20 dicembre 2013
Stoccolma
Gabriella scese dal taxi davanti all’Albert and Jack’s Bakery and Deli a Skeppsbron, porta a porta con lo studio legale Lindblad & Wiman. A metà dei tre gradini che conducono al caffè si pentì. Erano già le tre passate e non aveva ancora pranzato, ma si rendeva conto di non avere più fame. L’inquietudine che la rodeva sembrava cancellare tutte le altre funzioni fisiologiche.
“Mahmoud,” pensò. “Cos’è che sta succedendo?”
Bronzelius l’aveva pregata di contattarlo nel caso in cui Mahmoud si fosse fatto vivo. Che forse avrebbe potuto semplificare le cose. Aveva detto che la Säpo era convinta che si trattasse di un equivoco. Che con ogni probabilità tutto ciò che occorreva era che Mahmoud si presentasse e spiegasse ciò che era successo. Che probabilmente avrebbero potuto risolvere la faccenda in maniera informale.
Gabriella sospirò. Non sapeva più che cosa credere. Di per sé era un enorme sollievo che la polizia segreta lo ritenesse innocente.
Pesanti fiocchi di neve dicembrina caddero sui suoi capelli rossi mentre faceva i pochi passi che la separavano dall’ingresso di Lindblad & Wiman. Nubi scure incombevano sopra Djurgården e sul porto di Stoccolma. Finora, dicembre era stato davvero spietato.
Si sedette con un sospiro davanti al computer e cominciò a rispondere alle mail che non aveva avuto modo di esaminare in dettaglio sul Blackberry durante il tragitto in taxi dal tribunale. Ma non riusciva a concentrarsi e si abbandonò contro lo schienale della poltroncina. Le sue finestre alte si affacciavano su una rossa facciata settecentesca sul lato opposto di Ferkens Gränd.
Prese il cellulare e cercò di chiamare Mahmoud, così come aveva cercato di fare già decine di volte. Non riuscendo a mettersi in comunicazione, provò di nuovo con il numero di Klara, ma anche lì niente.
Diavolo. Che cosa stava succedendo?
“Perché mi sono ritrovato al telefono con un cardigan della Säpo nella mia già inesistente pausa pranzo, oggi?”
Gabriella trasalì e alzò gli occhi dal suo computer. Hans Wiman era fermo sulla soglia. I suoi intelligenti occhi grigi, ben noti da innumerevoli conferenze stampa trasmesse in televisione e talk-show mattutini, erano fissati su Gabriella. “Cardigan”, come tutti nello studio sapevano, era il soprannome che affibbiava a tutti quelli che appartenevano a gruppi professionali nei quali giacca e cravatta non erano obbligatori.
Wiman indossava sempre completi impeccabili. Zegna oppure Armani. Anche di sabato, aveva potuto constatare Gabriella durante i molti weekend in cui era stata costretta ad andare in ufficio per terminare oppure iniziare qualche pratica vecchia o nuova.
Il primo segnale del fatto che una carriera da Lindblad & Wiman si stava avvicinando alla conclusione, era se qualcuno aveva sentito Hans Wiman descrivere la persona in questione come un cardigan. Allora si trattava il più delle volte solo di settimane o di mesi, prima che l’interessato venisse a sapere che lui o lei non erano “materiale associativo”. Niente licenziamenti, non erano così privi di tatto in quello studio, ma un chiaro segnale del fatto che fosse tempo di cominciare a pensare a un piano B.
“La Säpo?” disse Gabriella.
Non era preparata a questa notizia. Fece una rapida valutazione mentale. Se la polizia segreta aveva parlato con Wiman, lui quasi certamente già sapeva che lei conosceva il “terrorista” o il “soldato delle forze speciali” – a seconda di quale giornale avesse letto – ricercato, Mahmoud Shammosh. Tanto valeva mettere le carte in tavola.
“Riguardo a Mahmoud Shammosh?” chiese.
“Riguardo a te, Gabriella,” rispose Wiman.
Non la mollava con lo sguardo. La cravatta rossa brillava nell’oscurità.
“Me?”
Deglutì. Se c’era qualcosa che poteva mettere a repentaglio una carriera, ebbene doveva senz’altro essere il diventare materia per un’inchiesta della Säpo. Wiman annuì. Sembrava godere nel vederla stressata. Era un test, o cosa?
“Un certo Bronzelius, mi sembra di ricordare. Ha menzionato di averti cercata in tribunale?”
Gabriella si schiarì la voce. Perché si sentiva colpevole? Lei non aveva fatto niente di male.
“È esatto. È venuto in tribunale stamattina e mi ha fatto delle domande su un mio amico. Mahmoud Shammosh. A quanto sembra, è ricercato per un omicidio in Belgio.”
“Il Dottor Morte,” disse Wiman.
Sulle sue labbra comparve di sfuggita un vago sorriso. Evidentemente, i giornali della sera avevano aggiornato la descrizione di Mahmoud al ritmo in cui avevano messo le mani su maggiori informazioni che lo riguardavano.
“A volte ci azzeccano, i giornali della sera.”
Gabriella non disse nulla, limitandosi ad annuire.
“Amici interessanti, quelli di cui ti circondi, Gabriella,” disse Wiman. “Un terrorista, dunque.”
Sembrava quasi assaporare il termine.
