ATTO QUINTO
SCENA I
Atene, il palazzo di Teseo
Entrano TESEO, IPPOLITA, FILOSTRATO e seguito
IPPOLITA —
Teseo, mio caro, trovo molto strano
quello che ci raccontan questi amanti.
TESEO —
Più strano che reale, anche per me.
Io non saprò mai credere
a queste vecchie favole grottesche,
né a certe amenità di fantasia.
Gli innamorati sono come i pazzi:
hanno sempre il cervello in gran bollore,
ed una fantasia così feconda
da riuscire a concepir più cose
di quante la ragione loro, a freddo,
si mostra poi disposta ad accettare.
Pazzo, amante, poeta: tutti e tre
sono composti sol di fantasia.
Il primo vede sempre più demoni
di quanti ne contenga il vasto inferno;
l'innamorato, tutta frenesia,
sa ravvisar perfino in una etiopenota
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la venustà d'un' Elena di Troia;
il poeta, volgendo gli occhi intorno,
come rapito in un dolce delirio,
può contemplare la terra del cielo
e il cielo della terra, e la sua penna,
così come l'estrosa sua inventiva
sa dare corpo a ciò che non conosce,
lo ferma, conferendo a un vuoto nulla
una concreta dimora ed un nome.
L'estroso immaginare ha tali trucchi
che se soltanto vagheggia una gioia,
se ne crea pure l'oggetto e l'origine.
E così se talvolta nella notte
sente d'aver paura, facilmente
può scambiare un cespuglio per un orso.
IPPOLITA —
Ma quello che è successo, a udir
costoro,
la scorsa notte, e come le lor menti
siano state stravolte tutte insieme,
testimonia che in tutta la vicenda
ci dev'essere qualche cosa in più
che pure immagini di fantasia,
qualche cosa avviata a prender corpo
e, per quanto assai strano e prodigioso,
consistenza d'autentica realtà.
TESEO —
Eccoli, i nostri quattro innamorati,
traboccanti di gioia e d'allegria.
Entrano LISANDRO, DEMETRIO, ERMIA ed ELENA
Felicità, gentili amici, a tutti!
Gioia e giorni d'amore sempre freschi
accompagnino sempre i vostri cuori.
LISANDRO —
Più che sui nostri, possan tali giorni
vegliare sopra i vostri augusti passi,
sopra la vostra mensa e il vostro talamo.
TESEO —
Suvvia, dunque, con quali mascherate
e quali danze vogliam consumare
il lungo intercalare di tre ore
tra il levar delle mense questa sera
e il momento di guadagnare il letto?
Dov'è il nostro maestro delle feste?
Quali trattenimenti ha predisposto?
Non ci sarebbe una qualche commedia
ad allietarci il tedio dell'attesa?
Chiamatemi Filostrato.
FILOSTRATO —
Son qui presente, possente Teseo.
TESEO —
Dimmi che passatempi tieni in serbo
per questa sera? Spettacoli? Musiche?
Come ingannare questo pigro tempo,
se non con qualche lieto diversivo?
FILOSTRATO —
Ecco un breve sommario
dei vari passatempi preparati.
(Gli porge un foglio)
TESEO —
(Legge)
“La cruenta
battaglia coi Centauri
“cantata sulla cetra
“da un eunuco d'Atene.”
Questa no.
L'ho raccontata io stesso all'amor mio
nel raccontarle le gloriose gesta
d'Ercole, mio parente.nota
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(Legge)
“L'orgia delle
Baccanti
“che nella loro furibonda ebbrezza
“straccian le carni del cantore tracio.”
Roba vecchia, L'ho vista recitare
quando tornai vittorioso da Tebe.
(Legge)
“Le nove Muse
in lutto per la morte
“della Cultura per denutrizione.”
Questa dev'essere una qualche satira,
di contenuto critico e pungente,
che non s'addice a una festa nuziale.
(Legge)
“La lunga e
breve istoria
“dell'amore del giovinetto Piramo
“per Tisbe: tragicissima allegria.”
