trattenne con un significativo gesto della mano.
«Oh no, signore. Mi è stato fatto capire che il suo tè era offerto dalla direzione. Ordini del signor Humfries in persona.»
Henry si allontanò. Papà Davy rimase con il dubbio se avrebbe dovuto o meno dare una mancia a Henry. L’irritava il pensiero che questi, di sicuro, conosceva, assai meglio di quanto non sapesse lui la risposta a un tale problema di convenzioni sociali!
Mentre si allontanava lungo la strada, all’improvviso si fermò. Tirò fuori l’agenda e segnò un nome e un indirizzo... non c’era tempo da perdere. Entrò in una cabina telefonica. Era deciso a buttarsi allo sbaraglio. Cascasse il mondo, si sarebbe giocato tutto per un sospetto.
16
Era l’armadio che sconcertava il canonico Pennyfather. L’aveva già infastidito prima che fosse sveglio del tutto. Poi non ci aveva pensato più e s’era addormentato di nuovo. Ma quando aveva riaperto gli occhi un’altra volta, c’era ancora l’armadio al posto sbagliato. Lui stava girato sul fianco sinistro, verso la finestra, e l’armadio avrebbe dovuto trovarsi fra lui e la finestra, sulla parete di sinistra. Invece non c’era. Stava su quella di destra. Ciò lo disturbava. Lo disturbava al punto di farlo sentire molto stanco. Era conscio del suo tremendo male alla testa e, per giunta, vedersi quell’armadio al posto sbagliato... A questo punto richiuse gli occhi ancora una volta.
C’era un po’ più di luce nella stanza, in seguito, quando si svegliò. Non era ancora giorno. Solo la pallida luce dell’alba. “Santo cielo” disse fra sé e sé il canonico Pennyfather, risolvendo tutt’a un tratto l’enigma dell’armadio. “Che sciocco sono! È naturale, non sono a casa.”
Si mosse con cautela. Non era il suo letto quello. Lui si trovava fuori di casa. Stava... dov’era? Ah, sì. Era andato a Londra, no? Si trovava al Bertram Hotel e... ma no, che non stava al Bertram Hotel. Al Bertram Hotel il suo letto guardava verso la finestra. Così, era fuori strada un’altra volta.
“Povero me, dove posso trovarmi allora?” si chiese il canonico Pennyfather.
Poi si ricordò che doveva andare a Lucerna. “Ma è naturale,” si disse “sono a Lucerna.” Cominciò a pensare alla relazione che doveva leggere. Questo pensiero però non durò a lungo. Pensare alla relazione sembrava fargli dolere la testa, sicché s’addormentò di nuovo.
Quando si risvegliò aveva le idee più chiare. C’era molta più luce nella stanza. Non si trovava a casa, non era al Bertram Hotel ed era quasi certo di non essere a Lucerna. Questa assolutamente non era una camera d’albergo. La studiò molto attentamente. Era una stanza proprio strana, con pochissimi mobili. Una specie di credenza, che lui aveva preso per un armadio, e una finestra con delle tende a fiori, attraverso la quale filtrava la luce. Una sedia, un tavolo e un cassettone. Proprio così, era tutto.
“Dio mio,” rifletté il canonico Pennyfather “tutto questo è terribilmente strano. Dove mi trovo?”
Stava pensando di alzarsi per farsene un’idea, ma quando si mise seduto sul letto il male alla testa ricominciò e allora si stese di nuovo.
“Devo essere stato male” concluse il canonico Pennyfather. “Sì, devo essere stato senz’altro malato.” Rimase a pensare un paio di minuti, poi si disse: “Anzi, penso che probabilmente sto ancora male. Che sia un’influenza? Si sente dire spesso che l’influenza coglie all’improvviso. Forse... forse era incominciata all’Athenaeum, a pranzo...”. Sì, fin qui andava bene. Si ricordava di aver mangiato all’Athenaeum.
Nella casa si sentivano dei rumori di passi. Forse l’avevano portato in una casa di cura. Ma no, che questa fosse una casa di cura proprio non gli sembrava.
Man mano che entrava più luce si vedeva chiaramente che era una stanzetta misera e mal arredata. Si sentì qualcuno salire. Al piano inferiore una voce gridò forte: «Ciao, cocca. Salsiccia e purè, stasera».
Il canonico Pennyfather rifletté un momento. Salsiccia e purè. Per un certo verso queste parole avevano un suono gradevole.
“Credo” disse a se stesso “di aver fame.”
La porta s’aprì. Entrò una donna di mezza età, attraversò la stanza, tirò le tende e si girò verso il letto.
«Ah, è sveglio ora» disse. «E come si sente?»
«Veramente» rispose il canonico Pennyfather con voce flebile «proprio non saprei.»
«Ah, lo credo bene. È stato molto male, sa. Qualcosa le ha procurato una brutta contusione, così ha detto il dottore. Questi automobilisti! Neanche si fermano, dopo che t’hanno sbattuto per terra.»
«Ho avuto un incidente?» domandò il canonico Pennyfather. «Un incidente stradale?»
«Proprio così» rispose la donna. «L’abbiamo trovata sul ciglio della strada mentre tornavamo a casa. In principio, abbiamo pensato che fosse ubriaco.» Rise di gusto, da sciocca, al ricordo di quella scena. «Poi mio marito ha deciso che era meglio dare un’occhiata. Poteva esserle capitato un incidente. Non c’era odore di alcool, o roba del genere. Non c’era neppure sangue o altro. A ogni modo, stava là, duro come un pezzo di legno. Così mio marito ha detto che non potevamo abbandonarla nello stato in cui si trovava e l’ha trasportato qui. Capito?»
«Ah» fece il canonico Pennyfather sempre con un fil di voce, sfibrato da tutte queste rivelazioni. «Un buon samaritano.»
«Poi si è accorto che lei era un prete, per cui ha detto: “È una persona per bene”. Ha quindi deciso che era meglio non chiamare la polizia, perché magari non le sarebbe piaciuto, visto che era un prete e così via. Cioè nel caso fosse stato davvero ubriaco, nonostante non si sentisse puzza d’alcool. Così poi abbiamo fatto venire il dottor Stokes a darle un’occhiata. Lo chiamiamo ancora dottor Stokes, sebbene sia stato espulso. È un uomo molto simpatico, un po’ amareggiato, naturalmente, perché l’hanno cacciato via. Fu solo la sua bontà di cuore, per la verità, a fargli aiutare un sacco di ragazze che s’erano messe nei pasticci. Comunque, è un dottore abbastanza bravo e noi l’abbiamo fatto venire a guardarla. Dice che non si è fatto proprio molto male, dice che è una leggera contusione. Tutto quello che potevamo fare era di farla riposare disteso e tranquillo al buio. Ha aggiunto che il suo non era un parere ufficiale. Che lui non ha il diritto di prescrivere o affermare niente. E che per fare una cosa ben fatta avremmo dovuto riferirlo alla polizia, ma che nessuno ci obbligava a farlo. “Lasciate una scappatoia a questo povero vecchio matto” ecco quello che ha detto. Mi scusi se parlo senza rispetto. Lui parla facile e senza peli sulla lingua, il dottore. Ora, che ne direbbe di un sorso di brodo, oppure di un po’ di latte caldo con del pane?»
«O l’uno o l’altro» rispose piano piano il canonico Pennyfather «mi andrà benissimo.»
Ricadde sui cuscini. Un incidente? Dunque, si trattava proprio di questo. Un incidente, e non riusciva a ricordarsi niente. Qualche minuto dopo, la brava donna ritornò con una ciotola fumante su un vassoio.
«Sì sentirà meglio con questo» disse. «Avrei voluto metterci un goccio di whisky o un po’ di brandy, ma il dottore ha detto che non poteva prendere niente del genere.»
«No,» assentì il canonico Pennyfather «non con una contusione alla testa. No. Non sarebbe stato consigliabile.»
«Le metterò un altro cuscino dietro, eh, cocco? Così, va bene?»
Il canonico Pennyfather si allarmò a sentirsi chiamare “cocco”. Ma rifletté che era stato detto in senso buono.
«Su, su, su,» disse la donna «ecco qua.»
«Sì, ma dove?» fece il canonico Pennyfather. «Voglio dire, dov’è che sono? Dove si trova questo posto?»
«Milton St John» rispose la donna. «Non lo sapeva?»
«Milton St John» ripeté il canonico Pennyfather. Scrollò il capo. «Mai sentito nominare prima d’ora.»
«Be’, non è niente di speciale. È solamente un piccolo paese.»
«È stata molto gentile. Posso domandarle come si chiama?»
«Signora Wheeling. Emma Wheeling.»
«È veramente gentile» ripeté il canonico Pennyfather. «Ma quest’incidente, ora... proprio non riesco a ricordare...»
«Non ci pensi, tesoro. Tra poco si sentirà meglio e in grado di ricordare ogni cosa.»
“Milton St John” disse fra sé e sé il canonico Pennyfather con tono di meraviglia. “Questo nome non mi dice niente, assolutamente. Che cosa strana!”
17
Sir Ronald Graves disegnò un gatto sulla carta assorbente. Guardò l’imponente figura dell’ispettore capo Davy seduto dirimpetto a lui e disegnò un bulldog.
«Ladislaus Malinowski?» chiese. «Potrebbe essere. Qualche prova?»
«No. Il suo nome andrebbe bene, vero?»
«Un temerario. Nervi saldi. Ha vinto il campionato mondiale. Brutto incidente circa un anno fa. Cattiva reputazione con le donne. Fonti di reddito dubbie. Spende con facilità qui e all’estero. Sempre avanti e indietro dal continente. Ha qualche sospetto che sia lui l’uomo che sta dietro a queste grosse rapine e assalti organizzati?»
«Non credo che sia lui la mente. Ma penso che vi sia implicato.»
«Perché?»
«Fattore essenziale, Malinowski guida una Mercedes-Otto. Modello da corsa. Un’auto dalle medesime caratteristiche fu di scorta a Bedhampton il mattino dell’assalto al treno. Diversi i numeri di targa fornitici... ma a questo siamo abituati. Dissimili... ma non troppo. FAN 2299 anziché 2266. Non ce ne sono in giro molte di Mercedes-Otto di questo tipo. Lady Sedgwick ne ha una e il giovane Lord Merrival un’altra.»
«Non pensa che Malinowski sia il capo?»
«No... Ritengo che a capo ci siano delle menti migliori di lui. Ma lui c’entra. Ho riesaminato le pratiche. Prenda la rapina al Midland e West London. Accadde che tre furgoni... come per caso... bloccassero una certa strada. Una Mercedes-Otto che si trovava sul posto se ne andò via grazie a quel blocco.»
«Più tardi fu fermata.»
«Sì. E fu lasciata andare senza complicazioni. Specie per il fatto che le persone che avevano riferito la cosa non erano sicure del numero esatto. Fu denunziato come FAN 3366... quello di Malinowski è registrato FAN 2266... È sempre la stessa storia.»
«E lei insiste nel collegare la cosa al Bertram Hotel. Hanno scovato delle notizie sul Bertram per voi...»
Fred Davy si tastò in tasca.
«Ecco qui. Società regolarmente iscritta. Bilancio... capitale versato... amministratori... eccetera, eccetera, eccetera. Non vuol dire un bel niente! Queste imprese finanziarie sono tutte uguali... proprio un insieme di serpenti che si divorano l’un l’altro! Società, e società finanziarie... c’è di che far girare la testa!»
«Suvvia, papà Davy. È proprio così che fanno nella City. Per via delle tasse...»
«Quello che voglio è un’informazione segreta, che corrisponda alla verità. Se lei mi dà una presentazione, signore, vorrei andare a trovare un certo pezzo grosso.»
Sir Ronald Graves lo guardò fisso.
«E a chi allude con esattezza come pezzo grosso?»
Papà Davy fece un nome.
Il vicecommissario parve turbato. «Non saprei. Mi riesce difficile pensare che osiamo avvicinarlo.»
«Potrebbe essere molto utile.»
Ci fu una pausa. I due uomini si guardarono. Papà Davy aveva un aspetto placido e paziente. Il vicecommissario s’arrese.
«Lei è un vecchio diavolo, Fred, caparbio» disse. «Faccia a modo suo. Vada a seccare le alte gerarchie che stanno dietro ai finanzieri internazionali d’Europa.»
«Lui saprà» fece l’ispettore capo Davy. «Saprà. E se non lo sa lui, lo può scoprire solo schiacciando un campanello sulla scrivania o con una telefonata.»
«Non so se gli farà piacere.»
«Forse no,» rispose papà Davy «ma non gli ruberò molto tempo. Devo sentirmi appoggiato, però.»
«Dice davvero sul serio che questo posto, il Bertram, è così? Ma che motivi ha per insistere? È ben condotto, ha una buona clientela, rispettabile... tutto in regola con le licenze d’esercizio.»
«Lo so... lo so. Niente bevande alcooliche, nessun traffico di stupefacenti, niente gioco d’azzardo, nessun compromesso con i criminali. Tutto candido come la neve. Non ci sono beatniks, né rapinatori, né delinquenza minorile. Soltanto tranquille signore di stile vittoriano-edoardiano, famiglie dell’antica nobiltà, turisti da Boston e dai più importanti centri degli Stati Uniti. Nonostante questo, però, un rispettabile canonico della nostra chiesa è stato visto uscire da lì alle tre del mattino piuttosto furtivamente...»
«Chi l’ha visto?»
«Un’anziana signora.»
«Com’è riuscita a vederlo, poi... Perché non se ne stava a letto a dormire?»
«Le vecchiette sono fatte così, signore.»
«Non sta per caso parlando... come si chiama... del canonico Pennyfather?»
«Proprio così, signore. È stata denunziata la sua scomparsa e Campbell ha svolto delle indagini.»
«Strana coincidenza... il suo nome è appena venuto fuori in relazione alla rapina del postale a Bedhampton.»
«Davvero? In che modo, signore?»
«Un’altra signora anziana... o di una certa età, comunque. Allorché il treno fu arrestato da quel segnale che era stato manomesso, moltissimi viaggiatori si svegliarono e si affacciarono a guardare nel corridoio. Questa donna, che vive a Chadminster e conosce di vista il canonico Pennyfather, dice di averlo visto salire sul treno. Aveva pensato che fosse sceso a vedere cos’era successo e che stesse risalendo. Avevamo intenzione di approfondire la cosa in seguito alla segnalazione della sua scomparsa...»
«Un momento... il treno fu fermato alle cinque e trenta del mattino. Il canonico Pennyfather lasciò il Bertram Hotel poco dopo le tre. Sì, sarebbe stato possibile. Se fosse stato portato là... diciamo... con una macchina da corsa...»
«Così, ritorniamo di nuovo a Ladislaus Malinowski!» Il vicecommissario guardò i ghirigori sul suo tampone di carta assorbente. «Che bulldog, Fred!» esclamò.
Mezz’ora dopo l’ispettore capo Davy stava mettendo piede in un ufficio tranquillo e piuttosto scialbo.
L’imponente uomo dietro la scrivania si alzò e tese la mano.
«L’ispettore capo Davy? Si accomodi, prego» disse. «Vuole un sigaro?»
L’ispettore capo Davy fece cenno di no.
«Devo scusarmi» cominciò, con la sua grossa voce profonda «di farle perdere del tempo prezioso.»
Il signor Robinson sorrise. Era grasso e vestito con molta eleganza.
Il suo colorito era olivastro, gli occhi scuri dall’espressione triste, la bocca larga e marcata. Sorrideva frequentemente per far mostra di una dentatura eccezionale. “Per mangiarti meglio” fu il pensiero peregrino dell’ispettore capo Davy. Il suo inglese era perfetto e senza inflessioni, ma non era inglese.
Papà Davy si chiese, come diverse altre persone avevano fatto prima di lui, di che nazionalità fosse veramente il signor Robinson.
«Dunque, in cosa posso esserle utile?»
«Desidererei sapere chi è il proprietario del Bertram Hotel.»
Il signor Robinson non mutò l’espressione del volto. Non mostrò sorpresa a sentire questo nome né rivelò di conoscerlo.
Riflettendo disse: «Vuole sapere di chi è il Bertram Hotel. Quello in Pond Street, credo, poco lontano da Piccadilly».
«Esatto, signore.»
«Ci sono stato anch’io, qualche volta. Un posto tranquillo. Ben condotto.»
«Sì, esatto» fece eco papà Davy «soprattutto ben condotto.»
«E lei vuol sapere di chi è? Sicuro che sia facile da accertare?»
C’era una sottile ironia nel suo sorriso.
«Attraverso i soliti canali, vuol dire? Oh, sì.» Papà Davy tirò fuori dalla tasca un pezzetto di carta e vi lesse tre o quattro nominativi e indirizzi.
«Ho capito,» fece il signor Robinson «qualcuno s’è dato molto da fare. Interessante. E lei viene da me?»
«Se qualcuno sa, dovrebbe essere lei, signore.»
«Veramente non lo so. Ma è pur vero che ho modo di ottenere delle informazioni. Si hanno...» alzò le spalle larghe, massicce «si hanno delle conoscenze.»
«Appunto» confermò papà Davy con espressione impassibile.
Il signor Robinson lo guardò, poi alzò il telefono che stava sulla scrivania.
«Sonia? Chiamami Carlos.» Aspettò un paio di minuti, poi riprese a parlare. «Carlos?» Disse rapidamente una mezza dozzina di frasi in una lingua straniera. Era una lingua che Fred Davy non riuscì nemmeno a riconoscere.
Il poliziotto sapeva conversare in un buon francese inglesizzato. Aveva una semplice infarinatura di italiano e riusciva a indovinare le semplici espressioni dei turisti tedeschi. Riconosceva il suono dello spagnolo, del russo e dell’arabo ma non comprendeva questa lingua. Questa, non era nessuna di quelle a lui note. Tirando a indovinare, poteva arrischiare che fosse turco, persiano o armeno, ma non ne era assolutamente certo. Il signor Robinson riattaccò.
«Non credo» fece amabilmente «che dovremo aspettare molto. Mi interessa, sa. Mi interessa molto. Mi sono chiesto io stesso, talvolta...»
Papà Davy guardò incuriosito.
«... in merito al Bertram Hotel» continuò il signor Robinson. «Da un punto di vista finanziario, comprende. Ci si domanda come possa rendere. A ogni modo, non me ne sono mai occupato. E si dà il giusto valore...» alzò le spalle «... a un albergo confortevole con impiegati e personale eccezionalmente dotati... Sì, me lo sono chiesto.» Guardò papà Davy. «Lei lo sa il come e il perché?»
«Non ancora» rispose papà Davy «ma ne ho l’intenzione.»
«Ci sono diverse possibilità» riflette il signor Robinson. «È come la musica, vede. Solo così poche note per formare l’ottava, eppure uno le può combinare in... dico bene?... diversi milioni di modi differenti. Una volta un musicista mi ha detto che non si ottiene due volte lo stesso accordo. Interessantissimo.»
Si sentì un leggero suono sulla scrivania e il signor Robinson alzò ancora il ricevitore.
«Sì? Sì, sei stato rapidissimo. Mi fa piacere. Ho capito. Oh! Amsterdam, sì... Ah... Grazie... Sì. Vuoi dirmi come si scrive? Bene.»
Trascrisse rapidamente un appunto su un blocco a portata di mano.
«Spero che questo le sarà utile» disse, mentre strappava il foglietto e lo porgeva attraverso il tavolo a papà Davy, che lesse il nome ad alta voce. «Wilhelm Hoffman.»
«Nazionalità svizzera» aggiunse il signor Robinson. «Sebbene, direi, non svizzero di nascita. Ha una notevole influenza negli ambienti bancari e anche se si tiene rigorosamente entro i limiti consentiti, è stato dietro le quinte in moltissimi... affari dubbi. Opera esclusivamente nel continente, non in questo paese.»
«Ah.»
«Ma ha un fratello» proseguì il signor Robinson. «Robert Hoffman. Abita a Londra... commerciante di diamanti... considerevole volume d’affari... La moglie è olandese. Ha degli uffici anche ad Amsterdam, infatti. Voi della polizia potete documentarvi su di lui. Come ripeto, si occupa soprattutto di diamanti, ma è un uomo ricchissimo e possiede un’infinità di beni, di solito non a suo nome. Sì, figura dietro a moltissime imprese. Lui e il fratello sono i veri proprietari del Bertram Hotel.»
«Grazie, signore.» L’ispettore capo Davy si alzò in piedi. «È superfluo che io le esprima tutta la mia riconoscenza. È meraviglioso» aggiunse, lasciandosi andare a un entusiasmo che non era solito mostrare.
«Che io abbia saputo?» chiese il signor Robinson con uno dei suoi più smaglianti sorrisi. «Ma questa è una delle mie specialità. Informazioni. A me piace essere al corrente. Non è questo il motivo per cui lei si è rivolto a me?»
«Ebbene» rispose l’ispettore capo Davy «sappiamo di lei, sì. Il ministero degli Interni. La Sezione speciale e così via.» Aggiunse con tutta schiettezza: «Avvicinarla ha richiesto un certo coraggio da parte mia, in effetti...».
Il signor Robinson sorrise di nuovo.
«Trovo che lei ha un’interessante personalità, ispettore capo Davy» disse. «Le auguro successo in ogni impresa.»
«Grazie, signore. Penso che ne avrò bisogno. Scusi, questi due fratelli, pensa che siano uomini violenti?»
«No di certo» rispose il signor Robinson. «Sarebbe del tutto contrario al loro sistema. I fratelli Hoffman non ricorrono alla violenza nelle loro faccende d’affari. Applicano altri metodi che rendono loro meglio. Anno per anno, direi, diventano costantemente più ricchi, o almeno queste sono le informazioni degli ambienti bancari svizzeri.»
«È un paese vantaggioso, la Svizzera» commentò l’ispettore capo Davy.
«Sì, proprio. Che faremmo noi senza, non lo so! Tanta rettitudine. Un senso degli affari così sottile! Sì, noi uomini d’alta finanza dobbiamo essere grati alla Svizzera. Io personalmente» aggiunse «tengo anche Amsterdam in grande considerazione.» Guardò Davy intensamente, poi sorrise di nuovo e l’ispettore capo uscì.