“Che cos’altro hai nel tuo passato? Rapinatori di banche, forse? Delinquenti comuni, stupratori?”
Gabriella arrossì. Non perché si vergognasse di essere amica di Mahmoud, ma perché la mancanza di tatto nel tono canzonatorio di Wiman la lasciava indignata. Dovette lottare con se stessa per non interromperlo.
“Voglio dire, più il tuo passato è interessante, meglio sarebbe per gli affari, non ti pare? Un sospetto terrorista in fondo rappresenta una potenziale miniera d’oro per un giovane avvocato. Soprattutto in un caso del genere. L’avvocato e il terrorista, amici fin dai tempi dell’università. Che poi prendono strade diverse per ricongiungersi alla fine in un lungo procedimento penale in chiave internazionale. I media faranno i salti di gioia. A prescindere da come vada a finire il processo, tu ti sei fatta un nome. E in questo ramo un nome è la cosa più importante di tutte.”
“Okay,” disse Gabriella. “Non sono sicura di capire. Dov’è che vuole arrivare, con questa storia?”
Si sentiva confusa. Wiman era senza dubbio un brillante avvocato difensore e un abile uomo d’affari. E come molti brillanti avvocati e uomini d’affari, aveva un’apparenza tirata a lucido che dava una sensazione d’imprevedibilità. E una freddezza emotiva polare.
“Voglio dire che è nel nostro, nel tuo, interesse metterti in contatto con il tuo amico terrorista. Non appena riuscirai a stabilire il contatto, dovrai fare in modo che ti nomini immediatamente suo avvocato, in modo che la Säpo non possa più porti domande imbarazzanti. Il segreto professionale dell’avvocato naturalmente non vale prima che lui sia tuo cliente, come forse ricorderai dai tuoi studi.”
Gabriella si sentiva seriamente irritata. Non aveva certo bisogno che le ricordassero le regole più basilari della professione forense. Ma al tempo stesso si sentiva sollevata. Non solo perché la faccenda della Säpo poteva persino non rappresentare uno svantaggio per lei personalmente, ma anche perché forse aveva addirittura la possibilità di aiutare Mahmoud con il beneplacito del suo capo.
“Quando il contatto sarà stabilito,” continuò Wiman, “e non dubito che accadrà in un prossimo futuro, dovrai fare in modo di riportare Shammosh in Svezia. È un presupposto, no, se non sei membro dell’ordine belga degli avvocati, e abilitato a Bruxelles, intendo? Una volta che il tuo amico sarà qui, faremo in modo che si tenga nascosto per un po’, per massimizzare l’esposizione. Alla fine dovrà essere riconsegnato ai belgi, è chiaro. E allora lo aiuteremo appoggiandolo a uno studio di Bruxelles…”
“Massimizzare l’esposizione,” lo interruppe Gabriella alla fine.
Non riusciva proprio più a trattenersi.
“Sta dicendo che questa è una pura e semplice possibilità di PR per lo studio, nient’altro? È del mio amico, che stiamo parlando. E anche a prescindere da questo, lui è innocente. Santo Iddio, dovrebbe essere questo a interessarci, o sbaglio?”
Wiman scosse la testa e stirò di nuovo le labbra in quel suo sorriso tagliente.
“Gabriella, io apprezzo il tuo – come dire? – idealismo? La tua lealtà?”
Pronunciava le parole a mo’ di domande, come se il loro significato gli fosse sinceramente sconosciuto.
“Esistono diversi generi di casi, Gabriella. Ci sono casi che dobbiamo vincere per essere visti, per crearci un nome, e poi ci sono casi dove è sufficiente che partecipiamo. Dove forse alla fine è meglio se non vinciamo. Casi dove si può dire che il pareggio è da preferire. Tu le definisci possibilità di PR. Sì, forse. La professione di avvocato è un business. Se vuoi occuparti di giustizia allora forse ti sentiresti più a tuo agio con i cardigan del tribunale.”
Gabriella fece un respiro profondo. Adesso era pericolosamente vicina a essere equiparata ai cardigan. Non era mai un bene.
“Inoltre, questa non è solo una possibilità di PR per lo studio, è una possibilità di PR per te. Questo potrebbe diventare un caso determinante per la tua carriera. È in circostanze come queste che nascono le stelle. E in più hai anche la possibilità di aiutare il tuo amico. È una situazione win-win, Gabriella. Non perde nessuno.”
Contro che cosa c’era da protestare, in fondo? Ciò che diceva Wiman comportava che lei avrebbe avuto una possibilità ufficialmente sancita di aiutare Mahmoud. Se poi dipendesse dal fatto che Wiman voleva che lo studio fosse in evidenza nei media oppure no, non aveva questa grande importanza. Win-win. Gabriella inghiottì il gusto amaro che il gelido monologo di Wiman le aveva lasciato in bocca.
“Suona bene,” disse. “A patto che lui si faccia vivo.”
“È molto probabile che lo farà. Tienimi aggiornato. Voglio seguire questa vicenda da vicino. Se dovessero occorrere dei nascondigli, credo che saremo in grado di provvedere. E quando comincerà a esserci tempesta, delegheremo le tue faccende di routine ai colleghi. Saranno solo contenti di fatturare qualcosa di più.”
Gabriella annuì e pensò che presto i suoi colleghi avrebbero avuto motivo di amarla ancora meno di quanto probabilmente facessero già.