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L’ufficio avrebbe potuto essere quello di Maigret prima del rinnovo dei locali della Polizia giudiziaria, e il commissario ritrovò, sul caminetto, lo stesso orologio a pendolo di marmo nero che aveva sotto gli occhi tutti i giorni e che non era mai riuscito a regolare bene.
L’uomo che occupava l’ufficio somigliava parecchio all’orologio a pendolo. Il suo atteggiamento era quello dell’alto funzionario al tempo stesso prudente e sicuro di sé, e per lui doveva essere molto umiliante ritrovarsi di colpo sul banco degli imputati.
Aveva un volto flaccido, un riporto di capelli scuri e radi che nascondeva solo in parte la calvizie, baffetti troppo neri per non essere tinti e mani bianche coperte da lunghi peli.
«Lasci che le esprima subito la mia riconoscenza, commissario, per non avermi convocato alla Polizia giudiziaria e per essersi scomodato a venire fin qui di persona...».
«Sto cercando di dare alla vicenda il minor risalto possibile...».
«I giornali di questa mattina, in effetti, forniscono scarsi dettagli...».
«Da quanto tempo conosceva Joséphine Papet?».
«Da circa tre anni... Scusi se sono trasalito a sentirla pronunciare quel nome. Il fatto è che io l’ho sempre chiamata Josée... E mi ci sono voluti mesi prima di sapere come si chiamasse veramente...».
«Capisco... Come vi siete incontrati?».
«Nel più banale dei modi... Io ho cinquantacinque anni, commissario. Quindi all’epoca ne avevo cinquantadue, e lei forse non ci crederà, ma non avevo mai tradito mia moglie prima...
«Però, saranno dieci anni che lei è malata e i nostri rapporti non sono facili, perché soffre di nevrastenia...».
«Avete figli?».
«Tre femmine... La maggiore è sposata con un armatore di La Rochelle... La seconda insegna in un liceo a Tunisi e la terza, anche lei sposata, vive a Parigi nel XVI arrondissement... Ho cinque nipotini, il più grande di undici anni... Io e mia moglie, invece, abitiamo da trent’anni sempre nella stessa casa, a Versailles... Come vede, la mia è stata per anni una vita senza infamia e senza lode, la piatta esistenza di un funzionario scrupoloso...».
Parlava lentamente, riflettendo prima, come fanno le persone prudenti, e non c’era alcuna traccia di umorismo né nelle sue parole né nell’espressione del suo volto. Con ogni probabilità, non gli capitava mai di farsi una risata... E se sorrideva, il suo era un sorriso quasi spento.
«Mi ha chiesto dove l’ho incontrata... Qualche volta, quando esco dall’ufficio, mi fermo un attimo in una brasserie all’angolo tra boulevard Saint-Germain e rue de Solférino... E così ho fatto quel giorno... Pioveva e ricordo ancora l’acqua che gocciolava sui vetri...
«Mi sono seduto al solito posto e il cameriere, che mi conosce da anni, mi ha servito un bicchierino di porto...
«Al tavolo accanto c’era una giovane donna che stava scrivendo una lettera, ma la penna fornitale dalla brasserie le dava qualche problema... L’inchiostro viola nel calamaio si era asciugato...
«Aveva un’aria perbene e vestiva in maniera semplice, con un tailleur blu di buon taglio...
«“Cameriere, ha per caso un’altra penna?”.
«“No, mi spiace! Abbiamo solo questa... Ormai i clienti hanno tutti la loro stilografica...”.
«Senza secondi fini, io ho tirato fuori di tasca la mia e gliel’ho data.
«“Permette...”.
«Lei mi ha guardato e mi ha sorriso con riconoscenza. È così che è cominciata. Dopo aver scritto poche righe sorseggiando un tè, lei mi ha chiesto, restituendomi la stilografica:
«“Viene spesso qui?”.
«“Quasi tutti i giorni...”.
«“Mi piace l’atmosfera di queste vecchie brasserie frequentate da clienti abituali...”.
«“Abita nel quartiere?”.
«“No, in rue Notre-Dame-de-Lorette, ma vengo abbastanza spesso sulla Rive Gauche...”.
«Vede,» proseguì Paré, con uno sguardo da cui sembrava trasparire tutta la sua innocenza «il nostro incontro è stato veramente casuale. L’indomani lei non è venuta. L’ho ritrovata due giorni dopo allo stesso posto e mi ha rivolto un vago sorriso.
«Sembrava dolce, tranquilla, c’era qualcosa di rassicurante nel suo atteggiamento e nelle sue espressioni.
«Abbiamo scambiato qualche parola. Le ho detto che abito a Versailles e credo di averle parlato, quello stesso giorno, di mia moglie e delle mie figlie... Mi ha visto salire in macchina...