Ritornato in ufficio trovò un appunto per lui.
“Il canonico Pennyfather è ricomparso... è salvo, se non proprio sano. Sembra che sia stato investito da un’auto a Milton St John e che abbia riportato una commozione cerebrale.”
18
Il canonico Pennyfather osservò l’ispettore capo Davy e l’ispettore Campbell, e questi ultimi guardarono lui.
Il canonico Pennyfather era di nuovo a casa. Stava seduto nell’ampia poltrona del suo studio, un cuscino dietro la testa e i piedi appoggiati su di un puf, con una coperta sulle ginocchia per sottolineare la sua condizione di infermo.
«Mi dispiace» stava dicendo cortesemente «che proprio non riesca a rammentare niente, assolutamente.»
«Non riesce a ricordarsi dell’incidente, quando l’auto l’ha colpita?»
«Temo proprio di no.»
«Allora, come sapevate di essere stato urtato da una macchina?» chiese, perspicace, l’ispettore Campbell.
«Quella donna là, la signora... signora... si chiamava Wheeling, mi pare... me l’ha riferito.»
«E lei come lo sapeva?»
Il canonico Pennyfather rimase perplesso.
«Oh cielo, ha proprio ragione. Non poteva saperlo, vero? Suppongo ritenesse che le cose devono essere andate così.»
«E lei davvero non riesce a ricordare niente? Com’è che è capitato a Milton St John?»
«Non ne ho idea» rispose il canonico Pennyfather. «Perfino il nome mi è poco noto.»
L’irritazione dell’ispettore Campbell stava crescendo, ma l’ispettore capo Davy intervenne invece con voce carezzevole, familiare: «Ci racconti ancora esattamente l’ultima cosa che ricorda, signore».
Il canonico Pennyfather si volse sollevato verso di lui. L’arido scetticismo dimostrato dall’ispettore lo aveva messo a disagio.
«Stavo andando a Lucerna a un congresso. Ho preso un tassì per raggiungere l’aeroporto... o almeno l’aerostazione di Kensington.»
«Sì. E poi?»
«È tutto. Non rammento altro. La cosa di cui mi ricordo subito dopo è l’armadio.»
«Quale armadio?» incalzò l’ispettore Campbell.
«Stava al posto sbagliato.»
L’ispettore Campbell fu tentato di approfondire questa storia di un guardaroba al posto sbagliato. Ma Davy intervenne un’altra volta.
«Si ricorda di essere arrivato all’aerostazione, signore?»
«Penso di sì» rispose il canonico Pennyfather, con l’aria di uno che è pieno di dubbi sulla questione.
«E arrivò regolarmente a Lucerna.»
«Sì? Non ricordo niente di questo, se è stato così.»
«Ricorda per caso di essere ritornato al Bertram Hotel quella sera?»
«No.»
«Il Bertram Hotel, lo ricorda?»
«Naturalmente. Alloggiavo lì. Molto confortevole. Avevo fermato la stanza.»
«Ricorda di aver viaggiato in treno?»
«In treno? No, non riesco a ricordarmi di un treno.»
«C’è stata una rapina. Il treno è stato assalito. Senza dubbio, canonico Pennyfather, questo se lo ricorderà.»
«Dovrei, vero?» fece il canonico Pennyfather. «Eppure...» disse in tono sommesso «... non sono in grado.» Volse lo sguardo dall’uno all’altro con un gentile sorriso angelico.
«Dunque, la sua storia è che non si ricorda niente, da quando è andato in tassì all’aerostazione, fino al momento in cui si è svegliato nel cottage dei Wheeling a Milton St John.»
«Non c’è niente di strano» lo rassicurò il canonico. «Succede molto di frequente in casi di shock.»
«Che cosa ha pensato che le fosse successo, quando si è svegliato?»
«Avevo un tal mal di testa che proprio non riuscivo a connettere. Poi, naturalmente, ho cominciato a chiedermi dove fossi, e la signora Wheeling mi ha spiegato tutto e mi ha portato un brodo eccellente. Mi chiamava “tesoro” e “carino” e “cocco”,» raccontò il canonico con un certo disgusto «ma era molto gentile. Davvero gentile.»
«Avrebbe dovuto riferire l’incidente alla polizia. Così lei sarebbe stato portato all’ospedale e curato come si deve» disse Campbell.
«Mi ha curato molto bene» protestò con vivacità il canonico «e io mi rendo conto che con la commozione cerebrale c’è ben poco da fare se non tenere il paziente tranquillo.»
«Se dovesse ricordarsi qualche altra cosa, canonico Pennyfather...»
Il canonico l’interruppe.
«Mi sembra di essere stato privato di quattro intere giornate della mia vita» disse. «Molto strano. Proprio davvero molto singolare. Continuo a chiedermi dov’ero e che cosa stessi facendo. Il dottore dice che può tornarmi tutto alla memoria. D’altro canto ciò può anche non verificarsi. Probabilmente non saprò mai quello che mi accadde durante quei giorni.» Socchiuse le palpebre con un tremolio. «Vorrà scusarmi. Temo di essere piuttosto stanco.»
«Basta proprio, ora» disse la signora McCrae, che si era aggirata tutto il tempo vicino alla porta, pronta a intervenire se lo avesse ritenuto necessario. Si portò innanzi ai due ispettori. «Il dottore dice che non lo si deve disturbare» fece risoluta.
I due funzionari di polizia si alzarono e si avvicinarono alla porta.
La signora McCrae li guidò nell’ingresso alla maniera di uno scrupoloso cane pastore.
Il canonico mormorò qualcosa e l’ispettore capo Davy, che aveva oltrepassato la porta, si voltò rapidamente.
«Che cosa?» domandò, ma ora il canonico teneva gli occhi chiusi.
«Cosa pensa abbia detto?» chiese Campbell quando furono usciti, dopo che avevano declinato l’invito della signora McCrae a gradire qualcosa.
Papà Davy disse pensoso: «Credo abbia detto “le mura di Gerico”».
«Che cosa avrà voluto dire con questo?»
«Suona biblico» fece papà Davy.
«Crede che sapremo mai» chiese Campbell «come il vecchietto arrivò da Cromwell Road a Milton St John?»
«Non pare che da lui ci verrà molto aiuto» fu d’accordo Davy.
«Quella donna che dice di averlo visto sul treno, dopo l’assalto, che possa aver ragione? Potrebbe essere immischiato in qualche modo in queste rapine? Sembra impossibile. È un vecchio talmente degno di rispetto. È impossibile sospettare un canonico della Cattedrale di Chadminster di avere a che fare con una rapina a un treno, no?»
«No,» convenne pensieroso papà Davy «no. Non più di quanto si possa immaginare il giudice Ludgrove coinvolto in una rapina a una banca.»
L’ispettore Campbell guardò il suo superiore con curiosità.
La spedizione di Chadminster si concluse con un breve e infruttuoso colloquio con il dottor Stokes.
Il dottor Stokes non fece alcuno sforzo per cooperare, fu aggressivo e brusco nei modi.
«Conosco i Wheeling da tempo. Sono in un certo senso i miei vicini. Hanno raccolto un tale, un vecchio, sulla strada. Non sapevano se era morto, ubriaco o ammalato. Mi hanno chiesto di andare a dare un’occhiata. Ho detto loro che non era ubriaco... che si trattava, invece, di commozione cerebrale.»
«E come tale l’ha curato.»
«Niente affatto. Io non l’ho curato, né gli ho prescritto alcunché, né l’ho assistito. Non sono un medico... lo sono stato un tempo, ora no... Ho detto loro che quello che avrebbero dovuto fare era di chiamare la polizia. Se l’abbiano fatto o meno non lo so. Non è affar mio. Sono un po’ sciocchi,tutt’e due... ma brava gente.»
«Non ha pensato a chiamare lei stesso la polizia?»
«No, non l’ho pensato. Non sono un medico. Non mi riguardava. Come essere umano li ho avvisati di non dargli del whisky e di tenerlo tranquillo e disteso finché fosse arrivata la polizia.»
Li guardò con aria di sfida e, loro malgrado, i due funzionari di polizia dovettero astenersi da fare ulteriori commenti.
19
Il signor Hoffman era un uomo imponente, di struttura massiccia. Sembrava intagliato nel legno.
Il suo volto era talmente privo di espressione, da sospettare che un individuo simile non fosse capace di pensare... di provare delle emozioni. Pareva impossibile.
I suoi modi erano estremamente corretti.
Si alzò, fece un cenno con il capo e porse la mano, salda come un cuneo.
«Ispettore capo Davy? Sono passati anni da quando ebbi il piacere... può darsi che lei non ricordi...»
«Oh sì, invece, signor Hoffman. Il caso del diamante Aaromberg. Lei era un testimone per la Corona... un teste davvero eccellente, me lo lasci dire. La difesa proprio non riuscì a scuoterla.»
«Non mi lascio scuotere tanto facilmente» aggiunse serio il signor Hoffman. «Che cosa posso fare per lei?» proseguì. «Nessuna seccatura, spero... Io desidero sempre andare perfettamente d’accordo con la polizia. Ho la più grande ammirazione per il vostro superbo corpo.»
«Oh, nessun guaio. Soltanto, abbiamo bisogno che ci confermi una piccola informazione.»
«Sarò lieto di aiutarvi in tutto quello che posso. Come ripeto, ho la più grande stima per il vostro corpo di polizia londinese. Avete una così splendida selezione di uomini. Così onesti, così leali, così corretti.»
«Mi confonde» fece papà Davy.
«Sono al suo servizio. Che cosa desidera sapere, mi dica...»
«Stavo appunto per chiederle di darmi una piccola notizia riservata sul Bertram Hotel.»
L’espressione del volto del signor Hoffman non mutò. Probabilmente tutto il suo atteggiamento divenne per qualche istante ancora più elastico... Tutto lì.
«Il Bertram Hotel?» fece. La sua voce aveva un tono interrogativo, leggermente perplesso. Poteva sembrare che non avesse mai sentito parlare del Bertram Hotel, oppure che non riuscisse a ricordarsi bene se conoscesse o meno il Bertram Hotel.
«Lei ha un rapporto con il Bertram, signor Hoffman?»
Il signor Hoffman alzò le spalle.
«Ci sono così tante cose» rispose. «Uno non può ricordarsele tutte. Un’infinità di affari... un’infinità... mi tengono molto occupato.»
«Ha le mani in pasta in diverse cose, lo so.»
«Sì.» Il signor Hoffman sorrise, ma senza espressione. «Ne tiro fuori il meglio, questo è ciò che pensa? E così crede che ci sia un rapporto fra me e questo... Bertram Hotel?»
«Non avrei dovuto dire un rapporto. In realtà, lei ne è il proprietario, non è così?» disse con voce allegra papà Davy.
Questa volta sì che il signor Hoffman si irrigidì del tutto.
«Dico, chi le ha raccontato questo, ora?» chiese sommessamente.
«Ebbene, è vero o no?» insisté l’ispettore capo, di buon umore. «Proprio un bel posto, come proprietà, direi. Infatti, deve esserne orgoglioso.»
«Oh, sì» convenne Hoffman. «Al momento... non riuscivo proprio a ricordare... vede...» Sorrise con aria di scusa. «Possiedo un bel numero di proprietà a Londra. Beni immobili... un buon investimento. Se sul mercato capita qualcosa che ritengo valga la pena e si presenta l’occasione di impossessarsene a buone condizioni, io investo.»
«E il Bertram Hotel veniva offerto a buon mercato?»
«Come impresa commerciale era a terra» precisò il signor Hoffman, scrollando il capo.
«Ma s’è rimessa in piedi per bene, ora» commentò papà Davy. «Ci sono stato proprio qualche giorno fa. Sono stato colpito dall’atmosfera che vi regna. Clientela distinta, vecchio stile, locali confortevoli come s’usava una volta, niente di chiassoso in giro, molto lusso pur senza dare nell’occhio.»
«Ne so ben poco personalmente» spiegò Hoffman. «È semplicemente uno dei miei investimenti... ma credo che stia andando bene.»
«Sì, sembra abbia un individuo di prima qualità alla direzione. Come si chiama? Humfries? Sì, Humfries.»
«Un uomo eccellente» confermò il signor Hoffman. «Lascio fare tutto a lui. Io controllo il bilancio una volta all’anno per accertare che tutto vada bene.»
«L’hotel era pieno di persone titolate» continuò papà Davy. «Ricchi turisti americani, pure.» Scosse la testa, pensoso. «Meravigliosa combinazione.»
«Dice di esserci stato qualche giorno fa?» s’informò il signor Hoffman. «Non... non ufficialmente, spero.»
«Niente di serio. Solo per cercare di far luce su un piccolo mistero.»
«Un mistero? Al Bertram Hotel?»
«Così sembra. Il caso del canonico scomparso, lo si potrebbe intitolare.»
«Ma è uno scherzo!» esclamò il signor Hoffman. «Questo è un linguaggio da Sherlock Holmes.»
«Questo ecclesiastico una sera uscì dall’hotel e non fu più rivisto.»
«Strano,» fece il signor Hoffman «ma certe cose accadono. Ora ricordo, molti molti anni fa, un fatto che suscitò scalpore. Il colonnello... mi faccia pensare come si chiamava... il colonnello Fergusson, credo, uno scudiero della regina Mary. Se ne uscì dal suo club, una sera, e anche lui non fu più rivisto.»
«Naturalmente» commentò papà Davy con un lungo sospiro «un gran numero di questi casi sono volontari.»
«Lei ne sa più di me sull’argomento, mio caro ispettore capo» disse il signor Hoffman. «Spero che le abbiano dato ogni assistenza, al Bertram Hotel» aggiunse.
«Non avrebbero potuto essere più gentili» lo rassicurò papà Davy. «Quella signorina Gorringe è con voi da diverso tempo, immagino?»
«Probabile. Io sono proprio così poco al corrente... Non vi pongo un interesse personale, comprende? Infatti...» disse con un sorriso disarmante «... sono rimasto sorpreso perfino che lei sapesse che mi apparteneva.»
Non era esattamente una domanda; ma ancora una volta nei suoi occhi apparve un vago senso di inquietudine. Papà Davy lo notò, senza darlo a vedere.
«Le ramificazioni che si verificano nella City sono come un gigantesco mosaico» disse. «Mi scoppierebbe la testa se dovessi avere a che fare con quel genere di cose. Apprendo che una società... la Mayfair Holding Trust o qualcosa del genere... è registrata come intestataria. Questa fa parte di un’altra società e così di seguito. La pura verità di tutta la faccenda è che appartiene a lei. Elementare. Dico bene, no?»
«Se intende dire che dietro a tutto questo ci siamo io e i miei amministratori, ebbene sì» ammise piuttosto riluttante il signor Hoffman.
«I suoi amministratori. E quali potrebbero essere? Lei stesso e, ritengo, suo fratello?»
«Mio fratello Wilhelm è associato con me in questa speculazione. Dovete capire che il Bertram è solo un anello di una catena di parecchi hotel, uffici, club e altre proprietà a Londra.»
«Altri amministratori?»
«Lord Pomfret, Abel Isaacstein.» La voce di Hoffman divenne d’un tratto tagliente. «Ha davvero bisogno di sapere tutte queste cose? Solo perché sta indagando su Il caso del canonico scomparso?»
Papà Davy fece cenno di no con la testa, con l’aria di chi vuol scusarsi.
«Ritengo sia pura curiosità. Quello che m’ha condotto al Bertram è stata l’indagine sul mio canonico scomparso, ma poi ha... be’, destato il mio interesse, se comprende cosa intendo dire. Una cosa tira l’altra, a volte, non è così?»
«Sì, penso che capiti. E ora?» sorrise. «La sua curiosità è soddisfatta?»
«Niente di meglio che andare direttamente alla fonte quando si cercano delle informazioni, vero?» rispose gentile papà Davy. Si alzò in piedi. «C’è soltanto una cosa che veramente vorrei sapere... e non credo che me la dirà.»
«Sì, ispettore capo?» La voce di Hoffman si fece diffidente.
«Dove prendono il loro personale al Bertram? Meraviglioso! Quel tale, come si chiama... Henry. Quello che sembra un arciduca o un arcivescovo, non saprei decidere. Comunque, serve tè e tartine... delle tartine assolutamente deliziose! Ah, un’esperienza che non si può dimenticare.»
«Le piacciono con molto burro, eh?» Gli occhi del signor Hoffman per un momento si posarono con disapprovazione sull’adipe evidente nell’imponente figura di papà Davy.
«Credo che si veda» scherzò papà Davy. «Allora, non la tratterrò. Suppongo sia piuttosto occupato a rilevare offerte già contrattate, o qualcosa del genere.»
«Ah. La diverte fingere di non capire tutte queste cose. No, non sono sempre occupato. Non permetto che gli affari mi assorbano troppo. I miei gusti sono semplici. Vivo in semplicità, concedendomi del riposo, coltivando le rose, in armonia con la mia famiglia, alla quale sono molto affezionato.»
«Una vita ideale» commentò papà Davy. «Vorrei vivere così anch’io.»
Il signor Hoffman sorrise e si alzò pesantemente per stringergli la mano.
«Spero che troverà assai presto il suo canonico scomparso.»
«Oh! È tutto a posto. Mi spiace di non essere stato chiaro. È stato ritrovato... un caso sconcertante, in verità. Ha avuto un incidente d’auto, con commozione cerebrale... tutto lì.»
Papà Davy si avvicinò alla porta, poi si girò e chiese: «A proposito, Lady Sedgwick è nel consiglio d’amministrazione della sua società?».
«Lady Sedgwick?» Hoffman guadagnò qualche attimo. «No. Perché dovrebbe?»
«Oh, così, uno sente dire... Semplice azionista?»
«Io... sì.»
«Bene, addio, signor Hoffman. Grazie tante.»
Papà Davy ritornò a Scotland Yard e andò direttamente dal vicecommissario.
«I due fratelli Hoffman sono quelli che stanno dietro il Bertram Hotel... finanziariamente.»
«Cosa? Quei mascalzoni?» esclamò Sir Ronald.
«Sì.»
«L’hanno tenuto ben nascosto.»
«Sì... e Robert Hoffman non ha gradito neanche un po’ che l’avessimo scoperto. È stato un colpo, per lui.»
«Che cosa ha detto?»
«Oh, abbiamo mantenuto tutto su un piano di cortesia formale. Ha cercato, in modo non troppo palese, di sapere come l’avevo scoperto.»
«E lei non gli ha dato questa soddisfazione, come immagino...»
«Certo che no.»
«Che scusa ha inventato per essere andato a trovarlo?»
«Proprio nessuna» rispose papà Davy.
«Non l’avrà trovato un po’ strano?»
«Penso di sì. Tutto sommato, ho ritenuto che quello fosse il sistema migliore, signore.»
«Se gli Hoffman figurano dietro a tutto ciò, questo spiega molte cose. Loro non partecipano mai a niente di disonesto, loro personalmente... oh no! Loro non organizzano il delitto... però lo finanziano!»
«Dalla Svizzera, Wilhelm si occupa della parte bancaria. Dietro a quei traffici di valuta estera subito dopo la guerra c’era lui... noi lo sapevamo... ma non potemmo provarlo. Questi due fratelli controllano ingenti somme di denaro e le usano per intraprendere ogni genere di affari... alcuni leciti... altri no. Ma sono guardinghi... conoscono ogni trucco del mestiere. Il commercio di Robert, di mediatore di diamanti, francamente è pulito... ma crea un quadro suggestivo... diamanti... operazioni bancarie e proprietà immobiliari... club, istituzioni culturali, uffici, ristoranti, hotel... tutto in apparenza appartenente a qualcun altro.»
«Pensa che Hoffman sia il creatore di queste rapine organizzate?» chiese il vicecommissario.
«No, credo che quei due si occupino solo di finanza. No, dovrà cercare altrove il suo uomo. In qualche posto è all’opera una mente eccezionale.»
20
La nebbia era calata su Londra all’improvviso, quella sera. L’ispettore capo Davy si tirò su il bavero e girò in Pond Street. Camminando adagio, come uno che pensi ad altro, non sembrava essersi prefisso uno scopo specifico, ma chiunque lo conoscesse bene si sarebbe accorto che la sua mente era vigile. S’aggirava come un gatto prima che gli capiti il momento opportuno per piombare sulla preda.
Pond Street era tranquilla, quella sera. C’erano in giro poche macchine. La nebbia era venuta a banchi, in principio, poi s’era quasi diradata, infine s’era infittita di nuovo. Il rumore del traffico da Park Lane s’era affievolito come in una tranquilla strada di periferia. La maggior parte degli autobus s’era dovuta fermare. Solo di quando in quando delle auto private procedevano con fermo ottimismo. L’ispettore capo Davy capitò in una strada senza uscita, la percorse tutta fino in fondo e tornò indietro. Girò di nuovo, apparentemente senza meta, prima da una parte poi dall’altra, ma non lo faceva senza scopo. In realtà il suo vagare da gatto in cerca di preda lo spingeva a fare esattamente il giro di un unico edificio. Il Bertram Hotel. Stava per l’appunto considerando attentamente quello che c’era a est, a ovest, a nord e a sud di esso. Osservò le auto parcheggiate vicino al marciapiede, guardò quelle che stavano nella strada senza uscita. Esaminò accuratamente un parcheggio. Una macchina lo interessò in modo particolare e si fermò. Strinse le labbra e mormorò piano piano: «Dunque, eccoti di nuovo qui, bellezza». Controllò la targa e constatò fra sé e sé: “FAN 2266 stasera, eh?”. Si chinò e sfiorò con le dita i numeri con aria di soddisfazione. «Hanno fatto un bel lavoro» bisbigliò.
Proseguì, uscì dall’altro capo del parcheggio, girò a destra e poi ancora a destra e sbucò di nuovo in Pond Street, a cinquanta metri circa dall’entrata del Bertram Hotel. Si fermò nuovamente, per ammirare l’elegante linea di un’altra macchina, anch’essa da corsa.
