DELIZIA TURCA
«Turkish delight» in ogni drogheria inglese o americana è un bombolone da dessert profumato e incipriato come una damina del Settecento in mezzo agli altri barattoli di confetture, peppermint, lollypops, candy-bars; ma fin troppo farinoso, poco succulento rispetto alle pesanti leccornie gocciolanti di mieli untuosi che ci si aspetta di trovare nella patria del Turco: ingordissima e ormai mitica creatura fasciata e pingue che ama l’harem, la danza del ventre, il demone meridiano, il sofà, il narghilè, il turbante, l’odalisca, la portantina, la babbuccia; e impala i nemici con trasporti di godimento smodato ogni volta che un palo bene appuntito penetra con dolore nella carnosità biondastra del Veneziano giorgionesco e tizianesco. («Signor, quello sguaiato...». «Sia subito impalato». «Un palo! Addirittura? – Taddeo, che brutto affar»... «Serenate il mesto ciglio, – del destin non vi lagnate. – Qua le femmine son nate – solamente per servir». L’Italiana in Algeri. «Siete turchi: non vi credo, – cento donne intorno avete. – Le comprate e le vendete – quando spento è in voi l’ardor». – «Ah! mia cara, anche in Turchia – se un tesoro si possede, – non si cambia, non si cede. – Serba un Turco anch’egli amor». Il Turco in Italia).
Ma non potendo praticare figurativamente le arti per un suo futile alibi coranico ne approfitta per sfrenarsi in un’architettura antropomorfica tutta a cupole e minareti e altri simboli di carnalità e di lascivia.
Un arrivo a Costantinopoli riuscirà quindi molto più alacre e curioso che non qualsiasi sbarco ad Atene; intanto perché le trame del Gusto pendendo dalla parte del Decadentismo hanno finito per dar ragione non all’Ellade loica e dialettica e dunque pericolosamente pre-illuministica, ma alla Bisanzio irrazionale e decadente che annovera Yeats e Proust e Musil tra i suoi cittadini onorari. Poi si confida che qui a Bisanzio non si sia avuta storicamente e biologicamente la soluzione di continuità così lamentata in Grecia, dove in pratica si gira sempre alla ricerca dell’«anello mancante»; e si ha l’impressione che dell’antichità classica non rimanga nulla al Greco moderno, perché gli abitanti sembrano genericamente levantini, la dinastia reale vagamente o direttamente nordica, l’architettura è cosmopolita-composita, le automobili mitteleuropee e i capitali vengono chissà di dove.
E anche la cultura ivi appare subalterna, incorporata nella vecchia retorica francese di riporto. Solo pare sopravvivere dall’antichità in Grecia qualche rovina tradizionalmente emozionale e il singolare interesse per la parte più imbarazzante o insolente del corpo maschile (così come perdura in talune società un rapporto non meno curioso dell’uomo con vari ovini e bovini e col Serpente o il Gatto).
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Arrivando a Istanbul da Atene l’impressione più viva è che si passi da una capitale asiatica abitata da europei a una capitale europea abitata da asiatici. E in estate sarà un certo sollievo passare da un posto così caldo e secco e pieno di sassi a una città di ossatura innegabilmente più robusta, coi suoi palazzi a parecchi piani e acqua e alberi dappertutto.
La struttura pare notevolmente germanica, già tra le cadenti case del Cinque e Seicento nella vecchia Costantinopoli, coi piani superiori sporgenti e le assi di legno incrociate sulla facciata, come in certi quartieri anseatici fuori mano o in certi pezzi di ghetti rimasti in piedi nelle città tedesche e polacche. Tra la via principale di Beyoǧlu, la Istiklal Caddesi, e il nuovo centro sorto al suo termine con l’albergo Hilton e le compagnie aeree risaltano delle somiglianze vistose con i quartieri fine-ottocento e quelli del dopoguerra in qualunque città austriaca e svizzera, o addirittura con le rovine guglielmine intorno al medesimo Hilton a Berlino. (Anche il vecchio Corso Garibaldi a Milano, in fondo). Certe stradine in salita piene di gatti mostrano costruzioni 1920 dilapidate che potrebbero star bene in qualunque angolo provinciale della Francia del Sud, un po’ Pagnol e Tati; e gli alberghi, si sa dai romanzetti d’epoca, sono pura Belle Époque, della più favolosa ma poi délabrée. In più ci sono le moschee, delizia delle delizie.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
