III
Nazismo
Apriamo il capitolo scagionando a priori i puffi da una curiosa accusa, secondo cui la loro comunità sarebbe una metafora del Ku Klux Klan. Certo, come i suoi membri i puffi portano un grande cappuccio bianco. Certo, il cappello di Grande Puffo è rosso come quello del Grande Dragone a guida della setta razzista. E ai puffi piace danzare intorno al fuoco. Ma la similitudine finisce qui. Nessun altro elemento permette di estenderla. Ossia, il paragone ci appare balzano e anche un po' tirato per i capelli.
Più seri, invece, sono i punti di contatto fra l'universo dei puffi e il pantheon del nazismo. Fondamentalmente razzista, il nazismo è sorto da un terreno reazionario preesistente, per incarnarsi in un modello sociale corporativo e nell'estetica "volkish". Tutti elementi che possiamo rintracciare nei Puffi.
Un mondo razzista
L'essenza del nazionalsocialismo è nel suo razzismo. La primissima avventura dei puffi sembra tutta dedicata a una minaccia di ordine razziale. Si tratta de I Puffi neri.
Il villaggio deve fronteggiare un'epidemia. Una malattia si trasmette di puffo in puffo e finisce per contaminare la collettività. All'origine c'è un insetto, la mosca Bzzz. All'inizio dell'episodio, la mosca punge un puffo che fa legna nella foresta. Questi si trasforma quasi istantaneamente in puffo nero, con un unico obiettivo: mordere la coda dei puffi sani per tramutarli in puffi neri. Così, i puffi neri si moltiplicano. Il villaggio si salva per un soffio. È il caso di vedere, qui, un'opera dai contenuti razzisti? Se così non fosse, i sostenitori della tesi sono stati stranamente ingenui. Sono vittime di un'inquietante serie di sfortunate coincidenze.
La prima: quando un puffo è contaminato non diventa verde, violetto, lilla o bianco... ma nero.
La seconda: la colorazione nera dell'epidermide causa una grave degenerazione degli individui. I puffi neri perdono istantaneamente ogni forma d'intelligenza. Sono ridotti allo stato di esseri primitivi in grado solo di saltare e gridare "Gnap! Gnap! Gnap!" Non vi ricorda niente? Questa è più o meno la maniera in cui gli Africani potevano essere percepiti dai colonizzatori bianchi nel XIX secolo. Specialmente dai Belgi, connazionali di Peyo, ideatori del sistema di colonizzazione più paternalista e retrogrado mai esistito.
Continuiamo: puffi neri, ebeti, saltellanti, che fanno "Gnap! Gnap! Gnap!" e... sono cannibali! Questa è la terza inquietante e sfortunata coincidenza: metafora grossolana dal cannibalismo, i puffi neri hanno l'unico obiettivo di "addentare" un puffo sano e contaminarlo.
La quarta coincidenza, ultima per motivi cronologici, per chi conservasse dei dubbi: dal 25 luglio 1959 I puffi neri escono come mini-racconto regalo, in allegato alla rivista "Spirou" e nel 1963 sono pubblicati in forma di libro illustrato. 1959 - 1963, esattamente il periodo in cui la stragrande maggioranza degli Stati Africani accede all'indipendenza, il grande periodo della decolonizzazione. In particolare, il Congo Belga (l'attuale Repubblica del Congo) raggiunge l'indipendenza il 30 giugno 1960.
A fronte di così tanti elementi, il principio del Rasoio di Occam132 incita a spiegare il fenomeno senza più alcun riferimento all'azione maligna del caso. Forse per gli effetti di un villano inconscio collettivo, si è costretti ad ammettere che i puffi neri sono, con ogni probabilità, puffi negri. È notevole che, cronologicamente, il primissimo pericolo da cui i puffi debbano proteggersi sia una degenerazione razziale presentata come una malattia contagiosa. In un simile contesto, la corruzione degli organismi fa pesare sull'intero gruppo il rischio d'estinzione. La purezza di sangue diventa vitale. D'altra parte, gli Americani sono stati lungimiranti: I puffi neri è il solo libro della serie non tradotto in inglese.
