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La chirurgia
UMBERTO Veronesi ci ha condotto nel secondo millennio verso la chirurgia conservativa per il tumore della mammella. Era sempre stato convinto che si potesse evitare, alla maggior parte delle donne affette da questa patologia, un intervento radicale che mutilasse e offendesse il corpo in maniera irreversibile. Un intervento fortemente invasivo, peraltro, che nella maggior parte dei casi non prevedeva una ricostruzione contestuale o pressoché immediata. Anzi, in realtà molte donne di quella seconda metà del millennio non hanno mai ricevuto una visita del chirurgo plastico, né tanto meno la proposta di ricostruzione.
Studi, pubblicazioni, riconoscimenti internazionali hanno fatto di Veronesi l’emblema della tutela della femminilità, anche in presenza di un tumore del seno da asportare. Tutto questo spronando istituzioni, associazioni e le donne stesse a promuovere la cultura della prevenzione. Solo così, affermava Veronesi, avremmo potuto cogliere un piccolo tumore sul nascere, per poterlo trattare con un intervento conservativo.
E così è stato, successivamente, anche per il linfonodo sentinella.
Non più incisioni chirurgiche lungo tutto il cavo ascellare, riduzione drastica del numero di linfedema del braccio, ma solo un piccolo taglio, una piccola incisione per asportare unicamente il linfonodo che fa da «sentinella» nel cavo ascellare e riceve dal seno le prime cellule. In modo da poterlo analizzare durante lo stesso intervento chirurgico con estrema precisione.
A volte, anzi, il taglio nel cavo ascellare neanche c’è: se il tumore è nel quadrante superiore esterno, quello più vicino al cavo ascellare, si può riuscire a togliere il linfonodo senza un’ulteriore incisione.
Come scritto all’inizio di questo libro, Veronesi colse immediatamente con favore e studi randomizzati (studi clinici con attribuzione casuale di ogni paziente al gruppo dei casi in trattamento sperimentale oppure al gruppo di controllo, cioè con trattamento standard, placebo o comunque trattamento di confronto) quanto Armando Giuliano in California aveva proposto come soluzione per l’analisi istologica dei linfonodi ascellari. Erano gli inizi degli anni Novanta. E nell’aprile del 2001 una Consensus Conference vide protagonisti a Filadelfia proprio Veronesi e Giuliano insieme, per dare il via alle linee guida sul trattamento del linfonodo sentinella che sarebbero state seguite in tutto il mondo.
Una vera rivoluzione! Quella che Anna, nostra collega e amica, definisce la salvezza delle donne con tumore della mammella.
Per Anna, il tumore del seno è diventato un ricordo. Lo ha avuto da molto giovane, quando il suo bambino era molto piccolo, e sono trascorsi quasi quindici anni. Anna si è fatta fotografare senza indugi a seno scoperto, e per rispetto della sua privacy non abbiamo mai fotografato e pubblicato il suo viso. Fotografare, proprio così, di fronte e di fianco, affinché il suo messaggio arrivasse forte e chiaro alle signore, non necessariamente pazienti. Nel corso di incontri tra associazioni, lezioni accademiche o congressi, Anna è stata presente attraverso le immagini del suo seno e con quanto mi aveva riferito nel corso di una delle visite di controllo.
«Sai, quando la mattina mi faccio la doccia e sono davanti allo specchio, non ricordo di essere stata operata di tumore del seno. Solo se mi giro di fianco e alzo il braccio, percepisco la piccola cicatrice del cavo ascellare per il linfonodo. Che grande cosa anche dal punto di vista psicologico per me! Fortunatamente il nodulo era vicino al prolungamento ascellare della ghiandola mammaria, e con una sola, unica incisione, siete riusciti a togliere il nodulo e il linfonodo! Veramente grazie!»
Certo, mi rendo conto che non per tutte le donne è così. Ma dovrà essere così sempre più spesso. Dovremo spingere tanto sulla prevenzione, anche nelle giovani donne (almeno dai 30 anni) e in quelle più mature dopo i 70-74 anni, affinché risultati come quello di Anna siano la normalità nel caso di una diagnosi di tumore del seno.