«La cosa forse la sorprenderà, ma siamo andati avanti così per più di un mese, e quando non la vedevo alla brasserie mi sentivo frustrato...
«Per me era solo un’amica, non avevo in mente nient’altro. Con mia moglie devo stare attento a come parlo, perché le mie parole rischiano di essere fraintese e di scatenare una crisi isterica...
«Quando le nostre figlie vivevano con noi, la casa era rumorosa e piena di vita, mia moglie ancora attiva e allegra. Lei non immagina che cosa si provi a entrare in un appartamento troppo grande, troppo vuoto, dove la aspettano solo occhi angosciati e diffidenti...».
Maigret si accese la pipa e porse a Paré la borsa del tabacco.
«Grazie... Non fumo più da tempo... La prego, non pensi che sto cercando di giustificare la mia condotta...
«Ogni mercoledì ero solito recarmi alla riunione di un ente benefico di cui faccio parte... Un mercoledì non ci sono andato e la signorina Papet mi ha portato da lei...
«Mi ha detto che viveva da sola, con la piccolissima rendita che le avevano lasciato i suoi genitori, e che aveva cercato invano un lavoro...».
«Le ha parlato della sua famiglia?».
«Il padre, che era ufficiale, è stato ucciso in guerra quando era ancora piccola, ed è stata allevata dalla madre, in provincia... Aveva un fratello...».
«L’ha mai visto?».
«Una sola volta... È un ingegnere e viaggia molto... Un mercoledì sono arrivato in anticipo e l’ho trovato nell’appartamento; lei ne ha approfittato per presentarmelo...
«Un ragazzo distinto, intelligente, molto più vecchio di lei... Ha messo a punto un sistema per eliminare gli elementi tossici dai gas di scarico delle macchine...».
«È alto, magro, con il viso mobile e gli occhi chiari?».
François Paré parve sorpreso.
«Lo conosce?».
«Ho avuto occasione di incontrarlo... Mi dica, dava molti soldi a Josée?».
Il funzionario arrossì e distolse lo sguardo.
«Godo di una certa agiatezza, direi fin troppa. Uno zio materno mi ha lasciato due fattorie in Normandia e già da anni avrei potuto dare le dimissioni... Ma che cosa avrei fatto delle mie giornate?...».
«Possiamo dire che la manteneva?».
«Non proprio... Le permettevo di non badare alle piccole spese, di concedersi qualche comodità in più...».
«La vedeva solo il mercoledì?».
«È l’unico giorno della settimana in cui ho una scusa per fermarmi la sera a Parigi... Più invecchiamo, mia moglie e io, più lei diventa gelosa...».
«A sua moglie non è mai venuto in mente di seguirla all’uscita dal ministero?».
«No... Non esce quasi mai di casa... È dimagrita così tanto che fatica a reggersi in piedi e tutti i medici che abbiamo interpellato hanno rinunciato l’uno dopo l’altro a curarla...».
«La signorina Papet sosteneva che lei fosse il suo unico amante?».
«Tanto per cominciare, questa è una parola che non abbiamo mai pronunciato... In un certo senso è corretta, perché, non lo nascondo, avevamo rapporti intimi...
«Ma il legame che ci univa era un altro... Eravamo entrambi dei solitari e ci sforzavamo di far buon viso a cattivo gioco... Non so se capisce... Potevamo parlare a cuore aperto... Lei era mia amica e io suo amico...».
«Era geloso?».
Paré trasalì e guardò Maigret con una certa durezza come se si sentisse oltraggiato da quella domanda.
«Le ho confidato che, in vita mia, non avevo mai avuto avventure... Le ho detto che età ho... Le ho rivelato quanto importante fosse per me quell’amicizia rassicurante... Aspettavo il mercoledì con impazienza... Vivevo per la serata del mercoledì... Mi dava la forza di sopportare il resto...».
«Sarebbe quindi stato un colpo per lei sapere che aveva un altro amante...».
«Certo... Sarebbe stata la fine...».
«La fine di che cosa?».
«Di tutto... Della piccola felicità che mi è stata concessa per tre anni...».
«Ha incontrato il fratello una sola volta?».
«Sì...».
«Non ha avuto sospetti?».
«Che cosa avrei dovuto sospettare?».
«Non ha incontrato nessun altro da Josée?».
Paré accennò un pallido sorriso.
«Soltanto una volta, alcune settimane fa. Mentre io uscivo dall’ascensore, un uomo piuttosto giovane usciva dall’appartamento».
«Uno con i capelli rossi?».
Paré era sbalordito.
«Come fa a saperlo? In tal caso, sa anche che è un assicuratore... Confesso di averlo seguito e di averlo visto entrare in un bar di rue Fontaine, dove sembrava conosciuto...
«Quando ho chiesto spiegazioni a Josée, lei non era per nulla imbarazzata.
