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Sulle prime Maigret aveva pensato di portare l’ex compagno di scuola al Quai des Orfèvres, ma quando si chinò verso l’autista per dargli l’indirizzo, cambiò idea.
«A che numero di boulevard Rochechouart?» chiese a Florentin.
«55 bis... Perché?».
«Boulevard Rochechouart, 55 bis...».
Era a due passi. Il tassista, seccato per la brevità della corsa, imprecò fra i denti.
Da un lato c’era la bottega di un corniciaio, dall’altro una tabaccheria. In mezzo, un vicolo cieco con un selciato irregolare, dove qualcuno aveva lasciato una carriola.
In fondo, due atelier con vetrata. In quello di sinistra un pittore stava abbozzando una vista del Sacro Cuore – probabilmente le produceva in serie – che avrebbe di sicuro venduto a un turista. Aveva i capelli lunghi, una barbetta sale e pepe e una lavallière come gli imbrattatele del primo Novecento.
Florentin estrasse il mazzo di chiavi e aprì la porta dell’atelier di destra. Maigret ce l’aveva con lui perché gli sciupava i ricordi di gioventù.
In effetti, poco prima che l’ex compagno di scuola arrivasse, mentre osservava la mosca che si ostinava a posarsi sempre sullo stesso punto della pagina, il commissario stava giusto pensando al liceo di Moulins...
Chissà che ne era degli altri ragazzi della sua classe... Non aveva più rivisto nessuno. Crochet, che era figlio di un notaio, doveva aver rilevato lo studio del padre. Orban, uno dolce e grassottello, aveva intenzione di studiare medicina. Qualcuno magari era andato a vivere altrove, in Francia o all’estero.
Perché, fra tutti, doveva capitargli di ritrovare proprio Florentin, e in circostanze così spiacevoli?
Si ricordava la pasticceria, anche se lui non c’era entrato spesso. Altri studenti, di famiglie più benestanti della sua, si riunivano lì per mangiare dolci e gelati, in uno scenario fatto di specchi, marmi e decori dorati, in un’atmosfera calda e zuccherosa. Per le signore della città, una torta non era buona se non era di Florentin.
E adesso Maigret scopriva una bottega di robivecchi polverosa e cupa, dai cui vetri, che con ogni probabilità non erano mai stati lavati, filtrava una luce fioca.
«Scusa il disordine...».
La parola antiquario, in quel caso, era più che pretenziosa. I mobili riacquistati da Florentin, Dio solo sa dove, erano in gran parte anticaglie senza stile e senza valore. Lui si limitava a ripararli, levigarli, dar loro un aspetto un po’ più invitante.
«È tanto che fai questo lavoro?».
«Tre anni».
«E prima?».
«Mi occupavo di esportazione...».
«Esportazione di cosa?».
«Merce di ogni tipo... In particolare per i paesi africani...».
«E prima?».
Allora, Florentin, umiliato, mormorò:
«Sai, ho provato un po’ di tutto... Non volevo diventare pasticciere e finire i miei giorni a Moulins... Mia sorella ha sposato un pasticciere e hanno rilevato il negozio...».
Maigret si ricordava della sorella, dietro al bancone bianco. E forse ne era stato anche un pochino innamorato... Era fresca, allegra, con un seno abbondante come la madre, a cui somigliava.
«A Parigi non è facile cavarsela... Ho avuto alti e bassi...».
A Maigret gli era capitato di vederne tanti che avevano avuto alti e bassi, che mettevano in piedi affari mirabolanti destinati a crollare come castelli di carta, ed erano sempre a un passo dalla galera. Capaci di chiedervi un finanziamento di centomila franchi per sistemare un porto in un paese lontano, e alla fine si accontentano di cento franchi per evitare lo sfratto.
Florentin aveva trovato Josée. Giacché, a giudicare dall’atelier, era chiaro che non viveva della vendita dei suoi mobili.
Maigret spinse una porta socchiusa e scorse una stanza stretta, senza finestre, dove c’erano un letto di ferro, un lavandino e un armadio sbilenco.
«È qui che dormi?».
«Solo il giovedì...».
A chi mai spettava il giovedì? All’unico che, una volta la settimana, passava la notte in rue Notre-Dame-de-Lorette.
«Fernand Courcel» spiegò Florentin. «Era l’amico di Josée ben prima di me... Frequentava casa sua già dieci anni fa, e uscivano insieme... Adesso è meno libero, ma il giovedì sera ha un pretesto per fermarsi a Parigi...».
