21 dicembre 2013
Arkösund, Svezia
Essere di ritorno in Svezia rendeva la situazione ancora più bizzarra, ancora più incomprensibile, da incubo. Per un attimo, il piccolo aereo privato aveva fatto sentire George di umore migliore. Quello era stato comunque una gran figata. Arrivare a bordo del furgone nero della Digital Solutions fin sotto l’aereo che era in attesa sulla pista, pronto per partire. Niente controlli di sicurezza, niente richieste di documenti. Solo giù dalla macchina e su per la scaletta, e poi sprofondare nei comodi sedili di pelle. Per Josh e Kirsten e il resto della banda di Reiper non sembrava essere niente di straordinario. Forse era così che viaggiavano sempre.
Ma George aveva sognato una situazione come quella, sperato in un cliente che avesse quello stile di vita, quelle risorse. I colleghi avevano raccontato di lavori per banche o aziende di servizi online per i quali a volte capitava che i consulenti dovessero viaggiare insieme alla dirigenza, e George aveva atteso con ansia il giorno in cui sarebbe toccato a lui. Jet privato. La conferma definitiva di un successo fuori del normale. Ma ora, in compagnia della banda di assassini di Reiper, o quel che diavolo fossero, non poteva ingannare se stesso. Lo stress non voleva sparire. E lui non aveva nemmeno una piccola dose con cui allentare un po’ la tensione.
Inoltre l’atmosfera era stata a dir poco pessima, a seguito della giornata a Parigi. Reiper era fuori di sé. Con un senso crescente di assoluta irrealtà, George aveva visto le notizie sull’uccisione di Mahmoud Shammosh. Sul fatto che Klara era ricercata. Gli dava il voltastomaco. Pensare di essere coinvolto in questa orribile faccenda. Come diavolo era potuto succedere?
Ma almeno sembrava che Klara fosse riuscita a far perdere completamente le proprie tracce, per quanto aveva capito George dagli spezzoni di conversazione che era riuscito a cogliere. Niente cellulare, niente prelievi al bancomat, niente. Ma poi era stato costretto a tradurre un dialogo fra la ragazza e una sua amica, un’avvocatessa il cui nome George aveva riconosciuto. Chiaramente, tenevano sotto controllo anche il suo telefono.
George aveva esitato, pensato di mentire. Ma non osava. Non dopo la brutalità di cui la banda aveva dato prova a Parigi. Non dopo che era diventato evidente che quelli di Digital Solutions erano degli assassini. Freddi, brutali assassini di professione. Perciò aveva venduto Klara un’altra volta. Riferito che a quanto pareva era diretta verso la Svezia. Che piccolo verme senza spina dorsale che era. Che maledetta carogna.
Su incarico di Reiper, George aveva preso in affitto una casa ad Arkösund. Sembravano sicuri che Klara sarebbe comparsa da quelle parti. Trentacinquemila corone la settimana era un vero prezzo da strozzini, ma Reiper sembrava farsene un baffo, e la casa almeno era in ordine. Costruita intorno a fine Ottocento, gialla con gli spigoli bianchi e una bella veranda affacciata verso il mare e il porticciolo. Gli scagnozzi di Reiper avevano immediatamente montato un paio di potenti cannocchiali sulla veranda e sembravano sorvegliare il porto a turno, ventiquattro ore su ventiquattro. Nessuno si era premurato di dire a George che cosa cercassero, anche se lui poteva immaginarlo. Un vero lavoro di merda, ecco cos’era.
E George era come un prigioniero. Reiper non aveva detto nulla, ma era evidente che non aveva la benché minima libertà di movimento. Loro chiudevano la porta esterna con la chiave e se la mettevano in tasca. Raramente era solo, sembrava che qualcuno del gruppo fosse sempre nelle vicinanze. Reiper gli aveva sequestrato il cellulare in concomitanza con l’incidente di Parigi. Non ne aveva fatto nessun cenno, ma George viveva nel costante terrore che Reiper sapesse che era stato lui a mettere in guardia Klara.
George valutò se accendere di nuovo il televisore ma non poteva sopportare di sentir parlare ancora di Shammosh e Klara agli interminabili notiziari. Invece, cominciò a scorrere l’unica libreria della casa, che sembrava contenere esclusivamente polizieschi svedesi in formato tascabile. Come qualsiasi altra casa di vacanze. In un portariviste accanto a una delle stufe di maiolica del salone c’era qualcosa che pareva essere una serie completa del bimestrale “Amelia”. George prese il numero più recente. Malou von Sivers – Il mio lusso quotidiano, suonava una rubrica in copertina. Con un sospiro rassegnato rimise la rivista al suo posto, si abbandonò contro lo schienale del divano e chiuse gli occhi.
“È dura non fare niente. Può stancare a morte chiunque.”
George aprì gli occhi e girò la testa. Kirsten era semisdraiata sul divano di fronte a lui. Nella luce grigia del mattino riusciva a distinguerne solo la sagoma. Doveva essersi appisolato, perché non l’aveva sentita entrare nella stanza.
