L’incerto futuro dei giornali

I giornali tradizionali, secondo Bill Gates, il magnate della Microsoft oggi lanciato proprio alla conquista di nuovi spazi editoriali, moriranno. Nel suo discorso al World Economic Forum di Davos, nel febbraio ’99, ha predetto la fine di tutte le pubblicazioni cartacee.

È convinzione assai diffusa, soprattutto negli ambienti legati alle nuove tecnologie, che i media tradizionali siano entrati in una crisi talmente profonda da correre il rischio di non uscirne.

I giornali italiani hanno tentato di rivitalizzare le vendite tramite continue campagne promozionali, ma anche questa cura si è rivelata, a lungo andare, un palliativo. Nel lungo periodo i gadget, infatti, hanno dimostrato tutta la loro inefficacia. Nel 1990 si vendevano in Italia circa 6 milioni e 800 mila copie di quotidiani. Nel 1996, nonostante le promozioni, solo 6 milioni.

Non c’è settore della carta stampata che non registri perdite consistenti. E la situazione non è diversa negli altri Paesi.

Negli Stati Uniti, nel 1994, ben 26 testate hanno dovuto abbandonare l’edicola e le vendite complessive sono scese sotto i sessanta milioni di copie. Los Angeles Times, Newsday, Miami Herald, The New York Times, The Washington Post, The Wall Street Journal, e la lista potrebbe continuare: tutti viaggiano in acque agitate.

In Gran Bretagna The Times, The Guardian e The Indipendent, nonostante i loro 2,5 milioni di copie vendute, devono fronteggiare la concorrenza dei tabloid popolari che, puntando sulla formula più retriva del giornalismo - le famose tre esse: Soldi, Sangue e Sesso - vendono ogni giorno 12,5 milioni di copie. Sono volgari, la loro ricerca quasi ossessiva degli scandali è nauseante, ma vendono moltissimo. La conseguenza negativa è che tutta la stampa nazionale, anche quella di qualità, li sta imitando, pubblicando supplementi d’impostazione più popolare al fine di attirare i lettori.

La Forrester Research prevede che entro il 2001 la televisione e i giornali stampati perderanno porzioni significative di mercato a vantaggio di Internet. «Il dramma - sottolineano i ricercatori - è appena iniziato. Il PC è un cancro che divorerà parti vitali dell’audience dei media tradizionali».

Ma si tratta di vera crisi? Se invece di analizzare i dati riguardanti le vendite, prendiamo in esame i bilanci, le cose cambiano. Uno studio di Franco Mosconi, consigliere dell’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi, pubblicato da Il Mulino, propone un diverso punto di vista, cioè quello di partire non dalle potenzialità delle nuove tecnologie, ma dai bilanci dei quotidiani, che sono solidi. Secondo Mosconi le grandi testate sono relativamente al sicuro, le note negative vengono dalla situazione dei piccoli giornali, questi sì a rischio di sopravvivenza.

Guardando agli Stati Uniti, dove più evidenti dovrebbero essere i contraccolpi dell’affermazione della nascente editoria digitale, la situazione secondo Mosconi non desta allarmi. I quotidiani statunitensi rappresentano ancora il segmento più grande dell’industria della comunicazione, con il 20,6% della spesa complessiva, e quasi tutte le più importanti aziende di comunicazione hanno partecipazioni significative nel controllo delle testate. Inoltre, sia i profitti, sia l’andamento delle azioni vengono ritenuti soddisfacenti. Nel 1997 queste ultime sono salite più dell’indice di Wall Street. In sintesi, sostiene Mosconi, i quotidiani sono fuori pericolo.

Ma un dato preoccupante è quello sulle concentrazioni che stanno interessando il settore. Nel 1981, negli Stati Uniti, le società che controllavano il mercato dei media erano 46, nel ’93 solo la metà, 23. Per quanto riguarda specificamente i quotidiani, si è passati da 27 a 14 imprese. Lo stesso fenomeno si è registrato in Europa e in Italia.

In poche parole sono le grosse concentrazioni a dominare sempre più la scena, mentre le piccole testate e i piccoli editori sembrano destinati all’estinzione. Il giornale in quanto tale, secondo Mosconi, non corre invece questo rischio e anzi vanta al suo interno «un ventaglio così ampio di abilità diverse da garantirsi l’insostituibilità per moltissimo tempo». Quanti anni siano «moltissimo tempo» è difficile valutarlo, soprattutto in un periodo nel quale le rivoluzioni non sembrano aver più bisogno di lunghi anni di incubazione per riversare i loro effetti sulla società.