E non è tutto, in materia di razzismo puffoso. Se il primo fumetto dei puffi ci insegna a non fidarci dei Neri, il terzo ci mette in guardia da ciò che appare bruno e brutto, o biondo e bello. Il terzo fumetto è La Puffetta. Ricordiamo che Puffetta all'inizio è una creatura concepita da Gargamella per spargere zizzania al villaggio. Ma, in quanto "sporco ebreo che non conosce il galateo razziale", lo stregone fa un grave errore: la concepisce bruna. Quando Puffetta arriva al villaggio, con la sua chioma nera, suscita nei puffi solo indifferenza e fastidio. È ritenuta brutta. Così brutta da aver bisogno di un'operazione di "chirurgia puffosa"133. Grande Puffo esegue l'operazione, che cambierà radicalmente le cose: all'uscita dal laboratorio di Grande Puffo, Puffetta è una pollastra bionda. I puffi s'innamorano tutti di lei all'istante e, ipso facto, lei è integrabile nella comunità. I suoi capelli biondi l'hanno resa bella, desiderabile e socialmente accettabile. L'idealizzazione di questo tipo umano non vi ricorda qualcosa?
Riassumiamo. Sin dai primi due numeri del fumetto si tracciano le linee essenziali di uno scenario razzista:
- idealizzazione del capello biondo ariano;
- rifiuto del bruno in quanto brutto;
- concezione del Nero come degenerato.
Vi sembra che manchi un ingrediente primordiale per la costituzione di un razzismo autenticamente nazista? Ebbene, c'è anche quello.
Un mondo antisemita
Riprendiamo un modello di ragionamento che abbiamo già utilizzato, cioè il sillogismo. Se il villaggio dei puffi ha qualcosa della Germania nazista, allora il sillogismo seguente dovrebbe potersi verificare:
- maggiore: la propaganda nazionalsocialista presenta "l'ebreo" come il peggior nemico del popolo tedesco;
- minore: Gargamella è presentato da Peyo come il peggior nemico del popolo dei puffi;
- conclusione: Gargamella è ebreo.
Abbiamo già visto che questo personaggio ricorda fortemente la caricatura del tipo umano semita. È "l'ebreo" dei film di propaganda, quello che bisognava imparare a riconoscere, per annientarlo - certo, dopo averlo privato di ogni ricchezza. Il suo volto somiglia alle stampe diffuse nel Reich in occasione di mostre "educative". Una caratteristica che, come nota Damien Boone, nell'opera di Peyo non è solo appannaggio di Gargamella134: lo stregone non è l'unico personaggio per cui l'autore è stato accusato di antisemitismo.
Lo stesso è accaduto per i due personaggi della serie Rolando e Pirulì: il mago Maltrocchio e Monulf. Nella prima edizione de Le Pays maudit135 Monulf, dai tratti fisici inconfondibili - bassa statura, capelli crespi, sopracciglia folte, naso lungo - arrivò a insultare i puffi in yiddish! La vignetta creò uno scandalo e i caratteri ebraici furono subito sostituiti con i consueti simboli di ingiurie, come nell'edizione attuale. Yvan Delporte, co-autore del fumetto, giustificò l'infelice scivolone commentando che tradizionalmente gli insulti erano rappresentati con ideogrammi cinesi; con i caratteri yiddish, la sua sola intenzione era quella di apportare un'innovazione. Più tardi, la polemica si riaccese intorno ad Ange Retors, un personaggio della serie Poldino Spaccaferro con il naso lungo e la barbetta nera. Querelato delle associazioni ebraiche, Peyo dimostrò la propria innocenza dichiarando che Ange Retors era solo la caricatura di uno dei suoi collaboratori, il bozzettista Michel Matagne.
A ulteriore discolpa degli autori, è noto che i buoni e i cattivi dei fumetti o dei cartoni animati molto spesso obbediscono a rappresentazioni stereotipate. Da un lato, notiamo che da che mondo è mondo la barba bianca di Grande Puffo e il capello biondo di Puffetta evocano rispettivamente la saggezza e la bellezza; dall'altro, le sopracciglia arruffate, il capello rado e il naso ricurvo di Gargamella sono i tradizionali attributi del male nella cultura occidentale. Si tratta di referenti, di marchi simbolici, necessari al manicheismo semplicista dei personaggi. Un manicheismo ancor più marcato perché i testi sono indirizzati al giovane pubblico. Il che fa dire a Thierry Culliford che "se si deve disegnare una faccia cattiva in un fumetto, non si può disegnare un bel biondo"136. Il che mette in discussione non le intenzioni di uno o dell'altro autore, ma i pregiudizi etnocentrici della società in cui evolvono. Lo stesso discorso vale per Starship Troopers (Fanteria dello spazio), un film che ripropone la questione: mostra un popolo di splendidi Ariani in guerra contro atroci insetti giganti. Gli umani appaiono talmente freddi e privi di cervello che lo spettatore si chiede chi siano i veri mostri (i veri insetti). Ma torniamo ai nostri puffi: brutto, sporco e opportunista come un topo nel formaggio, Gargamella è l'archetipo fisico e comportamentale del parassita sociale inventato dalla propaganda hitleriana. E i puffi non perdono occasione per fargliela pagare.