Maigret guardava negli angoli, apriva cassetti, vecchi armadi senza stile, con la vernice tutta scrostata. Non sapeva esattamente che cosa stesse cercando. Un particolare lo tormentava.
«Mi hai detto che Josée non aveva un conto in banca, vero?».
«Per quanto ne so io, no».
«Non si fidava delle banche?».
«No... Ma, più che altro, non voleva che si venisse a sapere delle sue entrate, per via delle tasse...».
Maigret trovò una vecchia pipa.
«Fumi la pipa, adesso?».
«Non a casa sua... Non le piaceva l’odore... Soltanto qui...».
In un armadio rustico erano appesi un vestito blu, un paio di pantaloni da lavoro e tre o quattro camicie; a parte un paio di espadrillas sporche di segatura, c’era un unico paio di scarpe.
Il tipico, lurido ambiente bohémien. Joséphine Papet doveva avere dei soldi. Chissà se era avara o non si fidava di Florentin, che le avrebbe subito mangiato tutto fino all’ultimo centesimo...
Maigret non aveva trovato nulla di interessante e quasi si pentì di essere andato a casa dell’ex compagno di scuola perché, in fin dei conti, Florentin gli faceva pena. Dalla porta, gli sembrò di vedere un pezzo di carta sopra un armadio. Tornò sui suoi passi, salì su una sedia e ne scese con in mano un pacchetto rettangolare avvolto in carta di giornale.
La fronte di Florentin si imperlò di gocce di sudore.
Il commissario scartò il pacchetto: dentro c’era una biscottiera di latta, sulla quale era ancora ben visibile la marca rossa e gialla. L’aprì e vi trovò delle mazzette di banconote da cento franchi.
«Sono i miei risparmi...».
Maigret lo guardò come se non avesse sentito e si sedette davanti al banco da lavoro per contare i biglietti. Ce n’erano quarantotto.
«Mangi spesso biscotti?».
«A volte...».
«Puoi farmene vedere un’altra scatola?».
«Non credo di averne, in questo momento...».
«Ne ho viste due, della stessa marca, in rue Notre-Dame-de-Lorette...».
«L’avrò presa lì...».
Aveva sempre mentito, d’istinto o per gioco. Aveva bisogno di raccontare frottole, e più erano inverosimili più le diceva a muso duro. Questa volta, però, la posta era alta.
«Capisco perché sei arrivato al Quai des Orfèvres solo alle cinque...».
«Non mi decidevo... Avevo paura di essere accusato...».
«Sei venuto qui...».
Florentin negò ancora, ma cominciava a essere confuso.
«Vuoi che vada a chiederlo al pittore qui accanto?».
«Senti, Maigret...».
Gli tremavano le labbra, come se stesse per piangere, e non era un bello spettacolo.
«Lo so che non dico sempre la verità. È più forte di me. Ricordi le storie che inventavo per farvi divertire?... Adesso ti supplico di credermi: non sono stato io a uccidere Josée, ed ero davvero nel guardaroba quando è successo...».
Aveva uno sguardo patetico, ma a recitare la commedia era abituato, no?
«Se avessi ucciso, non mi sarei certo rivolto a te...».
«Allora perché non hai ammesso la verità?».
«Quale verità?».
Cercava di guadagnare tempo. Tergiversava.
«Questo pomeriggio, alle tre, la scatola di latta era ancora in rue Notre-Dame-de-Lorette. Esatto?».
«Sì...».
«Allora?».
«È semplice... Josée non aveva più rapporti con la sua famiglia... L’unica sorella vive in Marocco, dove il marito coltiva agrumi... Sono ricchi... Io faccio fatica a sbarcare il lunario... Così, quando mi sono accorto che era morta...».
«Ne hai approfittato per portare via il gruzzolo...».
«Usi parole dure, ma mi metto nei tuoi panni... In fin dei conti, non facevo torto a nessuno... Che ne sarebbe stato di me, adesso che lei non c’era più?...».
Maigret lo fissava, combattuto fra sentimenti contraddittori.
«Vieni...».
Aveva caldo e sete. Si sentiva stanco, insofferente verso se stesso e verso gli altri.
Uscendo dal cortile ebbe un attimo di esitazione, ma alla fine spinse l’ex compagno di scuola dentro il bar tabacchi.