Uno dei problemi che certamente i media tradizionali devono affrontare è la disaffezione della gente nei confronti della lettura. Per molti è impensabile rinunciare al piacere del quotidiano del mattino: all’odore della carta, alla sensazione che si prova sfogliandolo. Alcuni, i più rituali, vogliono essere i primi a leggerlo e non sopportano di dover iniziare la giornata con un giornale sgualcito da precedenti consultazioni.

Ma le cose sono cambiate e sembrano destinate a cambiare ancora profondamente. I lettori, già da parecchi decenni, al giornale stampato hanno affiancato la televisione, la radio, il televideo e ora anche Internet. I giovani, dal canto loro, sembrano decisamente meno legati ai vecchi riti.

Con l’avvento della comunicazione online e di Internet, in particolare, la possibilità di reperire informazioni è aumentata e si è differenziata ulteriormente; e non sono poche le persone che hanno preso l’abitudine di rifornirsi di notizie collegandosi ai servizi online.

Una ricerca statunitense ha evidenziato che per dieci persone che escono dal mercato della lettura, ce ne sono solo quattro che le rimpiazzano. A leggere meno sono soprattutto i giovani. Si tratta di una tendenza che riguarda anche la televisione, che perde spettatori a vantaggio dei nuovi media. Nel 1975 nove americani su dieci guardavano almeno un telegiornale. Nel 1993 la percentuale era scesa a sei su dieci; nel ’95 a quattro su dieci. Di questi rimasti, la maggioranza sono anziani.

Nella prima metà del 1995 sono stati pubblicati i risultati di un’inchiesta dell’Università della Georgia, sul rapporto tra i giovani e i nuovi mezzi elettronici d’informazione, secondo la quale gli studenti dei college americani trovano l’uso dei nuovi giornali digitali «divertente, facile e attraente». Anche se non sono disposti a pagare un abbonamento per una pubblicazione online. Il profilo del giovane lettore emerso dall’indagine è di un certo interesse, perché consente agli editori di pubblicazioni elettroniche di formulare i primi modelli economici per attrarre il pubblico giovanile. L’inchiesta ne individua quattro:

Il nuovo abbonato. Partendo dalla considerazione che il mercato dei periodici tradizionali è in crisi, la ricerca propone l’utilizzo del giornale elettronico per avvicinare i giovani. Questo primo modello suggerisce agli editori di investire nei sistemi di distribuzione elettronica in modo da attrarre nuovi abbonati non interessati a sottoscrivere per i prodotti stampati; non erodendo in questo modo ulteriormente il mercato dei media tradizionali. Le nuove pubblicazioni sarebbero quindi dei prodotti autonomi, con un proprio mercato di lettori differente da quello della carta stampata.

La maturazione. Il secondo modello suggerisce ai giornali elettronici di trovare una strada per far nascere nuove abitudini di lettura nei giovani, i quali, invecchiando, si sposteranno verso il giornale stampato. Quello elettronico, quindi, non viene visto come un’impresa a sé stante, ma come un sistema per aiutare la carta stampata.

Sottoscrittori multipli. Secondo questo modello i giornali elettronici forniscono informazioni ai lettori tramite un’unica fonte di notizie e pubblicità. In questo caso i giornali possono fornire informazioni ottenibili solo dal loro servizio elettronico: notizie locali, offerte di lavoro, sport minori, informazioni aziendali. Tutte notizie che non è possibile trovare nell’edizione su carta.

Efficienza ed economia. Il quarto modello vede i giornali elettronici come servizi economicamente efficienti. Nessuna spesa per la stampa, spese ragionevoli per l’installazione di un server e di una con-nessione Internet e la possibilità di utilizzare il personale già esistente per dar vita a una pubblicazione distribuita elettronicamente. Si verifica un aumento dell’efficienza anche nella gestione della pubblicità che può essere incrementata indirizzandola a specifici gruppi di utilizzatori di computer.