Lunga e breve! Tragedia ed allegria!
Come dir ghiaccio caldo e neve ardente.
Come accordare un tale disaccordo?
FILOSTRATO —
Si tratta, mio signore, d'un lavoro
d'una diecina di parole in tutto,
ch'è il lavoro più corto ch'io conosca;
ma di dieci parole, mio signore,
è troppo lungo, il che lo fa noioso;
anche perché, non c'è per tutto il dramma
una sola parola al posto giusto
né un attore tagliato alla sua parte.
E tragico, mio nobile signore,
lo è, per via che Piramo, alla fine,
si uccide da se stesso; la qual cosa,
quando ho visto la prova generale,
lo confesso, m'ha fatto lagrimare;
ma eran lacrime che di più allegre
mai ne avevo versate dal gran ridere.
TESEO —
E chi sono, Filostrato, gli attori?
FILOSTRATO —
Mani callose, artigiani di Atene,
che mai hanno applicato prima d'ora
ad un qualche esercizio i lor cervelli,
e che oggi hanno messo a dura prova
le lor memorie mai esercitate
per imparare a mente questo dramma
per le tue nozze.
TESEO —
E noi lo ascolteremo.
FILOSTRATO —
No, mio nobil signore, non sia mai.
Non è roba per te; io l'ho sentita
da capo a fondo, e posso assicurarti
che non val niente, proprio niente al mondo;
salvo che tu non trovi divertenti
le lor buone intenzioni e i loro sforzi
e la crudel fatica a prepararsi
pel piacere di renderti servizio.
TESEO —
Voglio invece ascoltarlo, questo
dramma.
Non è mai roba da buttare via
quello che devozione e ingenuità
s'uniscono ad offrirti come omaggio.
Va', va', falli venire;
e voi, dame, prendete pure posto.
(Esce Filostrato)
IPPOLITA —
Non mi piace veder dei poveretti
sopraffatti dalle difficoltà;
e il loro zelo venire annientato
nell'atto stesso in cui viene applicato.nota
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TESEO —
No, no, dolcezza, non vedremo questo.
IPPOLITA —
Dice che in fatto di recitazione
essi non sanno far niente di buono.
TESEO —
E tanto più gentili noi saremo
nel ringraziarli per codesto niente.
Nostro spasso sarà cercar d'intendere
quello ch'essi fraintendono;
quando uno sforzo a nobil fine inteso
resta inferiore al suo proponimento,
è benevola nobiltà di spirito
guardare all'intenzione e non al merito.
Mi son trovato dove alti notabili
s'erano proposti di farmi accoglienza
con studiati indirizzi di saluto,
e li ho visti tremare, impallidire,
iniziare una frase ed interrompersi,
sentire il panico strozzargli in gola
il tanto esercitato loro eloquio,
e interrompersi, infine, all'improvviso,
senza potermi dare alcun saluto.
Eppure in quel silenzio,
credimi, cara, io colsi il benvenuto,
e in quel modesto, timoroso zelo
seppi leggere quanto avrei sentito
dalla lingua di certi personaggi
dal parlare condito e disinvolto.
Insomma, l'affettuosa ingenuità
d'un dire un po' impacciato, a mio giudizio,
dice molto di più senza parlare.
Rientra FILOSTRATO
FILOSTRATO —
Quando a te piaccia, grazioso signore,
il Prologo potrebbe incominciare.
TESEO —
Benissimo, si faccia avanti il Prologo.
Tromba. Entra COTOGNA nella veste di Prologo
PROLOGOnota 78 —
Se diremo qualcosa di offensivo,
lo facciamo con tutta l'intenzione.
Di far che voi possiate persuadervi
che non siamo venuti per offendere,
ma con tutta la buona volontà
di mostrarvi la nostra semplice arte
e il vero inizio della nostra fine
considerato che veniamo a voi
solo a vostro dispetto,
non già con l'intenzione di piacervi
noi siamo qui. Per il vostro diletto
noi siam venuti per farci sentire.