Il concetto di Veronesi di passare dal «massimo trattamento tollerabile» al «minimo trattamento efficace» si fonda esattamente sulla prevenzione. Se mi controllo periodicamente nei centri dove ci sono attrezzature e personale dedicato per la senologia, avrò il vantaggio che, nel caso accada qualcosa, potrò beneficiare di un trattamento conservativo e molto accettabile anche sul piano estetico. Estetico! Che parola quasi assurda detta in un contesto oncologico! Invece è esattamente così, perché subito dopo il concetto di «oncologicamente radicale», che vuol dire avere tolto tutto quello che doveva essere tolto senza lasciare alcun residuo del tumore, viene il concetto della salvaguardia dell’estetica.
Il seno, il nostro seno, è una parte importante di noi donne. Che sia piccolo, grande, bello, meno bello, è una zona del corpo rilevante sotto molti aspetti: perché visibile, perché simbolo di femminilità, perché generalmente simmetrico, destro e sinistro. Violare questa parte del nostro corpo, alterare questa simmetricità è un’ulteriore ferita dell’anima oltre che del corpo stesso.
Ogni giorno visito donne che non hanno avuto risultati eccellenti dalla chirurgia: a volte dipende dal tipo di intervento, a volte dai propri tessuti, a volte, purtroppo, non è stata posta la giusta attenzione all’estetica da parte di chi ha operato, magari a causa di una non appropriata formazione in tal senso. Non dobbiamo giustificare tutto e tutti a ogni costo. Comunque, quanto è avvenuto negli ultimi trent’anni, soprattutto riguardo alla chirurgia plastica ricostruttiva, ha cambiato il volto delle vecchie mastectomie nelle quali si asportava seno, muscolo pettorale, linfonodi senza che ve ne fosse, a volte, la certa e reale necessità.
Oggi, per esempio nella mastectomia, quando realmente necessaria, non dobbiamo permettere e non permettiamo che una donna esca dalla sala operatoria con una mutilazione, tranne in casi particolari, nei quali la decisione oncologica multidisciplinare preveda questa necessità. Nei centri di senologia, così come indicato nel decreto ministeriale 70 (DM 70), troviamo tra gli indicatori quello della «contestualità della ricostruzione nel caso di mastectomia». Cosa significa? Significa che, per essere un centro di eccellenza regionale per trattare il tumore del seno, è necessario disporre di una chirurgia plastica solida, efficiente, che collabori e faccia parte a tutti gli effetti di tutto il percorso senologico, e che nei casi di mastectomia preveda la ricostruzione immediata.
La ricostruzione può avvenire mediante un espansore, una specie di palloncino, che verrà man mano gonfiato e in un secondo intervento si sostituirà inserendo una protesi definitiva. In centri molto specializzati gli interventi di ricostruzione vengono effettuati anche utilizzando dei lembi della paziente. Il Deep Inferior Epigastric Perforators (DIEP), per esempio, è un intervento impegnativo sia per il chirurgo plastico che lo effettua sia per la paziente che lo riceve; con un’addominoplastica si asporta un lembo di solo tessuto grasso della pancia della paziente, al di sotto dell’ombelico, e in microchirurgia lo si trasporta in alto a ricostruire il seno mancante.
A questo proposito vi racconto di Elena, che all’età di 45 anni ha dovuto subire una doppia mastectomia. Sono trascorsi sei anni ed Elena sta bene, anche se ha combattuto e sta combattendo tuttora con i sintomi di una menopausa precoce.
Elena è sovrappeso, affetta da una forma iniziale di diabete, e quando l’abbiamo conosciuta lo era sicuramente di più. Pertanto, nella riunione finale riguardo il suo intervento, è stata presa la decisione di un DIEP bilaterale come ricostruzione. In pratica, con il grasso della sua pancia abbiamo ricostruito i due seni. Un intervento piuttosto lungo, importante, che ha comportato diversi giorni successivi all’operazione abbastanza impegnativi per Elena sotto il profilo del dolore e anche del movimento. Ma tutto questo è stato ripagato da un risultato eccellente.