«“È già la terza volta che viene per farmi stipulare un’assicurazione sulla vita” mi ha spiegato. “A favore di chi dovrei fare un’assicurazione sulla vita? Devo avere il suo biglietto da visita da qualche parte...”.
«Ha cercato nei cassetti e ha trovato un biglietto da visita di Jean-Luc Bodard, della Continentale, avenue de l’Opéra. Non è una grossa compagnia, ma ha un’ottima reputazione... Ho telefonato al capo del personale e lui mi ha confermato che Jean-Luc Bodard è uno dei loro agenti...».
Maigret fumava lentamente, a brevi tirate, sforzandosi di guadagnare tempo, perché gli spettava un compito ingrato.
«Ieri è andato in rue Notre-Dame-de-Lorette?».
«Sì, come al solito... Ero un po’ in ritardo, perché sono stato trattenuto dal capo di gabinetto del ministro... Ho suonato e mi sono meravigliato che nessuno venisse ad aprirmi... Ho suonato di nuovo, ho bussato, niente...».
«Non le è venuto in mente di chiedere alla portinaia?».
«Quella donna mi dà i brividi e cerco di avere a che fare con lei il meno possibile... Non sono rincasato subito... Dato che in teoria avrei dovuto partecipare alla riunione dell’ente benefico, ho cenato da solo, in un ristorante di porte de Versailles...».
«Quando ha saputo della tragedia?».
«Questa mattina, mentre mi facevo la barba... Ne ha parlato la radio, senza fornire particolari... Ho letto il giornale solo quando sono arrivato qui... Sono distrutto... Non capisco...».
«Non è per caso andato lì, ieri, fra le tre e le quattro?».
«Capisco che cosa significa la sua domanda...» rispose Paré in tono amareggiato. «Sono rimasto in ufficio tutto il pomeriggio, i miei collaboratori potranno confermarlo... Tuttavia, preferirei che non venisse fatto il mio nome...».
Pover’uomo! Era preoccupato, angosciato, sconvolto. Tutto ciò a cui si era aggrappato quando era già avanti negli anni crollava, e ciò nonostante si sforzava di conservare la propria dignità.
«Ho pensato che la portinaia, o il fratello, se è a Parigi, le avrebbero parlato di me...».
«Non c’è nessun fratello, signor Paré...».
L’uomo si accigliò, incredulo, in procinto di arrabbiarsi.
«Mi spiace deluderla, ma sono costretto a dirle la verità... Colui che le è stato presentato come Léon Papet si chiama in realtà Léon Florentin, che guarda caso è stato anche mio compagno di classe al liceo di Moulins...».
«Non capisco...».
«Non appena lei usciva dall’appartamento di Joséphine Papet, lui ci entrava; aveva le chiavi... Le ha mai avute lei?...».
«No... Non le ho chieste... Non ci avevo neppure pensato...».
«Florentin viveva regolarmente nell’appartamento e spariva solo quando erano attesi dei visitatori...».
«Ha detto “visitatori”?... Al plurale?...».
Pallidissimo, Paré restò impietrito sulla poltrona.
«Eravate in quattro, senza contare Florentin...».
«Vuole dire...?».
«Che Joséphine Papet si faceva più o meno mantenere da quattro amanti diversi... Uno di loro l’ha preceduta di parecchi anni e, tempo fa, ha vissuto per settimane nell’appartamento...».
«L’ha visto?».
«Non ancora».
«Chi è?».
In fondo, François Paré era ancora scettico.
«Un certo Fernand Courcel, proprietario insieme al fratello di un’azienda di cuscinetti a sfera... La fabbrica è a Rouen, gli uffici di Parigi in boulevard Voltaire... È un uomo della sua età, credo, ed è piuttosto corpulento...».
«Stento a crederlo».
«Il suo giorno è il giovedì, ed è l’unico che trascorre la notte nell’appartamento...».
«Non mi sta tendendo un tranello, vero?».
«Che cosa vuole dire?».
«Non lo so. Corre voce che a volte la polizia usi metodi subdoli. Questa storia mi sembra così inverosimile...».
«Ce n’è un altro, l’uomo del sabato... Ho poche informazioni su di lui, ma so che zoppica...».
«E il quarto?».
Paré si sforzava di farsi coraggio, ma le sue mani pelose erano contratte sui braccioli della poltrona a tal punto che le articolazioni erano livide.
«È Pel di carota, l’assicuratore che ha incontrato un giorno per caso...».
«È davvero un assicuratore... L’ho verificato io stesso...».
«Uno può fare questo lavoro e contemporaneamente essere l’amante di una bella donna...».
«Non ci capisco più nulla... Lei non l’ha conosciuta, altrimenti sarebbe incredulo quanto me... Non ho mai incontrato una donna così buona, così semplice, così tranquilla... Ho tre figlie e ho imparato a conoscere le donne... Mi sarei fidato di Josée più che di una delle mie figlie...».