Gli attori è gente pronta e alla mano,
e dalla loro recita saprete
tutto quello che forse già sapete.
TESEO —
Sembra che questo povero buon diavolo
non ami molto la punteggiatura.
LISANDRO —
Difatti, ha cavalcato quel suo prologo
come a cavallo d'un puledro brado:
senza sapere più dove fermarsi.
C'è un vecchio detto, signore, che suona:
Parlar non basta, occorre parlar bene
.
IPPOLITA —
È vero, ha recitato questo prologo
come un bambino suonerebbe il flauto:
ne ha tratto il suono, senza modularlo.
TESEO —
Pareva una catena aggrovigliata:
niente di rotto, ma tutto in disordine.
Entrano, preceduti da un trombettiere come
nelle pantomime,
PIRAMO, TISBE, il MURO, il CHIAR-DI-LUNA e il LEONE
PROLOGO —
Gentili spettatori, questa vista
potrà forse lasciarvi un po' stupiti.
E stupitevi pur quanto volete,
finché la luce della verità
non vi faccia vedere tutto chiaro.
Se volete saperlo, questo è Piramo,
questa bellissima signora è Tisbe,
quest'uomo impiastricciato di calcina
è il Muro, il tristo Muro,
che s'erge a separare i due amanti;
ed è attraverso una crepa del Muro
che i due, povere anime,
s'accontentano di bisbigliar tra loro.
Del che nessun si faccia meraviglia.
Quest'altro, con in mano la lanterna,
e con il cane e il fascetto di rovi
rappresenta il notturno Chiar-di-luna.nota
79
Per cui, se proprio volete saperlo,
questi amanti non ebbero vergogna
di ritrovarsi, per fare l'amore,
alla tomba di Nino, al chiar di luna.
Questa mostruosa bestia,
che si chiama “leone”, fa fuggire
terrorizzata la fedele Tisbe,
giunta per prima al luogo del convegno,
nella notte; fuggendo, il suo mantello
ella lascia cadere, e il vil Leone
lo macchia con la bocca insanguinata.
Subito dopo sopraggiunge Piramo,
un giovane gentile e ben prestante,nota
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e trova dilaniato dal Leone
il mantello della fedele Tisbe;
onde con la sua lama,
con la sua lama sanguinaria e rea,
con un gesto di nobile coraggio
si squarcia il fervido sanguigno petto.
Tisbe, ch'era rimasta ad aspettarlo
sotto l'ombra d'un gelso, nel vederlo,
il suo pugnale trae, e si dà morte.
Per il resto, lasciate che il Leone,
il Chiar-di-Luna, il Muro e i due amanti
vi dican tutta intera la vicenda,
quando si troveranno sulla scena.
(Escono tutti, meno il Muro)
TESEO —
Mi chiedo se il Leone parlerà.
DEMETRIO —
Non ci sarebbe da meravigliarsi,
signore, se parlasse anche un leone,
visto che son tanti asini già a farlo.
MURO —
Accade, dunque, nel nostro interludio,
che il sottoscritto, di nome Nasone,
debba rappresentare il Muro; e il Muro,
come vorrei che voi l'immaginaste,
ha in se stesso una crepa, una fessura
attraverso la quale, in gran segreto,
Piramo e Tisbe, i due innamorati,
usano bisbigliarsi tra di loro;
questa calce, l'intonaco e il mattone
vi facciano pensare che quel muro
son io, come se fosse un muro vero.
E questa, a destra e a manca, è la fessura
attraverso la quale, trepidanti,
i due giovani vanno a bisbigliarsi.
TESEO —
Un impasto di calce e di terriccio
non si saprebbe presentare meglio.nota
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DEMETRIO —
È il più arguto dei muri divisori
ch'io abbia mai sentito, mio signore.
Entra PIRAMO
PIRAMO —
“O fosca
notte, o notte tanto notte!
“O notte che ti mostri sempre notte
“quando giorno non è. O notte, o notte!
“Ahimè, ahimè, che la mia Tisbe amata
“della promessa, temo, s'è scordata!