«Tu pure sei una bellezza» fece l’ispettore capo Davy. «Il tuo numero di targa è uguale all’ultima volta che t’ho vista. Certamente, immagino, la tua targa è sempre la stessa. E ciò dovrebbe significare...» s’interruppe «... oppure?» mormorò. Guardò in alto, dove avrebbe potuto essere il cielo. “La nebbia sta diventando sempre più fitta” pensò.
Fuori della porta del Bertram, il portiere irlandese stava muovendo le braccia avanti e indietro con una certa foga per scaldarsi. L’ispettore capo Davy lo salutò con la mano.
«Buona sera, signore. Serata orribile.»
«Sì. Direi che a nessuno verrebbe voglia di uscire, stasera, se non per necessità.»
Le porte girevoli si spalancarono e una signora di mezza età venne fuori e si soffermò sul gradino.
«Desidera un tassì, signora?»
«Per carità. Avevo intenzione di camminare.»
«Non lo farei se fossi in lei, signora. È proprio tremenda questa nebbia. Perfino in tassì non sarebbe troppo comodo.»
«Crede di potermelo trovare, un tassì?» chiese incerta la signora.
«Farò del mio meglio. Lei entri ora, al caldo, e se ne trovo uno la chiamo.» Con voce diversa, in tono persuasivo, aggiunse: «A meno che non debba proprio farlo, signora, io non uscirei per niente stasera».
«Povera me. Forse ha ragione. Ma sono attesa da certi amici a Chelsea. Non so... Potrebbe essere molto difficile ritornare qui. Che ne dice?»
Michael Gorman tornò alla carica.
«Se fossi in lei, signora,» disse risoluto «andrei a telefonare ai suoi amici. Non è simpatico per una signora trovarsi fuori in una notte così nebbiosa.»
«Ma... veramente... sì, bene, forse ha ragione.»
La signora tornò dentro.
«Devo aver cura di loro» Micky Gorman si voltò a spiegare a papà Davy. «Un tipo così sarebbe andata incontro a uno scippo, stasera. Uscire a quest’ora con la nebbia e girare per Chelsea o West Kensington o dove diavolo voleva andare...»
«Penso che si sia fatto un bel po’ di esperienza con le signore d’una certa età» disse Davy.
«Ah sì, proprio. Questo posto, quando sono fuori, è come una casa per loro, benedette donne. Ora a lei, signore. Cercava un tassì?»
«Non credo che potrebbe trovarmene uno anche se lo volessi» rispose papà Davy. «Pare che non ce ne siano molti in giro con questo tempo. E non li biasimo.»
«Ah, vediamo, potrei scovarne uno per lei. C’è un posticino dietro l’angolo dove di solito un tassista tiene posteggiata la sua vettura, mentre si dà una scaldata e prende un goccetto di qualcosa per vincere il freddo.»
«Non mi serve un tassì» ringraziò papà Davy con un profondo sospiro.
Puntò il suo dito verso il Bertram Hotel.
«Devo andare dentro. Ho ancora una cosa da sbrigare qui da voi.»
«Proprio ora? Ancora a causa del canonico scomparso?»
«Non esattamente. È stato ritrovato.»
«Ritrovato?» L’uomo lo guardò fisso. «Trovato dove?»
«Lontano, in stato di shock dopo un incidente.»
«Ah, c’era da aspettarselo da lui. Ha attraversato la strada senza guardare, immagino.»
«Così sembra.»
Fece un cenno con il capo e, spinte le porte, entrò nell’hotel. Non c’erano proprio molte persone nel salone, quella sera. Vide Miss Marple seduta accanto al camino e l’anziana s’accorse di lui. Comunque, lei fece finta di niente. L’ispettore capo andò verso l’ufficio. La signorina Gorringe, come al solito, stava dietro ai suoi registri. Sembrò vagamente turbata nel vederlo. Fu una reazione davvero impercettibile, ma Fred Davy se ne accorse.
«Si ricorda di me, signorina Gorringe?» cominciò. «Sono venuto qui qualche giorno fa.»
«Sì, mi ricordo di lei, ispettore capo. Forse desidera sapere qualche altra cosa. Vuole vedere il signor Humfries?»
«No, grazie. Non credo che sarà necessario. Vorrei solo riguardare il vostro registro, se possibile.»
«Naturalmente.» Glielo mise davanti.
L’ispettore capo lo aprì e scorse le pagine lentamente. Alla signorina Gorringe dava l’apparenza di uno che stesse cercando una certa registrazione in particolare. In realtà non era così. Papà Davy possedeva una qualità, appresa da giovane, che aveva saputo trasformare con abilità in una vera arte. Riusciva a ricordare nominativi e indirizzi con una perfetta memoria visiva, che gli rimaneva impressa ventiquattro o anche quarantotto ore. Scrollò il capo nel chiudere il volume e lo restituì alla signorina Gorringe.
«Il canonico Pennyfather non è venuto, immagino...» chiese con voce chiara.
«Il canonico Pennyfather?»
«Sa che è ricomparso?»
«Nient’affatto. Non me lo ha detto nessuno. Dov’è?»
«Fuori, in campagna. Incidente d’auto, sembra. Non è stato denunziato alla polizia. Qualche buon samaritano l’ha semplicemente raccolto e ha avuto cura di lui.»
«Ah! Mi fa piacere. Sì, sono proprio molto contenta. Ero preoccupata per lui.»
«Come pure i suoi amici» aggiunse papà Davy. «Anzi, cercavo di vedere se un suo amico fosse per caso qui, ora. L’arcidiacono... arcidiacono... non riesco a ricordarmi il suo nome al momento, ma lo riconoscerei se lo vedessi.»
«Tomlinson?» cercò di suggerire la signorina Gorringe. «Deve arrivare la prossima settimana. Da Salisbury.»
«No, non Tomlinson. Mah, non importa.» Si allontanò.
C’era quiete, nel salone.
Un signore attempato, con l’aspetto da asceta, era tutto intento a leggere una tesi dattilografata male, facendo ogni tanto sul margine, con una calligrafia piccola e indecifrabile, delle annotazioni pressoché illeggibili. Ogni volta, sorrideva soddisfatto.
C’erano un paio di coppie di maturi coniugi che sentivano scarsa necessità di conversare fra loro. Ogni tanto due o tre persone si riunivano per parlare delle condizioni del tempo, discutendo ansiosamente di come loro o i loro familiari sarebbero riusciti ad arrivare dove dovevano andare.
«Ho chiamato Susan e l’ho scongiurata di non venire in macchina... la M1, capite, sempre così pericolosa con la nebbia...»
«Dicono che nelle Midlands c’è meno nebbia...»
Davy li osservò mentre passava. Senza che sembrasse intenzionale, raggiunse il suo obiettivo.
Miss Marple sedeva vicino al caminetto e lo guardò avvicinarsi.
«Dunque è ancora qui, Miss Marple. Sono lieto.»
«Parto domani» rispose Miss Marple.
Che così fosse, era implicito nel suo atteggiamento. Stava lì seduta, nient’affatto rilassata, ma tutta tesa, nella posizione di chi è in attesa in un aeroporto o nelle sale di una stazione. Il suo bagaglio, Davy ne era sicuro, doveva essere pronto, da completare solo con gli oggetti da toletta e per la notte.
«Le mie due settimane di vacanza sono giunte al termine» spiegò.
«Le sono piaciute, mi auguro.»
Miss Marple non rispose subito.
«Sotto un certo aspetto... sì...» S’interruppe.
«E per un altro verso, no?»
«È difficile spiegare ciò che voglio dire...»
«Forse, è troppo vicina al fuoco. È piuttosto caldo, qui. Non vorrebbe spostarsi... magari in quell’angolo?»
Miss Marple diede un’occhiata all’angolo indicato, poi guardò l’ispettore capo Davy.
«Credo abbia ragione» acconsentì.
Papà Davy l’aiutò ad alzarsi, le prese la borsa e il libro e la sistemò nell’angolo tranquillo che aveva proposto.
«Va bene?»
«Benissimo.»
«Capisce perché l’ho suggerito?»
«Lei ha pensato... molto gentilmente... che accanto al fuoco prendessi troppo caldo. Inoltre» aggiunse «qui la nostra conversazione non può essere ascoltata da nessuno.»
«C’è qualcosa che vorrebbe dirmi, Miss Marple?»
«Cosa mai glielo fa pensare?»
«Ne ha l’aria» rispose Davy.
«Mi spiace di averlo mostrato così apertamente» riprese lei. «Non ne avevo l’intenzione.»
«Dunque, cosa c’è?»
«Non so se dovrei dirlo. Vorrei che credesse, ispettore, che non mi piace impicciarmi, che sono contraria a ogni intromissione. Anche se spesso è a fin di bene... può nuocere molto.»
«Ah, è così? Capisco. Certamente, è proprio un problema per lei...»
«A volte uno vede delle persone fare cose che possono sembrare strane... perfino rischiose... Ma ha il diritto di interferire? Di norma no, direi.»
«Si riferisce forse al canonico Pennyfather?»
«Il canonico Pennyfather?» Miss Marple parve molto sorpresa. «Oh, no. Oh, Dio mio, no, proprio niente a che vedere con lui. Riguarda... una ragazza.»
«Una ragazza? Davvero? E pensa che io potrei essere d’aiuto?»
«Non so» rispose Miss Marple. «Con tutta franchezza non lo so. Ma sono preoccupata, molto preoccupata.»
Papà Davy non insistette. Se ne stava sprofondato, a proprio agio, e con un’espressione quasi assente.
Le lasciò prender tempo. Lei si era mostrata disposta a fare del suo meglio per aiutarlo e lui era senz’altro pronto a fare qualsiasi cosa in suo potere per venirle incontro. Forse, la cosa non lo interessava particolarmente. D’altro canto, non si poteva mai sapere.
«Sui giornali» cominciò Miss Marple sottovoce ma chiaramente «si leggono resoconti di cause in tribunale, di gente giovane, fanciulli o ragazze, “bisognosi di cure e protezione”. Forse è solo un’espressione legale, ma potrebbe significare qualcosa di reale.»
«Questa ragazza cui ha fatto cenno, ha la sensazione che avrebbe bisogno di essere curata e protetta?»
«Sì. Per me, sì.»
«Sola al mondo?»
«Oh, no!» rispose Miss Marple. «Proprio no, in un certo senso. Per quel che riguarda le apparenze, è ben protetta ed è circondata di ogni attenzione.»
«Interessante» commentò papà Davy.
«Stava in questo hotel» continuò Miss Marple «con una certa signora Carpenter, mi sembra. Ho guardato il nome sul registro. La ragazza si chiama Elvira Blake.»
Papà Davy sollevò gli occhi con un’aria di vivace interesse.
«È una bella ragazza. Molto giovane, proprio molto, protetta e sorvegliata. Il suo tutore è un certo colonnello Luscombe, una persona veramente distinta. Un tipo interessante. Di una certa età, naturalmente, e terribilmente innocente, temo.»
«Il tutore o la ragazza?»
«Alludevo al tutore» replicò Miss Marple. «Della ragazza non so niente. Ma credo proprio che sia in pericolo. L’ho incontrata per caso a Battersea Park. Stava al tavolino di un locale a prendere il tè con un giovanotto piuttosto particolare.»
«Ah, sì?» interruppe papà Davy. «Poco raccomandabile, immagino. Beatnik... sfruttatore... delinquente...»
«Un bell’uomo» precisò Miss Marple. «Non proprio molto giovane. Oltre i trenta, il genere di uomo che, direi, piace molto alle donne, ma con un’aria cattiva. Crudele, rapace.»
«Può darsi che non sia così malvagio come sembra» cercò di calmarla papà Davy.
«Sia come sia, lui è peggio di quel che sembra» esclamò Miss Marple. «Ne sono convinta. Ha una potente macchina da corsa.»
Papà Davy lanciò una rapida occhiata.
«Da corsa?»
«Sì. L’ho vista qui vicino all’hotel un paio di volte.»
«Certo non ricorderà il numero?»
«Sì, invece. FAN 2266. Avevo una cugina balbuziente» spiegò Miss Marple. «Ecco perché me ne ricordo.»
Papà Davy rimase perplesso.
«Sa chi sia?» domandò Miss Marple.
«Lo so, effettivamente» rispose adagio papà Davy. «Mezzo francese, mezzo polacco. Famoso pilota d’auto, tre anni fa è stato campione del mondo. Si chiama Ladislaus Malinowski. Ha proprio ragione per alcune sue impressioni su di lui. Ha una cattiva reputazione per quanto riguarda le donne. Il che vuol dire che non è l’amico adatto per una ragazza giovane. Ma in questo campo non è facile fare qualche cosa. Suppongo che lei lo incontri di nascosto, no?»
«Quasi certamente» fu d’accordo Miss Marple.
«Ha avvicinato il tutore?»
«Non lo conosco» rispose Miss Marple. «Gli sono stata giusto presentata solo una volta da un comune amico. Non mi piace l’idea di andare da lui a fare la maldicente. Mi domandavo se lei potrebbe in qualche modo fare qualcosa.»
«Posso provare» assicurò papà Davy. «Tra parentesi, pensavo sarebbe stata lieta di apprendere che il suo amico, il canonico Pennyfather, è ricomparso. È tutto a posto.»
«Davvero!» esclamò con vivacità Miss Marple. «Dove?»
«In un luogo chiamato Milton St John.»
«Che strano. Che ci faceva? Lo conosceva?»
«Sembrerebbe...» L’ispettore capo Davy pronunciò questa parola con enfasi «... Ha avuto un incidente.»
«Che incidente?»
«Investito da un’auto... ha battuto la testa... oppure, è evidente, potrebbero anche avergli dato un colpo in testa.»
«Capisco.» Miss Marple rifletté sul fatto. «Lui non lo sa?»
«Dice...» ancora l’ispettore capo sottolineò la parola «... che non sa niente.»
«Molto strano.»
«Vero? L’ultima cosa che ricorda è di essere andato in tassì all’aerostazione di Kensington.»
Miss Marple scrollò il capo, perplessa.
«So che può capitare dopo uno shock» mormorò. «Non ha detto niente che... possa riuscire utile?»
«Ha bisbigliato qualcosa come “le mura di Gerico”.»
«Giosuè?» tirò a indovinare Miss Marple. «Oppure archeologia... scavi?... o un dramma... ricordo, molto tempo fa... di Sutro, mi sembra.»
«E tutta questa settimana lo si è visto al cinema Gaumont, a nord del Tamigi... Le mura di Gerico, con Olga Radbourne e Bart Levinne» aggiunse papà Davy.
Miss Marple lo guardò dubbiosa.
«Può darsi che sia andato a vedere quel film nella Cromwell Road. Mettiamo sia uscito alle undici circa, avrebbe potuto benissimo ritornare qui... per quanto, in questo caso, qualcuno avrebbe potuto vederlo... sarebbe stato parecchio prima di mezzanotte...»
«Se ha sbagliato autobus... o qualcosa del genere...» suggerì Miss Marple.
«Diciamo pure che ha fatto ritorno qui dopo mezzanotte» concesse papà Davy. «Avrebbe potuto salire in camera sua senza essere visto... Ma se è andata così, che cos’è successo poi... e perché è uscito di nuovo dopo tre ore?»
Miss Marple stentò a trovare una risposta.
«La sola idea che mi viene è... oh!»
Sobbalzò sentendo un rumore fuori, in strada.
«Il gas di scappamento di un’automobile» la tranquillizzò papà Davy.
«Mi dispiace di essere così eccitabile... sono nervosa stasera... ho come un presentimento...»
«Che debba succedere qualcosa? Non c’è motivo di essere agitata.»
«Non mi è mai piaciuta la nebbia.»
«Volevo dirle» cominciò papà Davy «che mi è stata di grande aiuto. Le cose che ha notato qui... proprio piccole cose... si sono sommate.»
«Dunque, qualcosa c’era che non funzionava in questo posto?»
«C’era e c’è tuttora.»
Miss Marple sospirò.
«Sembrava meraviglioso in principio... sempre uguale, capisce... come ripiombare nel passato... in quel periodo del passato che uno ha amato con gioia.»
Fece una pausa.
«Ma, ecco, non era veramente così. Ho imparato, cosa che veramente già sapevo, che non si può mai tornare indietro, che uno non ci dovrebbe mai provare... che l’essenza della vita è andata sempre avanti. Veramente la vita è una “strada a senso unico”, non le sembra?»
«Qualcosa di simile» assentì papà Davy.
«Ricordo» cominciò Miss Marple, allontanandosi dalla sostanza del suo discorso in maniera singolare. «Ricordo che mi trovavo a Parigi con mia madre e mia nonna e che andammo a prendere il tè all’Hôtel Élysée. La nonna si guardò intorno e tutt’a un tratto esclamò: “Clara, credo proprio di essere l’unica signora qui con un bonnet!”. Se lo era! Quando tornò a casa, raccolse tutte le sue cuffiette e così pure i suoi mantelli trapunti di perline... e li mandò...»
«A una fiera di beneficenza?» domandò papà Davy con espressione di viva simpatia.
«Oh, no. Nessuno li avrebbe voluti a una fiera di beneficenza. Li mandò a una compagnia teatrale. Li apprezzarono moltissimo. Ma vediamo...» Miss Marple riprese il filo del discorso «... dov’ero rimasta?»
«Stava descrivendo questo luogo.»
«Sì? Sembrava tutto a posto... ma non lo era. C’era un miscuglio... persone vere e personaggi non autentici. Non sempre era facile distinguerli.»
«Che intende dire con non autentici?»
«C’erano ufficiali in pensione ma c’era anche chi, pur avendone l’aspetto, non aveva mai servito nell’esercito. Ecclesiastici che non erano tali. E ammiragli e capitani di marina che non erano mai stati in marina. La mia amica, Selina Hazy... mi divertiva in principio vedere come, sempre così ansiosa di riconoscere persone a lei note – cosa naturale, si capisce –, spesso si sbagliasse e quelle non erano coloro che lei aveva ritenuto. Ma questi sbagli si ripetevano troppo spesso e così incominciai a insospettirmi. Perfino Rose, la cameriera... così carina... eppure cominciai a pensare che forse neanche lei fosse autentica.»
«Se le interessa saperlo, è una ex attrice. E brava. Qui guadagna meglio di quanto abbia mai guadagnato in teatro.»
«Ma... perché?»
«Soprattutto, in quanto fa parte del decoro ambientale. Ma forse c’è dell’altro.»
«Sono contenta di andarmene» disse Miss Marple, con un piccolo brivido. «Prima che accada qualcosa.»
L’ispettore capo Davy la guardò in modo strano.
«Cosa si aspetta che accada?»
«Il male, sotto una qualche forma» rispose Miss Marple.
«Male è una parola abbastanza importante...»
«Pensa che suoni troppo melodrammatico? Ma io ho una certa esperienza... mi sembra di aver respirato... tanto spesso... aria di delitto.»
«Delitto?» L’ispettore capo Davy scrollò il capo. «Non sto cercando assassini. Sto solo cercando di fare una bella retata di alcuni abili criminali...»
«Non è la stessa cosa. Il delitto... il desiderio di compiere delitti... è qualcosa di ben diverso. Esso... come dire? Esso sfida Iddio.»
Papà Davy la guardò e sembrò disapprovare, con aria serena, in modo da tranquillizzarla.
«Non ci sarà alcun delitto» disse.
Da fuori arrivò uno scoppio violento, più forte del precedente. Fu seguito da un urlo e da un’altra detonazione.
Davy balzò in piedi, muovendosi con una rapidità sorprendente per un uomo della sua mole. In pochi secondi, raggiunta la porta, fu in strada.
Le grida... di donna... fendevano la nebbia con una nota di terrore. Fred Davy corse a tutta velocità giù per Pond Street, da dove provenivano. Indistintamente riusciva a intravedere una figura femminile appoggiata a una cancellata. Con una dozzina di passi la raggiunse. Indossava una pelliccia chiara, e i capelli, di un biondo splendente, le ricadevano lungo i lati del volto. Pensò per un momento di conoscerla, ma s’accorse che questa era solo una ragazzina. Ai piedi di lei, sul marciapiede, giaceva scomposto il corpo di un uomo in divisa. Era Michael Gorman.
Appena Davy raggiunse la ragazza, lei gli s’aggrappò fortemente tutta tremante, balbettando frasi spezzate.
«Qualcuno ha cercato di uccidermi... Qualcuno... mi hanno sparato... Se non fosse stato per lui...» Guardò la figura senza vita ai suoi piedi. «Mi ha spinto da parte e mi si è messo davanti e poi c’è stato il secondo sparo... e lui è caduto... Mi ha salvato la vita... Temo sia ferito... ferito gravemente.»
L’ispettore capo Davy allontanò la ragazza e si piegò su un ginocchio. Tirò fuori la torcia. L’alto portiere irlandese era caduto da soldato. Sul fianco sinistro del soprabito si vedeva una chiazza che si allargava man mano che il sangue imbeveva il tessuto. Davy gli sollevò le palpebre, toccò il polso. Si alzò in piedi.
«È spacciato» disse.
La ragazza lanciò un urlo improvviso. «Intende dire che è morto? Oh no, no! Non può essere morto.»
«Chi le ha sparato?»
«Non so... Avevo lasciato la macchina appena dietro l’angolo e camminavo a tastoni, vicino alle cancellate... stavo andando al Bertram Hotel. E poi all’improvviso uno sparo... e un proiettile m’ha sfiorato la guancia e poi... lui... il portiere del Bertram... è venuto in strada correndo verso di me e mi ha spinto dietro a sé, e poi l’altro sparo... Io penso... io credo che, chiunque sia, doveva essersi appostato in quel cortile là.»
Fred Davy guardò dove indicava la ragazza. In fondo a quel lato del Bertram Hotel c’era un vecchio cortile, sotto il livello stradale, con un cancello e alcuni gradini d’accesso. Poiché dava solo su alcuni ripostigli, non era molto usato. Ma un uomo avrebbe potuto nascondervisi abbastanza facilmente.
«Non l’ha visto?»
«Non bene. Mi è balzato accanto come un’ombra. Con questa nebbia fitta...»
Davy annuì.
La ragazza cominciò a singhiozzare istericamente.
«Ma chi avrebbe potuto desiderare di uccidermi? Perché qualcuno dovrebbe uccidermi? Questa è la seconda volta. Non capisco... perché...»