«Mi spiace averle dovuto aprire gli occhi...».
«Suppongo che lei sia sicuro di tutto ciò che mi ha appena detto...».
«Se ci tiene, glielo farò ripetere da Florentin...».
«Non voglio assolutamente incontrare quell’individuo, né lui né gli altri tre... Se ho capito bene, questo Florentin era, per così dire, l’amico del cuore...».
«Più o meno... Nella vita le ha provate tutte... Senza azzeccarne una... Eppure ha un certo fascino sulle donne...».
«Ha suppergiù la mia età...».
«Sì, anno più, anno meno... Rispetto a lei, ha il vantaggio di essere disponibile giorno e notte... Inoltre, non prende mai niente sul serio... Per lui, ogni giorno è una pagina bianca da riempire a suo piacimento e a seconda dell’umore...».
Paré, invece, aveva una coscienza, dei problemi, dei rimorsi. Dal suo viso, dai suoi atteggiamenti, traspariva tutta la serietà con cui affrontava la vita.
Sembrava uno che si portasse sempre dietro il suo ufficio, se non addirittura tutto il ministero, e Maigret faceva fatica a immaginare i suoi tête-à-tête con Josée.
Fortuna che lei era una persona tranquilla. Di certo riusciva ad ascoltare sorridente, per ore, le confidenze di un uomo inacidito dal destino e dai guai.
Maigret cominciava a farsi un’idea più precisa di lei. Era una persona pratica, che badava al sodo e sapeva fare i suoi calcoli. Si era comprata una casa a Montmartre e aveva quarantottomila franchi in un nascondiglio. Probabilmente sarebbe seguita una seconda casa, poi una terza...
Ci sono donne che investono in case, come se il mattone fosse l’unica cosa solida al mondo.
«Si sarebbe mai aspettato una tragedia, signor Paré?».
«È un’eventualità che non mi è passata per la testa nemmeno per un secondo... Nulla era più rassicurante di lei, della sua vita, del suo appartamento...».
«Non le ha detto di dov’era?».
«Di Poitiers, se ben ricordo».
Per prudenza, doveva dare a ciascuno un luogo di nascita diverso.
«Le sembrava istruita?».
«Prima di lavorare per un po’ come segretaria da un avvocato si è diplomata...».
«Sa come si chiama l’avvocato?».
«Non ci ho fatto caso...».
«È mai stata sposata?».
«Non che io sappia...».
«Le sue letture non l’hanno sorpresa?».
«Josée era una sentimentale, tutto sommato abbastanza ingenua, ecco perché preferiva i romanzi popolari. Era lei la prima a ridere di quel suo piccolo difetto...».
«Non la disturberò più a meno che non sia strettamente necessario... Le chiedo solo di riflettere, di cercare tra i suoi ricordi... Una frase, un dettaglio apparentemente privo di importanza possono esserci di aiuto...».
François Paré si alzò in piedi, alto e pesante, e non ce la fece a tendere la mano.
«Per ora, non mi viene in mente nulla...».
Poi, titubante, con voce più sorda:
«Sa se ha sofferto molto?».
«Secondo il medico legale, è morta sul colpo...».
Le labbra del funzionario si mossero. Probabilmente pregava.
«La ringrazio del tatto che ha dimostrato nei miei riguardi... Mi dispiace solo che il nostro incontro sia avvenuto in circostanze simili...».
«Anche a me, signor Paré...».
«Uff!» sbuffò Maigret già sulle scale. Aveva l’impressione di uscire da un tunnel, di ritrovare l’aria aperta, il mondo reale.
Certo, dal colloquio con il responsabile dei Canali navigabili non era emerso nulla di preciso, di immediatamente utilizzabile, ma il commissario si era fatto un’idea più precisa di Joséphine Papet.
Chissà se la lettera scritta in una brasserie frequentata da una clientela borghese rientrava nella sua tattica abituale o se si era trattato di un caso...
A quanto pareva, il primo dei suoi amanti noti, Fernand Courcel, lo aveva incontrato quando aveva venticinque anni. Che cosa faceva all’epoca? Maigret non ce la vedeva, con quell’aria da brava ragazza, a battere i marciapiedi nella zona della Madeleine o degli Champs-Élysées.
E chissà se era stata davvero la segretaria di qualcuno, avvocato o altro...
Una leggera brezza faceva fremere il fogliame degli alberi di boulevard Saint-Germain, e Maigret passeggiava respirando l’aria del mattino. In una viuzza che lo portava verso il lungosenna passò davanti a un bistrot, come quelli di una volta, dove un camion stava scaricando delle botti di vino.
Entrò e, appoggiati i gomiti sul bancone, chiese:
«Che vino è?».
«Un Sancerre... Io sono di quelle parti e lo faccio arrivare da mio cognato...».