La morfologia della città appare semplicissima. Due lobi dalla parte europea: quello antico sotto (Costantinopoli), e quello più moderno sopra (Beyoǧlu), divisi dal Corno d’Oro e uniti dai due ponti di Galata e di Kemal Atatürk. Un terzo lobo asiatico e senza nomi né ponti dove non si va mai neanche in barca. Il Bosforo in mezzo, in alto; e più giù lo slargo del Mar di Marmara, con le sue isole dentro. Da qualunque parte lo si guardi, il panorama è probabilmente il più bello del mondo; il muso della Sublime Porta coi suoi giardini proprio sulla punta sporge avanti in un mare che dopo le cinque del pomeriggio e fino almeno alle sette non è più né blu né verde, ma innegabilmente tutto d’oro. Le collinette coperte di case e d’alberi subito alle spalle – molto più fitte e ridenti che i Sette Colli dai Lungoteveri – appaiono annebbiate e un po’ violacee. Forse genovesi, o pre-San Francisco, ma cariche di minareti e tantissime cupole che sono premeditazioni architettoniche di immancabile effetto fantastico. Centinaia di piccoli vapori con dei rumori assordanti e allegrissimi si muovono svelti tra rive che si vedono da tutte le parti, piene di prati e cespugli e case bianche, e un mare di gente attraversa i ponti a piedi a tutte le ore; e Beyoǧlu si leva improvvisamente con Galata e Pera e i palazzi ottocenteschi e commerciali tenuti in riga da una parte dalle vecchie torri di guardia veneziane e genovesi e pisane, dall’altra dal Grand Hotel hollywoodiano guarnito di verdi cristalli e kentie in vaso agitate da soffi di mambo lievemente fuori del tempo.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
La prima sensazione è però che questa città così splendida e dolce sia stata costruita da uno squisito popolo ormai estinto, non dai bisnonni degli attuali abitanti, così tetri e grigi. Tutti i lavori in corso paiono sempre abbandonati, con ghiaia e calcina apparentemente lasciate lì da decenni, altro che la costruzione rapida delle grandi moschee: se vedendo i ruderi di una stazione o di un palazzo si va a cercare qualche notizia sulla guida, non di rado si scopre che il crollo avvenne nel 1905, o vi fu un incendio nel 1880. E se si era arrivati qui col pregiudizio occidentale sul musulmano dissoluto in pantofole, si finisce invece per trovarsi di fronte a un popolo malinconico e chiuso, piuttosto duro e selvatico, per niente bello di lineamenti, evidentemente frugalissimo e moralistico, di una dignità e un orgoglio che possono essere anche una lezione poco comune. Al contrario che nei paesi confinanti e petulanti, il Turco non secca nessuno, non chiede niente, non chiama tutti «amigo», non è curioso, non vien dietro con richieste seccanti, non tende moncherini: mai visto chiedere l’elemosina in maniere importune; e se per strada si ha bisogno di informazioni la persona interpellata risponde cortesemente ma non si sbilancia; sta sulle sue, mai la fa troppo lunga.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
D’altra parte, da Apuleio almeno fino all’Orient-Express, questa sarebbe una città descritta da tutti i viaggiatori come un luogo di giochi sfrenati e divertimenti perigliosi, e anche singolari «private shows». Non soltanto l’abate Casti (1724-1803) vi trova «compagnie di donne di bello e gradevole aspetto benché sconciamente infagottate e imbacuccate», e «ballerine di liberi costumi che divertono la brigata coi loro motti e atteggiamenti lascivi al suono di timpanetti e d’una specie di chitarre e piastre di metallo percosse una contro l’altra» (per rimediare alla noia che «i Turchi non hanno spettacoli, teatri, ridotti, passeggi, divertimenti pubblici, se per tali non si vogliono prendere le loro solennità religiose»).
Anche però gente d’oggi assai imbranata e non disinvolta, che viaggia con le comitive del dopolavoro, e non vede le cose se non gliele mettono lì, e da sola non arriverebbe mai neanche all’albergo, sbarcando a Bisanzio fino a un paio d’anni fa è sempre capitata su qualche spettacolino nel retro di un’osteria, con per esempio un amplesso di adulteri, marito tradito che arriva, sorprese reciproche e comiche, e ingegnosissimi castighi finali. Con dettagli impossibili da inventare, riferiti con disapprovazione da gitanti che avrebbero preferito un flamenco alle nacchere.
E perfino il nostro Edmondo De Amicis, che con Costantinopoli produce un magnifico bestseller per i Fratelli Treves, racconta ai lettori della «Perseveranza» e del «Secolo», con una precisione pari solo a un’ingenuità forse inverosimile, certe pratiche subite al bagno turco e riferite con esattezza cronistica: ma null’altro che un regolare tentativo di abituale sodomia turchesca.
Come mai invece adesso tutta questa ostentazione di austerità? Portieri d’albergo, chauffeurs di tassì, maneggioni vari da night-club vuoti, interpellati rispondono tutti mentendo concordi che questa è una città morale e l’è sempre stata. Di sera, posti che con ogni evidenza devono esser sempre stati vispissimi perché sono proprio la topografia e l’illuminazione che l’impongono (come sovente in Emilia e in Sicilia o addirittura in Svizzera), ora si vedono innaturalmente deserti e morti. Altro che arrivar qui ben preparati nei più recenti studi e contributi sul controllo sociale della Libido e dell’Inconscio, sulla distruzione ostentatoria o trasgressiva delle mercanzie tribali, sul behaviorismo animalesco o folichon, o sul peculiare carattere sorbonardo della rivoluzione cinese.