Pensate che, dopo circa un anno dall’intervento, Elena si trovava a dover effettuare una radiografia del torace presso un centro privato per motivi non connessi al pregresso problema oncologico. Ebbene, questo il suo racconto: «Mi sono spogliata, e al tecnico di radiologia che avevo davanti ho detto: ‘Sa, sono stata operata di una doppia mastectomia’. Lui quasi non mi ascolta, allora ribadisco: ‘Ha capito? Sono stata operata di una doppia mastectomia per un tumore, penso che sia utile per lei saperlo, visto che devo fare una radiografia del torace!’ Lui mi guarda e accenna un sorriso, direi quasi di sufficienza, come per dire: Ma che sta dicendo? Infatti, di lì a poco, prendendomi delicatamente per un braccio, aggiunge: ‘Signora, lei avrà anche avuto un intervento al seno, anche se non vedo in realtà cicatrici particolari, ma di certo non ha mai visto una donna con una mastectomia!’ A quel punto, quasi con rabbia, ho abbassato i pantaloni e gli ho mostrato la lunga cicatrice dell’addominoplastica, spiegandogli che la ricostruzione è avvenuta con i lembi della mia pancia. Il tecnico è rimasto letteralmente a bocca aperta, balbettando scuse di ogni tipo, e peraltro anche informandosi su dove fosse avvenuto questo miracolo! Be’, cara prof, lei non sa da una parte che rabbia ho provato, ma dall’altra che grande soddisfazione che qualcuno che vedeva il mio seno non si accorgesse della doppia mastectomia e della ricostruzione!»
Non tutte le donne sono Elena o Anna, lo abbiamo già detto, ma i risultati della chirurgia sono ogni anno più accettabili, ricordando sempre che molto dipende dalla periodicità dei nostri controlli. Se un problema viene trovato in prevenzione, di sicuro è più facilmente risolvibile; la possibilità di pagare il prezzo minore è molto elevata, con beneficio fisico e psicologico della paziente, e, non ultimo, anche della salute economica della nostra società e del nostro Paese. Investire di più in prevenzione comporta sempre un beneficio per tutti.
Un’ulteriore modalità di utilizzare tessuti propri a fini ricostruttivi o modellanti è il lipofilling. Si aspira del tessuto adiposo da zone come i glutei, le cosce, la pancia e, dopo un particolare e specifico trattamento che avviene in sala operatoria, viene reimmesso nelle zone della mammella dove è necessario effettuare un rimodellamento o riempire degli spazi rimasti più vuoti dopo l’asportazione per esempio di un quadrante, o addirittura si può ricostruire, con più sedute, la mammella per intero. Questo tipo di trattamento – come tutti gli altri, d’altronde –, va condiviso con l’intera équipe che ha in carico la paziente, a partire dall’oncologo, che valuterà con i chirurghi le modalità ricostruttive più opportune anche in base alla tipologia istologica del tumore.
Per quanto concerne le protesi, vale la pena spendere ancora qualche parola e accennare in questo capitolo alle raccomandazioni che il Ministero della Salute nell’anno 2019 ha emanato riguardo la problematica protesi e linfoma a grandi cellule (BIA-ALCL). Si sono verificati alcuni casi nel mondo di questo raro tipo di linfoma in pazienti alle quali, o per uso estetico (mastoplastica additiva) o per uso ricostruttivo, sono state impiantate protesi testurizzate, cioè a superficie ruvida.
«Professoressa, dopo la mastectomia mi hanno messo due protesi ‘fasulle’. Ha letto i giornali? Ha sentito la televisione e la radio? Hanno ritirato tutte le protesi come le mie, scrivendo e dicendo che fanno venire il tumore!»
Questo è quanto Sandra mi ha riferito chiedendo una visita urgente alla caposala del mio reparto.