«Me ne dia un bicchiere...».
Il vino era secco e fruttato al tempo stesso. Il bancone era proprio di zinco e il pavimento di piastrelle rosse era cosparso di segatura.
«Un altro, per favore...».
Che strano mestiere, il suo! Doveva vedere ancora tre uomini, tre amanti di Joséphine, che sembrava essere stata una venditrice di sogni.
Difficilmente François Paré ne avrebbe trovata una simile, con cui sfogare l’esuberanza del suo vecchio cuore. A Florentin non rimaneva che l’atelier di Montmartre e un giaciglio in una camera senza finestra.
«Avanti il prossimo!» sospirò Maigret uscendo dal bistrot e dirigendosi verso la Polizia giudiziaria.
Un altro da deludere, un altro a cui togliere ogni illusione.
Quando Maigret arrivò in cima alle scale e raggiunse il lungo corridoio della Polizia giudiziaria, lanciò istintivamente un’occhiata alla sala d’attesa vetrata che alcuni ispettori faceti chiamavano l’acquario.
Lo sorprese non poco vedere che, su una delle scomode poltrone ricoperte di velluto verde, c’era Léon Florentin in compagnia di uno sconosciuto, un tipo piuttosto basso e grasso, con la faccia tonda e gli occhi azzurri, che, nella vita di tutti i giorni, doveva essere un buontempone.
In quel momento, però, mentre Florentin gli parlava a voce bassa, lo sconosciuto teneva in mano un fazzoletto appallottolato con il quale ogni tanto si asciugava gli occhi.
Di fronte a loro, l’ispettore Dieudonné, indifferente, leggeva la pagina delle corse su un giornale.
Non lo videro, né l’uno né l’altro, e una volta nel suo ufficio Maigret suonò il campanello. Un attimo dopo il vecchio Joseph socchiuse la porta.
«C’è qualcuno per me?».
«Due persone, signor commissario...».
«Chi è arrivato per primo?».
«Questo qui...».
Gli mostrò il biglietto da visita di Florentin.
«E l’altro?».
«Si è presentato una decina di minuti fa e sembrava molto turbato...».
Si trattava di Fernand Courcel, della ditta Courcel Frères, cuscinetti a sfera, di Rouen. Sul biglietto era riportato anche l’indirizzo degli uffici di boulevard Voltaire.
«Chi faccio passare per primo?».
«Il signor Courcel...».
Maigret si sedette alla scrivania e diede un’occhiata alla finestra aperta sull’aria cangiante di fuori.
«Avanti, prego... Si accomodi pure...».
L’uomo era davvero basso e grasso, ma si poteva dire che stava bene così. Emanava una vitalità piacevole, una cordialità sincera.
«Lei non mi conosce, signor commissario...».
«Se non fosse venuto questa mattina, sarei venuto io nel suo ufficio, signor Courcel...».
L’altro lo guardò con i suoi occhi azzurri, sorpreso ma niente affatto spaventato.
«Lei è al corrente, quindi?».
«So che era molto amico della signorina Papet; questa mattina, la notizia, alla radio o sul giornale, sarà stata un colpo per lei...».
Courcel fece una smorfia che sembrava preludere a una crisi di pianto, ma riuscì a controllarsi.
«Mi scusi... Sono sconvolto... Ero più che un amico per lei...».
«Lo so...».
«In tal caso non ho molto da dirle, perché non ho la minima idea di che cosa possa essere successo... Era la donna più dolce, più discreta...».
«Conosce l’uomo che era con lei in sala d’aspetto?».
L’industriale, che aveva così poco l’aria di un fabbricante di cuscinetti a sfera, lo guardò meravigliato.
«Lei dunque non sa che aveva un fratello?».
«Quando l’ha incontrato per la prima volta?».
«Circa tre anni fa... Più o meno all’epoca in cui è tornato dall’Uruguay...».
«Ha vissuto molto laggiù?».
«Non l’ha interrogato?».
«Sono curioso di sapere che cosa le ha raccontato...».
«È architetto, ed è stato incaricato dal governo uruguaiano di progettare una nuova città...».
«Si trovava in casa di Joséphine Papet?».
«Esatto...».
«E lei è arrivato in anticipo o all’improvviso?...».
«Le confesso che non me lo ricordo...».
La domanda infastidì Courcel, che aggrottò le biondissime sopracciglia. Anche i capelli erano di un biondo quasi bianco, come quelli di certi neonati, e la pelle era di un rosa tenue.
«Non capisco dove vuole arrivare...».
«L’ha rivisto?».
«Tre o quattro volte...».
«Sempre in rue Notre-Dame-de-Lorette?».
«No... È venuto nel mio ufficio per parlarmi di un progetto di spiaggia moderna, con alberghi, ville e bungalow, tra Le Grau-du-Roi e Palavas...».
