CAPITOLO 25
La casa di Des McKnight si trovava solo a qualche chilometro dalla mia nuova casa, in una stradina graziosa con edifici pittoreschi e giardini curatissimi. Tyler era arrivato al mio appartamento con largo anticipo, ma io indugiavo nel prepararmi, finché alla fine non aveva insistito perché uscissimo. Eravamo diretti alla festa per la futura nascita del bambino di Jasper e sua moglie. Una festa che senza dubbio sarebbe stata piena di personale ospedaliero, una moltitudine di cugini di Gabby e Hilary e Dio solo sapeva chi altro.
Non avrei avuto problemi. Sarebbe andato tutto bene. Ma la verità era che ero nervosa da morire all’idea di andare a quella festa. Non riuscivo a immaginare che ci fosse qualcuno a Bell Harbor che non sapesse di noi. Avevano senz’altro già discusso della mia vita privata. Ma essere l’oggetto di pettegolezzi era una cosa. Percorrere con audacia insieme il red carpet davanti a tutti i paparazzi di Bell Harbor era qualcosa di completamente diverso. Stavo per fare una dichiarazione pubblica. Sì, ero ufficialmente legata a Tyler Connelly. Il suo ultimatum di circa due settimane prima aveva consolidato quel fatto.
Eravamo sui gradini di mattoni quando la porta della casa del dottor McKnight si aprì e una graziosa ragazzina ci sorrise dall’altro lato. «Siete qui per la festa del bambino?»
«Sì. È il posto giusto?» chiese Tyler.
«Sì.» La ragazzina annuì, facendosi ricadere sul volto un’onda di riccioli. «Io sono Paige. Entrate.»
Individuai subito la signora Baker. Ovvio che fosse lì. Sarebbe diventata presto nonna. Il vaporoso vestito di chiffon rosa chiaro che indossava sembrava essere stato gonfiato con una macchina per lo zucchero filato. Des era accanto a lei, con in braccio un bimbo minuscolo. Il mio cuore fece un saltello, una capriola e un tuffo. Non perché lui fosse attraente, anche se lo era, ma per il dolce fagottino tra le sue braccia. Un prezioso McKnight junior tutto accoccolato nella curva del suo gomito. La graziosa brunetta accanto a lui doveva essere sua moglie, Sadie. Fontaine me l’aveva nominata diverse volte, dicendo che lavoravano insieme quando lei non si stava – come si era espresso lui – riproducendo. Anche lei aveva un bambino in braccio.
Gemelli. Oh sì, certo. Dody mi aveva parlato di gemelli. Il mio utero suonò un gong tibetano, facendo riverberare quel particolare suono profondo nella cavità del mio addome. Ultimamente avevo zittito ogni pensiero sui bambini, sapendo che il piroscafo Fertilità stava salpando senza di me. Da quando avevo arrestato la mia caccia al marito, il sogno illusorio della maternità stava sbiadendo. Con una certa fatica da parte mia.
«Evelyn, ciao, carissima!» Fontaine ci venne incontro, indossava pantaloni bianchi e una camicia a righe lavanda. «Come stai, tesoro?» Mi sfiorò entrambe le guance con un rapido bacio e poi fece un passo indietro. «Oh! E come stai tu?» La sua voce divenne roca e si abbassò di due ottave quando scorse il mio accompagnatore.
Tyler stava particolarmente bene quella sera, con la camicia di lino blu e i pantaloni cachi. Il mio arredatore approvava.
«Fontaine, questo è Tyler.»
«Sì, lo so.» Sorrise con aria da psicopatico, poi mi si avvicinò e sussurrò: «Oh là là, piccola panterona fortunata».
Oh no. Ero una panterona?
Fontaine mi afferrò il polso e mi trascinò all’interno della casa. «Ti piace quello che ho realizzato qui? Dimmi che lo adori. Io e il mio socio facciamo anche decorazioni per feste. Devi lasciarci organizzare la prima soirée nella tua casa nuova. A proposito, i mobili arriveranno da un giorno all’altro. Quando vuoi trasferirti?»
«Appena possibile. È un secolo che aspetto.»
«Lo so, bambina. Sto facendo il prima possibile, ma non si può mettere fretta al mio genio artistico.»
Facemmo un altro passo e vidi… del rosa. Montagne e montagne di rosa. Vivaci vasi rosa, fiori cremisi, palloncini color ciliegia, persino paralumi porpora. Era come se in quella stanza avessero vomitato Barbie e tutte le sue amiche.
«È notevole» commentai.
«Oh cielo! Quella è la mia dottoressa Rhoades?»
Una voce melodrammatica fendette il tranquillo brusio della conversazione quando la signora Baker si voltò e mi vide. Si mosse come un tornado vaporoso, venendo dritta verso di noi.
«Oh, è una vera delizia vederti, cara. Fontaine, tesoro, porta alla dottoressa Rhoades e al suo accompagnatore un po’ di quel punch delizioso.»
«È bello vederla, signora Baker.»