Si ripara nella supposizione ormai canonica: sarà una conseguenza del nuovo governo da caserma, come a Cuba e a Budapest e in tutti gli altri luoghi di piacere Belle Époque passati sotto gioghi repressivi, anche qui bisognava venirci prima. Come infatti anche al Cairo e a Varsavia, i ritratti del cupo militare al potere si vedono in tutti i negozi e in tutte le case anche misere, dalle finestre al pianterreno. E ci sono delle botteghe che evidentemente tirano avanti vendendo un solo prodotto, il cupo ritratto di questo generale.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Non conoscendo la temibile lingua e senza vecchi fidi sul posto sarà sempre più difficile capire la situazione o dar dei sintetici giudizi d’attualità: tanto più che è problematico usare termini come repubblicano o rivoluzionario o democratico o ellenistico, o tirar fuori l’engagement per indicare i partiti vincitori o sconfitti in un regime sempre molto nazionale e molto popolare. Le elezioni vengono comunque spesso rinviate di parecchio. E così i programmi vengono per lo più ridotti ai giri diurni. Alla Sublime Porta, allora!
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Il bel Serraglio forma un sublime triangolo collinare chiuso e ornato da tre miglia di alte muraglie. Da due parti è ben bagnato dal mare, sul quale sbuca per vari ‘kioski’, casini di legno deperibile, presso le rive, ma non per un particolare gusto islamico ligneo; forse con qualche affettata nonchalance per la sopravvivenza degli edifici personali dopo il trapasso di chi li costruì.
Questa visita leggendaria è fondamentale per intendere le punte estreme di raffinatezza raggiunte da quei sultani sofisticatissimi scioccamente descritti come barbari da certi nostri libri di scuola anche pretenziosi, nel momento più impressionabile dei delicati anni formativi. Quando peraltro ci si indicava come «secolare nemico» sul Piave una formazione avversaria composta da Hofmannsthal, Rilke, Klimt, Freud, Schönberg, Schiele, Spitzer, Schnitzler, Mahler, Musil, Kokoschka, Webern, Werfel, Wittgenstein, Berg, Loos, Křenek, Carnap, Lotte e Lilli Lehmann, e tutti gli Strauss... Così viene il sospetto che a Lepanto i veri rozzi fossimo noi, con Papa Ghislieri, come già ai tempi di T. Quinzio Flaminino e L. Emilio Paolo in Grecia. Ma qui è chiaro che i sultani veramente «ne se privaient de rien» e «ne se ménageaient nullement».
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Uno chic senza limiti: tutte le porcellane giuste fatte arrivare da Sèvres e Meissen e Nymphenburg, oltre che dagli Orienti. Quante, quante, di un gusto incantevole, coi loro servizi da tavola, argenterie e cristallerie conservate benissimo. Buttato o sciupato quanto? Ecco le loro magnifiche pendole, fabbricate da rinomate ditte di Londra e Parigi, col loro quadrante musulmano che ha lo zero al posto delle cinque, e bronzi deliziosi. E basta dare poi un’occhiata alle cucine, al vasellame di servizio, ai pentoloni per il sapone e il bucato, agli armadi della biancheria (ancora più che non ai saloni di parata o ai chioschetti per il caffè meridiano), per avere una idea molto impegnativa e simpatica del tenore di vita dell’harem. Del resto basta leggere il Satyricon con un animo da contabile di import-export per rendersi conto dell’intensità degli scambi commerciali fra Est e Ovest fin dall’antichità più remota: la dispensa di Trimalcione è altrettanto ricca di chicche orientali che una salsamenteria di Via della Croce.
Tutto risulta smisuratamente Belle Époque, in quest’aura e questi ambienti: non l’avranno inventato loro, l’Art Nouveau? Certo, vedendo le porcellane o ceramiche di fabbricazione turchesca, i vasi del Sette e dell’Ottocento presentano anticipi e novità impressionanti rispetto allo sviluppo d’ogni gusto europeo. Ci si rende presto conto di quante loro ‘cifre’ figurative si siano trasferite nella decorazione Liberty (tutto un tripudio di opaline stravolte, tipo ireos...), mentre si potevano supporre ispirate da esposizioni d’arte dell’Estremo Oriente inscenate a Parigi e visitate dai Goncourt.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Per strada non si vedono né soldati né preti (o forse vestiranno in borghese): quindi, tutto il contrario che ad Atene. Passano invece tantissimi camerieri come a Roma, portando per uffici e negozi i loro bicchierini di tè sul vassoio rotondo. Niente giannizzeri: tutt’al più un po’ di polizia militare. Gli uomini, tutti col loro baffo, camminano normalmente tenendosi per mano, un po’ come i soldati russi: ma non vuol dir niente. Parecchi hanno il baffo addirittura enorme, e il cranio raso. Anche in quasi tutti i bambini la testa è rapata; e corrono senza inciampare nelle loro braghette larghissime. Le donne anziane frequentemente portano velo o scialle che copre buona parte della faccia, orecchie, capelli, e sopra ancora un soprabitone occidentale lungo fino ai piedi. Appena possono, giù; si siedono per terra, anche nei pattumi. I vecchi giocano coi loro rosari gialli. Gli abiti sono molto modesti. E si mangia poco e male, nei luoghi segnalati. Il caffè turco è un’orrida poltiglia, e tutte le bibite sembrano profumate di falso lampone. I piatti tipici sono piuttosto imbarazzanti, ma la pasticceria trionfa sopra tutti gli altri negozi, col suo atroce miele. I gatti paiono davvero affamati, in gruppi e litigi sui mucchi di macerie. Si parla dappertutto italiano molto più che non inglese o francese.