 

In definitiva, se il giornale tradizionale e la televisione hanno davanti a loro ancora molti anni da vivere, certamente gli editori devono prendere coscienza che non possono rimanere legati alla sola carta o al solo etere. Alf Nucifora, un consulente di marketing statunitense, nell’ormai lontano 1993 aveva raggelato una platea di editori di giornali. Le sue parole sono ancora attuali, soprattutto in Italia: «Se rimanete legati alla sola carta siete già estinti. O vi adeguate e diventate fornitori di notizie, e non di giornali, o è la vostra fine. Si illudono quegli editori che pensano di andare avanti con le vecchie rotative e i furgoncini di distribuzione come se nulla fosse».

 

Internet ucciderà gli altri media?

Per rispondere alla domanda è necessario prima definire il termine mass-media. Per comunicazioni di massa in genere si intendono «le tecnologie di comunicazione a larga scala organizzate in broadcasting». Ma si tratta di un criterio discutibile. Come ha già fatto osservare Ugo Volli nel suo Il libro della comunicazione «risulta difficile distinguere in maniera univoca le comunicazioni di massa rispetto agli altri fenomeni comunicativi [...] Infatti i confini fra comunicazioni intrapersonali (biologiche e psichiche), che avvengono all’interno del singolo, comunicazioni interpersonali (a faccia a faccia, o per piccoli gruppi, mediati o meno da apparati tecnici) e comunicazioni che coinvolgono grandi masse non sono affatto così scontati come si potrebbe pensare [...] In realtà che cosa sia un mezzo lo decide un sistema sociale, e non solo una tecnologia».

Premesso ciò, è necessario sgomberare la strada da un’altra convinzione diffusa e cioè che i nuovi media non uccidono quelli precedenti, ma si affiancano loro, aumentando il ventaglio dei mezzi di comunicazione disponibili. La radio, viene ricordato, non ha ucciso i giornali; la televisione non ha ucciso la radio; Internet non ucciderà tutto quello che lo ha preceduto. Si tratta, con tutta evidenza, di una convinzione errata. L’elenco dei mezzi di comunicazione morti, sorpassati, sostituiti da sistemi più efficienti o più economici o semplicemente diventati obsoleti, è, infatti, lunghissimo e i rischi che i media attuali corrono di fronte al nuovo mezzo sono altissimi.

 

Secondo Bruce Sterling, ideatore e animatore del Dead Media Project e del Dead Media Museum, il primo media a estinguersi è stato Filippide, il giovane guerriero greco che nel 490 a.C. portò la notizia che gli ateniesi avevano vinto contro i persiani a Maratona; morendo di fatica subito dopo aver comunicato la vittoria. Anche se può apparire un’affermazione vagamente coreografica, è effettivamente possibile considerare Filippide il primo media scomparso; scomparso subito dopo aver comunicato il suo primo e unico messaggio.

Il mezzi di comunicazione scomparsi dal nostro orizzonte già da tempo, sono stati sostituiti da sistemi più moderni che potrebbero essere soppiantati a loro volta. Lo stesso computer, per come noi lo conosciamo oggi, potrebbe non esistere più fra una decina di anni e venire sostituito da nuovi dispositivi specializzati.

Anche le reti di comunicazione hanno i loro cimiteri ed è di un certo interesse constatare come l’umanità abbia sempre avuto una grande passione per la comunicazione in rete. Una delle più efficienti dei tempi moderni è stato il telegrafo ottico inventato da Claude Chappe a fine ’700. Soprannominato l’arma segreta di Napoleone, era stato utilizzato dall’esercito francese per lungo tempo. Un messaggio impiegava appena una dozzina di minuti per andare da Lille a Parigi e, anche vista con l’ottica attuale, si trattava di un’ottima performance.

Inaugurato il 16 luglio del 1794, il telegrafo di Chappe collegò inizialmente proprio Lille con la capitale. Si trattava di quindici stazioni che si trasmettevano i messaggi utilizzando un complicato sistema di bracci meccanici sui quali erano montati degli specchi che riflettevano la luce solare. Nel 1853 in Francia c’erano già 556 stazioni e la rete si sviluppava per 5.000 chilometri collegando 29 grandi città. All’infrastruttura lavoravano circa 1.000 persone. La rete funzionava talmente bene che i francesi continuarono a utilizzarla anche dopo l’invenzione del telegrafo. Ma non per molto tempo.