“Vero,” disse, e sorrise. “Devo essermi addormentato.”
Si raddrizzò senza troppo entusiasmo e si sistemò la felpa blu scuro che Josh gli aveva imprestato. Reiper non l’aveva lasciato andare a casa a fare i bagagli prima che si mettessero in viaggio. Così, George doveva accontentarsi di indossare ancora gli abiti che aveva avuto addosso, a parte un paio di jeans e qualche maglia che Josh gli aveva passato controvoglia. Mutande e calze glieli aveva acquistati qualcuno in un supermercato o qualcosa del genere. Si sentiva un po’ coglione. Però s’inseriva bene nell’ambiente. Tutti quelli di Digital Solutions sembravano andarsene in giro abbigliati come ragazzini americani del college. Tute sportive oppure jeans.
“Non è un gran momento,” disse lei. “Siamo tutti un po’ annoiati. Molta attesa e inattività. Ma fa parte del lavoro.”
“Fa parte del lavoro?”
George fece del proprio meglio per sistemarsi i capelli il più discretamente possibile. Kirsten non era il suo tipo. Aveva labbra troppo sottili, troppo anonime. Pochissimo trucco, forse niente del tutto, e quell’eterna coda di cavallo. Certo, aveva un corpo dannatamente in forma che mascherava sotto le solite felpe, ma sembrava più atletico che scolpito per ragioni estetiche. Ma che cosa importava, era comunque l’unica ragazza del team di Reiper. E un po’ di distrazione era veramente qualcosa che mancava, lì dentro.
“E in che cosa consiste il lavoro, effettivamente?”
Kirsten gli sorrise. Aveva una piccola fossetta irregolare in una delle guance. La faceva sembrare carina. Niente affatto come un’assassina di professione.
“Damage control,” rispose. “Per il momento si tratta di damage control. La tua vecchia amica ha avuto la sfortuna di entrare in possesso di informazioni che non è in grado di gestire correttamente. Non possiamo correre alcun rischio. È troppo elevata la probabilità che le conseguenze negative diventino incontrollabili. Purtroppo.”
“Che le conseguenze negative diventino incontrollabili?”
George ammiccò verso la ragazza.
“Ma tu parli sempre così?”
Kirsten si strinse nelle spalle.
“Che cosa preferisci che dica? Che noi, tutti noi, lo prenderemo nel culo – and not in a good way – se queste informazioni dovessero trapelare? Adesso è sufficientemente descrittivo?”
Lo guardò con un’espressione piena di tranquilla sicurezza e superiorità che sembrava confinare con la compassione. Come se lei appartenesse a una forma di vita più avanzata e dovesse continuamente ricordare a se stessa che gli esseri inferiori non possedevano il suo stesso accesso intuitivo all’informazione.
“Sì, sì. Reiper ha pur sempre cercato di tracciare un quadro,” borbottò lui. “Ma ammazzarli? Cristo.”
“Noi non ammazziamo nessuno,” disse Kirsten con molta calma. “Noi siamo in guerra, okay? I soldati non uccidono, combattono solo per la sopravvivenza del proprio paese. Ed è questo, che siamo. Soldati. Ciò che facciamo tiene il mondo a galla. Ciò che sacrifichiamo fa sì che tu e i tuoi anemici colleghi possiate andare al lavoro tutti i giorni e continuare con le vostre stronzate. Ammazzare? Chi cavolo sei tu per startene seduto lì a blaterare di omicidi? E poi noi facciamo tutto il possibile perché nessuno debba rimetterci la vita. Magari tu non mi credi? Forse sei convinto che ci proviamo gusto?”
I suoi occhi intelligenti scrutavano George. Una piccola ruga sulla fronte altrimenti così liscia. Quella sicurezza di sé così puramente fisica. Avrebbe potuto essere una velocista olimpica oppure una giovane, atletica dottoressa. Qualsiasi cosa, ma non ciò che era. E cos’era, poi? Un soldato? Una spia? Un’assassina?
“Ma è così che questo tipo di operazioni può svilupparsi,” continuò lei. “Sono come un attacco qualsiasi. Tu scegli la tattica, pianifichi come tutto debba essere fatto nei minimi dettagli. Ma non appena parte il primo colpo, puoi gettare alle ortiche tutti i tuoi piani.”
“E io?” disse George, titubante. “È quasi Natale. Quindi, quanto tempo mi toccherà rimanere qui?”
Kirsten piegò la testa di lato, un tocco di calore nei suoi occhi adesso, come se si rendesse conto che quella non era la guerra di George. Che lui non aveva affatto scelto di essere lì.
“Mi dispiace,” disse. “Ma per il momento rimani qui. L’analisi di Reiper è che non possiamo permetterci di lasciarti andare nel bel mezzo dell’operazione.”
Si stiracchiò e gli strizzò l’occhio.
“Per cui, tanto vale che ti familiarizzi con l’ambiente. Magari potresti preparare un po’ di Swedish meatballs. Io devo andare, adesso è il mio turno.”
Gli sorrise di nuovo e uscì in veranda, per dare il cambio a chi stava al cannocchiale.