Sostenendo la ragazza con un braccio, l’ispettore Davy cacciò nervosamente in tasca l’altra mano. L’acuto sibilo di un fischietto da poliziotto ruppe la nebbia.
Nella hall del Bertram Hotel, la signorina Gorringe aveva alzato improvvisamente gli occhi dal registro. Altrettanto avevano fatto uno o due clienti. I più anziani e i più sordi non guardarono neppure.
Henry, nell’atto di posare un bicchiere di vecchio brandy su un tavolino, rimase fermo in quella posizione con il bicchiere ancora in mano.
Miss Marple si sporse in avanti, afferrando saldamente i braccioli della poltrona. Un ammiraglio in pensione affermò deciso: «Un incidente! Uno scontro nella nebbia, di sicuro».
Le porte girevoli si spalancarono. Entrò un poliziotto, ma un poliziotto d’aspetto superiore alla norma, di proporzioni eccezionali.
Sosteneva una ragazza con una pelliccia chiara. La ragazza sembrava non riuscisse neppure a camminare. Il poliziotto si guardò intorno, in cerca d’aiuto.
La signorina Gorringe sbucò dal bureau, pronta a dare una mano. Ma in quel momento scese l’ascensore. Ne uscì un’alta figura, la ragazza si staccò dal poliziotto e, terribilmente eccitata, attraversò correndo il salone.
«Mamma» gridò. «Oh, mamma, mamma...» e si gettò tra le braccia di Bess Sedgwick.
21
L’ispettore capo Davy s’appoggiò allo schienale della sedia e guardò le due donne sedute di fronte a lui. Era mezzanotte passata. C’era stato un via vai di funzionari di polizia. Erano venuti dei medici, gli uomini della scientifica, e un’ambulanza per rimuovere il cadavere; e ora s’era ridotto tutto a quest’unica stanza messa dal Bertram Hotel a disposizione della legge. Da un lato del tavolo sedeva l’ispettore capo Davy. Dall’altra parte Bess Sedgwick ed Elvira. Un poliziotto sedeva con discrezione contro la parete, prendendo appunti. Il sergente Wadell era seduto vicino alla porta.
Papà Davy guardò attentamente le due donne che gli stavano davanti. C’era, notò, una forte somiglianza apparente, fra loro. Poteva spiegarsi come, sia pure per un attimo, avesse scambiato nella nebbia Elvira Blake per Bess Sedgwick. Ma ora, osservandole, era più colpito dagli elementi di diversità che dai punti di somiglianza. Non erano proprio simili, a parte i colori, eppure permaneva l’impressione di avere lì di fronte una visione positiva e una negativa della medesima personalità. Tutto, di Bess Sedgwick, era positivo. La sua vitalità, la sua energia, il suo fascino magnetico. Lui aveva sempre provato dell’ammirazione per Lady Sedgwick. Aveva ammirato il suo coraggio e si era sempre entusiasmato alle sue imprese; aveva detto, leggendo i giornali della domenica: “Non la farà franca, questa volta” e immancabilmente lei ce l’aveva fatta! Non riteneva possibile che sarebbe arrivata alla fine del percorso, e lei aveva raggiunto il traguardo. In modo particolare ammirava la sua resistenza indistruttibile. Aveva avuto un incidente aereo, diversi incidenti d’auto, aveva subito due brutte cadute da cavallo, ma con tutto ciò, eccola qui. Vibrante, viva, una personalità che non si poteva assolutamente ignorare. Dentro di sé, si levò tanto di cappello. Certo, un giorno o l’altro, avrebbe avuto un crollo. Non si poteva essere sempre invulnerabili. Il suo sguardo passò dalla madre alla figlia. Non sapeva. Era molto perplesso.
A Elvira Blake, pensò, ogni cosa era stata inculcata. Bess Sedgwick aveva vissuto imponendo la sua volontà. Elvira, così supponeva, aveva una maniera differente di affrontare la vita. Cedeva, pensò. Obbediva. Sorrideva compiacente ma, sotto sotto, pensò papà Davy, ti sfuggiva dalle mani. “Scaltra” disse a se stesso, dando il suo giudizio. “È l’unico modo in cui riesce a cavarsela, ritengo. Non sa affrontare le cose apertamente o imporre se stessa. Ecco perché le persone che hanno avuto cura di lei, non hanno mai avuto la minima idea di quello che potesse combinare.”
Si domandava che cosa l’avesse spinta ad andarsene per la strada verso il Bertram Hotel in una tarda sera di nebbia. Era sul punto di chiederglielo. Rifletté che molto probabilmente la risposta che avrebbe avuto non sarebbe stata quella giusta. “Ecco in che modo la poverina difende se stessa” pensò. Era venuta qui per incontrare la madre oppure a cercarla? Era perfettamente possibile, ma lui non ci credeva. Neanche per sogno. Pensò invece alla grossa vettura sportiva, là dietro l’angolo... l’auto con la targa numero FAN 2266. Ladislaus Malinowski doveva trovarsi in qualche posto vicino, visto che la sua macchina era lì.
«Allora,» disse Davy rivolgendosi a Elvira con il suo fare più gentile e paterno «come si sente?»
«Meglio» rispose Elvira.
«Bene. Vorrei rispondesse ad alcune domande se se la sente; perché, vede, il tempo di solito è un fattore essenziale in queste cose. Hanno mirato a lei due volte e un uomo è stato ucciso. Abbiamo bisogno di quanti più indizi possibili per arrivare alla persona che ha sparato.»
«Le dirò quello che posso, ma è accaduto tutto così all’improvviso. E non si riesce a vedere niente con la nebbia. Non ho proprio la minima idea di chi possa essere stato... neppure che aspetto avesse. Questa è stata la cosa più terribile.»
«Lei ha detto che è la seconda volta che qualcuno ha cercato di ucciderla. Ciò vuoi dire che c’è già stato prima un attentato alla sua vita?»
«Ho detto questo? Non riesco a ricordarmene.» I suoi occhi ebbero un lampo di inquietudine. «Non credo di averlo detto.»
«Ah, ma l’ha detto, sa» disse papà Davy.
«Ritengo fossi proprio in uno stato... in uno stato di isterismo.»
«No,» insisté papà Davy «non lo penso. Credo che volesse dire proprio quello che ha detto.»
«Può darsi ch’io abbia immaginato delle cose» spiegò Elvira. Il suo sguardo, ora, era di nuovo sfuggente come prima.
Bess Sedgwick intervenne. Con calma disse: «Faresti meglio a parlare, Elvira».
La ragazza lanciò alla madre una rapida occhiata.
«Non deve preoccuparsi» la rassicurò papà Davy. «Noi della polizia sappiamo bene che le ragazze non raccontano tutto alle madri e ai tutori. Non che prendiamo quelle cose troppo sul serio, ma siamo tenuti a conoscerle perché, vede, tutto serve.»
Bess Sedgwick disse: «È accaduto in Italia?».
«Sì» rispose Elvira.
Papà Davy chiese: «Cioè, dove è stata per i suoi studi, vero, o a completare la sua educazione o comunque si dica oggigiorno?».
«Sì. Stavo dalla contessa Martinelli. Eravamo in diciotto o venti circa.»
«E ha creduto che qualcuno cercasse di ucciderla. Come è stato?»
«Dunque, m’arrivò una grande scatola di dolci. C’era un biglietto scritto in italiano con uno stile fiorito. Quel genere di frasi che si dicono, “Alla bellissima signorina”, o qualcosa di simile. Io e le mie amiche... be’... ne ridemmo per un po’, e poi ci chiedevamo chi l’avesse mandata.»
«Giunse per posta?»
«No. No, per posta non sarebbe stato possibile. La trovai nella mia stanza. Doveva avercela messa qualcuno.»
«Capisco. Con la complicità di una domestica, suppongo. Devo arguire che lei non informò la contessa Tal-dei-tali?»
Un debole sorriso apparve sul volto di Elvira.
«No. No. Certo noi non l’abbiamo fatto. Comunque abbiamo aperto la scatola e c’erano dei cioccolatini davvero deliziosi. Di vario tipo, sa, ma ce n’erano alcuni di crema con la viola. Cioè quel tipo di cioccolatino che ha sopra una violetta candita. Quelli che io preferisco. Così, naturalmente, per prima cosa ne mangiai un paio. E poi, più tardi, di notte, mi sentii terribilmente male. Non pensai ai cioccolatini; l’attribuii a qualcosa che probabilmente avevo mangiato a pranzo.»
«Nessun’altra si sentì male?»
«No. Io soltanto. Bene, stetti molto male, ma verso la fine del giorno seguente mi ero ripresa. Poi un paio di giorni dopo mangiai un altro cioccolatino, sempre dello stesso tipo, e si verificò la medesima cosa. Allora ne parlai con Bridget. Bridget era mia intima amica. Così abbiamo osservato i cioccolatini e abbiamo scoperto che, sotto a quelli di crema viola, era stato fatto una specie di forellino per riempirli con qualcosa di strano: allora abbiamo pensato che qualcuno vi avesse aggiunto del veleno e che l’avesse messo solo nei cremini viola perché fossi proprio io a mangiarli»
«Nessun’altra si sentì male?»
«No.»
«Allora devo presumere che nessun’altra mangiò i cremini viola?»
«No. Non penso che l’avrebbero fatto. Vede, era un dono fatto a me e loro sapevano che mi piacevano quelli viola, così me li hanno lasciati.»
«Chiunque fosse, quel tale ha corso un bel rischio» commentò papà Davy. «Poteva scatenare un avvelenamento generale.»
«È assurdo!» esclamò vivacemente Lady Sedgwick. «Assolutamente assurdo! Non ho mai sentito niente di così banale.»
L’ispettore capo Davy fece un piccolo gesto con la mano.
«La prego» disse, poi continuò, rivolto a Elvira: «Dunque, lo trovo molto interessante, signorina Blake. E ancora non disse nulla alla contessa?».
«Oh, no, non glielo abbiamo detto. Avrebbe fatto un tale baccano.»
«Cosa avete fatto dei cioccolatini?»
«Li abbiamo gettati via» rispose Elvira. «Erano deliziosi» aggiunse, con tono di rammarico.
«E non avete cercato di scoprire chi ve li avesse mandati?»
Elvira sembrò imbarazzata.
«Be’, vede, ho pensato che poteva essere stato Guido.»
«Sì» fece l’ispettore capo Davy sorridente. «E chi è Guido?»
«Oh, Guido...» Elvira fece una pausa. Guardò la madre.
«Non essere sciocca» disse Bess Sedgwick. «Di’ all’ispettore capo Davy di questo Guido, chiunque sia. Lo hai conosciuto fuori, immagino?»
«Sì. Quando ci condussero all’opera. Mi parlò lì. Era gentile. Molto attraente. Mi capitava di vederlo qualche volta quando andavamo alle lezioni. Di solito mi passava dei bigliettini.»
«E immagino» interruppe Bess Sedgwick «che hai raccontato un sacco di bugie e hai architettato delle storie con qualche amica per poter combinare di uscire e incontrarlo fuori. È così?»
Elvira sembrò sollevata per questa scorciatoia offerta alla sua confessione.
«Sì. Bridget e io siamo uscite qualche volta. Qualche volta Guido faceva in modo di...»
«Com’è il cognome di Guido?»
«Non lo so» rispose Elvira. «Non me l’ha mai detto.»
L’ispettore capo Davy le sorrise.
«Cioè, non ce lo dirà? Non importa. Riusciremo a scoprirlo lo stesso senza il suo aiuto, se proprio fosse necessario. Ma perché doveva pensare che questo giovanotto, che presumibilmente era innamorato di lei, avesse voglia di ucciderla?»
«Oh, perché ogni tanto minacciava cose simili. Mi spiego, capitava che avessimo degli scontri ogni tanto. Lui portava degli amici e io fingevo di preferirli a lui, e allora si arrabbiava da matti. Diceva che avrei fatto bene a stare più attenta a quel che facevo. Non potevo piantarlo così! Che se lo tradivo mi avrebbe ucciso! Io pensavo che facesse il melodrammatico, che fosse soltanto una messa in scena.» D’un tratto Elvira sorrise. «Ma era tutto così per scherzo. Non pensavo che fosse vero, che fosse sul serio.»
«Be’,» disse l’ispettore capo Davy «non credo proprio che sembri molto probabile che un giovanotto quale lei lo descrive abbia alterato sul serio dei cioccolatini e glieli abbia mandati.»
«Già, neppure a me sembra possibile,» disse Elvira «eppure deve essere stato lui, perché non so a chi altri pensare. Ero preoccupata. E poi, quando feci ritorno qui, trovai un biglietto...» S’interruppe.
«Che biglietto?»
«Arrivò in una busta ed era scritto in stampatello. Diceva: “Sta’ in guardia. Qualcuno vuole ucciderti”.»
L’ispettore capo Davy inarcò le sopracciglia.
«Davvero? Molto strano. Sì, molto strano. E la cosa la turbò? Era spaventata?»
«Sì. Ho cominciato a... a chiedermi chi potesse essere a volermi far fuori. Ecco perché ho cercato di scoprire se ero veramente molto ricca.»
«Continui.»
«E qualche giorno fa a Londra è successo un altro fatto. Mi trovavo nel metrò e c’era molta gente sul marciapiede. Mi è parso che qualcuno cercasse di spingermi verso i binari.»
«Bambina mia!» esclamò Bess Sedgwick. «Non fantasticare.»
Di nuovo papà Davy l’interruppe con quel piccolo cenno della mano.
«Sì» sembrò scusarsi Elvira. «Può darsi che mi sia sognata tutto. Ma... non so... veramente, dopo quanto è accaduto stasera, non le sembra che potrebbe anche essere tutto vero?» Improvvisamente si rivolse a Bess Sedgwick, con tono pressante: «Mamma! Tu potresti sapere. Qualcuno vuole uccidermi? Potrebbe esserci qualcuno? Ho un nemico?».
«No, non hai nemici» si affrettò a rispondere Bess Sedgwick. «Non fare l’idiota. Nessuno vuole ucciderti. Perché dovrebbero?»
«Allora chi ha mirato a me stasera?»
«Con quel nebbione» disse Bess Sedgwick «potresti essere stata scambiata per qualcun altro. È possibile, non crede?» aggiunse, rivolgendosi a papà Davy.
«Sì, lo ritengo abbastanza probabile» dichiarò l’ispettore capo Davy.
Bess Sedgwick lo stava guardando molto intensamente. Papà Davy quasi indovinò il movimento delle sue labbra che gli mormoravano: “A più tardi”.
«Bene,» riprese il poliziotto in tono vivace «sarebbe meglio esaminare qualche altro fatto, ora. Da dove veniva stasera? Che faceva, a piedi per Pond Street, con un nebbione così?»
«Sono venuta in città stamattina per una lezione di storia dell’arte alla Tate. Poi sono andata a colazione dalla mia amica Bridget. Abita in Onslow Square. Siamo andate a vedere un film e quando siamo uscite c’era questa nebbia... fitta fitta, che diventava sempre peggio, e ho pensato che forse avrei fatto meglio a non tornare a casa in macchina.»
«Lei guida, vero?»
«Sì. Ho preso la patente la scorsa estate. Solo che non sono molto brava e detesto guidare con la nebbia. Allora la mamma di Bridget mi ha invitato a restare da loro la notte, e così ho telefonato a mia cugina Mildred... cioè dove abito, nel Kent...»
Papà Davy annuì.
«... e ho avvertito che mi sarei trattenuta fuori tutta la notte. Lei giudicò che era più prudente.»
«E poi che accadde?» domandò papà Davy.
«E poi la nebbia all’improvviso è parsa meno fitta. Sa come fa la nebbia quando non è uniforme. Allora ho detto che, tutto sommato, me ne sarei tornata nel Kent. Ho salutato Bridget e mi sono avviata. Ma poi è cominciata a calare di nuovo. Proprio non mi piaceva. Sono capitata in un banco molto fitto, ho perso la strada e non mi ritrovavo più. Poi, dopo un poco, ho capito che ero a Hyde Park Corner e mi sono detta: “Proprio non posso proseguire fino al Kent in queste condizioni”. In un primo momento, ho pensato di tornare da Bridget, ma poi ho pensato che avevo già perso la strada una volta. E allora mi sono resa conto di essere abbastanza vicina a questo simpatico hotel dove mi portò lo zio Derek quando tornai dall’Italia e mi sono detta: “Andrò lì e sono sicura che me la troveranno una stanza”. È stato abbastanza facile, ho trovato un posto per parcheggiare la macchina e poi a piedi ho rifatto la strada in direzione dell’hotel.»
«Ha incontrato qualcuno, oppure ha sentito qualcuno camminarle accanto?»
«È strano che lo dica, perché veramente mi è parso di sentire qualcuno camminare dietro di me. Certo, ci deve essere tanta gente in giro per Londra. Solo che con una simile nebbia dà un certo nervosismo. Mi sono fermata ma non ho udito nessun passo, allora ho pensato di averlo immaginato. È successo abbastanza vicino all’hotel.»
«E poi?»
«E poi, tutt’a un tratto, c’è stato uno sparo. Come le ho detto, mi è sembrato di sentirmelo proprio vicino all’orecchio. L’uomo che sta di servizio fuori dell’hotel mi è venuto incontro correndo e mi ha spinto dietro di sé e poi... poi... c’è stato l’altro colpo... Lui... è caduto a terra e io ho gridato.» Era tutta scossa ora. La madre le parlò.
«Su, ragazza» disse Bess con voce bassa, risoluta. «Buona, ora.» Era il tono che Bess Sedgwick usava con i suoi cavalli e fu altrettanto efficace sulla figlia. Elvira la guardò socchiudendo le palpebre, si ricompose un po’, e ritornò calma.
«Brava ragazza» fece Bess.
«Poi è arrivato lei» disse Elvira a papà Davy. «Ha fischiato, ha detto al poliziotto di portarmi nell’hotel. Ed ero appena dentro quando ho visto... ho visto mia madre.» Si girò a guardarla.
«E questo ci riporta più o meno agli avvenimenti di oggi» disse papà Davy. La sua voluminosa persona si accomodò meglio sulla sedia.
«Conosce un uomo di nome Ladislaus Malinowski?» chiese. Il suo tono era piatto, occasionale, senza alcuna inflessione diretta. Non guardava la ragazza, ma si accorse, poiché teneva le orecchie ben tese, che per un attimo aveva trattenuto il respiro. Il suo sguardo non era posato sulla figlia ma sulla madre.
«No» rispose Elvira, dopo aver esitato appena un attimo di troppo. «No, non lo conosco.»
«Ah» fece papà Davy. «Pensavo che potesse conoscerlo. Inoltre pensavo che probabilmente lui fosse qui, stasera.»
«Oh! Perché dovrebbe stare qui?»
«Be’, la sua macchina è qui» disse papà Davy «Ecco perché l’ho pensato.»
«Non lo conosco» ribadì Elvira.
«Ho sbagliato» disse papà Davy. «Lei lo conosce, vero?» girò il capo verso Bess Sedgwick.
«Naturalmente» confermò Bess Sedgwick. «Lo conosco da molti anni.» Aggiunse, con un piccolo sorriso: «È un pazzo, sa. Guida come un angelo o come un diavolo... si romperà il collo un giorno o l’altro. Ha avuto un piccolo incidente un anno e mezzo fa».
«Ricordo di averlo letto» disse papà Davy. «Non è ancora tornato a correre, vero?»
«No, ancora no. Forse non riprenderà mai.»
«Crede che potrei andare a letto ora?» chiese Elvira con aria lamentosa. «Sono... proprio terribilmente stanca.»
«Naturalmente. Lo credo bene» disse papà Davy. «Ci ha detto tutto quello che riesce a ricordare?»
«Oh, sì.»
«Salirò con te» disse Bess.
Madre e figlia uscirono insieme.
«La ragazza lo conosce benissimo» disse l’ispettore Davy.
«Lo crede sul serio?» chiese il sergente Wadell.
«Lo so. Ha preso il tè con lui a Battersea Park soltanto un paio di giorni fa.»
«Come l’ha scoperto?»
«Me l’ha detto una vecchia signora... in pena per lei. Pensa che non sia un buon amico per una ragazzina. Veramente non lo è.»
«Specialmente se lui e la madre...» Wadell s’interruppe con discrezione. «È una chiacchiera che c’è in giro...»
«Sì. Può esser vero come può non esserlo. Probabilmente lo è.»
«In questo caso, a quale delle due mira veramente?»
Papà Davy trascurò di rispondere. Disse:
«Voglio che trovi Malinowski. Lo voglio a tutti i costi. La sua auto è qui... appena dietro l’angolo.»
«Ritiene che potrebbe stare in questo hotel?»
«Non credo. Non sarebbe concepibile. Che stia qui non può essere. Se pure ci è venuto, è venuto per incontrare la ragazza. Lei è venuta senz’altro per vedere lui, direi...»
La porta si aprì e riapparve Bess Sedgwick.
«Sono ritornata» disse «perché volevo parlarle.»
Girò lo sguardo dall’ispettore capo agli altri due uomini presenti.
«Potrei parlare con lei da solo? Le ho dato tutte le informazioni che ho, ma vorrei scambiare qualche parola con lei in privato.»
«Non vedo alcun motivo in contrario» disse l’ispettore capo Davy. Fece un cenno e il giovane poliziotto prese il suo taccuino e uscì. Wadell lo seguì. «Ebbene?» fece l’ispettore capo Davy.
Lady Sedgwick si sedette di nuovo di fronte a lui.
«Quella stupida storia dei cioccolatini avvelenati» disse. «È una sciocchezza. Assolutamente ridicola. Non credo che niente del genere sia mai accaduto.»
«Non ci crede, eh?»
«Lei sì?»
Papà Davy scosse la testa dubbioso. «Pensa che sua figlia abbia inventato tutto?»
«Sì. Ma perché?»
«Be’, se non lo sa lei» rispose l’ispettore capo Davy «come dovrei saperlo io? È sua figlia. È presumibile che la conosca meglio di me.»
«Non la conosco affatto» disse Bess Sedgwick con amarezza. «Non l’ho rivista né ho avuto niente in comune con lei da quando aveva due anni, dal momento in cui me ne venni via da mio marito.»