“E tu, muro, mio dolce, muro amato,
“che a divider la terra sei levato
“del padre suo e mio,
“fammi veder la tua fessura, ond'io
“possa veder per essa l'amor mio.”
(Il Muro alza la mano e apre le dita a “V”)
“Grazie, muro
cortese. Del tuo zelo
“ti renda merito Giove dal cielo.
“Ma che vegg'io?… Tisbe non veggio, ahimè,
“muro cattivo, che attraverso te
“gioia mi porti. Muro maledetto,
“che non mi mostri l'amor mio diletto!”
TESEO —
Ora il muro, secondo me, dotato
anch'esso di sensibile natura
dovrebbe rimbeccargli l'invettiva.
PIRAMO —
No, signore, per dir la verità,
lui non dovrebbe rimbeccar nessuno.
Le sue parole l'amor mio diletto
devono dare l'imbeccata a Tisbe;
infatti tocca a lei d'entrare in scena,
e a me spiarla di traverso il muro.
Succederà, vedrai, proprio così,
come t'ho detto: eccola che viene.
Rientra TISBE
TISBE —
“O muro,
quanti mai lamenti amari
“m'hai tu sentito gemere, perché
“da Piramo mio dolce mi separi!
“Questo mio labbro di ciliegia, ahi lasso,
“quante volte ha baciato
“questo concreto tuo di calce e sasso!”
PIRAMO —
“Vedo una
voce: alla fessura tosto
“per vedere ed udir Tisbe m'accosto.
“Tisbe, sei là?”
TISBE —
“Sei l'amor mio mi pare?”
PIRAMO —
“Ti paia quel
che vuol tua vista e udito,
“dell'amor tuo io sono il favorito.
“fedele a te come lo fu Lemandro.”nota
82
TISBE —
“Io com'Elena
nota
83
“a te, mio dolce amato,
“fino a tanto che non m'uccida il Fato.”
PIRAMO —
“Tanto fido non fu Cefalo a Procri.”nota 84
TISBE —
“Né Procri a Cefalo, com'io a te.”
PIRAMO —
“Oh, baciami
attraverso la fessura
“di questo vile muro.”
TISBE —
“La
fessura
“bacio del muro, ma non bacio te.”
PIRAMO —
“Verresti ad
incontrarmi sull'istante
“di Ninì alla tomba?”
TISBE —
“Immantinente,
“e con me vita o morte, dolce amante.”
(Escono Piramo e Tisbe)
MURO —
Così io, Muro, ho fatto la mia parte,
e, ciò finito, il Muro se ne parte.
TESEO —
Ed ora il muro è come raso al suolo
fra i due vicini.
DEMETRIO —
Era inevitabile,
signore, quando i muri son sì pronti
ad origliare senza darne avviso.
IPPOLITA —
È senz'altro la roba più puerile
che mi sia mai occorso di sentire.
TESEO —
Il meglio, in questo genere di cose,
sta sempre in ombra, e il peggio non è peggio
se ci soccorre un po' di fantasia.
IPPOLITA —
Già, ma in tal caso a figurarci il
meglio
siamo noi, con la nostra fantasia,
non essi con la loro.
TESEO —
Con la nostra,
basta che riusciamo a immaginare
ch'essi non sian peggiori recitanti
di quanto si ritengano essi stessi,
e possono apparirci ottimi attori.
Ecco venire due nobili bestie,
un uomo ed un leone.
Rientrano il LEONE e CHIAR-DI-LUNA
LEONE —
“Voi, dame,
voi, il cui nobile cuore
“si spaventa a vedere il topolino
“mostruosetto che striscia sul piancito,
“potrete forse fremere e tremare
“adesso qui, quando il leon selvaggio
“ruggire udrete, tutto inferocito.
“Sappiate allora che a ruggir così
“son io stesso, Conforto, stipettaio,
“con addosso una pelle di leone,
“e nemmeno madama leonessa;
“ché se fossi venuto innanzi a voi
“come un vero leone ad azzuffarmi,
“povera vita mia!”nota
85
TESEO —
Questo leone
è bestia assai gentile e coscienziosa.