 

In realtà, è difficile dire chi verrà soppiantato da Internet. Il nuovo mezzo sta cambiando così rapidamente che potrebbe essere lui stesso a sostituire da solo le proprie versioni precedenti. Nonostante questo c’è chi rischia molto.

Il mezzo di comunicazione che più di ogni altro sembra condannato a scomparire in breve tempo è certamente il Fax. La posta elettronica lo sta già rimpiazzando rapidamente e fra un paio di anni quella che negli anni ’80 sembrava una macchina miracolosa, in grado di effettuare delle fotocopie a distanza, vera e propria posta in tempo reale, appare oggi come un oggetto scomodo e costoso.

La sopravvivenza dei giornali tradizionali sarà certamente più lunga e nuovi studi, dei quali parliamo in questo volume, li descrivono in ottima salute e non ne prevedono la prematura scomparsa. Ma non è una convinzione unanime.

David Carlson, ad esempio, vecchio giornalista, attualmente direttore dell’Interactive Media Lab dell’Università della Florida, è convinto che i quotidiani cesseranno di esistere per come noi li conosciamo oggi, entro trent’anni.

La previsione di Carlson, coincide con quella di altri analisti del settore i quali fanno notare come i quotidiani, che prima dell’avvento della radio assorbivano negli Stati Uniti il 90% della spesa pubblicitaria complessiva, nel 1995 erano scesi al 18%.

Inoltre la spesa per la pubblicità online triplicherà nei prossimi quattro anni.

Entro il 2004 Internet, negli Usa, sarà rivale della radio, rappresentando il quarto medium di grande raccolta pubblicitaria. Sono le indicazioni di una ricerca di Forrester resa nota nell’agosto ’99 dal Wall Street Journal. La previsione per il 2004 è che la spesa pubblicitaria online negli Usa sarà di 22 miliardi di dollari.

Ma è anche un altro il dato che dovrebbe allarmare gli editori del settore: vent’anni fa il 60% delle persone sotto i 40 anni leggeva un giornale. Oggi lo fa solo il 40%.

 

L’idea che Internet farà piazza pulita di tutto quanto lo ha preceduto, diventando il media globale o, se volete, il grande canale di distribuzione universale all’interno del quale viaggeranno tutti i messaggi, è esagerata, ma tecnicamente possibile.

Internet, in effetti, è un protocollo di trasmissione abbastanza elastico da consentire diversi utilizzi. Tecnicamente sulla rete possono essere veicolati messaggi di ogni genere. Trattandosi solo di bit, come spiega Negroponte nel suo Essere digitali, non ha alcuna importanza che si tratti di un’immagine, di un testo o di un brano musicale. Una volta digitalizzati, i diversi messaggi non sono che bit. Solo una volta ricomposti e interpretati da appositi programmi torneranno ad essere immagini, testi o canzoni. In questo momento Internet veicola soprattutto testi e immagini. La scarsa velocità di trasmissione dei dati sulla rete non consente di inviare immagini in movimento di grande qualità e forse solo la musica viaggia in modo soddisfacente. Ma è solo questione di tempo.

La rete si sta evolvendo rapidamente. Ergo: non avremo più un computer, non avremo più un televisore e una radio, ma un oggetto nuovo che conterrà tutto al suo interno, col quale potremo guardare un film e al tempo stesso navigare in Internet e magari comprare online un oggetto che abbiamo visto in una pubblicità.

George Gilder, l’autore di Vita dopo la televisione, lo ha chiamato Teleputer, una sorta di super computer, sintesi di televisione, computer e altri mezzi di comunicazione attuali, in grado di ricevere qualsiasi tipo di messaggio, ma anche di collegarsi a dialogare con altri Teleputer tramite una rete. Secondo Gilder, il Teleputer consentirebbe all’utente di affrancarsi dalla condizione di semplice spettatore passivo, spezzando la dittatura delle compagnie di telecomunicazione. Un individuo potrebbe diventare produttore di trasmissioni televisive, così come oggi è in grado di realizzare un sito Internet, per distribuirle in tutto il pianeta. Il Teleputer potrebbe rappresentare, secondo questa visione, lo strumento per il superamento di tutti gli altri media.