«Oh, sì. Sono al corrente di tutto ciò. Lo trovo strano. Vede, Lady Sedgwick, di solito in un divorzio il tribunale affida alla madre, anche se colpevole, la custodia di un bambino piccolo, se lei lo richiede. Allora lei non l’ha chiesta? Non l’ha voluta?»
«Ho ritenuto che... fosse meglio di no.»
«Perché?»
«Ho pensato che non sarebbe stato... senza rischi per lei.»
«Su un piano morale?»
«No. Non su un piano morale. L’adulterio è all’ordine del giorno ormai. I bambini non devono ignorarlo, devono crescerci in mezzo. No. È soltanto che, in una vita in comune, io non sono propriamente una persona su cui si può fare affidamento. La vita che ho condotto non sarebbe stata una vita tranquilla. Non si può cambiare la propria natura. Io sono nata per vivere pericolosamente. Non sono conformista o convenzionale. Ho ritenuto che sarebbe stato meglio per Elvira, più conveniente, che ricevesse una completa educazione inglese tradizionale. Protetta, curata...»
«Ma senza l’affetto di una madre?»
«Ho pensato che, se avesse imparato ad amarmi, ciò avrebbe potuto causarle dolore. Oh, non mi crederà, ma questo è proprio quello che ho provato.»
«Capisco. Crede di aver fatto bene?»
«No» rispose Bess. «Non lo credo. Ora penso che posso aver sbagliato completamente.»
«Sua figlia conosce Ladislaus Malinowski?»
«Sono certa di no. L’ha detto. Lei l’ha sentita.»
«L’ho sentita, sì.»
«Ebbene, allora?»
«Era spaventata, capisce, mentre stava qui seduta. Nella nostra professione siamo abituati a riconoscere la paura quando ce la troviamo davanti. Era impaurita... perché? Cioccolatini o non cioccolatini, la sua vita è stata messa in pericolo. Quella storia del metrò può essere abbastanza vera...»
«Era ridicola. Come in un giallo...»
«Forse. Eppure queste cose accadono, Lady Sedgwick. Più spesso di quanto creda. Ha idea di chi potrebbe voler uccidere sua figlia?»
«Nessuno... nessuno assolutamente.»
Si espresse con veemenza.
L’ispettore capo Davy sospirò a fondo e scrollò lentamente la testa.
22
L’ispettore capo Davy attese pazientemente che la signora Melford finisse di raccontare. Era stato un incontro proprio di nessuna utilità. La cugina Mildred era stata incoerente, poco attendibile e superficiale sotto molti aspetti. O almeno questa era stata l’impressione di papà Davy. Le lungaggini sulle dolci maniere di Elvira, il suo bel carattere, il fastidio ai denti, strane scuse raccontate al telefono, avevano indotto a dubitare seriamente se Bridget, l’amica di Elvira, fosse veramente per lei un’amica adatta. Tutte queste storie erano state presentate all’ispettore capo in forma pasticciata e affrettata. La signora Melford non sapeva niente, non aveva sentito niente, non aveva visto niente, e sembrava non aver tratto alcuna conclusione personale.
Una breve telefonata al tutore di Elvira, il colonnello Luscombe, era stata ancor più improduttiva, sebbene fortunatamente meno prolissa. «Tutte scimmie cinesi» borbottò Davy con il sergente dopo aver rimesso giù il ricevitore. «Non vedono, non sentono, non parlano.»
«Il guaio è che tutti quelli che hanno avuto a che fare con questa ragazza sono stati fin troppo gentili... se afferra il concetto. Troppe persone gentili che non conoscono il male. Non come la mia vecchia signora.»
«Quella del Bertram Hotel?»
«Sì, quella. La sua è stata una lunga vita di esperienza del male, che ha osservato, che ha immaginato, che ha sospettato e al quale ha sempre dato battaglia. Vediamo cosa possiamo cavare da questa amica Bridget.»
Le difficoltà della conversazione furono rappresentate principalmente e per la maggior parte del tempo dalla mamma della ragazza. Riuscire a parlare a Bridget senza la presenza continua della donna richiese da parte dell’ispettore capo Davy destrezza e capacità di persuasione. Bisogna ammetterlo, fu abilmente assecondato da Bridget. Dopo un certo numero di domande e risposte stereotipate ed espressioni di orrore da parte della madre a sentire che Elvira era per miracolo scampata alla morte, la giovane disse: «Guarda, mammina, che è ora che vai a quella riunione del comitato. Hai detto che era molto importante».
«Oh cielo!» esclamò la madre di Bridget.
«Sai che saranno in un bel pasticcio senza di te, mammina.»
«Oh già, sarà proprio così. Ma forse io dovrei...»
«È tutto a posto ora, signora» buttò là l’ispettore capo Davy con gentile fare paterno. «Non deve preoccuparsi. Vada tranquilla. Ho finito tutte le cose importanti. Mi ha detto proprio quanto desideravo sapere. Ho soltanto qualche domanda di carattere generale su certe abitudini in Italia, per cui penso che sua figlia potrebbe essermi d’aiuto.»
«Be’, se ritieni di potertela sbrigare da sola, Bridget cara...»
«Certo che posso, mammina» assicurò Bridget.
Finalmente, dopo un gran tramestio, la donna se ne andò alla sua riunione.
«Uff!» sbuffò Bridget con un sospiro, quando rientrò dopo aver chiuso la porta d’ingresso. «Finalmente! Le madri sono proprio un problema.»
«Così dicono» fece l’ispettore capo Davy. «Moltissime signorine che ho incontrato hanno un sacco di noie con le madri.»
«Pensavo che lei avrebbe preso la cosa per l’altro verso» disse Bridget.
«Oh sì, certo» disse Davy. «Ma non è così che la pensano le ragazze. Ora può raccontarmi qualche altra cosa.»
«Non potevo parlare del tutto liberamente di fronte a mia madre» spiegò Bridget. «Ma capisco bene che è davvero importante che lei ne sappia quanto più possibile. So per certo che Elvira era terribilmente agitata per un qualche motivo, e che era spaventata. Non ha ammesso apertamente di essere in pericolo, però lo era.»
«L’avevo intuito. Naturalmente, non ho voluto fare troppe domande davanti a sua madre, signorina.»
«Per carità,» disse Bridget «non ci piace che mamma venga a sapere. Si agita talmente per ogni cosa e poi andrebbe in giro a raccontare tutto. Questo, se Elvira non vuole che si sappiano cose del genere...»
«Per prima cosa» cominciò l’ispettore capo Davy «voglio sapere di una certa scatola di cioccolatini, in Italia. Credo d’aver capito che venne fuori il dubbio che questi cioccolatini che le erano stati mandati fossero avvelenati.»
Bridget spalancò gli occhi. «Avvelenati!» esclamò. «Oh no. Non credo. A meno...»
«C’è stato qualcosa?»
«Ah, sì. Arrivò una scatola di cioccolatini ed Elvira ne mangiò moltissimi e la notte stette piuttosto male. Proprio male.»
«Ma non sospettò del veleno?»
«No. Per lo meno... ah sì, disse proprio che qualcuno cercava di avvelenare una di noi, così abbiamo controllato i cioccolatini per vedere se fossero stati manipolati.»
«Ed era così?»
«No, no» rispose Bridget. «Almeno, non al punto da potercene accorgere.»
«Ma la sua amica, la signorina Elvira, forse ha continuato a crederlo?»
«Be’, forse... comunque non ne ha più parlato.»
«Ma pensa che avesse paura di qualcuno?»
«Non è allora che me ne sono accorta. È stato solo qui, dopo.»
«Cosa mi dice di quel tizio, Guido?»
Bridget rise scioccamente.
«Aveva una cotta tremenda per Elvira» disse.
«E lei e la sua amica vi incontravate con lui in posti vari?»
«Be’, non m’importa confessarlo a lei» disse Bridget. «Dopo tutto è della polizia. Per lei non sono importanti queste storie e mi auguro che comprenda. La contessa Martinelli era molto severa... o riteneva di esserlo. E naturalmente noi trovavamo un sacco di espedienti e cose del genere. Eravamo tutte molto unite. Lei comprende.»
«E dicevate delle belle bugie, immagino?»
«Be’, temo di sì» affermò Bridget. «Ma cosa si può fare quando una persona è così sospettosa?»
«Dunque vedevate Guido e tutto il resto. E lui, era solito minacciare Elvira?»
«Oh, non seriamente. Non credo.»
«Allora forse c’era qualcun altro che lei vedeva abitualmente?»
«Ah... questo... poi, non so.»
«La prego, signorina Bridget, parli. Potrebbe essere d’importanza vitale, cerchi di comprendere.»
«Sì. Sì, me ne rendo conto. Ebbene, c’era qualcuno. Non so chi fosse, ma c’era qualcun altro... al quale lei si interessava. Faceva proprio sul serio. Voglio dire che era una cosa veramente importante.»
«Lo vedeva con frequenza?»
«Credo. Penso che dicesse che andava agli appuntamenti di Guido, ma non si trattava sempre di Guido. Era quest’altro uomo.»
«Qualche idea su chi fosse?»
«No.» Bridget sembrò un po’ incerta.
«Non era per caso un pilota d’auto di nome Ladislaus Malinowski?»
Bridget lo fissò a bocca aperta.
«Allora lei lo sa?»
«Ho ragione?»
«Sì... credo. Elvira aveva una sua fotografia ritagliata da un giornale. La teneva sotto le calze.»
«Forse come potrebbe farlo una delle sue fans, no?»
«Be’, può darsi, certo, ma io non credo.»
«Lo ha incontrato in Inghilterra? Ne sa qualcosa?»
«Non so. Vede, non so con esattezza quello che ha fatto da quando è tornata dall’Italia.»
«È venuta a Londra per il dentista» le suggerì Davy. «O almeno così ha detto. Invece è venuta da lei. Alla signorina Melford ha raccontato per telefono la storia di una vecchia governante.»
Bridget emise dei risolini soffocati.
«Non era vero, eh?» disse l’ispettore capo sorridendo. «Dov’è andata in realtà?»
Bridget esitò e poi disse: «In Irlanda».
«È andata in Irlanda? Perché?»
«Non ha voluto dirmelo. Ha detto che aveva qualcosa da appurare.»
«Sa dove sia andata in Irlanda?»
«Non esattamente. Ha fatto un nome. Qualcosa come Bally. Ballygowlan, mi sembra che fosse.»
«Ho capito. È sicura che sia andata in Irlanda?»
«L’ho vista partire dall’aeroporto di Kensington. È andata con l’Aer Lingus.»
«Quando è tornata?»
«Il giorno dopo.»
«Di nuovo in aereo?»
«Sì.»
«È proprio sicura, vero, che sia ritornata in aereo?»
«Be’... suppongo!»
«Aveva preso il biglietto di ritorno?»
«No. No, non l’aveva fatto. Me ne ricordo.»
«Può darsi che sia ritornata con altri mezzi, allora?»
«Sì, è possibile.»
«Potrebbe essere tornata, per esempio, con il treno, l’Irish Mail?»
«Non l’ha detto.»
«Ma non ha detto neanche che era tornata in aereo, no?»
«No» convenne Bridget. «Ma perché avrebbe dovuto prendere traghetto e treno invece dell’aereo?»
«Be’, se avesse scoperto ciò che desiderava sapere e non avesse avuto un posto dove trattenersi, può darsi che abbia ritenuto più semplice tornare con il treno della notte.»
«Sì, può darsi.»
Davy fece un sorrisetto.
«Spero bene» disse «che voi ragazze non pensiate oggigiorno di andare dappertutto sempre con l’aereo, vero?»
«Direi di no» rispose Bridget.
«Comunque, è tornata in Inghilterra. Poi cos’è accaduto? È venuta da lei o le ha telefonato?»
«Ha telefonato.»
«Quando?»
«Oh, in mattinata. Sì, dovevano essere le undici o mezzogiorno, penso.»
«E cosa ha detto?»
«Be’, ha chiesto soltanto se tutto era andato liscio.»
«Ed era stato così?»
«No, non è andata liscia perché, vede, la signora Melford aveva chiamato, mia mamma aveva risposto al telefono, le cose s’erano messe male e io non sapevo proprio che dire. Allora Elvira decise di non venire a Onslow Square ma di telefonare direttamente a sua cugina Mildred per cercare di arrangiare in qualche modo la situazione.»
«E questo è tutto quanto riesce a ricordare?»
«È tutto» disse Bridget tenendo i propri dubbi per sé. Pensava al signor Bollard e al braccialetto. Questa era proprio una cosa che non avrebbe raccontato all’ispettore capo Davy. Papà Davy intuì perfettamente che gli nascondeva qualcosa. Non poteva far altro che augurarsi che non fosse pertinente alla sua richiesta.
Domandò di nuovo: «Ritiene che la sua amica avesse davvero paura di qualcuno o di qualcosa?».
«Sì, è così.»
«Gliene ha fatto cenno la sua amica o è stata lei a parlargliene?»
«Oh, gliel’ho chiesto direttamente. In principio ha detto di no, ma poi ha ammesso che aveva paura. E io ne sono sicura» proseguì Bridget con impeto. «Era in pericolo. Lei lo avvertiva senz’altro. Ma del perché o del per come io non ne so niente.»
«La sua sicurezza su questo punto le viene da quel giorno, vero, da quella mattina in cui la sua amica ritornò dall’Irlanda?»
«Sì. Sì, è stato allora che ne ho avuto la certezza.»
«Quel mattino in cui sarebbe potuta tornare con le ferrovie irlandesi?»
«Questo non lo ritengo molto probabile. Perché non lo domanda a lei?»
«Probabilmente lo farò alla fine. Ma non desidero attirare l’attenzione su questo punto. Non per il momento, per lo meno. Potrebbe, forse, solo rendere la situazione ancora più pericolosa per lei.»
Bridget spalancò gli occhi.
«Che intende dire?»
«Può darsi non lo ricordi, signorina Bridget, ma è stata la notte, o meglio l’alba, della rapina all’Irish Mail. Forse ha letto qualcosa sui giornali...»
«Vuol dire che Elvira viaggiava su quel treno e non mi ha raccontato niente?»
«So che è improbabile» disse Davy. «Ma è solo un’idea che m’è venuta, che lei abbia potuto vedere qualcosa o qualcuno connesso con la rapina all’Irish Mail. Può darsi che abbia visto qualcuno che conosceva e ciò avrebbe potuto metterla in pericolo.»
«Ah!» fece Bridget. Rimase a pensarci su. «Vuol dire... qualcuno che lei conosceva era coinvolto nella rapina?»
L’ispettore capo Davy si alzò.
«Credo possa bastare» disse. «Sicura che non c’è niente altro che possa dirmi? Nessun posto dove sia andata la sua amica quel giorno? O il giorno prima?»
Di nuovo balenò davanti agli occhi di Bridget la visione dei signor Bollard e del negozio di Bond Street.
«No» rispose.
«Credo che ci sia qualcosa che non mi ha raccontato» l’ammonì l’ispettore capo Davy.
Bridget cercò, disperata, un appiglio qualsiasi.
«Ah, dimenticavo» disse, lieta di averlo trovato. «Sì. Voglio dire che è andata, è vero, da certi avvocati. Avvocati che amministrano i suoi beni, per appurare qualcosa.»
«Ah, è andata da certi avvocati che sono i suoi amministratori. Non sa, per caso, come si chiamano?»
«Egerton... Forbes Egerton e qualcos’altro» rispose Bridget. «Diversi nomi. Credo che sia più o meno così.»
«Ho capito. E desiderava appurare qualcosa, vero?»
«Voleva sapere quanto denaro possiede» rispose Bridget.
Le sopracciglia dell’ispettore capo Davy s’inarcarono.
«Davvero?» esclamò. «Interessante. Perché, non lo sapeva da sé?»
«Oh, nessuno le ha mai parlato del suo denaro» rispose Bridget. «Credo ritengano che non è bene sapere veramente quanto denaro uno possiede.»
«E lei lo voleva sapere a tutti i costi, è così?»
«Sì» rispose Bridget. «Penso che lo ritenesse importante.»
«Bene, grazie» concluse l’ispettore capo Davy. «Mi è stata di grande aiuto.»
23
Richard Egerton guardò di nuovo il biglietto che aveva davanti, poi alzò gli occhi sull’ispettore capo.
«Strano affare» commentò.
«Sì, signore,» fece Fred Davy «molto strano.»
«Il Bertram Hotel» riprese Egerton «con la nebbia. Già, era proprio tremenda la scorsa notte. Immagino che quando c’è la nebbia vi capitino diverse faccende del genere, eh? Rapine... borseggi... cose del genere?»
«Non è stato esattamente così» spiegò papà Davy. «Nessuno ha tentato di strappare qualcosa alla signorina Blake.»
«Da dove è venuto il colpo?»
«Per via della nebbia non possiamo dirlo. Neppure lei ne era sicura. Ma riteniamo... sembra l’ipotesi migliore... che l’uomo si fosse appostato nel cortile.»
«Ha sparato due colpi, ha detto?»
«Sì, il primo l’ha mancata. Il portiere si è precipitato dal suo posto, davanti all’entrata dell’hotel, e l’ha sospinta dietro di sé poco prima del secondo colpo.»
«Così ci è andato di mezzo lui, eh?»
«Sì.»
«Davvero ammirevole.»
«Sì. Era un uomo coraggioso» confermò l’ispettore capo. «Il suo passato militare era molto buono. Un irlandese.»
«Come si chiamava?»
«Gorman. Michael Gorman.»
«Michael Gorman.» Egerton aggrottò per un attimo le sopracciglia. «No» disse. «Per un momento m’era sembrato che questo nome mi dicesse qualcosa.»
«È un nome molto comune, è vero. Comunque, ha salvato la vita della ragazza.»
«E precisamente per quale motivo è venuto da me, ispettore capo?»
«Spero di avere una piccola informazione. Sa, noi desideriamo sempre la più ampia documentazione sulle vittime di un’aggressione violenta.»
«Oh, certo, certo. Ma, veramente, io ho visto Elvira soltanto due volte da quando era bambina.»
«L’ha vista quando è venuta a trovarla circa una settimana fa, non è vero?»
«Sì, è esatto. Che cosa vuole sapere di preciso? Se riguarda la sua personalità, chi sono le sue amiche o qualcosa sui suoi corteggiatori, o bisticci di innamorati... cose del genere, insomma... le consiglierei di rivolgersi o a una certa signora Carpenter che l’ha riaccompagnata dall’Italia, credo, oppure alla signora Melford, con la quale abita.»
«Ho visto la signora Melford.»
«Ah.»
«Niente di utile. Niente di utile nel modo più assoluto. E non è che mi importi tanto sapere della ragazza da un punto di vista personale... dopotutto, l’ho vista e ho sentito quanto ha da dirmi... o meglio quello che è disposta a dirmi...»
Da un rapido aggrottare di ciglia s’avvide che Egerton aveva rimarcato la sfumatura dell’espressione “è disposta”.
«Mi è stato detto che era preoccupata, agitata, che aveva paura di qualcosa, e aveva la convinzione che la sua vita fosse in pericolo. È stata questa la sua impressione quando è venuta a trovarla?»
«No,» rispose Egerton, adagio «non sarei arrivato a tanto, sebbene abbia detto una o due cose che mi colpirono in quanto mi parvero strane.»
«Cioè?»
«Dunque, ha voluto sapere chi avrebbe beneficiato dei suoi soldi se fosse morta all’improvviso.»
«Ah,» esclamò l’ispettore capo Davy «dunque quest’idea le passava per la testa, eh? Di poter morire all’improvviso. Interessante.»
«Doveva aver in mente qualcosa, ma io non saprei cosa. Ha voluto sapere quanto denaro possedeva... o meglio quanto ne avrebbe avuto a ventun anni. Questo, forse, è più comprensibile.»
«Deve essere una cifra considerevole.»
«È una vera fortuna, ispettore.»
«Per che motivo crede abbia voluto saperlo?»
«Del denaro?»
«Sì, e chi l’avrebbe ereditato?»
«Non so» rispose Egerton. «Proprio non saprei. Ha pure tirato fuori l’argomento matrimonio...»
«Ha avuto l’impressione che ci fosse un uomo in tutta questa faccenda?»
«Non ne ho la certezza... ma... sì, anch’io ho pensato proprio questo. Ho avuto senz’altro l’impressione che sotto sotto ci fosse un amico. È frequente! Luscombe... cioè il colonnello Luscombe, il suo tutore, sembra che non ne sappia niente. Ma non c’è da meravigliarsi del caro Derek Luscombe, poveretto. È rimasto proprio impressionato quando ho avanzato l’idea che ci doveva essere sotto qualcosa del genere e che probabilmente non si trattava di una persona raccomandabile.»
«Non va bene, infatti» affermò l’ispettore capo Davy.
«Ah. Allora lei sa chi è?»
«Credo di poter azzardare un’ipotesi. Ladislaus Malinowski.»
«Il pilota? Davvero! Un bello scavezzacollo. Le donne vanno pazze per lui. Chissà come ha conosciuto Elvira. Proprio non capisco dove possano essersi incontrati, a meno che... già, mi sembra che lui fosse a Roma un paio di mesi fa. Probabilmente lei lo ha conosciuto lì.»
«Molto probabile. Oppure l’avrà conosciuto attraverso la madre?»
«Cosa, attraverso Bess? Proprio non lo riterrei probabile.»
Fred Davy tossicchiò.
«Si dice che Lady Sedgwick e Malinowski siano amici intimi, signore.»
«Oh sì, sì, so di questa chiacchiera. Vera sì, vera no. Sono amici intimi... accomunati costantemente dalle loro regole di vita. Bess ha avuto le sue avventure, certo; però, guardi, non è il tipo della ninfomane. La gente fa presto a dirlo di una donna, ma nel caso di Bess non è vero. Comunque, per quel che so, Bess e la figlia praticamente non si conoscono nemmeno.»
«È quello che mi ha detto Lady Sedgwick. È così secondo lei?»
Egerton annuì.
«Che altri parenti ha la signorina Blake?»