«Due birre» ordinò.
«Mi credi?».
«Ne riparleremo più tardi...».
Maigret bevve due birre. Poi fermò un taxi. C’era parecchio traffico, e ci volle quasi mezzora per raggiungere la Polizia giudiziaria. Il cielo era di un azzurro uniforme e opprimente, i tavolini all’aperto tutti occupati, e si vedevano molti uomini in maniche di camicia e con la giacca sul braccio.
Il suo ufficio era quasi fresco, perché non ci batteva più il sole.
«Accomodati... Fuma pure, se vuoi...».
«Grazie... Sai, mi fa uno strano effetto, nella situazione in cui sono, ritrovarmi di fronte a un ex compagno di scuola...».
«Anche a me» borbottò il commissario caricandosi la pipa.
«Non è la stessa cosa...».
«Eh già...».
«Ti sei fatto una bella opinione di me, vero? Scommetto che mi giudichi un mascalzone...».
«Io non ti giudico. Cerco di capire».
«Io la amavo...».
«Ah!».
«Non era il grande amore, non sto dicendo questo, né ci credevamo Giulietta e Romeo...».
«Non ce lo vedo, infatti, Romeo che aspetta nel guardaroba... Ti è capitato spesso?».
«Solo tre o quattro volte, quando qualcuno arrivava all’improvviso...».
«Quei signori erano al corrente della tua esistenza?».
«Ovviamente no...».
«Non li hai mai incontrati?».
«Li ho visti... Avevo voglia di sapere che faccia avevano e li ho aspettati per strada... Vedi che ti parlo sinceramente...».
«Non ti è venuta la tentazione di ricattarli? Immagino che siano sposati, padri di famiglia...».
«Ti giuro...».
«Vuoi smetterla di giurare?».
«Va bene. Ma che cosa posso dire, visto che non mi credi...».
«La verità...».
«Non ho ricattato nessuno...».
«Perché?».
«Mi accontentavo della vita modesta che facevamo... Non sono più giovane... Ho girato mezzo mondo e avevo voglia di tranquillità e di sicurezza... Josée era riposante e piena di attenzioni nei miei riguardi...».
«Le hai proposto tu di comprare una macchina?».
«L’abbiamo deciso insieme... Forse sono stato io a parlargliene per primo...».
«Dove andavate la domenica?».
«Un po’ dappertutto, nella valle di Chevreuse, nella foresta di Fontainebleau, e qualche volta al mare, ma più raramente...».
«Sapevi dove teneva i soldi?».
«Non aveva bisogno di nasconderli... Si fidava ciecamente di me... Dimmi, Maigret, per quale motivo l’avrei uccisa?...».
«Perché magari si era stancata di te...».
«Era proprio il contrario. Risparmiava per poter andare a vivere con me in campagna, un giorno... Mettiti nei miei panni...».
Istintivamente il commissario arricciò il naso.
«Avevi una pistola?».
«C’era una vecchia pistola nel comodino... L’ho trovata più di due anni fa in un mobile che avevo acquistato a un’asta pubblica...».
«Con i proiettili?».
«Sì, era carica...».
«E l’hai portata in rue Notre-Dame-de-Lorette?».
«Josée era piuttosto paurosa, e per farla sentire più al sicuro ho messo l’arma nel cassetto del comodino...».
«Quell’arma è scomparsa...».
«Lo so... L’ho cercata anch’io...».
«Perché?».
«È sciocco, me ne rendo conto... Tutto quel che faccio, tutto quel che racconto è sciocco... Sono troppo sincero... Avrei fatto meglio a telefonare al commissariato di quartiere e aspettare... Avrei potuto raccontare qualsiasi cosa, che ero appena arrivato e che l’avevo trovata morta...».
«Ti ho fatto una domanda... Perché hai cercato la pistola?».
«Per farla sparire... L’avrei buttata nelle fogne o nella Senna... Dato che era mia, avrebbero certamente incolpato me dell’omicidio...
«E vedi che avevo ragione, perché tu stesso...».
«Non ho ancora detto che sei stato tu...».
«Ma mi hai riportato qui e non credi a quello che dico... Sono in stato d’arresto, per caso?...».
Maigret lo guardò perplesso, con un’espressione seria, preoccupata.
«No...» mormorò alla fine.
Correva un rischio, lo sapeva, ma non se la sentiva di agire diversamente.