«Voleva coinvolgerla?».
«Esatto... Il progetto, devo riconoscerlo, non era male, e probabilmente verrà realizzato... Però, purtroppo, non posso prelevare un soldo dall’azienda, che oltre che mia è di mio fratello...».
«Non gli ha dato niente?».
Courcel arrossì. L’atteggiamento di Maigret lo sbalordiva.
«Gli ho dato qualche migliaio di franchi per far stampare il progetto...».
«È stato stampato? Gliene è stata data una copia?».
«Le ho detto che la cosa non mi interessava...».
«Le ha spillato altro denaro in seguito?».
«L’anno scorso, ma questa parola non mi piace... Gli innovatori si imbattono inevitabilmente in grosse difficoltà... Il suo ufficio di Montpellier...».
«Abita a Montpellier?».
«Non lo sapeva?».
Parlavano due lingue diverse, e Fernand Courcel cominciava a spazientirsi.
«Perché non lo fa venire qui e non le chiede direttamente a lui queste cose?».
«Verrà anche il suo turno...».
«Sembra mal disposto nei suoi confronti...».
«Niente affatto, signor Courcel... Anzi, le confesserò che eravamo compagni di scuola...».
L’ometto prese una sigaretta da un astuccio d’oro.
«Permette?».
«Prego, faccia pure... Quante volte gli ha dato dei soldi?».
Courcel dovette riflettere.
«Tre... L’ultima volta aveva dimenticato il libretto degli assegni a Montpellier...».
«Di che cosa parlavate, qualche minuto fa, nella sala d’aspetto?...».
«Sono tenuto a risponderle?».
«Sarebbe meglio...».
«L’argomento è così doloroso... Insomma!...».
Courcel sospirò, distese le sue gambette corte e soffiò il fumo della sigaretta.
«Lui non sa nulla di ciò che la sorella faceva dei suoi soldi... E nemmeno io, perché la cosa non mi riguarda... Si dà il caso che in questo momento sia un po’ al verde, perché ha investito tutto nel suo progetto, e mi ha chiesto di contribuire alle spese del funerale...».
Courcel si indignò nel vedere che Maigret sfoderava un gran sorriso. Questa era davvero troppo bella!
«Mi scusi. Ora capirà. Innanzitutto, deve sapere che quello che lei conosce come Léon Papet si chiama in realtà Léon Florentin. È il figlio di un pasticciere di Moulins ed è stato mio compagno di classe al liceo Banville».
«Non è il fratello di...».
«No, caro signore. Né suo fratello né suo cugino, ciò non toglie che vivesse con lei...».
«Vuole dire...».
Courcel si era alzato, incapace di stare fermo.
«No!» affermò. «Non è possibile. Josée non era capace di...».
Andava avanti e indietro per la stanza, lasciando cadere la cenere della sigaretta sul tappeto.
«Si ricordi, commissario, che la conosco da dieci anni... All’inizio ho anche vissuto con lei, quando non ero ancora sposato... Le ho trovato io l’appartamento di rue Notre-Dame-de-Lorette e l’ho arredato secondo i suoi gusti...».
«Josée aveva venticinque anni a quell’epoca?».
«Sì... E io trentadue... Mio padre era ancora vivo e mi occupavo abbastanza poco dell’azienda, perché mio fratello Gaston dirigeva l’ufficio di Parigi...».
«Dove e come l’ha incontrata?...».
«Mi aspettavo questa domanda e so a che cosa sta pensando... L’ho conosciuta a Montmartre, in un locale che non esiste più e che si chiamava Le Nouvel Adam...».
«Si esibiva in qualche numero?».
«No... Faceva l’entraîneuse... Ciò non significa che andasse a letto con i clienti che glielo chiedevano... L’ho vista sola a un tavolo, malinconica, poco truccata, con un abituccio nero semplice semplice... Era così timida che quasi non avevo il coraggio di rivolgerle la parola...».
«Ha passato la serata con lei?».
«Certo... Mi ha raccontato la sua infanzia...».
«Di dove le ha detto che era?».
«La Rochelle... Suo padre, un pescatore, è morto in un naufragio e lei ha quattro fratelli e sorelle più giovani...».
«E la madre?... Scommetto che è morta...».
Courcel gli lanciò uno sguardo corrucciato.
«Se vuole che continui...».
«Mi scusi... Tutto ciò, vede, è falso...».
«Non ha quattro fratelli e sorelle?».
«No... E non aveva bisogno di lavorare in un cabaret di Montmartre per mantenerli... Perché è questo che le ha detto, vero?».
Courcel si risedette, perplesso, a testa bassa.
«Stento a crederle... L’ho amata appassionatamente...».
«Eppure si è sposato...».
«Ho sposato una mia cugina, sì... Sentivo che stavo invecchiando... Desideravo avere dei figli...».
