Prologo
A Greenwich Point Park, dove l'aria salmastra del Long Island Sound si mescola con l'odore terroso delle foglie cadute, due bambini salivano le scale verso quello che un tempo era stato un castello. Erano soli.
Prima erano passati davanti al custode, che sembrava conoscerli bene e che li aveva fatti entrare con un sorriso. Il parco era grande e la strada era lunga, ma il sole splendeva e faceva ancora caldo. La bambina aveva un sacchetto di carta bianco e rosso, il bambino un berretto con la visiera e un aquilone. Superarono l'estremità occidentale della baia e trovarono un tavolo da picnic vicino alla spiaggia. Lei avrebbe voluto restare scalza per sentire i sassi lisci sotto i piedi, ma lui non era d'accordo. Voleva prima mettere qualcosa sotto i denti. La bambina sospirò e si sedette. Mangiarono. Lei non tenne il broncio a lungo; era felice di essere lì.
Dopo, calciò via le scarpe di tela bianca, si alzò e si diresse allegramente verso l'acqua. Le pietre erano coperte di muschio viscido, ma non vi badò. Raccolse alcune cozze sparpagliate sulla riva e le esaminò. Gettò via quelle schiuse, ricordando le parole di suo padre: «Se sono aperte, significa che sono morte, che non sono buone». Ripose nel sacchetto i gusci neri, a cui il bambino aggiunse qualche granchio.
Per un quarto d'ora cercarono di capire se le increspature sulla baia, una cinquantina di metri più in là, fossero onde o lontre. Lontre, disse la bambina, ma il bambino rise. Onde, ribatté, semplici onde. Lei non era convinta. Da lontano pareva che avessero la schiena nera e che continuassero a immergersi e a riaffiorare. Si tuffavano sempre nello stesso punto, perciò forse aveva ragione lui, anche se la bambina sperava di no. Il bambino credeva di sapere sempre tutto, inoltre sarebbe stato divertente pensare di aver visto le lontre al parco.
Lei risalì il sentiero. Lui la superò, tentando di tirarle i capelli. La bambina ritrasse la testa, ma allungò il passo, cercando di saltare sui sassi.
Era graziosa. I capelli corti erano tagliati con cura, la camicetta bianca, fatta su misura, era inamidata, e i jeans erano stirati con la piega. La giacca candida non aveva macchie sulle maniche, come accade spesso a quell'età; le scarpe erano immacolate, con i lacci nuovi di zecca. Toglierle e camminare sul muschio fangoso era l'unico lusso infantile che la bambina si concedeva.
Adorava fare il picnic e poi lanciare in aria l'aquilone sull'altro lato del parco. A farle venire una vaga voglia di piangere era solo l'attesa: avrebbe voluto essere già sul campo verde a srotolare la cordicella dell'aquilone. Quando il rombo di carta si fosse alzato in aria, avrebbe mollato la fune e sarebbe corsa dietro al bambino, urlando: «Più in alto, più in alto, più in alto...».
L'autunno era la sua stagione preferita, soprattutto lì, dove il vento impregnato di salsedine soffiava sulle foglie rosse delle querce.
«Ti va di andare subito al campo?» chiese, trafelata e speranzosa. Fece una sosta per rinfilarsi le scarpe, e il bambino si fermò a sua volta, si girò e tornò indietro.
«Invece di cosa?»
«Di visitare il castello.»
Lui la fissò.
«Okay.» Fece spallucce. «Pensavo ti piacesse il castello.»
Lei tacque. Poi, in tono di scusa: «Mi piace, ma sono stanca».
Il bambino le fece cenno di seguirlo. «Dai, non essere fifona.»
La bambina si appellò a tutto il proprio coraggio.
Percorsero il sentiero tra le querce alte e diritte, andando verso la piccola rimessa per le barche.
Lui saltò sopra il muretto, che era alto meno di un metro, ma separava il vialetto dall'acqua. Ogni volta che la bambina si arrampicava lassù, temeva di cadere tra le onde. Se fosse successo, l'avrebbero salvata? Certo non il bambino, che non sapeva nuotare. Tenersi per mano era impossibile, perché il muro era largo solo cinquanta centimetri. No, doveva salire in cima per dimostrargli che non aveva paura.
Però ne aveva, anche se allo stesso tempo era euforica. Cominciò a sudare. «Non voglio farlo» sussurrò, ma lui non la udì perché si era già avviato verso il castello. Lei ordinò a se stessa di smettere subito di tremare e, sospirando, lo seguì.
Dell'edificio in rovina non restava granché a parte il paesaggio collinare del Long Island Sound; il panorama e i muri coperti di forsizia erano le ultime tracce dell'antico splendore.
Un castello con cavalieri, principesse, armature. Con servitori e tovaglie immacolate. Con stanze segrete e passaggi segreti e vite segrete. Anch'io ho dei segreti, pensò la bambina muovendo dei passi incerti sul muretto. La principessa con il vestito bianco e le scarpe lustre ha dei segreti.
«Aspettami!» urlò mettendosi a correre. «Aspettami!»