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Al Tesoro si finisce per passarci almeno una giornata intera, affascinati dalla ricostruzione dell’abbigliamento dei vari sultani, uno dopo l’altro (non ne manca neanche uno, sono bellissimi), dalla Presa di Costantinopoli alla Grande Guerra. Non possono essere finti, chi mai procurerebbe oggi i materiali e i soldi? Ce n’erano certi seri, austeri, severi, vestiti tutti di chiaro oppure tutti di scuro, sempre comunque in tinta unita; certi frivoli, con un po’ di capricci, tendono a esagerare con lo smeraldo e la piuma. E certi scatenati evidentemente perdevano la testa per la pietra preziosa, e la mettevano dappertutto: è il trionfo della gualdrappa ricamata a zaffiri e a perle, della trousse per i Corani da passeggio, del rubino grosso come un pulcino da appendere sopra il trono, così alzando un dito gli si può dare un colpetto, e lui dondola. Conversation piece di pregio: altro che l’uovo sopra la Madonna di Piero a Brera, con lì davanti le massaie che discutono se è di gallina o d’oca o di ‘pola’ (tacchina), perché per lo zabaglione bisogna scegliere il sapore giusto. C’è però spesso il rischio indiano che troppe pietre colorate appaiano corone e scettri di trovarobato per le recite delle filodrammatiche?
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Per Nerval, «il Sultano dev’essersi stancato ben presto delle circasse, delle malesi o delle abissine, le sole che si trovino nelle condizioni possibili per la schiavitù; e dovrà pure desiderare qualche bionda inglese o qualche francese spiritosa; ma per lui sono un frutto proibito»...
Pure, la sultana Aimée detta Naksh, la bella, nasce Dubucq de Rivery, creola alla Martinica e cugina prediletta di Joséphine Beauharnais. Naturalmente una fattucchiera aveva predetto un trono ad ambedue. Rapita dai pirati davanti a un convento di suore educatrici a Nantes, diventa favorita del vecchio Abdul Hamid I, poi mamma del giovane Mahmud II detto il Riformatore, interviene nei rovesciamenti delle alleanze turche pro o contro Napoleone, e assume come direttore musicale Giuseppe Donizetti, fratello maggiore dell’immortale Gaetano, e già organista nel Duomo di Bergamo, nonché capobanda nelle fanfare napoleoniche.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Un momento che dev’essere stato assai drammatico in queste rivoluzioni dell’abito certamente fu l’abbandono forever di caftani e palandrane per adottare il pantalone: come ‘envisager’ un papa in clergyman? I primi calzoni sono pur sempre una folly d’arabeschi e fusciacche; ma adagio adagio si tirano diritti, e gli ultimi si riducono a ornarsi solo di una malinconica bandina di passamaneria finta-absburgica e ton-sur-ton sulla cucitura amaranto. Debito Ottomano?
Ma sono bellissime da vedere, oltre che le scuderie piene ancora di carrozze (quelle delle sultane, modeste sedie di posta col finestrino bloccato), le sale dei regali accumulati in tanti anni di rappresentanza: gran vasi e statue e placche di enormi onorificenze mandate dagli zar e dagli imperatori, tanti Sèvres giganti e scatolini di Fabergé e perfino un bel ritrattino di Pio Nono su corniola, spedito con tanti auguri di prosperità da lui stesso.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Le moschee più chic sembrano ormai la Fatih e la Blu, benché a questo punto entrando e vedendo le eleganti piastrelle blu e verdi sulla volta le associamo talmente con la stanza da bagno «habillée» che si deve fare tutta una pensosa riflessione e ricordare che questi non sono i cessi del boom al mare ma invece delle meravigliose maioliche del Seicento. Nel gusto maiolicato, anche la Yeni Cami, fatta costruire dalla mamma (Baffo, veneta) del sultano Mehmet III alla fine del Cinquecento, sembra una delle più signorili. E inoltre siccome è noto che non si deve entrare con la scarpa, i tappeti che coprono l’intero pavimento, quasi sempre scarlatti e stupendi, se sono disposti in modo di «formare motivo», riescono a ottenere degli effetti di colore assolutamente magnifici. Solo in quelle ben tenute, però: la grande moschea di Solimano il Magnifico, una delle più importanti, è molto lasciata andare, piena di vecchie impalcature frananti e col cortile buttato per aria; e la stessa cappella con la tomba di lui e di sua moglie Rosselana, nel cimiterino di dietro, si vede piuttosto trasandata fra lapidi rotte e sassifraghe morte. I loro feretri, e anche quelli di qualche bambino minore, sono lì in mezzo alla stanza avvolti in pezze di tarlatana qualunque, con un vecchio che li vigila e va via in bicicletta al muezzin del tramonto.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Oltre alla Blu, che invece ha uno staff evidentemente efficientissimo (sempre un paio di muezzin su due dei sei minareti, e urlando sempre molto più forte di tutti gli altri anche senza altoparlanti), la migliore nelle graduatorie risulterà tuttora la Fatih. È curiosa perché è barocca: è invitante constatare com’erano pronti gli artisti delle moschee ad annettersi ogni sviluppo contemporaneo della tradizione figurativa dell’Occidente, travasando immediatamente e automaticamente in forme decorative astratte qualunque trovata rinascimentale o barocca o rococò.