«Lei abita a Rouen?».
«Sì, per gran parte della settimana...».
«Ma non il giovedì...».
«Come lo sa?».
«Il giovedì andava a cena con Josée e poi, dopo il cinema o il teatro, passavate la notte insieme in rue Notre-Dame-de-Lorette...».
«Esatto... Avevo provato a chiudere con lei, ma non ci riuscivo...».
«Sua moglie lo sa?».
«No, ovviamente».
«Suo fratello?».
«A Gaston ho dovuto dirlo, perché si presuppone che il giovedì io sia nel nostro ufficio di Marsiglia...».
L’ometto aggiunse ingenuamente:
«Lei mi considera un idiota...».
Maigret riuscì a non sorridere.
«Quando penso che, solo un attimo fa, ero pronto a piangere davanti a quell’uomo che...».
«Florentin non è il solo...».
«Che cosa vuole insinuare?».
«Se Joséphine fosse morta in un altro modo, gliel’avrei taciuto, signor Courcel. Ma è stata assassinata, e poiché è mio dovere trovare il colpevole, posso farlo solo in un clima di verità...».
«Sa chi ha sparato?».
«Non ancora... Eravate in quattro, oltre a Florentin, a farle visita regolarmente...».
Courcel scosse il capo come se non riuscisse ancora a crederci.
«C’è stato un momento in cui sono stato tentato di sposarla... Senza Gaston, è probabile che...».
«Il mercoledì era il turno di un alto funzionario, che però non trascorreva la notte nell’appartamento...».
«L’ha visto?...».
«Stamattina...».
«Ha ammesso?».
«È stato sincero sia riguardo alle sue visite nell’appartamento sia sulla loro natura...».
«Quanti anni ha?».
«Cinquantacinque... Le è mai capitato di incontrare uno zoppo, nell’ascensore o nell’appartamento?».
«No...».
«Perché c’era anche uno zoppo, un uomo di una certa età che rintraccerò presto, se non l’hanno già fatto i miei ispettori...».
«E poi?» sospirò Courcel, che non vedeva l’ora di finirla con quella storia.
«E poi un tipo con i capelli rossi, il più giovane... Ha una trentina d’anni e lavora in una compagnia di assicurazioni...».
«Immagino che lei non l’abbia conosciuta da viva...».
«Esatto».
«Se l’avesse conosciuta capirebbe il mio sgomento... Pareva la sincerità in persona... Una sincerità che rasentava il candore...».
«Le dava dei soldi per vivere?».
«Ho dovuto insistere parecchio perché accettasse... Voleva lavorare in un negozio, di biancheria per esempio... Ma non era di costituzione robusta... Soffriva di vertigini... Diceva sempre che le davo troppi soldi...».
A un tratto parve che gli fosse venuta in mente un’idea alla quale, fino a quel momento, non aveva pensato.
«E gli altri?... Anche loro...?».
«Temo di sì, signor Courcel... Ciascuno di voi la manteneva, eccetto forse Pel di carota, ma lo saprò presto... Comunque, il funzionario che ho incontrato questa mattina, sì...».
«Che ci faceva Josée con i soldi? Aveva gusti così semplici...».
«Intanto si è comprata una casa in rue du Mont-Cenis... E quando è morta abbiamo trovato nell’appartamento quarantottomila franchi... Ora, cerchi di controllare il suo turbamento e di riflettere... Non le chiedo dove era ieri fra le tre e le quattro del pomeriggio...».
«Ero in macchina, di ritorno da Rouen, e verso le tre e un quarto probabilmente attraversavo il tunnel di Saint-Cloud...».
Si fermò di botto e guardò Maigret stupito.
«Ciò significa che sospetta di me?».
«Non sospetto di nessuno e la mia domanda è pura formalità... A che ora è arrivato in ufficio?».
«Non ci sono andato direttamente. Mi sono fermato un momento in un bar di rue de Ponthieu dove ho l’abitudine di scommettere alle corse... In pratica, sono arrivato in boulevard Voltaire verso le cinque e un quarto... Sulla carta, sono socio di mio fratello... Vado in fabbrica due volte la settimana... Ho un ufficio e una segretaria in boulevard Voltaire, ma l’azienda funzionerebbe benissimo anche senza di me...».
«Suo fratello non ne è contrariato?».
«Anzi... Meno me ne occupo, più è contento, perché così si sente l’unico padrone...».
«Che macchina ha, signor Courcel?».
«Una Jaguar... Decappottabile... Ho sempre avuto decappottabili... Blu... Vuole la targa?».
«Non serve...».
«Quando penso che, non solo Josée, ma anche il sedicente fratello... Come ha detto che si chiama?».
«Florentin... Suo padre faceva i migliori dolci di Moulins...».
Courcel strinse i piccoli pugni.