«Nessuno, praticamente. I due fratelli della madre sono morti in guerra... e lei era l’unica rampolla del vecchio Coniston. La signora Melford, anche se la ragazza la chiama “la cugina Mildred”, in realtà è cugina del colonnello Luscombe. Luscombe ha fatto del suo meglio per la ragazza secondo le sue buone regole all’antica, con coscienza... ma è difficile... per un uomo.»
«La signorina Blake ha toccato il tasto del matrimonio, mi ha detto? Non c’è alcuna probabilità, ritengo, che possa effettivamente essersi già sposata...»
«È ancora minorenne... dovrebbe avere il consenso del tutore e dei suoi curatori.»
«Teoricamente, sì» commentò papà Davy.
«Lo so. Assai spiacevole. Si deve passare attraverso tutta la trafila che comporta l’affidarli alla tutela del tribunale e cosi via. E anche questo ha le sue difficoltà.»
«E una volta che sono sposati, sono sposati» aggiunse papà Davy. «Ma se fosse sposata e morisse all’improvviso, erediterebbe il marito, vero?»
«Questa ipotesi del matrimonio è assai improbabile. È stata sempre sorvegliata e...» S’interruppe, avvertendo dell’ironia nel sorriso dell’ispettore capo Davy.
Sebbene seguita così scrupolosamente, sembrava che Elvira fosse ugualmente riuscita a fare la conoscenza di un tipo così poco raccomandabile come Ladislaus Malinowski.
Riprese, incerto: «La madre scappò via, è vero».
«La madre è scappata di casa, sì... questo è il suo modo di fare... ma la signorina Blake è un tipo differente. E altrettanto decisa a ottenere ciò che vuole, ma persegue il suo scopo in modo diverso.»
«Non penserà sul serio...»
«Non penso niente... ancora» concluse l’ispettore capo Davy.
24
Ladislaus Malinowski volse lo sguardo dall’uno all’altro dei due funzionari di polizia, lasciò cadere la testa in avanti e si mise a ridere.
«È proprio divertente!» disse. «Sembrate solenni come gufi. È ridicolo che mi abbiate fatto venire qui e che vogliate farmi delle domande. Non avete niente contro di me, niente.»
«Riteniamo che lei possa aiutarci nelle nostre indagini, signor Malinowski.» L’ispettore capo Davy pronunciò la formula d’uso con gentilezza. «Lei ha una macchina. Una Mercedes-Otto, targata FAN 2266.»
«Qualche motivo per cui non dovrei avere un’auto così, per caso?»
«Assolutamente niente in contrario, signore. C’è solo una piccola incertezza sull’esattezza del numero. La sua auto si trovava su un’autostrada, la M7, e il numero di targa in quell’occasione era diverso.»
«Sciocchezze. Deve essere stata un’altra.
Non ce ne sono troppe di quel tipo. E le abbiamo controllate.
Credete a tutto quello che vi dice la vostra polizia stradale, immagino! È ridicolo! Dov’è accaduto tutto questo?»
«Il posto dove la polizia le ha chiesto i documenti non è molto lontano da Bedhampton. È stata la notte della rapina all’Irish Mail.»
«Mi divertite proprio, voi» fece Ladislaus Malinowski.
«Possiede una rivoltella?
Certamente, ho una rivoltella e una pistola automatica. E regolare porto d’armi per entrambe.
Proprio così. Sono tutt’e due in suo possesso?
Certamente.
L’ho già avvertita, signor Malinowski.
Il noto ammonimento della polizia! Qualunque cosa dice sarà messa a verbale e riportata contro di lei in sede di giudizio.»
«Non è proprio così, l’espressione» disse papà Davy conciliante. «Riportata, sì. Contro, no. Non vuole ritrattare la sua asserzione?»
«No, non voglio.
È sicuro di non desiderare qui i suoi avvocati?
Non mi piacciono gli avvocati.
C’è chi la pensa così. Dove si trovano allora quelle armi?
Credo che lei lo sappia bene dove sono, ispettore capo. La pistola piccola è nella tasca della mia auto, la Mercedes-Otto targata, come ho detto, FAN 2266. La rivoltella è a casa, in un cassetto.»
«È così per quest’ultima» disse papà Davy «ma l’altra... nella sua macchina non c’è.
Sì che c’è. Nella tasca a sinistra.»
Papà Davy fece segno di no. «Ci sarà stata. Ora non c’è. È questa, signor Malinowski?» Passò attraverso il tavolo una piccola pistola automatica. Ladislaus Malinowski, con espressione sorpresa, l’afferrò. «Ah, ah! Sì. È questa. Allora è stato lei a prenderla dalla macchina?»
«No,» rispose papà Davy «non l’abbiamo presa lì. Nella sua auto non c’era. L’abbiamo trovata altrove.»
«Dove?»
«L’abbiamo trovata» continuò papà Davy «in un cortile in Pond Street che... come senza dubbio saprà... è una strada vicina a Park Lane. Lasciata cadere, probabilmente, da qualcuno che andava per quella strada... di corsa, magari.»
Ladislaus Malinowski si strinse nelle spalle. «Niente a che vedere con me... non ce l’ho messa io. Stava nella mia auto un paio di giorni fa. Uno non controlla continuamente se una cosa sta sempre dove l’ha messa. Presume che ci sia ancora.»
«Sa, signor Malinowski, che con questa pistola è stato colpito Michael Gorman la sera del ventisei novembre?»
«Michael Gorman? Non conosco alcun Michael Gorman.»
«Il portiere del Bertram Hotel.»
«Ah sì, quello che è rimasto ucciso. L’ho letto. E lei dice che è stato con la mia pistola? Sono tutte sciocchezze!»
«Non è una sciocchezza. C’è stata una perizia balistica. Lei ha sufficiente dimestichezza con le armi per rendersi conto che una prova del genere è inconfutabile.»
«Sta cercando di montare un’accusa contro di me. So come fate, voi della polizia!»
«Pensavo che conoscesse un po’ meglio la polizia di questo paese, signor Malinowski.»
«Sta insinuando che ho sparato io a Michael Gorman?»
«Per ora stiamo chiedendo solamente una dichiarazione. Non è stato elevato alcun capo d’accusa.»
«Ma è questo quello che pensate... che ho sparato io a quel ridicolo tipo travestito da feldmaresciallo. Perché avrei dovuto farlo? Non gli dovevo denaro, non avevo alcun rancore contro di lui.»
«Hanno mirato a una ragazza. Infatti, Gorman è corso per proteggerla e s’è preso in pieno petto il secondo proiettile.»
«Una ragazza?»
«Che credo conosca. La signorina Elvira Blake.»
«Dice che qualcuno ha cercato di uccidere Elvira con la mia pistola?»
Sembrava incredulo.
«Potrebbe avere avuto una discussione.»
«Vuol dire che ho litigato con Elvira e le ho sparato? Che pazzia! Perché dovrei uccidere la ragazza che sto per sposare?»
«Fa parte della sua dichiarazione? Che sta per sposare la signorina Elvira Blake?»
Ladislaus esitò; ma fu questione d’un attimo. Poi, con un’alzata di spalle, soggiunse: «È ancora molto giovane. Resta da vedere».
«Forse lei aveva promesso di sposarla, e poi... ha cambiato idea. C’era qualcosa di cui aveva paura. È lei, signor Malinowski?»
«Perché dovrei desiderare che morisse? O sono innamorato di lei e desidero sposarla o non voglio sposarla e allora nessuno mi obbliga. È così semplice. Allora perché dovrei ucciderla?»
«Non ci sono molte persone legate a lei quanto basta per avere interesse a ucciderla.» Davy aspettò un momento e poi aggiunse, quasi casualmente: «C’è la madre, naturalmente».
«Cosa!» proruppe Malinowski. «Bess? Bess uccidere la propria figlia? Lei è matto! Perché Bess dovrebbe uccidere Elvira?»
«Forse perché, in quanto sua parente prossima, potrebbe ereditare un’enorme fortuna.»
«Bess? Lei insinua che Bess ucciderebbe per denaro? Ne ha in abbondanza da parte del marito americano. A sufficienza, in ogni caso.»
«A sufficienza non è come dire una grande fortuna» riprese papà Davy. «La gente uccide, di solito, per delle vere ricchezze; si è saputo di madri che hanno ucciso i loro figli, e di figli che hanno ucciso le madri.»
«Lei è matto, glielo dico io!»
«Dice che forse sposerà la signorina Blake. Forse l’ha già fatto? In questo caso, sarebbe lei a ereditare un’enorme fortuna.»
«Niente è più ridicolo e stupido di ciò che sta dicendo! No, non sono sposato con Elvira. È una bella ragazza. Mi piace e lei è innamorata di me. Sì, lo confesso. L’ho conosciuta in Italia. Ci siamo divertiti... ma questo è tutto. Nient’altro, capito?»
«Davvero? Proprio un momento fa, signor Malinowski, lei ha affermato esattamente che è la ragazza che sta per sposare.»
«Ah, è così.»
«Sì... così. Era vero?»
«Mi sono espresso così perché... in questo modo sembra più rispettabile. Siete così... puritani in questo paese...»
«Non mi sembra una spiegazione verosimile.»
«Lei non capisce niente di niente. La madre e io... siamo amanti... non desideravo dirlo... allora faccio capire invece che la figlia e io... siamo fidanzati, che ci sposiamo. Così sembra molto inglese e corretto.»
«A me sembra ancora più innaturale. Lei è piuttosto al verde, vero, signor Malinowski?»
«Mio caro ispettore capo, sono sempre a corto di denaro. È molto triste.»
«Eppure so che qualche mese fa lo stava buttando via a piene mani.»
«Ah. Avevo fatto una puntata fortunata. Gioco d’azzardo. Lo confesso.»
«Ci posso anche credere. Dove ha fatto questa puntata?»
«Questo non lo dico. Proprio non ci conti.»
«Non ci conto.»
«È tutto quello che ha da chiedermi?»
«Sì, per il momento. Ha identificato come sua la pistola. Questo servirà molto.»
«Io non capisco... non posso concepire...» S’interruppe e allungò la mano. «Me la dia per favore.»
«Temo che dovremo tenerla per ora, quindi le farò una ricevuta.»
La scrisse e la porse a Malinowski.
Questi uscì sbattendo la porta.
«Che caratteraccio» commentò papà Davy.
«Come mai non ha insistito con lui sulla faccenda della targa falsa e di Bedhampton?»
«Ho voluto metterlo in ansia. Non proprio spaventarlo.
Gli daremo una cosa alla volta di cui preoccuparsi... E preoccupato, lo è.»
«Il vecchio desiderava vederla, signore, non appena avesse finito.»
L’ispettore capo Davy annuì e s’avviò verso la stanza di Sir Roland.
«Ah! Papà Davy. Facciamo progressi?»
«Sì. Procediamo bene... una buona pescata. Per lo più frittura piccola. Ma stiamo per chiudere nella rete i pesci grossi. È tutto pronto...»
«Bel lavoro, Fred» disse il vicecommissario.
25
Miss Marple scese dal treno a Paddington e vide la corpulenta figura dell’ispettore capo Davy che stava ad attenderla sul marciapiede.
«Molto gentile da parte sua» disse lui. Le mise una mano sotto il gomito e la guidò attraverso il cancello fino alla macchina in attesa. L’autista aprì la portiera. Miss Marple entrò, l’ispettore capo Davy la seguì e l’auto si mise in moto.
«Dove mi sta portando, ispettore Davy?»
«Al Bertram Hotel.»
«Povera me, di nuovo al Bertram Hotel! Perché?»
«La risposta ufficiale è: perché la polizia pensa che lei possa essere d’aiuto nelle indagini.»
«Sembra una frase conosciuta, ma non è piuttosto sinistra? Prelude molto spesso a un arresto, vero?»
«Non ho intenzione di arrestarla, Miss Marple.» Papà Davy sorrise. «Lei ha un alibi.»
Miss Marple ascoltò attenta la precisazione. Alla fine disse: «Capisco».
Senza parlare, proseguirono fino al Bertram Hotel. Come entrarono, la signorina Gorringe alzò lo sguardo verso di loro, ma l’ispettore capo Davy condusse Miss Marple direttamente all’ascensore.
«Secondo piano.»
L’ascensore salì, si fermò e papà Davy fece strada lungo il corridoio.
Appena aprì la porta del numero 18, Miss Marple disse: «È la stessa stanza dell’altra volta».
«Sì» confermò papà Davy.
Miss Marple si mise a sedere in poltrona.
«Una stanza molto confortevole» osservò guardandosi in giro con un lieve sospiro di soddisfazione.
«Senza alcun dubbio qui sanno cosa siano le comodità» convenne papà Davy.
«Sembra stanco, ispettore» disse Miss Marple all’improvviso.
«Ho dovuto girare un po’. In effetti, sono appena rientrato dall’Irlanda.»
«Davvero? Da Ballygowlan?»
«Ma come diavolo sa di Ballygowlan, lei? Mi spiace... domando scusa.»
Miss Marple sorrise con indulgenza.
«Ritengo, che Michael Gorman avrà avuto occasione di dirle che era di lì... è stato così?» continuò Davy.
«No, non esattamente» rispose Miss Marple.
«Allora, scusi se glielo chiedo, come l’ha saputo?»
«Ohimè» fece Miss Marple «è proprio molto imbarazzante. È stato soltanto qualcosa che... mi è capitato di udire per caso.»
«Ah, capisco.»
«Non stavo origliando. È stato in un locale pubblico... per lo meno teoricamente un locale pubblico. Con tutta franchezza, mi diverto ad ascoltare la gente che parla. Succede. Specialmente quando si è vecchi e non ci si muove più tanto. Voglio dire, se la gente che parla è vicina, si ascolta.»
«Be’, mi sembra del tutto normale» disse l’ispettore Davy.
«Fino a un certo punto, sì» riprese Miss Marple. «Se la gente vuole abbassare la voce, si deve ritenere che è preparata a essere ascoltata. Ma naturalmente le cose possono prendere una piega diversa. Come capita a volte quando ci si accorge che, benché si tratti di un locale pubblico, le persone a colloquio non avvertono la presenza di qualcun altro. E allora si deve prendere una decisione su come comportarsi. Alzarsi e far finta di tossire, oppure rimanersene tranquilli e sperare solo che gli altri non se ne accorgano. In ogni caso è imbarazzante.»
L’ispettore capo Davy diede un’occhiata all’orologio.
«Senta,» disse «desidero riprendere quest’argomento... Ma ho il canonico Pennyfather in arrivo da un momento all’altro. Devo andare a prenderlo. Le spiace?»
Miss Marple rispose di no. L’ispettore capo Davy lasciò la stanza.
Attraverso le porte girevoli il canonico Pennyfather entrò nella hall del Bertram Hotel. Aggrottò un momento le sopracciglia, chiedendosi cos’era che facesse sembrare oggi il Bertram un po’ diverso. Forse era stato rinfrescato o in qualche modo rimesso a nuovo? Scrollò il capo. Non era questo, ma qualcosa c’era. Non gli venne in mente che era la diversità fra un portiere alto più di un metro e ottanta, occhi blu e capelli neri, e quello lì che non toccava il metro e sessanta, spalle curve, lentiggini, e una folta capigliatura rossiccia che gli sbucava da sotto il berretto. Il canonico si rendeva conto semplicemente che qualcosa era diverso. Con la sua solita aria svanita s’avviò verso il bureau. La signorina Gorringe era lì e lo salutò.
«Canonico Pennyfather. Che piacere vederla. È venuto a ritirare il suo bagaglio? È tutto pronto. Se solo ce l’avesse fatto sapere avremmo potuto spedirglielo ovunque.»
«Grazie,» disse il canonico Pennyfather «mille grazie. È sempre tanto gentile, signorina Gorringe. Ma poiché oggi dovevo venire a Londra, ho pensato che avrei potuto benissimo passare io.»
«Eravamo in pena per lei» riprese la signorina Gorringe. «Non sapevamo più niente di lei, capisce? Nessuno in grado di trovarla. Ha avuto un incidente d’auto, ho sentito dire.»
«Sì» rispose il canonico Pennyfather. «Sì. La gente guida troppo in fretta oggigiorno. Pericoloso. Non che riesca a ricordarmi molto. La mia testa ne è andata di mezzo. Commozione cerebrale, dice il dottore. Oh be’, tanto, invecchiando, la memoria...» Scrollò il capo tristemente. «E lei come sta, signorina Gorringe?»
«Oh, benissimo» rispose lei.
In quel momento il canonico Pennyfather ebbe l’impressione che anche la signorina Gorringe fosse diversa.
La guardò attentamente cercando di analizzare in che cosa consistesse la differenza. I capelli? Come sempre. Forse anche un tantino più crespi. Abito nero, il grande medaglione, la spilla con il cammeo. Tutto come al solito. Ma una differenza c’era. Era forse un po’ più magra? Oppure era che... sì, certo, sembrava preoccupata. Non succedeva spesso al canonico Pennyfather di notare se la gente apparisse preoccupata, non era il tipo d’uomo che badava alle altrui emozioni, ma quel giorno ne rimase colpito, forse perché per tanti anni la signorina Gorringe aveva invariabilmente mostrato agli ospiti sempre la medesima espressione del volto.
«Non è stata ammalata, spero?» chiese preoccupato. «Sembra dimagrita.»
«Veramente, abbiamo avuto un bel po’ di preoccupazioni, canonico Pennyfather.»
«Davvero? Mi spiace di sentirlo. Non a causa della mia scomparsa, mi auguro?»
«Oh no» fece la signorina Gorringe. «Eravamo preoccupati, certo, ma non appena abbiamo saputo che stava bene...» S’interruppe e aggiunse: «No. No... è che... be’, forse lei non ha letto i giornali. Gorman, il nostro portiere, è stato ucciso».
«Ah sì» disse il canonico Pennyfather. «Ricordo, ora. Certo che ho visto un trafiletto sul giornale... che c’era stato un delitto qui.»
La signorina Gorringe rabbrividì a sentir pronunciare in modo così brusco la parola delitto. Il brivido la percorse tutta, da cima a fondo, nel suo vestito nero.
«Terribile,» esclamò «terribile. Una cosa simile non è mai accaduta al Bertram. Voglio dire, noi non siamo il genere di hotel dove succedono dei delitti.»
«No, no, davvero» si affrettò a confermare il canonico Pennyfather. «Ne sono certo. Voglio dire, non mi era mai venuto in mente che potesse accadere qui una cosa simile.»
«Beninteso, non è stato nell’interno dell’hotel» specificò la signorina Gorringe, un po’ sollevata nel rimarcare questo lato della vicenda. «È stato fuori, nella strada.»
«Allora non c’entrate proprio per niente» disse premuroso il canonico.
Questa evidentemente non era la cosa più appropriata da dirsi.
«Ma c’era un legame con il Bertram. Non abbiamo potuto fare a meno di aver qui la polizia per le indagini, perché è il nostro portiere che è stato ucciso.»
«Allora è nuovo quello che avete di fuori. Sa, mi ero accorto, in un certo senso, che c’era qualcosa di un po’ insolito.»
«Sì mi rendo conto che non è di piena soddisfazione. Voglio dire, non proprio della classe cui siamo abituati qui. Ma naturalmente abbiamo dovuto procurarci qualcuno in gran fretta.»
«Mi rammento tutto, ora» disse il canonico Pennyfather, ricollegando dei ricordi piuttosto vaghi di quanto aveva letto sul giornale una settimana prima. «Ma ho creduto che fosse una ragazza a essere stata uccisa.»
«Vuol dire la figlia di Lady Sedgwick? Penso che ricorderà di averla vista qui con il suo tutore, il colonnello Luscombe. Da come sono andate le cose sembra che sia stata assalita da qualcuno nella nebbia. Io ritengo che volessero strapparle la borsetta. A ogni modo, le hanno sparato un colpo e allora Gorman, che era stato militare, si sa, ed era un uomo con una grande presenza di spirito, intervenne di corsa, si mise davanti alla ragazza e rimase ucciso lui, poveretto.»
«Molto triste, molto triste» fece il canonico scrollando il capo.
«Ciò rende tutto terribilmente complicato» si lamentò la signorina Gorringe. «Voglio dire, la polizia avanti e indietro, di continuo. Immagino che uno se lo debba aspettare, ma a noi non piace averla qui, per quanto devo dire che l’ispettore capo Davy e il sergente Wadell hanno un aspetto molto decoroso. Abiti borghesi e comportamento ineccepibile, non del tipo con stivali e impermeabili come si vede al cinema. Quasi come uno di noi.»
«Ehm... sì» fece il canonico Pennyfather.
«È dovuto andare all’ospedale?» domandò la signorina Gorringe.
«No,» rispose il canonico «della brava gente, proprio dei buoni samaritani... un ortolano, credo... mi ha raccolto e le cure della moglie mi hanno rimesso in vita. Sono infinitamente grato, infinitamente grato. Ricrea lo spirito scoprire che al mondo c’è ancora calore umano. Non crede?»
La signorina Gorringe rispose che la pensava così anche lei. «Dopo tutto quello che si legge sull’aumento della criminalità» aggiunse «tutti questi terribili giovani d’ambo i sessi che rapinano banche e svaligiano treni e fanno del male alla gente...» Alzò gli occhi e disse: «Ecco l’ispettore capo Davy che sta scendendo le scale. Penso abbia bisogno di parlarle».
«Non so perché dovrebbe farlo» disse perplesso il canonico Pennyfather. «È già stato a trovarmi, sa,» aggiunse «a Chadminster. È rimasto molto deluso, credo, dal fatto che io non sia stato in grado di fornirgli alcuna informazione utile.»
«Non è stato in grado?»
Il canonico scrollò il capo con aria triste.
«Non riuscivo a ricordare. L’incidente è avvenuto nei pressi di un posto che si chiama Bedhampton e veramente proprio non capisco che cosa mai ci facessi là. L’ispettore capo continuava a chiedermi perché mi trovavo lì e io non glielo sapevo dire. Molto strano, no? Mi è sembrato che pensasse che io avevo guidato un’auto da un qualche luogo vicino a una stazione ferroviaria fino a una certa canonica.»
«Sembra possibile.»
«Non sembra affatto possibile» ribadì il canonico Pennyfather. «Dico, perché avrei dovuto andarmene in giro in macchina in una parte della terra che proprio non conosco?»