Problemi di comunicazione. Ma chiaramente anche tanta paura, soprattutto per chi ha già incontrato un tumore del seno. I centralini telefonici del reparto per mesi hanno squillato in continuazione dopo che i mass media hanno divulgato questa informazione. Non solo nel nostro ospedale: è accaduto in ogni centro di senologia d’Italia. Perché dico problemi di comunicazione? Perché a volte, per sintesi o per dare più peso a una notizia, si lanciano messaggi poco completi e anche poco comprensibili. Ma è anche vero che sempre più spesso ci stiamo abituando a una lettura mordi e fuggi. Leggiamo un titolo, ma non l’articolo nella sua interezza. Ascoltiamo una notizia, ma non seguiamo tutto il servizio.
Cerchiamo di fare ordine e anche di prestare maggiore attenzione. L’argomento è importante e interessante.
Le protesi mammarie testurizzate, negli anni, hanno soppiantato completamente il mercato delle protesi lisce; più aderenti ai tessuti in cui vengono impiantate, alta qualità dei materiali, un maggiore comfort per la donna. Eppure questa ruvidità, rugosità della superficie, in anni di osservazione e di studi si è rivelata probabilmente controproducente, perché crea una reazione infiammatoria della capsula (la parte di tessuto più dura che si forma tra protesi e tessuto ospite) che, in alcuni casi, numericamente pochi rispetto agli impianti in tutto il mondo, ha dato origine a questo tipo di linfoma.
Ma non c’è da allarmarsi e non dobbiamo togliere e sostituire le protesi testurizzate a tutte le signore a cui sono state impiantate, per estetica o per ricostruzione. Attualmente le protesi testurizzate non sono più commerciabili in Italia, come nel resto del mondo, e sono utilizzabili quelle a superficie liscia o in poliuretano.
I casi di linfoma, lo abbiamo detto, sono un numero esiguo rispetto a quello di protesi impiantate. In Italia è stato stimato che vengano impiantate 51.000 protesi all’anno, ovvero circa 35.000 donne ogni anno ricevono un intervento chirurgico per protesi; il riscontro di linfoma corrisponde a 2,8 casi per ogni 100.000 pazienti.
Questo risulta da stime attuali, ma anche in continua modifica ed evoluzione, soprattutto ora che, grazie al Ministero della Salute, è stato istituito il registro delle protesi, dal 2019. Pertanto, ogni dispositivo protesico impiantato viene seguito nel tempo, e in questo modo è possibile valutarne la durata e l’efficacia.
Anche le protesi a superficie liscia, molto più utilizzate negli Stati Uniti, e le sole che ormai possiamo utilizzare in Italia, non è escluso che possano causare il linfoma BIA-ALCL. Negli Stati Uniti si sono infatti verificati casi di linfoma anche con questo tipo di protesi; a livello internazionale ci sono degli studi che nel tempo potranno dimostrare se possano esserci anche delle concause legate a una situazione genetica che rende l’ospite più predisposto. Il linfoma a grandi cellule va considerato un tumore raro, con elevatissima possibilità di guarigione espiantando la protesi e la sua capsula per intero, con una successiva, molto particolareggiata e attenta analisi istologica, presso centri di riferimento che il Ministero della Salute ha identificato in tutta Italia.
Perciò non è giustificato l’allarmismo, ma è importante sapere e controllarsi regolarmente, attenendosi alle raccomandazioni stilate proprio dal Ministero nel 2019 (consultabili anche online).
Paradossalmente, le pazienti che hanno ricevuto delle protesi dopo un tumore del seno sono le più protette in tal senso, perché sono già inserite in un programma di sorveglianza periodico che prevede la visita, la mammografia (sì, la mammografia si può eseguire e si esegue anche con le protesi, e anche dopo una mastectomia con ricostruzione con protesi) e in molti casi la risonanza magnetica mammaria con mezzo di contrasto. Le più esposte sono le signore che hanno dispositivi protesici di tipo additivo, per motivi estetici, perché non sono sempre così sensibili agli esami di prevenzione, e a volte pensano che per essere al sicuro basti un’ecografia… ogni qualche anno.
Tanto per essere più precisi, le donne che hanno effettuato una mastoplastica additiva dovrebbero essere ancora più scrupolose con gli esami di prevenzione, perché le stesse protesi comportano una certa interferenza nell’interpretazione delle immagini, in quanto corpo estraneo. Sia la mammografia sia l’ecografia, in questi casi, godono di una minore percentuale di accuratezza diagnostica (cioè attendibilità) proprio a causa della presenza della protesi, e si rende necessaria anche una periodica RM con mezzo di contrasto per valutare lo stato sia del tessuto mammario sia delle protesi.