La Fatih ha ramages neri su fondo bianco come i santuari austriaci del Settecento e la chiesa dei Gesuiti a Venezia; e col suo tappeto porpora sotto il bianco-e-nero degli ornati pare ancora la più elegante di tutte. Le sue tombe di principi sono fastose e lustre. Ma «la vecchia Santa Sofia» non sembra attirare molto il pubblico giovane, malgrado il fascino strutturale incomparabile dello «spazio bizantino», coi fasci solari che incutono magia come i raggi trasversali tra i boschi di conifere nel cinema magistrale; ma qui fanno indirettamente risplendere l’oro dei mosaici, non piastrelle o cerbiatti animati.
Visite solitarie e dilettanti a tutta una Bisanzio fuori moda. Dubbi veneti ai nuovi restauri americani dei mosaici coetanei di San Marco nella Kariye, oltre un’antica città degli zingari come in Spagna e all’Opera. Ma «cose per gli specialisti, per le scuole», si sente in giro. Anche i migliori Pantocratori non paiono molto in voga, adesso.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Forse la struttura même della Moschea tende a conturbare qualche oscuro tabù della psiche occidentale e saggistica mistico-erotica coi suoi minareti-falli e cupole-tette (non chiappe e non testicoli) riuniti e molteplici, all’opposizione di ogni prassi papalina che tende a una revisione sistematica dei primari simboli d’ogni genitalità non solo mediterranea. Dunque obelischi egizi mai gemelli come in Egitto ma isolati in mezzo a piazze cattoliche, funzionalmente rimossi da qualunque cupola barocca (giacché l’erezione e l’astanza obeliscale andavano straniate da ogni libido ipotetica, ma poi rientravano nell’Immaginario dalla finestra vedutistica)... E così, Piazza del Popolo, dove la prospettiva dal Flaminio ricrea effetti visivi da graffiti antropomorfi in cessi di stazione folk... Mentre in Piazza San Marco l’occhiuto e spietato campanile spiazza di sghimbescio qualunque illusione di moschea lagunare eventuale...
Ma anche obelischi di marmo tutti insieme e senza palle su una console, mentre tutte le palle insieme, in pavonazzetto o cipollino o serpentino o fiordipesco o porfido, con supporti lignei al tornio, si affollano su un’altra console, in tutte le case devote alle mode. E quali pâmoisons dissacratorie, per le prime istantanee tipologiche dei prepuzi nei paracarri pontifici travertini e falloidi; o sedendo più ‘paraculi’ dei vari surrealisti e materialisti erotici sulle analoghe colonnette in ghisa di Amsterdam, presso l’obeliscone itifallicone del Dam.
Sul Bosforo semeiotico, l’in sé della Moschea ripropone senza effetti di straniamento l’insistente arguzia di un teomorfismo camp forse alienante, o forse no, per un Immaginario europeo spesso condizionato da una divinità in forma di duomo gotico: cioè istrice o porcospino, a pungiglioni. Guai a sedersi sopra. Oppure, michelangiolesca e poi barocca a bolla o soufflé fra le nuvole. O ancora, quale ponderazione umanistica di radici quadrate, sezioni auree, tavole pitagoriche, logaritmi a prova di detumescenza e di parodia virtuale...
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
E in tutto questo, Costantinopoli?... Ah, qui bellissimo, sconvolgente e bellissimo, ecco il Museo Archeologico: raro trovare una raccolta di testimonianze più pittoresche e drammatiche sul mondo classico che va alfine in malora, neanche fra i partenoni bombardati di Berlino-Est dove i rilievi di Pergamo si divincolano deliranti fra aquile dorate e ferite e Grandi Elettori a cavallo e Arsenali fatiscenti e Berliner Ensemble bomboniera severissima sopra gli avelli dei Federichi Guglielmi.
Questa vecchia costruzione ellenizzante e floreale-franante della fine dell’Ottocento è rimasta come l’ha lasciata l’evidentemente finissimo Osman Pascià, morto da tanti anni dopo aver scavato tutta l’Asia Minore, e palesemente non hanno più assunto personale nuovo dai tempi dei sultani. Com’è avvincente il profumo d’abbandono di queste sale fuori dal tempo dove la Storia diventa ricettacolo e tabernacolo, oltre che trovarobato e attrezzeria, col celebre sarcofago di Alessandro Magno lì pronto per esser portato via, forse con Alessandro même ancora dentro. E si passa oltre i monumenti dei suoi generali; ci si addentra fra le stele e le mummie desuete dissepolte a Sidone, a Mileto, a Efeso; e le decorazioni si dimenano sempre più stravaganti; e le tombe più eccentriche; e le acconciature e gli abbigliamenti e gli ‘en-tête’ sempre più bizzarri e sfrenati, finché la civiltà greco-romana letteralmente scoppia in un capriccio di arabeschi e coriandoli pirotecnici...