«Sciocchezze, chiamami Dody. Non siamo formali da queste parti. E chi è questo ragazzo incantevole?» Aprì con uno scatto un ventaglio di plastica e iniziò a sventolarlo verso le guance arrossate mentre con lo sguardo vagava su Tyler come se lui fosse una pin-up.
Lui fece il suo sorriso da seduttore, vale a dire il suo sorriso normale, di ogni giorno. «È un vero piacere conoscerla. Sono Tyler.»
«Oh, ma sì. So chi sei. Ti ho visto al ristorante di Jasper. Sei davvero molto bello.»
Lui arrossì in maniera adorabile. Io e lei andammo quasi in deliquio all’unisono.
«La ringrazio, signora Baker» rispose lui.
«Oh, perbacco. Chiamami Dody. O chiamami, magari.» Si portò una cornetta immaginaria all’orecchio e Tyler rise.
Fontaine tornò con dei bicchieri di punch rosso ciliegia. Stavo per chiedere se fosse un daiquiri alla fregola, ma immaginai la conversazione virare immediatamente verso una direzione pericolosissima. Bevetti invece un sorso e mi guardai intorno. Dovevano esserci circa trenta persone che chiacchieravano e ridevano, e la maggior parte di loro aveva in braccio dei bambini a vari livelli di crescita. Alcuni piccolissimi, altri più grandi, altri che si dimenavano o che dormivano.
«Non mi hai detto che questa festa era PITB» sussurrai a Tyler.
«PITB?»
«Sì, Porta Il Tuo Bambino.» D’un tratto mi sentivo a mani vuote e fuori posto. Avrei dovuto immaginare che una festa per un nascituro a Bell Harbor sarebbe stata piena di bambini.
«Hai incontrato mia nipote? Vieni a conoscere mia nipote.»
Dody mi tirò per il braccio, facendomi quasi rovesciare il punch mentre ci facevamo largo tra gli invitati. Tyler ci seguì, con un sorriso divertito sul volto.
Se Des McKnight fu sorpreso di vedermi, non lo diede a vedere. Anche sua moglie mi accolse con un sorriso cordiale.
«Guarda chi ho trovato.» La voce cantilenante di Dody risuonò tra i presenti. Sarebbe stata una brava banditrice d’asta.
«Evelyn, ciao» disse Des. «Tyler. Sono contento che ce l’abbiate fatta.»
Tyler arrossì mentre si stringevano la mano, e mi resi conto che in precedenza si erano incontrati in circostanze meno propizie, quando Des l’aveva curato al pronto soccorso. I modi di Des, però, non lasciavano intendere che ci stesse pensando.
«Grazie per averci invitati» rispose Tyler.
«Per noi è un piacere.» Des si protese in avanti. «Vi prego, sappiate che casa nostra di solito non è così rosa. Fontaine ha voluto tutto a tema e non c’è modo di opporsi a lui.»
Sadie annuì. «Mio cugino era incaricato delle decorazioni. Non giudicateci.»
Non giudicarli? Annuii e sorrisi, sentendomi già più a mio agio. Infilai il braccio sotto quello di Tyler. «Ho visto Fontaine all’opera. È tenace con i suoi motivi decorativi. Pensa che la mia camera da letto debba sembrare l’harem di un sultano.»
«Be’…» Dody si avvicinò. «Penso che l’effetto sia delizioso. Un sacco di rosa per una bambina. Avranno una bambina, lo sapevi? Un’altra bimba come queste due bellezze.» Indicò le gemelle. «Questa è Shelby e quella è Sydney.» Poi si grattò la testa con foga. «Oh, oppure quella è Sydney e questa Shelby? Non le distinguo mai.»
«Io ho Shelby» rispose Des. Poi guardò sua moglie. «Giusto?»
Lei gli diede uno schiaffetto per gioco. «Smettila di fingere di non saperle distinguere. Non è divertente.»
Lo sguardo di Des mi rivelò che non stava scherzando. Nascosi il sorriso dietro un sorso di punch.
«La dottoressa Rhoades mi opererà presto, ma ovviamente lo sapete già. Non sono fortunata ad avere il miglior chirurgo di Bell Harbor?»
«È molto gentile, Dody, ma sono sicura che ci siano tantissimi ottimi chirurghi in città» risposi.
«Oh, sciocchezze. So quanto sei brava. Non c’è bisogno di deflorare se stessi.»
Des scoppiò a ridere e Sadie trasalì. Udii Tyler ridacchiare accanto a me.
«Penso tu voglia dire deplorare se stessi, mamma» gridò Fontaine da dietro di lei.
«Davvero? Perché? Che cosa ho detto? Oh santo cielo! Quella maledetta Anita Parker sta rubando tutti i biscotti alla menta. Anita!»
Dody si precipitò in missione. Un vortice di tessuto rosa.
«Allora, quanto hanno queste due?» chiese Tyler, stringendo un piedino paffutello.
«Quasi cinque settimane. E stanno ancora sveglie tutta la notte» rispose Sadie.
«Immagino che con delle gemelle tu abbia le mani sempre occupate.» Annuì come se la sapesse lunga sui bambini.