Dunque, i messaggi più importanti da lasciarvi sono i seguenti: non allarmismo ma prevenzione e verifica. E non confondiamo il linfoma legato alla presenza delle protesi con il tumore (carcinoma) del seno, che nasce da un’alterazione della stessa ghiandola mammaria; sono due patologie diverse, che nulla hanno a che vedere l’una con l’altra.
In definitiva, a cosa deve stare attenta una donna che ha protesi mammarie? Ci sono dei segnali che possono far anticipare una visita o un’indagine?
Il segnale che deve indurre la donna a rivolgersi a un centro pubblico specialistico di senologia è l’aumento improvviso di volume del seno. In genere, ciò è dovuto a un versamento di liquido che si forma tra la protesi e l’ospite. Dovrà essere prontamente prelevato mediante una semplice aspirazione e trattato, appunto, presso un centro di anatomia patologica che abbia personale specificamente addestrato per questo tipo di patologia.
C’è da dire che nella stragrande maggioranza dei casi questi versamenti sono solo di tipo infiammatorio, e i medici ai quali la persona è affidata prescriveranno la terapia più adeguata, e non sarà necessaria alcuna rimozione chirurgica, sempre che la formazione di liquido si arresti.
Caterina, già operata di mastectomia presso il nostro ospedale alcuni anni fa e portatrice di una protesi, allarmata ci racconta: «Alcune mattine fa mi sono svegliata con un senso di peso al seno sinistro, quello con la protesi. Mi sono molto spaventata quando allo specchio ho visto che il volume di questo seno operato era quasi il doppio dell’altro. Per non aspettare i tempi di prenotazione della struttura pubblica, mi sono precipitata in un centro privato vicino a casa, per una valutazione immediata. Mi hanno trovato con l’ecografia del liquido e ne hanno aspirato tantissimo».
Alla mia domanda di cosa ne fosse stato di quel liquido, la risposta è stata che era stato gettato via senza farlo analizzare, e le era stata iniettata una soluzione a base di cortisone. Fortunatamente, ripeto fortunatamente, il versamento è tornato dopo pochi giorni, e il seno era di nuovo il doppio dell’altro. A questo punto Caterina ha finalmente capito che doveva rivolgersi al centro nel quale era stata operata, cioè il nostro, dove è stata accolta immediatamente, essendo anche uno dei centri di riferimento regionali per questa problematica. Fatti tutti gli accertamenti del caso, abbiamo diagnosticato il raro linfoma BIA-ALCL; Caterina è stata operata dopo pochi giorni e, con un’ottima asportazione della protesi e capsulectomia (asportazione completa della capsula), ha risolto il suo problema senza la necessità di cure successive, ma solo di controlli periodici più ravvicinati consigliati e prescritti dal senologo. Capite, pertanto, quanto sia importante fare le cose giuste nei posti giusti. E anche quanto sia importante che la categoria dei medici che si specializza in un determinato settore si mantenga costantemente aggiornata, o abbia l’umiltà di indicare al paziente i centri di eccellenza in cui ci sono la competenza e i mezzi appropriati. Non sono io a dirlo, ma le linee guida ministeriali.
«Ho le protesi additive da circa vent’anni, sostituite dieci anni fa perché si erano indurite, e il chirurgo mi disse che si erano incapsulate. Ora ho 45 anni e mi è venuto il dubbio che forse dovrei sottopormi a qualche esame di controllo del seno; ho pensato all’ecografia.»
Così esordisce Monica in una visita specialistica. Rimango un po’ perplessa, ma lei non è certo l’unica donna in questi anni che non ha mai effettuato esami di prevenzione a 45 anni! Non è mai stata da un senologo o in un centro senologico; il suo ginecologo le ha detto più volte che con la palpazione poteva sentire ben poco a causa delle protesi, e le aveva consigliato più volte una mammografia. Ma Monica si era ben guardata dall’effettuarla, ritenendo che lo schiacciamento del mammografo avrebbe potuto ledere le protesi, che già una volta aveva dovuto sostituire. È da questa catena di false informazioni, incomprensioni, paure che si raccolgono i frutti peggiori.