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Altri gran monumenti molto decisivi non parrebbero attualmente disponibili in città. Presto visti: la cisterna sotterranea di Giustiniano, suggestiva opera utilitaria dissestata, a colonne e in barca; la piazza ovale dell’Ippodromo con le sue colonne depredate a Delfi e altrove dopo il crollo della Grecia, ora arredi urbani fra le panchine dei giardinetti. Questo Gran Bazar poi lascia cool, perché sebbene giustamente labirintino e impeccabilmente claustrofobico e inutilmente vastissimo, in pratica ha poi da vendere essenzialmente le robette di nylon e plastica che si trovano in qualunque mercatino periferico, oppure le solite borsine da aviazione.
Macché artigianati leggendari o sciocchezze da casino mitico tipo le babbucce col ricciolo in punta o i veli da fata casereccia trapunti di paillettes. Tante robe di ottone, invece: samovar di tutte le taglie, e puntali con la mezzaluna e la stella, da mettere sopra le villette. Ma si vendono anche dai ferramenta, insieme alle maniglie e ai rubinetti. E l’argenteria armena scura, dagli antiquari? E la tappeteria da occasionissima antica e moderna? Mah. Poco interessanti anche i bagni turchi, illuminatissimi da lampadine recenti e cabine vetrate (rivoluzionarie o autoritarie?), e uguali a piccole moschee geriatriche e sporche: proprio l’identica struttura, e forse si possono fare delle trasformazioni reciproche fra i due tipi di stabilimento. Magari anche delle congetture freudiane o puritane meste e cheap. Nella stradina delle donne in vetrina, ecco le creature esposte sotto il cartello di «una vizita 10 piastre» come nel Casti: «nette nel corpo per le frequenti abluzioni che la Legge impone loro; e ordinariamente di carnagione bianca, di fisionomia dolce e di occhio espressivo, sono esse per lo più grasse anzi che no, ed hanno quasi comunemente il difetto d’essere panciute e mal formate di piedi, al che forse non poco contribuisce la loro vita sedentaria». Insomma, meno fandango che ad Amsterdam o Amburgo.
E anche un volenteroso crocierista sperimentale che ha fatto il gentile con una guardia al popolare teatrino delle ombre comiche («Karagöz») si è trovato portato sulla canna d’una bicicletta fino a una periferia lontanissima. E lì si aspettava almeno un indegno carcere alla Jean Genet pieno di ergastolani viziosi e di iniquità intollerabili. Invece era una piccola cassa di risparmio; e nel sottosuolo, fra cassette di sicurezza insignificanti, il gendarme gli ha preso una mano e gli ha intimato (pare) «accarezzami!», chissà in che lingua, restando impalato. E tutto lì.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Nella Moschea dei Conquistatori tre muti camminano gesticolando con grande animazione sul tappeto rosso, si additano vivacemente i fioritissimi ornati della volta barocca. Uno è turco, alto, grosso, giovane, premuroso, con la vera matrimoniale; ma gli altri due sono tedeschi, uno alto e uno piccolo; e quello piccolo, di mezza età, con una zazzerina biondastra, camicetta corta di nylon verde, calzine alte di nylon nero, calzoncini e sandali color pantegana, assai pétillant, mai fermo un momento, continua a tirar per le braccia i due alti, avido di spiegazioni e di schiarimenti (ma come faranno a dirsi con tanta disinvoltura «Solimano il Magnifico» o «Kemal Atatürk» o «nartece» o «mihrab» nel loro linguaggio a segni...); ed è chiaro che ci sta mettendo moltissimo del suo, allusioni, metafore, jokes... Si devono capire perfettamente, però, perché si vedono molto contenti, molto soddisfatti; e quando escono trovano sulla porta un altro muto tedesco che era rimasto a far la guardia alle scarpe, e non ha visto niente, ma gli raccontano tutto.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Qui, fra i nostrani viaggiatori precedenti, forse tornerebbe a proposito – altro che Alpinisti ciabattoni e Milanes in mar – il memorabile «Ricordo di una carovana milanese, 1874», del giocondo abate Antonio Stoppani, rinomatissimo autore del Bel Paese, nonché di questo reportage Da Milano a Damasco. Che carovana: il Prefetto del Santuario di San Celso, il Proposto di San Fedele, un Canonico di San Babila, un Dottore della Biblioteca Ambrosiana, alcuni Coadiutori di San Calimero, Santa Maria alla Passione, Santa Maria alla Porta, San Francesco da Paola. Col retaggio del Rajberti recente, e l’approssimarsi dell’Ing. Gadda, perfino nell’intitolarsi dei paragrafetti: «Il Bosforo sotto l’aspetto geologico» e «Fisionomia naturale e psicologica del Bosforo», accanto a «Satolla di cose in prospettiva», «Gita di piacere in caicco», «Veduta stupenda e discesa a precipizio», nonché «Saggio di psicologia sperimentale», «Bozzetto fisionomico cagnesco», «Proposta di un nuovo sistema sociale a base cagnesca». (Ma anche il De Amicis dedica pagine e pagine ai cani di Costantinopoli, in quegli anni medesimi).