 

Tecnicamente, tutto ciò è possibile e una sorta di Teleputer, anche se in fase embrionale, è la stessa Internet. Il quesito è un altro: la gente vorrà questo? L’utente finale, il consumatore, vorrà complicarsi la vita a tal punto o preferirà, nel momento in cui sentirà il bisogno di rilassarsi senza fare altro, accendere la televisione, vedere un film e fare il sacco di patate lasciandosi risucchiare dal potere ipnotico del video? Il successo della televisione risiede anche in questo, nella possibilità che offre all’utilizzatore di essere passivo. Una televisione troppo interattiva potrebbe risultare un fallimento.

In realtà gli scenari dell’integrazione sono molteplici ed assumeranno forme diverse. Se vogliamo vedere l’integrazione tra i diversi media a partire dagli oggetti che potrebbero essere creati nei prossimi anni, possiamo certamente pensare a televisori digitali maggiormente interattivi di quelli attuali, oppure a computer più potenti in grado di scambiare rapidamente immagini video.

Ma non è partendo dai possibili sviluppi tecnici che possiamo prevedere quale sarà il futuro dei mezzi di comunicazione di massa e le relazioni tra di loro. Anche Internet, in fondo, non è solo un protocollo di trasmissione ma un’idea e le idee che popoleranno lo scenario dei media nei prossimi anni sono difficili da prevedere.

Chi ha concepito Internet ha fatto uno sforzo d’immaginazione notevole. Come si poteva ragionevolmente pensare, alla fine degli anni ’60, a un sistema di trasmissione nel quale i messaggi vengono spezzettati ed etichettati, per essere inviati e poi ricomposti, una volta arrivati a destinazione, sulla base della loro etichettatura? Forse non poco deve aver influito il fatto che buona parte di quei ricercatori erano appassionati di fantascienza.

 

 

Il darwinismo dei media secondo Forrester Research

Nonostante le cautele espresse finora, una cosa è certa: la comparsa di Internet nello scenario dei media provocherà significativi mutamenti. La domanda che molti operatori del settore si pongono è: come faranno i media tradizionali a sopravvivere alla bufera?

In genere, come abbiamo già visto, i nuovi media tendono a cambiare quelli preesistenti generando una fase di turbolenza, di incertezza che si conclude solo quando un nuovo equilibrio viene raggiunto. Nella nuova situazione che si viene a creare, i vecchi media non mantengono lo stesso ruolo esercitato in precedenza.

In questo momento ci troviamo nella fase iniziale della turbolenza causata dall’avvento di Internet e i media tradizionali non sono ancora stati pienamente investiti dal cambiamento. Una situazione destinata, però, ad evolversi rapidamente perché la fase di instabilità è stata ormai avviata e si protrarrà fino al raggiungimento del nuovo equilibrio. L’errore che molti editori stanno commettendo è quello di pensare di poter sfruttare un vantaggio di posizione. Ma la possibilità di sopravvivenza non è data dalla propria storia, quanto dalla capacità di adattamento proprio nel momento in cui un nuovo concorrente entra sulla scena.

 

L’ingresso di un nuovo attore sconvolge gli equilibri precedenti e innesca un processo che gli analisti di Forrester Research, nel loro studio intitolato Old Media New’s Role, hanno diviso in quattro stadi:

 

Stabilità. È lo stadio nel quale gli affari vanno bene, è l’età d’oro di un media, quella dell’espansione. Le radio statunitensi tra gli anni ’30 e ’40, ad esempio. In quel periodo il numero di emittenti negli Usa era passato da 605 a 996, mentre il numero di apparecchi venduti da 30 a 60 milioni.

Shock. Questa è la fase nella quale il nuovo media compare rompendo l’equilibrio e lanciando la propria sfida allo status quo. La comparsa della televisione ridimensionò il ruolo della radio relegandola per un lunghissimo periodo in una nicchia.

Cambiamento continuo. In questa fase le specie a rischio di estinzione cercano di capire come fare per sopravvivere. Quando le famiglie, nei loro salotti, cominciarono a spostare in un angolo le radio per fare posto ai nuovi apparecchi televisivi, alcune stazioni cercarono di cambiare tipo di trasmissioni, mentre altre, come la NBC o la CBS, si diversificarono diventando stazioni televisive.

Il nuovo equilibrio. Dopo un periodo di mutamento, quello che gli analisti chiamano il Media Darwinism prevale. La televisione si appropriò del cosiddetto prime time, cioè delle ore serali e preserali, e la radio si concentrò sugli automobilisti, catturando ascoltatori al mattino e nel pomeriggio. La TV divenne un mass media di successo e la radio si concentrò sulle nicchie. Ma non tutte le stazioni radiofoniche furono in grado di seguire il cambiamento e scomparvero dalla scena.