Un mondo reazionario: misoginia e fallocrazia
Misoginia e fallocrazia non sono mero appannaggio del nazismo, né il suo marchio distintivo. Ma hanno con esso un certo legame, nella misura in cui il nazismo è nato dall'humus della destra reazionaria di cui queste erano caratteristiche essenziali. Detto ciò, misoginia e fallocrazia appartengono meno al nazismo in sé che all'ambiente di pensiero necessariamente preesistente, che ne ha suggellato l'espansione.
Immaginato nel 1966 sul modello di Brigitte Bardot all'apice dello splendore, il personaggio di Puffetta è la spia di concezioni misogine e fallocratiche. Di primo acchito, simili concezioni sembrano una caricatura di istanze giudaico-cristiane. Infatti, come nel Genesi l'uomo preesiste alla donna, nel fumetto il puffo preesiste a Puffetta. Inoltre, nella tradizione biblica come nei Puffi, il male arriva - o si prevede che arrivi - per mano della donna, o di Puffettta. Eva addenta il frutto proibito e incita Adamo a fare altrettanto (svergognata!), il che porta alla cacciata dei primi uomini dal Paradiso Terrestre. Puffetta incita il puffo poeta ad aprire la paratoia della diga: per un soffio il villaggio non viene inghiottito dalle acque. Più in generale, nella tradizione giudaico-cristiana la donna è considerata tentatrice e peccatrice: la stessa sorte tocca a Puffetta, materializzazione della brama di vendetta137 di Gargamella, inviata dai puffi per seminare l'odio. Divertiamoci a ricordare la lista degli ingredienti necessari al confezionamento di Puffetta: "Un filo di civetteria... un bello strato di partito preso... tre lacrime di coccodrillo... un cervello di gallina... polvere di lingua di vipera... un carato di astuzia... un pizzico di rabbia... un dito di stoffa di bugie inconsistenti, ovviamente... una provetta di golosità, un quarto di sospetto... uno di incoscienza... un tratto di orgoglio... una pinta di invidia... una spolverata di romanticheria... una parte di stupidità e una parte di furbizia... molta volubilità e molta ostinazione... una candela che arde alle due estremità...". Una lista deliziosa, che gli autori attribuiscono al frasario Magicae formulae, edizioni Belzébu138. Gargamella si augura che Puffetta faccia girare la testa ai puffi139. Infatti, com'è noto, non c'è niente di meglio di una donna per spargere zizzania in un gruppo di uomini dove per definizione regna l'armonia. D'altra parte, è l'argomento cui fa appello la non eterogeneità delle logge massoniche. E funziona: tutti i puffi s'innamorano di Puffetta e sono pronti a tutto pur di conquistarla.
Ma un'analisi più approfondita mostra che, in realtà, lo status di Puffetta, derivato dallo status giudaico-cristiano della donna, è ancor meno invidiabile. La donna è pur sempre una creatura di Dio, mentre Puffetta è una creatura di Gargamella, quindi del male. Puffetta è prodotta DAL male PER il male. Eva, concepita tramite un processo d'ingegneria molecolare da una costola di Adamo, resta un prodotto di derivazione umana. Eva è naturale. Puffetta invece è totalmente artificiale. È un composto chimico, una ricetta, un sortilegio.
Ma Puffetta non è l'unico abitante femminile del villaggio: c'è anche Bontina140! Forse gli autori cercano un modo per riparare? Per nulla! Non demordono! Bontina è artificiale come Puffetta: è creata dai puffi che hanno rubato la formula a Gargamella. Ed è altrettanto pericolosa, perché l'argilla blu con cui è stata plasmata è preda di un sortilegio del cattivo stregone. Bontina è una bomba! Farà saltare in aria i puffi dalla sera alla mattina. Fortunatamente, Grande Puffo riesce a disinnescarla in extremis.