DEMETRIO —
Il meglio come bestia, mio signore,
che mi sia mai occorso di vedere.
LISANDRO —
Un leone, però, che per coraggio
pare proprio una volpe.
TESEO —
Questo è vero;
e pare un'oca per la discrezione.
DEMETRIO —
No, mio signore, perché il suo
coraggio
non può portarsi via la discrezione,
mentre una volpe può papparsi un'oca.
TESEO —
È vero. Certo, la sua discrezione
non si può portar via il suo coraggio;
è anche vero, tuttavia, che l'oca
non riesce a portarsi via la volpe.
Ma lasciamolo alla sua discrezione
e sentiamo quel che ha da dir la luna.
CHIAR-DI-LUNA —
“Ecco, questa
lanterna
“rappresenta la bicornuta luna.”
DEMETRIO —
Avrebbe fatto meglio, quello lì,
a mettersele in capo, le due corna.
TESEO —
Sarà perché non è luna crescente,
e le corna ci sono, ma invisibili,
nascoste nella sua circonferenza.
CHIAR-DI-LUNA —
“Questa
lanterna vuol rappresentare
“la biforcuta luna…”
TESEO —
Ah, questo no,
questo è l'errore più grosso di tutti.
L'uomo dovrebbe star nella lanterna,
se no, che Uomo-della-Luna è?
DEMETRIO —
Non osa entrarvi, perché la candela,
come vedi, si viene smoccolando.
IPPOLITA —
Di questa luna ormai ce n'ho
abbastanza.
Non si potrebbe cambiare soggetto?
TESEO —
A sentir la sua poca brillantezza,nota
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sembra che sia nella fase calante;
comunque, per dover di cortesia,
ci converrà aspettare.
LISANDRO —
Avanti, Luna!
CHIAR-DI-LUNA —
“Tutto quel
che ho da dir nella mia parte
“è di avvertirvi che questa lanterna
“è la luna; io l'Uomo-della-Luna;
“questo fascio di rovi
“il rituale mio fascio di rovi,
“questo cane, il mio cane.”
DEMETRIO —
Già, soltanto che tutte queste cose
dovrebbero star dentro alla lanterna,
s'è roba che ha da stare nella luna.
Ma silenzio, che sta arrivando Tisbe.
Rientra TISBE
TISBE —
“L'antica
tomba è questa di Ninì,
“ma l'amor mio, ahimè, non vedo qui!”
LEONE —
(Ruggendo)
“Ahum! Ahum! Ahum!”
(Tisbe scappa, e nella fuga perde il manto)
DEMETRIO —
Ben ruggito Leone! Molto bravo!
TESEO —
E brava Tisbe, ben fuggita anch'essa!
IPPOLITA —
Bene anche Chiar-di-Luna. Questa luna
non poteva brillare con più grazia.
(Il Leone dilacera con le fauci il manto di Tisbe)
TESEO —
Ben lacerato, Leone! Perfetto!
DEMETRIO —
E poi comparve Piramo…
LISANDRO —
E scomparve il leone.
Entra PIRAMO
PIRAMO —
“Grazie a te,
dolce luna,
“e il cielo coi tuoi raggi tutto incendi.
“Grazie al tuo raggio fervido abbagliante
“spero discerner Tisbe, la mia amante.”
(Vede il manto di Tisbe a terra, insanguinato)
“Ma oh, fato
funesto,
“qual rio destino è questo!
“Oh, Piramo meschino,
“qual mio tristo destino!
“Occhi miei, lo vedete?
“Possibile il credete?
“Oh, mia dolce anatrella,
“come!, la tua mantella
“qui la mia vista avvisa
“tutta di sangue intrisa!…
“O Furie, o Parche dire,
“vogliate a me venire,
“il mio stame a tagliare,
“schiacciare, calpestare,
“finire e maledire!”
TESEO —
Codesti appassionati piagnistei,
e la morte d'una persona cara,
va a finir che ti metton la tristezza.