Vada per la visita senologica, che è sempre utile per tanti aspetti, ma anche nelle donne senza protesi speriamo sempre di non accorgerci dell’eventuale presenza di un nodulo dalla visita! Se è palpabile vuol dire che ha già raggiunto delle dimensioni che non sono esattamente minime.
E vada anche per l’ecografia, che è un ottimo mezzo diagnostico, ma da abbinare alla mammografia, soprattutto nei seni più voluminosi e superati i 40 anni.
Arriviamo dunque alla mammografia. Innanzitutto c’è da dire che i radiologi senologi più esperti conoscono e applicano la manovra di Eklund. Una manovra che permette di isolare il tessuto mammario rispetto alla protesi, di portare sul piatto del mammografo la sola ghiandola mammaria e di poter esercitare la giusta pressione per visualizzare bene il tessuto. In ogni caso, anche senza la manovra di Eklund, la mammografia si può fare, anzi si deve fare. I tecnici di radiologia dedicati alla senologia sanno bene che tipo di pressione potranno esercitare, tenuto conto della presenza delle protesi, senza arrecare danni. Se, per esempio, vi fossero delle microcalcificazioni, che in alcuni casi possono rappresentare la fase iniziale di un tumore del seno, sarebbero individuabili solo dalla mammografia, e dall’ecografia solo quando si trovassero già all’interno di un nodulo, ovvero molto, ma molto più evidenti e numerose.
A Monica ho innanzitutto fornito questo tipo di informazione, e devo dire che mi ha ascoltata con molta attenzione. Purtroppo, già visitandola, ho sentito sotto le dita un nodulo chiaramente al di sopra della superficie della protesi sinistra, e l’ecografia successiva ne è stata la conferma. Mammografia e risonanza hanno completato il quadro di immagini, e il prelievo di cellule (agoaspirato) mi ha dato la conferma e la certezza che si trattasse di un carcinoma. Il sesto senso di Monica, che l’ha portata a controllarsi, benché con un certo ritardo, è stato ripagato da un intervento chirurgico che non è stato particolarmente invasivo. Abbiamo mantenuto in sede la protesi senza doverla sostituire, è stata effettuata una radioterapia adiuvante che non ha comportato particolari alterazioni alla protesi stessa, e abbiamo iniziato la terapia ormonale senza la necessità di una chemioterapia, come lei temeva. E ora, anche se in menopausa precoce, abbiamo restituito a Monica fiducia e serenità.
In questo capitolo sono emerse diverse problematiche che vi fanno intuire quanto sia complesso il lavoro del medico oggi. Pensate che, quando ho iniziato la mia carriera (e non sto parlando di mille anni fa!!), non c’era la tomografia computerizzata (TC), non c’era la RM, e neppure la tomografia a emissione di positroni (PET), non si indagavano tutti i tessuti con agoaspirati e biopsie. E questo non solo per il seno e non solo per la diagnosi, ma anche per il trattamento chirurgico e medico-farmacologico. Sapere un po’ di tutto non era così difficile. Pensiamo, oggi, alle moderne tecnologie per la diagnosi, all’evoluzione che si è avuta in campo chirurgico in termini di miniinvasività o anche in tipologia di interventi chirurgici, all’innovazione farmacologica in tutti i settori, dall’oncologia alla cardiologia, dalla neurologia all’endocrinologia e così via. Cuore, polmone, ovaio, colon, mammella, osso, solo per citarne alcuni, sono diventati campi estremamente estesi, per i quali c’è necessità di approfondito studio e conoscenza, per i quali è necessario formare o identificare delle unità di lavoro multidisciplinari e interdisciplinari espressamente dedicate.
Per quanto riguarda il seno, ne parleremo in maniera più approfondita quando vi racconterò come siamo arrivati alla normativa per i centri di senologia!