Date la sua origine e la sua composizione, Puffetta è un grazioso concentrato degli stereotipi femminili. Sin dalla prima apparizione, si rivela esasperante. È una vera pentola di fagioli. È anche svampita, svaporata, superficiale, capricciosa, seduttrice, manipolatrice, curiosa come una portinaia, incapace di raccontare una barzelletta come si deve e di cucinare senza scordarsi la padella sul fuoco. Adora il kitsch (fa ridipingere la diga in rosa), fa la morale a tutti ed è piena di moine.
Una simile concezione della donna ne determina il ruolo sociale. Nell'ottica giudaico-cristiana, oggi puramente reazionaria, la donna dovrebbe essere relegata in casa a occuparsi di faccende familiari e questioni subalterne. A maggior ragione, questo dovrebbe essere il caso della donna nell'ottica puffosa. E infatti Puffetta si prende cura del puffo bambino. Ne Il Puffo finanziere141 la vediamo riordinare la casa e lavare i piatti. La biancheria per lei non ha segreti142. Nel tempo libero è sempre agghindata: ama le pellicce143 e adora provarsi dei vestiti nuovi144. Quando non scrive i suoi romanzi all'acqua di puffo145.
Ma per quale motivo non cucina? Perché siamo in Francia (o per lo meno in un paese francofono) e in Francia la cucina è una cosa seria. In virtù del machismo alla francese, le donne hanno il compito di garantire il nutrimento quotidiano del gruppo familiare, ma per mangiare davvero bene serve uno chef. E i puffi ne hanno uno: il puffo cuoco, completo dell'inconfondibile toque. Fare lo chef è roba da uomini. In tutti i sensi, tra l'altro.
La rappresentazione machista di Puffetta ha un rovescio - positivo - della medaglia: tutti i puffi con lei sono molto galanti. La galanteria si condensa nella rispettosa distanza a cui si tengono: le danno del Lei. Puffetta è l'unico membro della comunità che dà del Lei a tutti e a cui tutti danno del Lei (mentre Grande Puffo dà del tu agli altri puffi).
L'unica biografia di Peyo riporta una pungente conversazione su Puffetta, svoltasi fra Peyo e i produttori del cartone animato Hanna-Barbera146. Peyo raccontava di come creava i personaggi e di come li adattava a tipi reali il più fedelmente possibile. Ma non parlava inglese, così il socio Yvan Delporte traduceva per lui. Lo stesso Delporte rivela: "Era andato tutto liscio, finché non si trattò di definire Puffetta. Peyo esordì dicendo che era 'molto femminile'. Gli chiesero di precisare e lui continuò: 'È carina, bionda, ha tutte le caratteristiche delle donne...' Conoscendo l'aria di femminismo che tirava negli U.S.A., tradussi diplomaticamente con 'ha tutte le qualità. Contavo sul fatto che Peyo non capiva quello che dicevo e gli Americani non capivano lui. Ovviamente, gli chiesero di spiegarsi meglio. E lui si scatenò: 'Seduce, usa l'inganno più che la forza per raggiungere i suoi scopi. Non è in grado di raccontare una barzelletta senza prima svelarne la fine. È chiacchierona ma superficiale. Causa una miriade di guai ai puffi e trova sempre il modo di incolpare qualcun altro'. Cercai di attenuare come potevo il tono misogino della descrizione, ma uno dei nostri interlocutori gli chiese: 'Se i puffi fossero in pericolo, Puffetta sarebbe in grado di prendere una decisione e salvarli?' Quando gli tradussi la domanda, Peyo sgranò gli occhi".
Finalmente, molti anni più tardi, ne La Grande Puffetta gli autori de I Puffi daranno una risposta alla domanda del produttore americano. Bisognava pur correggere l'immagine deplorabile di Puffetta! L'episodio infatti propone una Puffetta in posizione di comando, che fa bella mostra di tutte le qualità (intuito femminile, praticità, scaltrezza, fermezza e coraggio) necessarie a prendere le decisioni giuste. Un libro tardivo, politicamente corretto e, senza dubbio, puramente di circostanza. Un libro che ha il sapore della confessione. Ma che, fortunatamente, come gli altri finisce con il ritorno allo status quo antecedente: Puffetta alle prese con la pompa dell'acqua inceppata. "Ecco! Tutto torna puffosamente normale... "147, conclude. Dopo una fugace presa di responsabilità, è reintegrata nella sua funzione sociale. Ogni puffo ha una sua funzione sociale nel mondo corporativo al quale appartiene. Come nel nazismo.