IPPOLITA —
Maledetto sia pur questo mio cuore,
ma quell'uomo m'ispira compassione.
PIRAMO —
“Oh, Natura,
perché
“i leoni hai creato?
“Perché un vile leone
“qui stuprare dové
“l'amor mio adorato,
“quella che è… che fu
“la più leggiadra dama ch'abbia amato,
“e sorriso quaggiù?”
“Venite, lacrime, ed affogatemi.
“Fuori, mia spada, dalla tua cella,
“scendi di Piramo nella mammella,
“dove il suo misero cuore saltella.”
(Si trafigge)
“Così io muoio,
“e così sia!…
“Al ciel t'invola,
“anima mia,
“spegniti, voce,
“Luna, va' via!”
(Esce Chiar-di-Luna)
“Morto son
io,
“pietoso Iddio!
“Giunto al gran passo,
“misero, lasso!”
(Muore)
DEMETRIO —
Altro che lasso! Morto come un asso;
perché colui non val proprio di più!nota
87
LISANDRO —
Anche meno, direi, perché se è morto,
non val proprio più nulla.
TESEO —
Con l'aiuto d'un medico,
potrebbe tuttavia tornare in vita,
e da un asso così scoprirsi un asino.
IPPOLITA —
Com'è che il Chiar-di-Luna è andato
via
prima che Tisbe sia tornata indietro
in cerca dell'amante?
TESEO —
Lo scoprirà al chiarore delle stelle.
Eccola, e con la sua disperazione
si chiuderà la rappresentazione.
Rientra TISBE
IPPOLITA —
Penso non abbia troppo a disperarsi
per un Piramo come quello là.
Spero che il piagnisteo non duri a lungo.
DEMETRIO —
A volerli pesar su una bilancia,
Piramo e Tisbe, a veder chi sia meglio,
a farla tracollar da quella parte:
lui come uomo, che Dio ce ne liberi;
lei, come donna… Dio ci benedica!
LISANDRO —
L'ha già scorto, coi suoi occhietti dolci…
DEMETRIO —
E gli sussurra qualcosa. Sentiamo…nota 88
TISBE —
“Dormi, amor
mio? / Ah, che vegg'io!
“Che! Morte fella / t'ha a me strappato,
“mia colombella?
“Piramo amato, / sorgi, favella!
“Ah, più non m'ode! /quel viso glabro,
“questo di giglio / ridente labbro,
“questo leggiadro / suo sopracciglio,
“queste sue guance / sì colorite
“due melarance: ormai sfiorite,
“ahimè, finite!
“Eran sì belle / le sue pupille,
“col loro iride / verde-pisello!
“Sciogliete, amanti, / a mille i pianti!
“O Tre Sorelle / a me correte,
“le vostre pallide / mani tingete
“del sangue mio,
“poi che reciso / il filo avete
“voi della vita /dell'amor mio.
“Lingua, silenzio, non più parola;
“spada, tu sola / vieni e profonda
“nel cuor di Tisbe / tutta t'affonda!”
(Afferra la daga di Piramo e si pugnala)
“Amici, addio,
/ felici dì!
“Così finisce / Tisbe, così…”
(Muore)
Rientrano CHIAR-DI-LUNA e il LEONE
TESEO —
Chiar-di-Luna e il Leone
rimangono per seppellire i morti.
DEMETRIO —
Sicuro, ed anche il Muro.
BOTTONE —
No, il muro che i lor padri separava
dovete immaginar che sia crollato.
Vi piacerebbe, adesso, a conclusione,
veder l'epilogo qui sulla scena,
o gustarvi una danza bergamascanota
89
ballata da una coppia degli attori?
TESEO —
Niente epilogo; perché il vostro
dramma
non ha bisogno di domandar scuse.
Niente scuse, perché quando gli attori
son tutti morti, sono già scusati.