«Uscito di qui, che cosa farai?».
«Mangerò un boccone... Poi andrò a letto...».
«Dove?».
Florentin esitò.
«Non lo so... Mi sa che in rue Notre-Dame-de-Lorette è meglio evitare...».
Era incoscienza la sua?
«Mi toccherà dormire in boulevard Rochechouart...».
Nello sgabuzzino senza finestra, in fondo all’atelier, e in un letto senza lenzuola, con solo una vecchia coperta grigia e ruvida.
Maigret si alzò ed entrò nell’ufficio degli ispettori. Si mise alle spalle di Lapointe, in attesa che terminasse la telefonata.
«C’è un tale, nel mio ufficio, un tipo alto e magro... Ha la mia età, ma ne dimostra di più... Abita in fondo a un cortile, al 55 bis di boulevard Rochechouart... Non so che cosa farà né dove andrà, una volta uscito da qui... Vorrei che tu non lo perdessi di vista... Per la notte, mettiti d’accordo con un collega... E domani mattina, che qualcuno vi dia il cambio...».
«Non deve accorgersi di essere pedinato?».
«Sarebbe meglio di no, ma non è fondamentale... È furbo come una volpe, e probabilmente se lo immagina...».
«Bene, capo... Lo aspetterò nel corridoio...».
«Ne ho ancora per qualche minuto...».
Quando Maigret spinse la porta, Florentin indietreggiò prontamente, cercando di darsi un contegno.
«Stavi origliando?».
L’altro, dopo un attimo di esitazione, allargò la bocca in un sorriso piuttosto penoso.
«Tu cosa avresti fatto al mio posto?».
«Hai sentito?».
«Non tutto...».
«Ho incaricato uno dei miei ispettori di starti alle calcagna... Ti avverto: se tenti di seminarlo, mando una segnalazione a tutte le centrali di polizia e ti faccio mettere al fresco...».
«Perché mi parli così, Maigret?...».
Il commissario fu lì lì per chiedergli di evitare d’ora in avanti di dargli del tu. Ma non ne ebbe il coraggio.
«Dove pensavi di andare?».
«Quando?...».
«Immaginavi che ci sarebbe stata un’inchiesta, che saresti stato sospettato... Se hai nascosto così male i soldi è perché non hai avuto il tempo di trovare un posto migliore dove metterli al sicuro... Pensavi già di venire da me?».
«No... All’inizio avevo pensato di andare al commissariato...».
«Non di lasciare la Francia prima che fosse scoperto il cadavere?».
«Un pensierino l’ho fatto...».
«E che cosa ti ha trattenuto?».
«La mia fuga avrebbe costituito una prova di colpevolezza e sarei stato estradato... Allora ho pensato di recarmi al commissariato di quartiere ma poi, improvvisamente, mi sono ricordato di te... Ho letto spesso il tuo nome sui giornali... Sei l’unico di tutta la classe a essere diventato quasi famoso...».
Maigret continuava a guardarlo con la stessa curiosità, come se l’ex compagno di scuola rappresentasse per lui un enigma insolubile.
«Tu hai fama di essere uno che non si fida delle apparenze, che va in fondo alle cose... Così, ho sperato che avresti capito... Comincio a chiedermi se mi sono sbagliato... Tu mi credi colpevole, ammettilo...».
«Ti ho già detto che non credo niente...».
«Non avrei dovuto portare via i soldi... L’idea mi è venuta all’ultimo momento, quando ero già sulla porta...».
«Puoi andare...».
Erano in piedi tutti e due, e Florentin era indeciso se porgergli o meno la mano. Maigret, forse per evitare quel gesto, tirò fuori di tasca il fazzoletto e si asciugò la fronte.
«Ti vedo domani?».
«È probabile...».
«Arrivederci, Maigret...».
«Arrivederci...».
Non lo guardò scendere le scale seguito a ruota da Lapointe.
Senza una ragione precisa, Maigret era irritato con se stesso. E con il mondo intero. Gli avevano rovinato una giornata che, fino alle cinque del pomeriggio, era stata piacevole e oziosa.
Le pratiche giacevano ancora sulla scrivania, in attesa di essere esaminate e annotate. La mosca era scomparsa, forse indispettita dal fatto che lui non si fosse presentato all’appuntamento.
Erano le sette e mezzo. Chiamò a casa, in boulevard Richard-Lenoir.