Un mondo corporativo
L'Italia fascista prima, e la società nazista dopo di lei erano organizzate su base corporativa. Ossia, si strutturavano intorno a corporazioni che rappresentavano uno o più mestieri, una o più funzioni sociali produttive.
Lo stesso vale per il villaggio dei Puffi.
Come abbiamo visto, i puffi sono tutti simili. Solo alcuni sono individualizzati, o dalla professione, o da un aspetto del carattere. Nel primo caso, il corporatismo è evidente. Il puffo musicista, l'astropuffo, il puffo contadino, il puffo cuoco, il puffo minatore, il Dottor puffo, il puffo finanziere, il puffo pittore o il puffo falegname sono ben inquadrati in un ruolo sociale. Ma un'analisi più approfondita rivela che lo stesso discorso si applica ai puffi "personalizzati" da un aspetto caratteriale, come il puffo vanitoso, il puffo goloso, il puffo pigrone o il puffo brontolone. Il tratto caratteriale in cui si condensa la loro identità non corrisponde propriamente a un mestiere, ma conferisce loro - anche a loro - una funzione sociale. Il puffo goloso ha il ruolo fondamentale di consumatore, il puffo pigrone quello - altrettanto importante - dello scansafatiche e il puffo brontolone quello del contestatore. Quindi, la suddivisione dei puffi in "puffi-mestieri" e "puffi-caratteri" è solo superficiale. Ciascuno si definisce solo in base alla sua funzione all'interno del corpo sociale. Puffetta e Quattrocchi, allora?
Esaminiamo il caso di Puffetta. Così, forse riusciremo a rispondere a una delle domande più frequenti - anzi, alla più frequente in assoluto - sull'universo dei puffi: perché al villaggio c'è una Puffetta sola? Secondo il nostro schema di analisi, è perfettamente normale che ce ne sia una sola. Infatti, nell'ottica corporativa e reazionaria, essere donna è una funzione sociale del tutto a sé. Per i nazisti, la netta divisione delle funzioni fra i sessi è essenziale alla salute morale e fisica di ciascuno, e insieme del corpo sociale. Quindi, se ogni puffo incarna effettivamente una precisa funzione sociale, è del tutto naturale che una Puffetta incarni la funzione sociale di essere donna. In questa società delle allegorie ci sono un solo puffo cuoco e un solo puffo contadino e anche la Puffetta è un esemplare unico. Sappiamo già che ruolo ha.
Anche Quattrocchi incarna un importante ruolo sociale. Per comprenderlo bisogna far riferimento alla simbologia della protesi che lo caratterizza: gli occhiali. Che funzione sociale simboleggiano? Ovviamente, quella dell'intellettuale. Sicché, i regimi fascista e nazista hanno sviluppato un rapporto ambivalente con gli intellettuali, che vediamo riproposti nel trattamento riservato a Quattrocchi. Nel nazismo, come al villaggio dei puffi, l'intellettuale è l'uomo da eliminare e allo stesso tempo il garante della società. Gli intellettuali sono stati le prime vittime del nazismo. In ogni episodio Quattrocchi subisce offese e provocazioni. Giustificate, del resto, poiché il suo intellettualismo pare una forma di sterile orgoglio.
Ne Il puffo finanziere, per esempio, prima si vanta di saper tradurre una formula latina, ma poi non è capace di farlo148. Quattrocchi si proclama più competente degli altri149 e si permette di fare il saputello, ma l'intelligenza superiore di cui si fregia non è mai in grado di sottrarre i puffi a una situazione di pericolo. Se riesce a salvare qualcuno è per puro caso: salva dall'annegamento il puffo selvaggio mentre cerca di recuperare la sua sciarpa impigliata nel ramo di un albero in riva a un fiume. Il puffo selvaggio si aggrappa alla sciarpa e Quattrocchi lo tira a sé150.
Se da un lato falcidiava gli intellettuali, dall'altro il Terzo Reich si appoggiava a loro - primo fra tutti Rosenberg. Allo stesso modo. Quattrocchi è il portavoce di Grande Puffo. Difficile che inizi una frase senza il proverbiale "Come dice sempre Grande Puffo". Quindi, potrebbe perfettamente incarnare l'intellettuale del Reich in tutte le sue sfumature.