 

Non tutti i media hanno la capacità di adattarsi e di sopravvivere. Ma anche quando sopravvivono all’avvento di un nuovo media, ad un diretto concorrente, finiscono per uscirne ridimensionati.

Internet, in questo momento, è la scintilla che ha innescato la turbolenza nel mercato dei media e lo sta facendo in un modo nuovo, senza precedenti. La Rete, come fanno notare gli analisti di Forrester Research, offusca le differenze distintive tra i diversi media incorporando l’impatto visivo della televisione, la capacità di approfondimento dei quotidiani, l’intimità della radio e gli interessi di nicchia delle riviste. Gli utenti stanno ormai cercando su Internet qualsiasi tipo d’informazione, dallo sport all’economia; dalle previsioni meteorologiche ai programmi TV, spingendo i media tradizionali in una fase di cambiamento continuo, di turbolenza senza precedenti. Ma il peggio deve ancora venire perché la sinergia tra informazione e commercio elettronico, che su Internet sta assumendo forme sconosciute agli altri media, è in grado di generare scenari imprevedibili, spostando enormi quantità di investimenti pubblicitari dagli altri media alla Rete.

 

Per la prima volta, quindi, tutti i media sono a rischio e non uno solo. Il nuovo equilibrio emergerà nell’arco dei prossimi dieci anni e il risultato non sarà solo il riposizionamento di alcuni media e la scomparsa di altri, ma anche la scomparsa di numerose testate e magari di gloriose aziende, che non hanno avuto la capacità di adeguarsi al cambiamento.

Secondo gli analisti di Forrester Research sono i quotidiani quelli che devono fronteggiare la competizione più brutale, quelli maggiormente minacciati di Internet. Essi dovranno cambiare più di qualsiasi altro media per ricavarsi la propria nicchia di sopravvivenza.

 

 

I rischi di cannibalizzazione

Una ricerca condotta negli Stati Uniti dalla Intelliquest su commissione di PointCast alla fine del ’97, ha rilevato che gli utilizzatori di PointCast - che sono in maggioranza persone che lavorano nel ramo affari - passano meno tempo di una volta a consultare gli altri media. Tra gli utilizzatori di PointCast, il 46% afferma di impiegare meno tempo nel leggere i giornali; il 23% legge meno riviste e il 21% dice di aver ridotto il tempo passato a guardare la televisione.

Si tratta di dati che alimentano il dubbio che Internet possa essere un buon affare per gli editori di giornali. Perché spendere dei soldi per un media che rischia di cannibalizzare quello che in linguaggio aziendale viene definito il core business, cioè il giornale stampato? D’altro canto è anche lecito chiedersi: a cosa vanno incontro gli editori che non accetteranno la sfida, rischiando di perdere lettori non per colpa della loro edizione Internet, ma a causa dei siti Web delle testate concorrenti?

La ricerca di Intelliquest lascia, comunque, una nota di speranza. Secondo i dati, ad allontanarsi maggiormente dai media tradizionali sono i cosiddetti Internet enthusiasts, cioè gli utilizzatori della prima ora della Rete e non i newbies, cioè gli ultimi arrivati, che sono ormai la maggioranza. Tra i primi, ad esempio, la percentuale di disaffezione alla TV è del 52%, mentre tra i secondi è intorno al 36%.

A perdere, però, non sono solo i media tradizionali. Secondo un’altra inchiesta, gli utenti Internet fanno meno telefonate interurbane nell’ordine del 22%; evidentemente perché utilizzano la posta elettronica. L’unico mezzo che guadagna in particolare in questa hit parade al contrario è la radio. Molti utenti della Rete, quindi, ascoltano la loro stazione preferita mentre navigano e leggono la posta elettronica.

Nonostante le indagini e i dubbi sollevati dagli analisti, che spesso finiscono per contraddirsi tra di loro, il punto rimane sempre lo stesso: gli editori possono ignorare Internet, ma solo a patto che il nuovo mezzo non si diffonda troppo (cosa piuttosto improbabile). Non è, quindi, detto che stare alla finestra sia l’atteggiamento più prudente, quello che comporta il minor numero di rischi.