«Sì» confermò lei, «ma i nostri più grandi ci aiutano.»
Des ridacchiò. «L’aiuto è relativo. L’altro giorno nostro figlio voleva mettere le bambine nel suo carretto e portarle in giro dietro la bicicletta. L’ho fermato appena in tempo.»
Sadie rise. «E io dov’ero?»
«Ti stavi facendo la doccia. È finito tutto abbastanza in fretta.»
Lei si premette una mano contro il viso con finto imbarazzo. «Non sono più così sveglia come un tempo. Due neonate ora sono molto più impegnative di quando erano piccoli gli altri miei due bambini. Dieci anni in più fanno una gran differenza.»
Dieci anni in più. Sembrava avere all’incirca la mia età. Visto? Ero già troppo vecchia per un bambino.
«Era tua figlia quella che ci ha aperto la porta?» chiese Tyler.
Des annuì. «Quella è Paige. È brava a intrattenere gli ospiti quanto Fontaine. E a proposito di intrattenere gli ospiti, devo ammettere che questo punch è terribile. Tyler, vuoi una birra? Vieni in veranda con me per riuscire a sfuggire a tutto questo rosa. Penso che Jasper si sia già nascosto lì.»
«Fuori è troppo caldo per la bambina» disse Sadie, indicando con un cenno la mini-McKnight tra le braccia del marito.
Des mi guardò con aria speranzosa. «Vorresti tenerla tu?»
Tenerla io? La bambina? Se volevo tenere la bambina? Fu quello che disse, ma io sentii: “Vorresti saltare da questo aereo senza paracadute?”.
«Ehm, certo.»
Tesi le braccia come se mi stesse passando un porcospino. I suoi movimenti erano disinvolti, rilassati. Evidentemente si fidava delle mie capacità, anche se io no. Ma… Oh santo cielo! E se l’avessi fatta cadere? E se avesse pianto? E se tutti avessero capito che non toccavo una di quelle cose dai turni in pediatria dell’internato? Che era stato un sacco di tempo prima.
Tuttavia, un’ondata di calore mi pervase non appena la toccai, sistemandomela in braccio. La bambina mi guardò, il ritratto della serenità. Come se sapesse già quanto fossi inesperta e mi stesse promettendo in silenzio che mi avrebbe reso tutto facile.
E fu facile. Molto facile. Sensazioni materne mi svolazzarono intorno al cuore come farfalle in primavera, solleticandomi solo un po’. Era bella, calda e veniva voglia di strizzarla. Profumava di talco per bambini e paradiso. Il mio utero ululò come un coyote solitario.
Maledizione. Ne volevo uno. Lo volevo, lo volevo davvero.
La mia occhiata a Tyler fu involontaria.
Lui guardò la bambina.
Poi me.
Poi guardò di nuovo la bambina, come se fosse un vaso di Pandora in procinto di aprirsi. E forse lo era.
Le sue guance si infiammarono.
Des gli diede una pacca sulla schiena e soffocò una risata divertita. «Hai bisogno di una birra.»
Non era una domanda e Tyler si voltò e se ne andò senza guardarmi di nuovo negli occhi.
«Quella che hai tu è Shelby» spiegò Sadie quando gli uomini se ne andarono. «Questa è Sydney. Hai figli?»
L’inevitabile vampata alle guance si impossessò del mio viso mentre iniziavo a balbettare. «Io? No. Non ancora. Voglio dire, be’, no. Penso di aver perso l’occasione.»
Lei girò la bambina con fare esperto e le diede delle pacche delicate sulla schiena. «Perché?»
«Ho trentacinque anni.» Mostrai la mano sinistra. «Niente marito. Ce ne vuole uno, nel quadretto.»
«Comprensibile. Hai ancora tempo, però. Io ho trentasei anni ed è andato tutto bene con queste due.»
«Sì, solo che non mi sembra probabile.»
Guardai fuori in veranda, dove gli uomini ridevano e parlavano gesticolando animatamente intorno a un barilotto di birra. Tyler sembrava parecchio più rilassato di quando mi fissava con la bambina in braccio. Capivo la sua reazione. Sapeva che ne volevo uno. Non l’avevo tenuto segreto. E non era colpa mia se tenerla in braccio aveva suscitato una reazione chimica primordiale in ogni cellula materna del mio corpo, facendomi ondeggiare come un metronomo umano.
Sadie seguì il mio sguardo e rimanemmo in silenzio per un momento.
Quando si voltò verso di me, aveva un sorriso sincero. «Sai, non ci sono molti segreti in questa città.»
L’osservazione mi fece ridere. «Sì, l’ho imparato.»
«Sì. Be’, per quel che vale, qui pensano tutti che Tyler sia proprio un bravo ragazzo.»
Lo era. Non si poteva negarlo. Tyler Connelly era un bravo ragazzo.
«Sì, lo è» risposi infine. «E molto dolce. Ha anche otto anni meno di me. Che cosa si dice di questo in città?»
Il sorriso di Sadie si allargò. «Si dice che probabilmente te la stai spassando alla grande.»