Ossia, il villaggio dei puffi potrebbe effettivamente essere la raffigurazione stilizzata di una società corporativa, dove ciascun puffo è solo una cellula del "tutto" sociale, l'allegoria di un corpo di mestiere o di un ruolo in seno alla collettività. Mestieri e ruoli allineati sotto l'autorità di un unico capo, Grande Puffo, che li rappresenta - il che corrisponde in tutto e per tutto all'ideale fascista in generale, e a quello nazista in particolare.
Un mondo medievale fantastico
L'estetica culturale del nazismo, le cui radici estetiche, spirituali e intellettuali affondano in una gioiosa orgia di credenze mistiche e sentimenti romantici, si ripropone ne I Puffi. George L. Mosse analizza in modo acuto come l'hitlerismo, lungi dal costituire una frattura radicale nella storia tedesca, abbia potuto svilupparsi solo su un terreno culturale fertile. Il romanticismo di Goethe o di Schiller, mescolato all'occultismo spiritista, ha contribuito a far sorgere il Terzo Reich151. Lo studioso Raymond Ruyer esprime lo stesso parere, affermando: "il nazismo rappresenta l'emersione politica di un'utopia preparata da tempo in tutto il pensiero tedesco"152. Il pensiero "volkish" celebrato da Hitler è emerso da un calderone di superstizioni pagane e di auliche aspirazioni cavalleresche. Mal digerito e messo nero su bianco, lo stesso ammasso di futilità ha portato al Mein Kampf. Hitler credette fino alla morte alle "scienze segrete" e alle forze occulte. Si nutriva e si curava secondo i precetti del mensile "Prana", dedicato allo spiritismo applicato. Per ragioni radicali e mistiche, talvolta legate al ritorno in auge dell'animismo agreste e del culto del sole, i nazisti anelavano al ritorno a un immaginario passato ariano. Ruyer giustifica la rarità di opere utopiche tedesche con il fatto che l'equivalente teutonico dell'utopia è esistito "sottoforma di aspirazioni sovrumane alimentate dalla nostalgia per un germanismo primitivo, età d'oro del valore e della nobiltà guerriera"153. Così ispirati, i nazisti si immaginavano un'epoca in cui la rete di vassallaggio fra signori e paesani sosteneva una società sana; un'era in cui l'uomo, legato alla terra, ascoltava la voce vitale e cosmica della natura - l'epoca gloriosa dei cavalieri teutonici.
In altri termini, i nazisti sognavano un fantasmagorico Medioevo molto simile al mondo dei puffi. Se questi ultimi vivessero nel Medioevo, non sarebbe un Medioevo storico, ma immaginario. Il loro universo resta quello del fantasy, del fantastico medioevale. Certo, il fantasmagorico Medioevo dei nazisti è spiccatamente romantico. E i puffi sono altrettanto romantici, foss'anche solo per la loro prossimità con la natura e per il gran cuore che dimostrano.
Infine, l'occultismo di cui l'hitlerismo era tanto ghiotto, ne I Puffi ha un ruolo primordiale. Nel fumetto l'occultismo puffoso si chiama solo in un altro modo: magia.
I libri di magia di Gargamella o di Grande Puffo, scritti in caratteri gotici come i manifesti del Terzo Reich, possono ricordare le opere ancestrali e cabalistiche a cui attingevano alcuni ideologi nazisti. Nel fumetto la magia, intesa come forza arcana, è onnipresente. Gli episodi di puffi in cui la componente magica è assente sono molto rari. La magia è altrettanto affidabile della tecnica. Anzi, forse di più: funziona davvero bene. Così bene, del resto, che i suoi segreti non devono finire in cattive mani, come insegna l'episodio de L'Apprendipuffo, in cui un comune puffo scatena una serie di catastrofi nel tentativo di emulare le magie di Grande Puffo154.
Ultima curiosa particolarità: come il Medioevo fantasmagorico dei nazisti, quello dei puffi è pagano. Non c'è posto per Dio né per il cristianesimo.
Quindi, il mondo dei puffi sarebbe intriso di stalinismo e di nazismo. Ora, in scienze politiche la fusione di questi due apparenti contrari si spiega in riferimento a un'unica nozione: quella di totalitarismo.
La società dei puffi incarnerebbe un modello compiuto di totalitarismo.