«Oh che bèll divertiment!». Il giulivo abate si occupa delle formazioni calcaree cretacee e del fenomeno della mummificazione naturale, si incuriosisce delle «vicende ipotetiche di un asino morto» e dei casi del «turco marrano». Ma già il sottotenente piemontese Ceresa di Bonvillaret, alla guerra di Crimea come uno sbandato di Stendhal, «non avendo nulla da fare al campo, mi incamminai tranquillamente verso l’accampamento turco», per farsi presentare al Comandante in Capo delle truppe Ottomane, Omer Pascià: «al secolo Michele Luttaz, rinnegato, che mi offerse una tazza di caffè. Ama la compagnia delli Europei, il lusso, e credo le donnine». Ma non sarà stato un rinnegato valdostano, con quel cognome? Bisognava chiederlo al Praz.
E certo, Costantinopoli come retrovia della guerra di Crimea dev’essere stata come Londra negli anni Quaranta, con gli ufficiali e i soldati delle varie nazioni che si ubriacano selvaggiamente fra una battaglia e l’altra. «Turchi sudici, dimessi, mal vestiti, quasi scalzi. Gli Inglesi si pavoneggiano nelle loro uniformi a colori vivaci. I Francesi vivaci, loquaci, attaccabrighe, anche un po’ indisciplinati...». E i piemontesi senza soldi mangiano gigot dai francesi e ‘stocafiscio’ sui bastimenti genovesi, bevendo médoc o «il votka dei villani tartari» coi russi ex-nemici, ma in gran parte cattolici perché polacchi. E «la sera, nelle stamberghe di legno si van pompeggiando animali di sesso femminile. Come fossimo a Genova». Ma «l’accampamento delli arabi turchi è uno studio di costumi, ed una sorpresa di sporcizia, di sudiciume, e di qualche cosa d’altro».
I monsignori e abati milanesi, invece, in tutti gli harem disabitati vanno a cercare dov’erano i cessi (cose da Carlo Dossi), chiedendo ai vecchi eunuchi superstiti dove cacavano le sultane. E poi tutta la carovana esce strillando «stalle di lusso! stalle di lusso!». Anche fra descrizioni paramanzoniane di cieli e acque notturne amene per la serie di «prosa analitica, ossia il segreto degli incanti»... Però, dopo tante giravolte a cavallo per sorprendere alle finestre senza velo le donne degli harem superstiti richiamate dallo zoccolìo e vocìo dell’allegra carovana, ecco «una gamba sfracellata da un terribile calcio di cavallo arabo». E la guarigione dello Stoppani a Damasco, impiegata «per venire in soccorso di alcuni periodici educativi, e coll’intento di rendere popolare la scienza in Italia». Mentre per il sottotenente piemontese, «da buon giovane militare si mettono da banda i tristi pensieri. Evviva l’allegria». Malgrado una convalescenza per colera, i contrordini di La Marmora, i debitucci per i regalini alle sorelline, i prezzi esorbitanti di tutto. Ma non senza studiare le tattiche dei francesi, prima di ritirarsi definitivamente ad Annecy.
«In ogni trincea vi sono gli avvisatori, che non hanno altro incarico che di guardare in aria e sorvegliare la direzione dei proiettili a parabola. Quando uno fende l’aere egli grida “bombe!”. Secondo poi la direzione del proiettile, l’avvisatore o tace, ovvero grida: “Pour nous gare la bombe!”. Tutti si coricano. Questo sistema è pratico, e ha dato ottimi risultati. Si sono risparmiate vittime». (Mentre Mons. Geremia Bonomelli, Vescovo di Cremona, dedica il suo iroso Autunno in Oriente – maligno contro ogni confessione religiosa anche prossima al Papato però non collimante, e per di più imbevuto delle varie fisime della signorilità piccolo-borghese – proprio a Leone XIII: il finissimo Papa Pecci abituato a ben altri omaggi: da Stefan George, per esempio).
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Via con i vaporetti. Ma è difficile stabilire se sia più incantevole il giro in su lungo il Bosforo o quello in giù per il Mar di Marmara. Tutt’e due. Lo splendore del Bosforo è dovuto al fatto che per molti chilometri si naviga sempre tra due rive simili al lago di Como nel punto più bello, Bellagio-Cadenabbia. Tra la montagna e l’acqua, quasi mai lo strapiombo, ma qualche centinaia di metri di campo e di giardino, e le stupende palazzine bianche dei sultani dell’Ottocento (altro trauma, anche lì, quando verso il 1860 decidono forse improvvisamente di abbandonare il Serraglio e di trasferirsi nel finto Louis XV già alberghiero di Dolmabahçe). Tutto ad arcate, gallerie a vetri, uso Trianon o Tsarkoie Tselo, e i trionfi e i trofei in cima ai pilastri, e i Gobelins, e le marqueteries, e i grandi vasi cinesi, e i lustres con ottocento lampadine, per poi magari affittarne un piano all’Imperatrice Eugenia di Montijo in esilio... «Pur tanto lusso»... Ville Carlotte senza Canova né Thorvaldsen, però...