L’ispettore capo Davy si era avvicinato a loro.
«Dunque eccola qui, canonico Pennyfather» disse. «Si è ripreso?»
«Oh, sto proprio bene ora,» rispose il canonico «ma vado ancora piuttosto soggetto al mal di testa. E mi è stato detto di non sforzarmi troppo. Solo, non mi sembra ancora di rammentare ciò che dovrei ricordare e il dottore dice che può darsi non mi ritorni mai alla mente.»
«Via,» disse l’ispettore capo Davy «non dobbiamo mai abbandonare la speranza.» Allontanò il canonico dal bureau. «C’è un piccolo esperimento che voglio farle tentare» disse. «Non le dispiace collaborare con me, vero?»
Quando l’ispettore capo Davy aprì la porta del numero 18, Miss Marple stava ancora in poltrona accanto alla finestra.
«Parecchia gente per la strada oggi» rimarcò. «Più del solito.»
«Ah, be’... questa è una via di transito per Berkeley Square e Shepherd’s Market.»
«Non alludevo solo ai pedoni. Operai... lavori stradali, un camioncino dei guasti telefonici... un furgone di macelleria... un paio di auto private...»
«E... di grazia... cosa ne deduce?»
«Non ho mica detto che ne deducevo qualcosa.»
Papà Davy le diede un’occhiata. Poi disse: «Desidero che mi aiuti».
«Ma certo. Sono qui per questo. Cosa desidera?»
«Ho bisogno che ripeta esattamente ciò che ha fatto la notte del 19 novembre. Dormiva... si è svegliata... probabilmente è stata svegliata da qualche rumore insolito. Ha acceso la luce, ha guardato l’ora, quindi è scesa dal letto, ha aperto la porta e ha guardato fuori. Può rifare queste azioni?»
«Certamente» rispose Miss Marple. S’alzò e andò dalla parte del letto.
«Ancora un momento.»
L’ispettore capo Davy s’avvicinò alla parete comunicante con la stanza accanto e bussò leggermente.
«Più forte» suggerì Miss Marple. «Questa casa ha mura solide.»
L’ispettore capo batté con più forza con le nocche.
«Ho detto al canonico Pennyfather di contare fino a dieci» disse controllando l’orologio. «Allora ecco, cominci.»
Miss Marple toccò la lampada, fece finta di osservare la sveglietta, si alzò, camminò fino alla porta, l’aprì e guardò fuori. Alla sua destra, in quel preciso istante, il canonico Pennyfather stava uscendo dalla sua stanza e si dirigeva verso la scala. Raggiunse i primi gradini e cominciò a discenderli. Miss Marple trattenne un momento il respiro e sussultò. Si volse.
«Ebbene?» fece l’ispettore capo Davy.
«L’uomo che ho visto quella notte non poteva essere il canonico Pennyfather» spiegò Miss Marple. «No, se il canonico Pennyfather è questo qui.»
«Mi sembrava avesse detto...»
«Lo so. Assomigliava al canonico Pennyfather. Capelli e abiti, tutto. Ma la sua andatura non era la stessa. Penso... penso che dovesse essere uno più giovane. Mi spiace, mi spiace tanto di averla messa su una falsa pista, ma non era il canonico Pennyfather che ho visto quella notte. Ne sono proprio sicura.»
«Ne è ben certa questa volta, Miss Marple?»
«Sì» fece eco Miss Marple. «Mi rincresce» ripeté ancora «di averla messa fuori strada.»
«C’era andata molto vicino. Il canonico Pennyfather ritornò veramente all’hotel quella notte. Nessuno lo vide entrare... niente di straordinario. Era dopo la mezzanotte. Salì le scale, aprì la porta della sua stanza, questa accanto, ed entrò. Quello che vide o ciò che accadde poi, noi non lo sappiamo, perché non è in grado di dircelo, oppure non vuole dircelo. Se solo riuscissimo a trovare il sistema di rinfrescargli la memoria...»
«Già, c’è quella parola in tedesco» rifletté Miss Marple.
«Che parola in tedesco?»
«Povera me, l’ho dimenticata ora, ma...»
Bussarono alla porta.
«Posso entrare?» fece il canonico Pennyfather. Entrò. «È andata bene?»
«Benissimo» rispose papà Davy. «Stavo appunto dicendo a Miss Marple... Conosce Miss Marple?»
«Oh, sì» disse il canonico Pennyfather, un po’ incerto per la verità se la conoscesse o meno.
«Stavo appunto dicendo a Miss Marple che ricostruzione abbiamo fatto dei suoi movimenti. Quella sera lei è ritornato all’hotel dopo la mezzanotte. È salito, ha aperto la porta della sua stanza ed è entrato...» Papà Davy fece una pausa.
Miss Marple sbottò in un’esclamazione.
«Ora ricordo» disse «qual è quella parola tedesca. Doppelgänger!»
Il canonico Pennyfather se ne uscì con un grido entusiasta.
«Ma certo,» proruppe «naturalmente! Come ho potuto dimenticare? Avete proprio ragione, sapete. Dopo quel film, Le mura di Gerico, sono tornato qui, sono salito, ho aperto la mia stanza e ho visto... fenomenale, ho visto esattamente me stesso che, seduto su una sedia, mi stava di fronte. Come lei ha detto, cara signora, un doppelgänger. Che cosa straordinaria! E poi... vediamo...» Alzò gli occhi, sforzandosi di pensare.
«E poi» proseguì papà Davy «si sono spaventati a morte nel vederla, quando la credevano felicemente a Lucerna, e allora qualcuno la colpì alla testa.»
26
Il canonico Pennyfather fu lasciato libero di andarsene per i fatti suoi in tassì al British Museum. Miss Marple era stata sistemata nel salone dall’ispettore capo. Le sarebbe dispiaciuto aspettarlo lì per una decina di minuti? Miss Marple aveva detto di no. Era contenta dell’occasione che le si offriva di sedersi a dare un’occhiata in giro e a pensare.
Il Bertram Hotel. Tanti ricordi... Il passato si mescolava al presente.
Si sentiva triste... a causa del Bertram Hotel e per se stessa. Era curiosa di sapere che cosa l’ispettore capo Davy avrebbe voluto adesso da lei.
Avvertiva in lui l’eccitazione dell’ultima ora. Era un uomo i cui piani stavano per realizzarsi. Per l’ispettore capo Davy quello era il giorno della vittoria finale.
Al Bertram la vita procedeva come al solito. Ma no, rifletté decisa Miss Marple, non come al solito. Una differenza c’era, per quanto lei non sarebbe stata in grado di precisare in che cosa consistesse. Un’inquietudine nascosta, forse?
Le porte girevoli s’aprirono di nuovo e fu la volta dell’imponente personaggio, dall’aspetto corpulento e un po’ contadinesco, che si diresse subito dov’era seduta Miss Marple.
«Tutto a posto?» chiese gioviale.
«Dove mi porta ora?»
«Andiamo a fare una visitina a Lady Sedgwick.»
«È alloggiata qui?»
«Sì. Con la figlia.»
Miss Marple si alzò in piedi. Gettò un’occhiata in giro e mormorò: «Povero Bertram».
«Cosa vuol dire con... povero Bertram?»
«Penso che abbia capito benissimo quel che intendo dire.»
«Be’... forse sì, se lo si considera dal suo punto di vista...»
«È sempre triste dover demolire un’opera d’arte.»
«Lei chiama questo luogo un’opera d’arte?»
«Certo che sì. Anche lei dovrebbe.»
«Capisco quel che intende dire» ammise l’ispettore capo Davy.
«È come quando uno si ritrova un sambuco interrato proprio male sull’orlo di un’aiuola. Non c’è altro da fare che... estirparlo completamente.»
«Non me ne intendo molto di giardinaggio. Ma se penso al tarlo del legno, posso capire.»
Andarono su con l’ascensore e poi lungo un corridoio fino all’appartamento d’angolo che occupavano Lady Sedgwick e la figlia.
L’ispettore capo Davy bussò alla porta. Una voce rispose: «Avanti» e lui entrò, seguito da Miss Marple.
Bess Sedgwick stava seduta vicino alla finestra su di una sedia dall’alto schienale. Teneva un libro sulle ginocchia ma non lo stava leggendo.
«Dunque è di nuovo lei, ispettore.» Guardò oltre verso Miss Marple, e parve un po’ sorpresa.
«Questa è Miss Marple» spiegò l’ispettore capo Davy. «Miss Marple... Lady Sedgwick.»
«L’ho già incontrata» disse Bess Sedgwick. «Era con Selina Hazy qualche giorno fa, vero? Prego, si sieda» aggiunse. Poi si rivolse di nuovo all’ispettore capo Davy. «Ha qualche notizia dell’uomo che ha sparato a Elvira?»
«Non esattamente ciò che potrebbe definire notizie.»
«Dubito che ne avrà mai. Con una nebbia di quel genere, certi esseri famelici sbucano fuori in cerca di bottino, prendendo di mira le donne che se ne vanno in giro da sole.»
«Vero fino a un certo punto» ribatté papà Davy. «Come sta sua figlia?»
«Ah, Elvira sta di nuovo perfettamente bene.»
«Sì. Ho telefonato al colonnello Luscombe... il suo tutore. Era felicissimo che io fossi disposta a occuparmi di lei.» Si mise a ridere, all’improvviso. «Caro, vecchio amico. Ha sempre insistito perché mi riunissi a mia figlia!»
«Forse ha ragione in questo» disse papà Davy.
«Oh, no che non è così. Per il momento soltanto, sì, credo sia la cosa migliore.» Si volse a guardar fuori dalla finestra e riprese a parlare con voce mutata. «Ho saputo che ha arrestato un mio amico... Ladislaus Malinowski. Con quale accusa?»
«Non arrestato» la corresse l’ispettore capo Davy. «Semplicemente ci aiuta nelle nostre indagini.»
«Ho dato incarico al mio legale di assisterlo.»
«Molto bene» approvò papà Davy. «È senz’altro prudente avere un legale quando si hanno delle piccole noie con la polizia. Diversamente, può capitare di dire con leggerezza quello che non si dovrebbe dire.»
«Anche se si è assolutamente innocenti?»
«In tal caso forse è ancora più necessario» disse papà Davy.
«Lei è un bel cinico, eh? Cosa desidera da lui, posso chiederlo? O forse non mi è concesso?»
«Per prima cosa vorremmo sapere con la massima esattezza quali sono stati i suoi movimenti la sera in cui morì Michael Gorman.»
Bess Sedgwick si drizzò bruscamente a sedere sulla sedia.
«Ha per caso il ridicolo sospetto che Ladislaus abbia sparato quei colpi a Elvira? Ma se non si conoscono neppure!
Avrebbe potuto farlo. La sua auto stava proprio dietro l’angolo.
Sciocchezze!» esclamò con vigore Lady Sedgwick.
«Fino a che punto l’ha turbata la sparatoria?» Bess sembrò vagamente sorpresa.
«Naturalmente rimasi colpita che mia figlia se la fosse cavata per miracolo. Cosa si aspetta?
Non volevo dir questo. Voglio dire, in che modo l’ha turbata la morte di Michael Gorman?
Mi è dispiaciuto molto. Era un uomo coraggioso.
È tutto?
Che altro vuole che dica?
Lo conosceva, vero?
È naturale. Lavorava qui.
Però lo conosceva anche un po’ meglio, non è così?
Che intende dire?
Andiamo, Lady Sedgwick. È stato suo marito, no?»
Bess Sedgwick aspettò un momento prima di rispondere,pur non rivelando alcun segno di agitazione o di sorpresa nella voce.
«Lei sa molte cose, vero ispettore?» Sospirò e tornò ad appoggiarsi allo schienale della sedia. «Non lo vedevo da... mi lasci pensare... moltissimi anni. Venti... più di venti. E poi un giorno ho guardato dalla finestra, e di colpo ho riconosciuto Micky.»
«E lui ha riconosciuto lei?»
«Davvero sorprendente come ci siamo potuti riconoscere tutt’e due» continuò Bess Sedgwick. «Eravamo stati insieme solo una settimana, all’incirca. Poi la mia famiglia riuscì a raggiungerci, liquidò in qualche modo Micky, e con grande ignominia mi ricondusse a casa.»
Sospirò.
«Ero giovanissima quando fuggii via con lui. Sapevo molto poco. Proprio una ragazza sciocca con la testa piena di idee romantiche. Lui per me era un eroe, soprattutto per come andava a cavallo. Non conosceva la paura. Era bello e vivace, con certe espressioni da irlandese! Penso che fui io in realtà a voler fuggire con lui! Dubito che ci avrebbe pensato da solo. Ma io ero avventata, ostinata e innamorata alla follia!» Scrollò il capo. «Non durò a lungo... Furono sufficienti le prime ventiquattro ore a disilludermi. Beveva ed era volgare e brutale. Quando i miei arrivarono all’improvviso e mi ripresero, io fui loro grata. Non ho mai più voluto sentire parlare di lui né rivederlo.»
«La sua famiglia sapeva che vi eravate sposati?»
«No.»
«Lei non lo disse?»
«Non credevo di essere sposata.»
«Come accadde?»
«Ci eravamo sposati a Ballygowlan, ma quando arrivarono i miei Micky venne a dirmi che il matrimonio era stato una farsa. Lui e i suoi amici lo avevano inscenato fra loro, disse. In quel momento mi sembrò del tutto naturale che si fosse comportato così. Se voleva il denaro che gli offrivano,o se aveva paura di aver violato la legge sposando me, minorenne, non lo so. Comunque, non dubitai minimamente che quanto diceva fosse vero... allora no.»
«E dopo?»
Sembrava perduta nei suoi pensieri. «Non fu fino a... oh, un bel numero di anni dopo, quando imparai a capire un po’ più la vita, e le questioni legali, che mi venne in mente d’improvviso che, tutto considerato, poteva essere che fossi sposata con Micky Gorman.»
«Alla luce dei fatti, quindi, quando ha sposato Lord Coniston ha commesso bigamia.»
«Così quando ho sposato Johnny Sedgwick, e ancora quando ho sposato il mio marito americano, Ridgeway Becker.» Guardò l’ispettore capo Davy e rise in modo da sembrare proprio sinceramente divertita.
«Tante volte bigama» soggiunse. «Sembra molto buffo, sul serio.»
«Non ha mai pensato a chiedere il divorzio?»
Bess si strinse nelle spalle. «È sembrato tutto come uno stupido sogno. Perché riesumarlo? A Johnnie lo dissi, naturalmente.» La voce le diventò morbida e dolce a pronunciare il suo nome.
«E lui cosa rispose?»
«Non gliene importò. Né Johnny né io siamo mai stati molto conformisti.»
«La bigamia comporta certe pene, Lady Sedgwick.»
Lei lo guardò e rise.
«Chi sarebbe mai andato a preoccuparsi di qualcosa accaduto in Irlanda anni fa? Tutta la faccenda era morta e sepolta. Micky s’era preso i soldi ed era sparito. Come non capisce? Sembrava soltanto uno stupido incidente, insignificante. Un incidente che volevo dimenticare. L’ho accantonato con le cose... le tantissime cose... che nella vita non contano.»
«E poi» disse papà Davy con voce calma «un giorno di novembre, Michael Gorman è ricomparso e l’ha ricattata?»
«Sciocchezze! Chi ha detto che mi ha ricattato?»
Lentamente, papà Davy girò lo sguardo verso l’anziana signora che se ne stava seduta in paziente attesa.
«Lei!» Bess Sedgwick fissò Miss Marple. «Cosa può saperne, lei?»
La sua voce rivelò più curiosità che accusa.
«Le poltrone di questo hotel hanno gli schienali molto alti» cominciò Miss Marple. «Sono molto comode. Io mi trovavo su una di queste poltrone davanti al camino nella sala di scrittura, una mattina, a riposare un momentino prima di uscire. È entrata lei, per scrivere una lettera. Ritengo non si sia accorta che nella stanza c’era qualcun altro. E così... io ho sentito la sua conversazione con questo Gorman.»
«Ha ascoltato?»
«Naturalmente» fece Miss Marple. «Perché no? Era un locale pubblico. Quando ha alzato i vetri e ha chiamato l’uomo lì fuori, non potevo immaginare che sarebbe stata una conversazione privata.»
Bess la fissò un momento, poi annuì lentamente.
«Giusto» disse. «Sì, capisco. Ma, ciononostante, lei ha frainteso quello che ha udito. Micky non mi ha ricattato. Può darsi che ci avesse pensato... ma io l’ho prevenuto prima che s’azzardasse!» Atteggiò di nuovo le labbra a quel suo ampio, aperto sorriso che le rendeva il volto così attraente. «Ho cercato di spaventarlo.»
«Sì» fece eco Miss Marple. «Penso che ci sia riuscita. Lo ha minacciato di sparargli. Gli ha tenuto testa molto bene... non mi giudichi impertinente se lo ripeto... proprio molto bene.»
Bess Sedgwick inarcò le sopracciglia con un’espressione divertita.
«Ma io non ero la sola persona ad ascoltarla» continuò Miss Marple.
«Santi numi! Ma tutto quanto l’hotel stava ad ascoltare?»
«Anche l’altra poltrona era occupata.»
«Da chi?»
Miss Marple serrò le labbra. Guardò l’ispettore capo Davy e il suo sguardo era quasi supplichevole. “Se è proprio necessario, lo faccia lei” gli disse con gli occhi. “Ma io non posso...”
«Sua figlia stava in quell’altra poltrona» intervenne l’ispettore capo Davy.
«Oh, no!» L’esclamazione proruppe acuta. «Oh no. Elvira no! Capisco... Deve aver pensato...»
«Ci ha pensato sul serio a quello che aveva sentito, tanto da andare in Irlanda ad accertare la verità. E non è stata difficile da scoprire.»
Bess Sedgwick ripeté di nuovo, sommessamente: «Oh no...». E poi: «Povera bambina! Neppure adesso mi ha chiesto niente. Se l’è tenuto tutto per sé. Tutto represso dentro. Se solo me l’avesse accennato, avrei potuto spiegarle ogni cosa...».
«Avrebbe potuto non essere d’accordo con lei su questo punto» disse l’ispettore capo Davy. «È strano, vede,» continuò, alla maniera di chi rievoca qualcosa con fare quasi ciarliero, suggerendo l’immagine di un vecchio agricoltore intento a discutere del suo bestiame e delle sue terre «ho appreso, con l’esperienza e gli errori di lunghi anni, a diffidare di un concetto quando è troppo semplice.
«Le soluzioni facili sono spesso troppo belle per essere vere. La rappresentazione del delitto dell’altra sera era di questo tipo. La ragazza dice che qualcuno ha fatto fuoco su di lei e l’ha mancata. Il portiere è corso verso di lei per proteggerla, e si è preso il secondo proiettile. Tutto ciò può essere vero. Può corrispondere all’impressione che la ragazza ne ha riportato. Ma in realtà, dietro alle apparenze, le cose potrebbero essere alquanto diverse.
«Lei, Lady Sedgwick, proprio un momento fa ha affermato piuttosto vivacemente che Ladislaus Malinowski non avrebbe potuto avere alcun motivo per attentare alla vita di sua figlia. Bene, ne convengo. Neppure io lo penso. Litigando con una donna, sarebbe il tipo da tirar fuori il coltello e pugnalarla. Ma non credo che starebbe appostato in un cortile ad aspettare a sangue freddo di spararle. Ma supponiamo che volesse uccidere qualcun altro. Grida, spari... ma la realtà dei fatti è che Michael Gorman è morto. Supponga che fosse proprio questo lo scopo che si era prefisso. Malinowski studia il piano con cura. Sceglie una serata di nebbia tremenda, si nasconde nel cortile e resta in attesa finché sua figlia imbocca la strada. Lui sa che è in arrivo, perché ha fatto in maniera di predisporre le cose in quel modo. Spara un colpo. Non con l’intenzione di colpire la ragazza. Sta attento a non farle finire il proiettile vicino, però la ragazza pensa che fosse diretto senz’altro a lei. E grida. L’uomo dell’hotel, sentendo il colpo e l’urlo, si precipita giù per la strada e allora Malinowski mira alla persona che era venuto a uccidere, Michael Gorman.»
«Non credo a una parola di tutto ciò! Perché mai Ladislaus avrebbe dovuto uccidere Micky Gorman?»
«Una misera storia di ricatto, forse.»
«Vuol dire che Micky stava ricattando Ladislaus? E per cosa?»
«Forse» disse papà Davy «per quello che accade al Bertram Hotel. Può darsi che Michael Gorman avesse scoperto parecchie cose.»
«Cose che succedono al Bertram Hotel? Che intende dire?»
«Una bella organizzazione, è stata» disse papà Davy. «Studiata bene, messa in atto brillantemente. Ma niente dura in eterno. Miss Marple mi chiedeva qualche giorno fa cosa c’era che non andasse in questo posto. Ebbene, darò ora una risposta. Il Bertram Hotel è, a tutti gli effetti, il quartier generale di una delle più efficienti e attive associazioni a delinquere che si siano conosciute da anni.»
27
Per un minuto circa, forse meno, nessuno parlò. Poi Miss Marple ruppe il silenzio.
«Com’era interessante» disse in tono loquace.
Bess Sedgwick si rivolse a lei. «Non sembra sorpresa, Miss Marple.»
«È così. Non lo sono davvero. C’erano talmente tante cose strane che avevano l’aria di non quadrare. Era tutto troppo bello per essere vero... se afferra il senso di ciò che intendo dire. Quello che, in gergo teatrale, definiscono una bella rappresentazione. Solo che era una rappresentazione... non una cosa reale.
«E c’erano tanti di quei dettagli di poco conto, persone che credevano di riconoscere un amico o un conoscente... e invece risultava che s’erano sbagliate.»
«Cose che capitano,» intervenne l’ispettore capo Davy «solo che si verificavano troppo spesso. Vero, Miss Marple?»
«Sì» rispose Miss Marple. «Persone come Selina Hazy incorrono in sviste del genere. Ma ce n’era tanta altra di gente che pure incappava in queste situazioni. Non si poteva fare a meno di rimarcarlo.»