Eh, tuttavia, se la parte di Piramo
l'avesse recitata chi l'ha scritta
e si fosse impiccato col legaccio
da Tisbe usato come giarrettiera,
sarebbe stata una bella tragedia…
E tale è stata, comunque, in coscienza;
e molto egregiamente recitata.
Ma procediamo con la “bergamasca”,
l'epilogo lasciamolo da parte.
(Bottone e Flauto danzano una bergamasca, poi escono)
La ferrea lingua della mezzanotte
ha detto “dodici”:nota
90 amanti, a letto!
Sta per scoccare l'ora delle fate!
Tanto di più domani dormiremo
quanto abbiamo vegliato questa notte.
A letto, amici. Questa nostra festa
deve durare ancor due settimane.
Avremo ancora tempo
per altre danze e notturni diletti.
(Escono tutti)
Entra PUCK con una scopa in mano
PUCK —
“Rugge il
leone nella notte bruna,
“ulula il lupo al volto della luna;
“russa in pace lo stanco contadino,
“arde l'ultima brace nel camino,
“stride all'inferno a letto il barbagianni
“a lui presagio di futuri affanni;
“l'ora notturna è questa in cui leggeri
“vagan gli spettri sui muti sentieri
“uscendo dalle tombe scoperchiate
“liberi, ad aleggiare per le strade.
“E noi, fatati spirti d'ogni sorta
“che al carro d'Ecate facciamo scorta,
“sempre fuggendo il raggio dell'aurora,
“il buio essendo la nostra dimora,
“come sognando siam lieti e contenti;
“nessun topo in quest'ora
“a disturbarci la casa s'attenti.
“Innanzi agli altri io sono qui mandato
“a spazzar via, di questa scopa armato,
“la polvere dell'uscio inchiavardato.”
Entrano OBERON, TITANIA e loro seguiti
OBERON —
“Pur se stia
morendo il fuoco,
“si ravvivi, a poco a poco,
“della casa in ogni loco
“un altissimo bagliore.
“Elfi e fate, in gran fervore
“su, balzate, saltellate,
“come uccelli svolazzate,
“con le più lievi volute
“a me intorno volteggiate.”
TITANIA —
“Rinnovate
danze e suoni,
“tutti i versi sian canzoni,
“tra volteggi e capriole
“intrecciate le carole,
“e col nostro dolce canto
“diffondiamo qui l'incanto.”
(Canto e danze)
OBERON —
“Ora, fino
all'aurora
“ciascun di voi potrà
“vagare in libertà
“per quest'erma dimora.
“Per prima benedetto
“sia della sposa il letto:
“ch'abbia vita felice ed onorata
“quanta famiglia vi sia generata,
“e siano nell'amore sempre unite
“le tre coppie assortite,
“sulla lor prole mai della Natura
“la mano possa imprimer la jattura
“di quegli odiosi segni del destino
“quali una voglia o un labbro leporino.
“Fate ed elfi, ciascun per la sua strada,
“a spruzzar la sua magica rugiada
“per ogni sala, vano, rientranza,
“sì che la dolce pace vi abbia stanza,
“e possa il suo signore, benedetto,
“vivere sempre in pace e in diletto.
“All'opra, dunque, datevi dattorno,
“e tornate da me prima di giorno.”
(Escono Oberon, Titania e loro seguiti)
PUCK —
Se noi ombre vi siamo dispiaciuti,
immaginate come se veduti
ci aveste in sogno, e come una visione
di fantasia la nostra apparizione.
Se vana e insulsa è stata la vicenda,
gentile pubblico, faremo ammenda;
con la vostra benevola clemenza,
rimedieremo alla nostra insipienza.
E, parola di Puck, spirito onesto,
se per fortuna a noi càpiti questo,
che possiamo sfuggir, indegnamente,
alla lingua forcuta del serpente,nota
91
ammenda vi farem senza ritardo,
o tacciatemi pure da bugiardo.
A tutti buonanotte dico intanto,
finito è lo spettacolo e l'incanto.
Signori, addio, batteteci le mani,
e Robin v'assicura che domani
migliorerà della sua parte il canto.nota
92
FINE