Le barchine a vela si piegano contro le correnti che scendono dal Mar Nero, sospinte dal tiepido soffio del vento della Bitinia, e i bizantini continuano a chiamarlo «nòtos»; e i minareti lontani sembrano matitine nere contro il cielo porpora, come sul coperchio d’antiche scatole di cipria ocra. Ma i villaggi sulle due sponde sono intensamente ottocenteschi e abbastanza russi, «tutto un Cechov!», con le case di legno sull’acqua, quasi grigie o quasi bianche di vecchiaia, incurvate dagli anni, con balaustre e mantovane traforatissime, in gran parte crollanti. E nei modesti ristoranti con la terrazza coperta sul molo, davanti alle fortificazioni merlate di Maometto II con le quindici torri ciascuna chiamata con un nome di generale, e alle navi carboniere che tornano a Odessa, non è difficile mangiare dell’ottimo pesce ben servito, con un maître che arriva direttamente dal Giardino dei Ciliegi, senza aver fatto prove con Visconti o Strehler, only for you and me.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
I vaporetti del Mar di Marmara sono carichi di patetica borghesia perbene che va in villeggiatura alle Isole delle Principesse e conversa graziosamente col bicchierino di tè al limone in mano, o si allunga sulle chaises-longues fra i lucidi ottoni del ponte di prima classe, leggendo «Le Monde» o «Paris-Match» o le Memorie di Churchill e facendo gentili cenni di mano ai marinai sovietici col berretto rotondo sopra la facciona quadrata che li incrociano passando su una torpediniera con la stella rossa. Le famiglie aspettano vestite da spiaggia agli imbarcaderi di tante piccole Ischia o Procida 1910, e su una di queste c’è l’Accademia navale, su un’altra una moschea di regine madri o un chiostro per principesse mistiche o un confino per Comneni esiliati, su un’altra viene giustiziato Menderes o installato un deposito di benzina o si incendiò nel 1911 la residenza estiva del Console inglese o si ritirò per una crisi nervosa un Murad del Seicento? O sgorga la Fonte dei Sultani nel cuore di un’antica foresta. O annega Leandro sotto gli occhi di Ero. O sono sepolti i Persiani di Eschilo, si distruggevano le scorte d’acqua dei Bizantini, si giocava a polo nel Settecento, e passavano l’uno dopo l’altro Byron e Gautier mentre Pierre Loti si fermava a fumare la pipa al suo solito tavolo.
O anche, Costantino il Grande rinchiudeva una figliuola in un faro inaccessibilissimo perché una maga aveva predetto che sarebbe morta per un morso di serpente. Poi un uffizialetto che l’amava arriva in barca col suo mazzo di fiori, glielo dà, lei lo prende, e dal mazzo che cosa non ti vien fuori? Il serpente, ovviamente, e la morde, e lei sta male. Ma l’uffizialetto lì pronto succhia il veleno dalla ferita, lei sta subito bene, si sposano, si trasferiscono in terraferma, e lì vivono benissimo.
![e9788845979767_i0001.jpg](/epubstore/A/A-Arbasino/Dall-Ellade-A-Bisanzio/OEBPS/Images/e9788845979767_i0001.jpg)
Tornando in città la sera tardi chissà se varrà ancora la pena di passare con Valéry Larbaud e Harold Nicolson e Guido Milanesi e Ronald Firbank e Maurice Dekobra a centellinare una crème de menthe al Pera-Palace, l’immenso albergo sepolcrale e già favolosissimo che dovrebbe essere il più puro santuario ed epitome della Belle Époque al mondo, molto più che a Nizza o a Monte-Carlo? Tutto, il decoro, gli specchi, il personale, le palme sulle colonnine, i pavoni sotto la polvere, denota l’attesa di Guglielmo II e del Cardinal Pirelli; e i clienti, pochissimi, sono evidentemente spie internazionali in tiara da mezza sera e avventuriere baltiche appena sbarcate col «poodle» in braccio e in baffi finti dall’Orient-Express. Si chiamano tutte Solange, Bathilde, Ghislaine, intrattengono rapporti sopra le righe con la Jeune Fille Violaine (née Claudel), muoiono di colpo nella notte pugnalate al baccarat, e il corpo avvolto in un opera-cloak scarlatto viene gettato dagli eunuchi all’alba nel Giardino dei Rettili. Se però appena docciati e cambiati si va al cosiddetto miglior ristorante della capitale, può anche capitar di trovare che il menu miniato offre acciughe, insalata, dolcetti, e poco più.