«S’accorge di molte cose» disse l’ispettore capo Davy rivolto a Bess Sedgwick, come se Miss Marple fosse la sua prediletta cagnetta ammaestrata.
Di punto in bianco, Bess Sedgwick si rivolse a lui.
«Che cosa voleva dire quando ha affermato che questo luogo era il quartier generale di una banda di criminali? Avrei giurato che il Bertram Hotel fosse il posto più decoroso del mondo.»
«Naturalmente» fece papà Davy. «Non poteva essere diversamente. Vi sono stati impiegati denaro a profusione, tempo e cure per renderlo appunto quello che è. Autenticità e finzione sono state fuse abilmente. Prenda Henry, impresario eccellente, che tiene le fila di tutto. Prenda quel tizio, Humfries, meravigliosamente abile. Non ha segnalazioni specifiche nel nostro paese, ma all’estero è stato implicato in certe strane gestioni di alberghi. Ci sono dei caratteristi molto bravi qui, che interpretano differenti ruoli. Ammetterò, se vuole, che non posso non provare grandissima ammirazione per tutta quanta la messa in scena. A questo paese è costata un patrimonio. Ha causato continui grattacapi al CLID e alle forze di polizia distrettuali. Ogni volta che sembrava stessimo per conseguire una meta, e far luce su qualche caso speciale... questo risultava rientrare in quella determinata categoria di avvenimenti che non hanno alcuna attinenza con altre situazioni. Ma abbiamo continuato a lavorarci su, un pezzetto oggi, un pezzetto domani. Un garage dove si tengono un mucchio di targhe, applicabili in un battibaleno a determinate vetture. Una ditta di traslochi, un furgone per la carne, un altro per generi di drogheria, perfino un paio di camioncini postali contraffatti. Un pilota con un’auto da corsa che copre distanze spaventose in un incredibile lasso di tempo, e sull’altro piatto della bilancia un vecchio prete che s’avanzava lentamente sulla sua vecchia Morris Oxford. Una casetta di campagna con un ortolano che, se necessario, presta i primi soccorsi ed è in contatto con un dottore di comodo. Non mi addentrerò in tutti i dettagli. Le ramificazioni sembrano senza fine. E non è che la metà. Gli ospiti stranieri che vengono al Bertram costituiscono l’altra metà. Per lo più dall’America o dai Dominions. Gente ricca, al di sopra di ogni sospetto, che arriva con una serie di bagagli di lusso e se ne riparte con tanti bagagli di lusso che sembrano gli stessi ma non lo sono. I Cabot per esempio...»
«E quanto ai Cabot?» chiese Bess vivacemente.
«Se li ricorda? Degli americani molto simpatici. Proprio molto simpatici. Sono stati qui l’anno scorso e ci sono stati ancora quest’anno. Una terza volta non sarebbero venuti. Nessuno arriva mai qui più di due volte per la medesima attività illegale. Sì, li abbiamo arrestati al loro arrivo a Calais. Proprio un bel lavoro, quel baule che avevano con loro. Teneva accuratamente celate oltre trecentomila sterline. Il bottino della rapina al treno di Bedhampton.
«Il Bertram Hotel, lasci che glielo dica, è il covo di tutto quanto! Metà del personale c’è dentro. Alcuni ospiti ne fanno parte. Alcuni ospiti sono veramente le persone che dicono di essere... altri no. I veri Cabot, per esempio, si trovano proprio ora nello Yucatan. Poi c’è stata tutta la faccenda dei riconoscimenti. Prenda il giudice Ludgrove. Un volto comune, naso a patata e un bitorzolo. Piuttosto facile da impersonare. Il canonico Pennyfather. Un mite prete di provincia, con una gran capigliatura bianca e un modo di fare distratto così rimarchevole. Le sue maniere, quel suo sbirciare da dietro gli occhiali... tutte cose che un buon caratterista può imitare facilmente.»
«Ma a che scopo, tutto ciò?»
«Me lo chiede sul serio? Non è ovvio? Il giudice Ludgrove è scorto vicino alla scena della rapina a una banca. Qualcuno lo riconosce, fa il suo nome. Noi ci muoviamo. È tutto un errore. In quel momento si trovava altrove. Ma non ci accorgemmo subito che tutti questi erano degli “errori premeditati”, come talvolta vengono definiti. Nessuno s’è preoccupato dell’uomo che era sembrato così simile a lui. E per la verità non è che gli somigli in modo particolare. Si toglie il trucco e smette di recitare la sua parte. Tutto questo causa confusione. Una volta abbiamo avuto un giudice di corte suprema, poi un arcidiacono, poi un ammiraglio, poi un maggior generale, tutti visti vicini alla scena di un’impresa criminale.
«Dopo la rapina al treno, a Bedhampton, almeno quattro automezzi furono impiegati prima che il bottino arrivasse a Londra. Vi presero parte un’auto da corsa guidata da Malinowski, un falso furgoncino, una Daimler vecchio modello con un ammiraglio, e in una Morris Oxford un vecchio pastore dai capelli bianchi. È stata tutta quanta un’operazione meravigliosa, splendidamente architettata.
«E poi, un giorno, la banda ha avuto un pizzico di scalogna. Quel vecchio prete confusionario, il canonico Pennyfather, se ne andò a prendere l’aereo il giorno sbagliato, all’aeroporto non l’accettarono, gironzolò per Cromwell Road, andò al cinema, ritornò qui dopo mezzanotte, salì nella sua camera, di cui aveva la chiave in tasca, aprì la porta ed entrò a prendersi un accidente quando vide ciò che sembrava essere un altro se stesso, seduto di fronte a lui su di una sedia! L’ultima cosa che quelli della banda si aspettavano, era di vedere entrare il vero canonico Pennyfather, che doveva essere ormai felicemente a Lucerna! Il suo sosia stava appunto preparandosi a partire per recitare la sua parte a Bedhampton, quand’ecco che entra quello vero. Non avranno saputo che fare, però ci deve essere stata una certa rapidità di riflessi da parte di uno della combriccola. Humfries, sospetto. Colpì alla testa il vecchio che cadde svenuto. Qualcuno, ritengo, si irritò per questo fatto. Proprio molto. Comunque, esaminarono quel poveretto e, stabilito che era svenuto e che in seguito si sarebbe ripreso, proseguirono nei loro piani. Il finto canonico Pennyfather lasciò la stanza, uscì dall’hotel e raggiunse in macchina la zona dell’operazione per svolgervi il suo ruolo nella corsa a staffetta. Cosa abbiano fatto del vero canonico Pennyfather non lo so. Posso solo fare delle congetture. Suppongo che anche lui, più tardi, ma quella stessa notte, sia stato portato via, caricato su un’auto e condotto alla casetta dell’ortolano che stava non troppo lontano dal luogo dove il treno doveva essere assalito e dove c’era un medico che avrebbe potuto assisterlo. Se poi fossero venute fuori delle voci che il canonico Pennyfather era stato visto nei dintorni, tutto avrebbe coinciso perfettamente. Devono essere stati dei momenti di ansia per la banda, finché non riprese conoscenza e così loro poterono constatare che il ricordo di tre giorni almeno era stato cancellato dalla sua mente.»
«Altrimenti l’avrebbero ucciso?» domandò Miss Marple.
«No» disse papà Davy. «Non credo che l’avrebbero ucciso. Qualcuno non l’avrebbe permesso. È parso sempre molto evidente che il capo, chiunque sia, è contrario all’omicidio.»
«Sembra incredibile» esclamò Bess Sedgwick. «Assolutamente fantastico! E io non credo che abbiate una qualsiasi prova per collegare Ladislaus Malinowski a tutta questa storia senza capo né coda.»
«Possiedo prove in abbondanza contro Ladislaus Malinowski» ribatté papà Davy. «È avventato, lo sa. Ha circolato qui attorno quando non avrebbe dovuto. Una prima volta è venuto per stabilire un contatto con sua figlia. Avevano combinato un cifrario.»
«Sciocchezze. Gliel’ha detto lei stessa che non lo conosceva.»
«Lei può avermelo detto, ma non era vero. È innamorata di lui. Vuole che il giovanotto la sposi.»
«Non ci credo!»
«Lei non è nella condizione migliore per saperlo» fece notare l’ispettore capo Davy. «Malinowski non è il tipo da rivelare tutti i suoi segreti e quanto a sua figlia lei non la conosce affatto. Si è arrabbiata, vero, quando si è accorta che Malinowski era venuto al Bertram Hotel?»
«Perché avrei dovuto arrabbiarmi?»
«Perché è lei il cervello dell’impresa» affermò papà Davy. Poi fece una pausa.
«Lei e Henry. La parte finanziaria era diretta dai fratelli Hoffman. Loro tenevano i contatti con le banche del continente e provvedevano alla parte contabile e cose del genere, ma il capo della banda, l’intelligenza che la dirige e studia i piani, è la sua, Lady Sedgwick.»
Bess lo guardò e rise. «Non ho mai sentito niente di così ridicolo!» esclamò.
«Oh no! Non è per niente ridicolo. Lei possiede capacità, coraggio e temerarietà. Si è cimentata pressoché in tutto; così ha pensato che avrebbe potuto tentare anche un’attività criminale. Dà tanta eccitazione, i rischi sono infiniti. Direi che non è stato il denaro ad attirarla quanto il divertimento che le dava tutta la faccenda. Solo che non sopportava delitti, o abuso di violenza. Non ci sono state uccisioni né aggressioni violente, solo dei semplici, ben assestati colpetti in testa, se necessario. Lei è una donna molto interessante, sa. Uno dei pochi grandi criminali che destino vero interesse.»
Ci fu qualche minuto di silenzio.
Infine Bess Sedgwick si alzò.
«Penso che lei sia matto.» Allungò la mano per sollevare la cornetta del telefono.
«Chiama il suo legale? Ottima cosa prima che parli troppo.»
Con gesto improvviso lei ributtò giù la cornetta.
«Ripensandoci, odio gli avvocati... E va bene. Se la prenda come le pare. Sì, ero io a capo di tutto. Ha proprio ragione: era per divertimento. Ne gioivo ogni momento. Era uno spasso svaligiare banche, treni e uffici postali e i cosiddetti furgoni blindati! Mi divertiva fare piani e prendere decisioni, uno splendido divertimento, e sono felice di averlo assaporato. S’è tirato troppo la corda? È quello che ha sostenuto un momento fa, no? Penso che sia vero. Comunque, ho speso bene il mio tempo! Ma ha torto a credere che Ladislaus Malinowski abbia ucciso Michael Gorman! Non l’ha fatto lui. Io ho sparato.» Scoppiò a ridere, un riso di eccitazione. «Non si curi di quello che ha fatto, delle sue minacce... Io gli ho detto che l’avrei ucciso... Miss Marple mi ha sentito... e io gli ho sparato sul serio. Ho fatto proprio come ha supposto avesse fatto Ladislaus. Mi sono nascosta in quel cortile. Quando è passata Elvira, ho sparato un colpo a caso, e quando lei ha gridato e Micky è sopraggiunto di corsa, l’ho avuto a portata di tiro come volevo e l’ho fatto fuori! Io ho le chiavi di tutti gli ingressi dell’hotel, naturalmente. Non ho fatto altro che sgattaiolare nella porta del cortiletto di servizio e su in camera mia. Proprio non ho pensato che avrebbe scoperto che la pistola era di Ladislaus... o che avrebbe perfino sospettato di lui. L’avevo rubata dalla sua auto senza che s’accorgesse. Ma senza alcuna idea, posso assicurarglielo, di far cadere dei sospetti su di lui.»
Posò lo sguardo su Miss Marple. «Lei è testimone di ciò che ho detto, badi. Io ho ucciso Gorman.»
«Oppure dice così, forse, perché è innamorata di Malinowski» insinuò Davy.
«Non lo sono.» La sua replica fu netta. «Sono sua buona amica, è tutto. Oh, sì siamo stati amanti all’occasione, ma non sono innamorata di lui. In tutta la mia vita, ho amato una sola persona... John Sedgwick.» La sua voce divenne più dolce a pronunciare questo nome. «Ma Ladislaus è mio amico. Non voglio che ci vada di mezzo per qualcosa che non ha fatto. Io ho ucciso Michael Gorman. L’ho dichiarato e Miss Marple ha sentito... E ora, caro ispettore capo Davy...» La sua voce si fece più eccitata e la sua risata risuonò squillante... «Mi prenda se ci riesce.»
Con un ampio movimento del braccio, fracassò il vetro con il pesante apparecchio telefonico e prima che Fred Davy potesse scattare in piedi, la donna aveva scavalcato la finestra e si stava allontanando velocemente lungo lo stretto cornicione. Con rapidità sorprendente, malgrado la sua corpulenza, Fred Davy s’era spostato all’altra finestra e aveva tirato su il telaio scorrevole. Nello stesso momento, usò il fischietto che aveva estratto dalla tasca.
Miss Marple, balzata in piedi con un po’ più di difficoltà qualche attimo dopo, lo raggiunse. Insieme si sporsero a fissare sbalorditi la facciata del Bertram.
«Cadrà. Si sta arrampicando su per un canale di scarico» esclamò Miss Marple. «Ma perché va in su?»
«Per raggiungere il tetto. È la sua sola via d’uscita e se ne rende conto. Buon Dio, la guardi. S’arrampica come un gatto. Che rischio!»
Miss Marple, con gli occhi socchiusi, mormorò: «Cadrà. Non può farcela...».
Dopo qualche istante la donna che stavano guardando scomparve alla loro vista.
Papà Davy si scostò dalla finestra.
Miss Marple fece per chiedere: «Non vuole andare e tentare di...».
Papà Davy scrollò il capo. «Che potrei mai fare con questa mia mole? Ho dato disposizioni ai miei uomini di stare in guardia, pronti a ogni evenienza. Sanno cosa devono fare. Fra pochi minuti sapremo... Scommetterei che riesce a farla in barba a tutti quanti! Di donne come lei ce n’è una ogni centomila, sa.» Sospirò. «È una selvaggia. Oh, in ogni generazione si trovano donne di quel genere. Non si riesce a domarle, non si riesce a incanalarle nella collettività e a farle vivere in armonia con l’ordine costituito. Procedono a modo loro. Se sono sante vanno a curare i lebbrosi o cose del genere, o si fanno martoriare nella giungla. Se sono creature fuorviate commettono atrocità tali che non si possono neppure raccontare. E talvolta sono appunto così... sfrenate! Individui del genere sarebbero andati bene, suppongo, se fossero nati in un’altra epoca, quando ognuno doveva badare a se stesso, lottando per la sopravvivenza. Rischi a ogni passo, e loro stessi per forza di cose pericolosi agli altri. Quel mondo li avrebbe soddisfatti; in esso si sarebbero sentiti a proprio agio. Non nel nostro.»
«Immaginava quello che avrebbe fatto?»
«No, per la verità. È una sua dote. L’imprevisto. Deve averlo rimuginato, capisce. Sapeva quello che sarebbe accaduto. Così stava seduta a guardarci... per guadagnar tempo... e riflettere. Riflettere profondamente e farsi un piano. Io credo... ah...» S’interruppe nel sentire l’improvviso rumore del gas di scappamento di un’auto, il fischio delle ruote e il rombo di un potente motore da corsa. Si sporse fuori. «C’è riuscita, ha raggiunto la sua automobile.»
La macchina svoltò l’angolo sbilanciata su due ruote. Lo stridio e il ruggito divennero sempre più potenti, e il mostro bianco avanzò con una tale velocità che sembrava sradicasse la strada.
«Investirà qualcuno» disse papà Davy. «Ucciderà tanta gente... sempre che non si rompa il collo lei stessa.»
«Chissà» fece Miss Marple.
«Guida molto bene, non c’è alcun dubbio. Uh, a momenti ce l’ha fatta!»
Sentirono il rombo della macchina che sfrecciava, il suono ininterrotto del clacson. Poi udirono urli, grida, uno stridio di pneumatici, uno schianto fragoroso e...
«Si è fracassata!» esclamò papà Davy.
Rimase lì silenzioso ad aspettare. Miss Marple stava in piedi accanto a lui, senza parlare. Poi, la notizia volò per la strada. Un uomo sul marciapiede di fronte guardò su verso l’ispettore capo Davy e fece rapidi cenni.
«È spacciata» disse papà Davy con gravità. «Morta! Finita contro la cancellata del parco a oltre centoquaranta all’ora. Non ci sono altre vittime, solo qualche urto di poco conto. Magnifica guida. Lei è morta.» Volse le spalle alla finestra e disse: «Bene, ha fatto il suo racconto, prima. L’ha sentita».
«Sì» fece Miss Marple. «L’ho sentita.» Seguì una pausa. «Non era la verità, di sicuro» commentò Miss Marple tranquillamente.
Papà Davy la guardò. «Non le ha creduto, eh?»
«Lei sì?»
«No» rispose papà Davy. «No, non era la storia giusta. L’ha escogitata in modo che potesse adeguarsi bene al caso, ma non era vera. Non ha ucciso lei Michael Gorman. Per caso lei sa chi è stato?»
«Certo» affermò Miss Marple. «È stata la ragazza.»
«Ah! Quando ha cominciato a sospettarlo?»
«Ho avuto sempre dei dubbi su di lei» rispose Miss Marple.
«Io pure» soggiunse papà Davy. «Era così piena di paura quella sera. E le storie che raccontò erano misere bugie. Ma in un primo momento non riuscivo a trovare il movente.»
«Questo mi rendeva perplessa» riprese Miss Marple. «Aveva scoperto che il matrimonio della madre era bigamo, ma una ragazza commetterebbe un delitto per questo motivo? Non al giorno d’oggi! Suppongo... c’era di mezzo una questione di soldi?»
«Sì, si è trattato di denaro» spiegò l’ispettore capo Davy. «Il padre le ha lasciato una fortuna colossale. Quando ha scoperto che la madre era sposata con Michael Gorman, s’è resa conto che il matrimonio con Coniston non era stato legale. Ha creduto che ciò significasse che l’eredità non le sarebbe toccata in quanto, benché sua figlia, non era legittima. Si sbagliava, sa. Abbiamo già avuto un caso pressoché simile. Dipende dai termini di un testamento. Coniston ha lasciato tutto in modo inequivocabile a lei, menzionandola per nome. Avrebbe ereditato in ogni caso, ma lei questo non lo sapeva. E non intendeva lasciarsi sfuggire i soldi.»
«Perché ne aveva bisogno a tal punto?»
L’ispettore capo Davy, scuro in volto, spiegò: «Per comprare Ladislaus Malinowski. Lui l’avrebbe sposata per il suo denaro. Non l’avrebbe fatto se non fosse stato così. Non era una sciocca, la ragazza. Se ne rendeva conto. Ma voleva lui a tutti i costi. Ne era innamorata alla follia».
«Lo so» fece Miss Marple. «Ho visto la sua espressione quel giorno a Battersea Park...» spiegò.
«Sapeva che con il denaro Malinowski sarebbe stato suo e che senza, invece, l’avrebbe perduto» riprese papà Davy. «E così ha architettato un omicidio a sangue freddo. Naturalmente non s’è nascosta nel cortile. Nel cortile non c’era nessuno. Stava lì, vicino alla cancellata, ha sparato un colpo e ha gridato, e quando Michael Gorman s’è precipitato dall’hotel giù per la strada, l’ha fatto fuori senza pietà. Poi ha continuato a gridare. Ha mantenuto il suo sangue freddo. Non aveva intenzione di incriminare il giovane Ladislaus. Gli aveva sottratto la pistola perché non avrebbe potuto procurarsene una con altrettanta facilità; e non ha immaginato lontanamente che lui sarebbe stato sospettato del delitto o che quella sera potesse trovarsi in quei paraggi. Ha pensato che avrebbero attribuito il fatto a qualche rapinatore che aveva approfittato della nebbia. Sì, ha agito proprio a sangue freddo. Ma la paura le venne poi... quella sera! E la madre temeva per lei...»
«E ora... che farà?»
«So che è stata lei» affermò papà Davy. «Ma non ho prove. Può darsi che le tocchi la fortuna dei principianti... Perfino la legge sembra ora incline a tollerare che un cane morda una prima volta... tradotto in termini umani. Un avvocato esperto sfrutterebbe abilmente il lato patetico della vicenda... una ragazza tanto giovane, educazione infelice... e bella...»
«Sì» assentì Miss Marple. «Spesso i fiori del male sono belli...»
«Ma, come le ho detto, probabilmente non si arriverà neppure a questo... non ci sono prove... prenda lei... sarà chiamata come teste... a testimoniare quello che ha detto la madre... la sua confessione del delitto.»
«Capisco» fece Miss Marple. «Me l’ha imposta, vero? Ha scelto la morte purché la figlia fosse libera. Mi ha obbligato ad accettarla come la sua ultima volontà...»
La porta comunicante con la stanza da letto s’aprì. Elvira Blake si fece avanti. Indossava uno chemisier diritto, di un azzurro pallido. I biondi capelli le ricadevano lungo i due lati del volto. Sembrava uno di quegli angeli degli antichi dipinti dei primitivi italiani. Li guardò entrambi. Disse: «Ho sentito una macchina e uno scontro e gente che gridava... C’è stato un incidente?».
«Mi dispiace dirle, signorina Blake,» disse l’ispettore capo con tono formale «che sua madre è morta.»
Elvira rimase un attimo senza fiato. «Oh, no!» fece. Era una protesta debole, incerta.
«Prima di scappare,» disse l’ispettore capo Davy «perché è stata una fuga... ha ammesso l’uccisione di Michael Gorman.»
«Intende... che è stata lei...»
«Sì» fece papà Davy. «È quello che ha detto. Ha qualcosa da aggiungere?»
Elvira lo osservò a lungo.
«No» disse. «Non ho niente da aggiungere.»
Poi si voltò e uscì dalla stanza.
«Bene» disse Miss Marple. «Lei permetterà che la faccia franca?»
Un attimo di esitazione, poi papà Davy sbatté con violenza il pugno sul tavolo.
«No...» tuonò. «No, in nome di Dio, non lo permetterò!»
Miss Marple chinò il capo lentamente, con aria grave.
«Possa Dio aver pietà dell’anima sua» mormorò.
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Miss Marple al Bertram Hotel
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