«Si calmi... Salvo sviluppi imprevisti, il suo nome non verrà pubblicato, e tutto questo rimarrà fra di noi... Sua moglie è gelosa?».
«Forse sì, ma non in modo particolarmente spietato... Sospetta che io abbia un’avventura di tanto in tanto, a Marsiglia o a Parigi...».
«Ne ha? Anche quando c’era Josée?».
«Mi capita... Sono curioso, come tutti gli uomini...».
Cercava il cappello che aveva lasciato in sala d’aspetto. Maigret lo accompagnò, temendo che se la prendesse con Florentin.
Questi, lugubre, li guardò entrambi come per sapere se Courcel avesse vuotato il sacco.
Quando l’industriale se ne fu andato, l’ispettore Dieudonné che, vedendo arrivare Maigret, si era alzato, chiese:
«Vuole il mio rapporto?».
«È successo qualcosa?».
«No. Dopo aver fatto colazione al bistrot all’angolo della strada è rincasato, e solo alle nove e mezzo ha preso il métro per venire qui. Ha chiesto di vederla. Poi è arrivata l’altra persona e si sono stretti la mano. Non ho sentito che cosa si sono detti...».
«Basta così per oggi...».
Maigret fece un cenno a Florentin.
«Vieni...».
Lo fece entrare nel suo ufficio e, dopo aver chiuso la porta, lo guardò a lungo. Florentin continuava a tenere la testa bassa e il suo alto corpo ossuto sembrava più fiacco, come se stesse per accasciarsi.
«Sei ancora più mascalzone di quanto pensassi...».
«Lo so...».
«Perché l’hai fatto?».
«Non pensavo di incontrarlo...».
«Che cosa sei venuto a fare qui?».
Florentin alzò la testa e guardò Maigret con aria compassionevole.
«Quanto credi che mi rimanga in tasca?».
«Non ha importanza».
«Ce l’ha, invece... Mi resta esattamente una moneta da cinquanta centesimi... E non c’è nemmeno un negozio, un caffè o un ristorante nel quartiere che mi farebbe credito...».
Ora a essere stupito era il commissario, quasi quanto lo era stato poco prima il tipo grassoccio.
«Sei venuto a chiedermi dei soldi?».
«A chi dovrei chiederli nella mia situazione?... Immagino tu abbia detto a quell’emerito cretino di Paré che non sono il fratello di Josée...».
«Ovviamente...».
«Dev’essere stato un bel colpo per lui vedere le sue illusioni infrante...».
«In ogni caso ha un alibi di ferro... Era nel suo ufficio, ieri, fra le tre e le quattro...».
«Quando ho visto entrare in sala d’attesa quel maialino da latte, ho pensato che avevo ancora una speranza...».
«Il costo del funerale!... Non ti vergogni?».
Florentin alzò le spalle.
«Sai, a furia di vergognarmi... Certo, immaginavo che te ne avrebbe parlato... Siccome ero arrivato per primo, speravo di essere ricevuto prima di lui...».
Tacque, mentre Maigret andava a piazzarsi davanti alla finestra. Raramente l’aria di fuori gli era sembrata così pura.
«Che ne sarà dei quarantottomila franchi?».
Il commissario trasalì. Era davvero incredibile che Florentin, in un momento simile, potesse pensare a quei soldi!
«Ti rendi conto che mi ritrovo senza mezzi di sostentamento?... L’antiquariato mi rende appena qualche soldo ogni tanto... A che serve barare con te?... Era solo una copertura...».
«L’avevo capito...».
«Allora, in attesa di cavarmi d’impiccio...».
«Che cosa intendi fare?».
«Se necessario, andrò a scaricare le cassette di verdura alle Halles...».
«Ti avverto che non puoi lasciare Parigi...».
«Rimango sospettato?».
«Fino a quando l’assassino non sarà dietro le sbarre... Non sai davvero niente dello zoppo?...».
«Josée conosceva solo il suo nome, Victor... Lui non le parlava mai della moglie, né dei figli... Lei non sapeva cosa facesse, ma dava l’impressione di essere ricco... Abiti di buon taglio, camicie su misura... Mi viene in mente un particolare... Una volta, tirando fuori il portafoglio, ha fatto cadere un abbonamento ferroviario per la linea Parigi-Bordeaux...».
Per gli ispettori era un punto di partenza. Non dovevano essere molti gli abbonati sulla linea Parigi-Bordeaux.
«Vedi... Collaboro come meglio posso...».
Maigret aveva capito. Tirò fuori anche lui il portafoglio dalla tasca e prese un biglietto da cento franchi.
«Cerca di farli durare un po’...».
«Continui a farmi pedinare?».
«Sì...».
Maigret aprì appena la porta dell’ufficio degli ispettori.
«Leroy...».
Gli diede istruzioni, e non poté evitare di stringere la mano che gli tendeva l’ex compagno di scuola.