«Sei tu?».
Lo diceva sempre, anche se aveva riconosciuto benissimo la voce di sua moglie.
«Non rientri per cena?».
Era talmente abituata a quel genere di telefonate che, automaticamente, anche lei gli faceva sempre quella domanda.
«Per l’appunto, invece, torno... Che cosa c’è da mangiare?... Bene... Bene... Ci vediamo tra una mezzoretta...».
Entrò nell’ufficio degli ispettori, dove rimanevano solo pochi uomini della squadra; si sedette al posto di Janvier e scrisse un biglietto per chiedergli di chiamarlo non appena fosse rientrato.
Provava ancora un certo malessere. Non era un caso come gli altri, e il fatto che Florentin fosse una sorta di amico d’infanzia complicava le cose.
C’erano gli altri, quei signori di una certa età che occupavano posizioni più o meno altolocate e che conducevano, ciascuno dal canto suo, una tranquilla e armoniosa vita familiare.
Tranne un giorno a settimana! Tranne le poche ore che trascorrevano nell’atmosfera ovattata dell’appartamento di Joséphine Papet.
L’indomani mattina i giornali si sarebbero impadroniti della notizia e quei signori avrebbero tremato.
Maigret fu sul punto di salire in mansarda, nei locali della Scientifica, per chiedere a Moers se aveva già dei risultati. Ma poi alzò le spalle e afferrò il cappello.
«A domani, ragazzi...».
«A domani, capo...».
Camminò tra la folla fino allo Châtelet e si mise in coda in attesa dell’autobus.
Appena lo vide, la signora Maigret capì che era di cattivo umore e, suo malgrado, gli lanciò un’occhiata interrogativa.
«Una faccenda seccante» borbottò lui, andando in bagno a lavarsi le mani.
Poi si tolse la giacca e allentò un po’ la cravatta.
«Un ex compagno di liceo che si è cacciato in una situazione impossibile e ci è dentro fino al collo... Senza contare che non ispirerà simpatia a nessuno...».
«Un omicidio?».
«Un colpo di pistola... La donna è morta...».
«Gelosia?».
«Se ha sparato lui, no...».
«Non è sicuro che sia stato lui?».
«Andiamo a tavola» sospirò, come se avesse già parlato troppo di quella faccenda.
Dalle finestre aperte entrava la luce dorata del tramonto. Per cena la signora Maigret aveva preparato pollo al dragoncello, un piatto che le riusciva benissimo, con contorno di punte di asparagi.
Lei indossava uno di quegli abiti di cotone a fiorellini che amava portare quando stava in casa, e questo dava alla cena un tocco di intimità in più.
«Devi uscire, stasera?».
«Non credo. Aspetto una telefonata di Janvier».
Il telefono squillò proprio mentre lui stava per affondare il cucchiaio nella sua metà di melone.
«Pronto?... Sì... Ti ascolto, Janvier... Sei rientrato al Quai?... Hai scoperto qualcosa?».
«Quasi niente, capo... Ho interrogato per primi i negozianti del pianterreno... A sinistra c’è Chez Éliane... vende biancheria intima come se ne trova solo a Montmartre... Pare che i turisti ne vadano pazzi...
«Le due commesse, una bionda e una mora, seguono più o meno gli andirivieni del palazzo... Dalla mia descrizione hanno immediatamente riconosciuto Florentin e la vittima... Era una cliente, anche se non aveva il minimo gusto per la biancheria un po’ audace...
«Pare fosse una donna molto simpatica, calma, sorridente, e che avesse l’aria di una piccola borghese civettuola e gentile...
«Le ragazze sapevano che Florentin viveva con lei, e avevano simpatia anche per lui... Lo trovavano addirittura aristocratico... Un aristocratico decaduto, a sentir loro...
«Ce l’avevano un po’ con Josée perché lo tradiva, dato che una volta l’avevano vista uscire con il signore del mercoledì...».
«François Paré? Quello che lavora al ministero dei Lavori pubblici?».
«Presumo di sì... In questo modo hanno scoperto chi andava a trovare ogni settimana, quasi sempre alla stessa ora, quel signore... Ha una Citroën nera che fa sempre fatica a parcheggiare... E si presenta con l’immancabile vassoio di pasticcini...».
«Conoscono anche gli altri amanti?».
«Solo quello del giovedì, il più anziano... Sono anni che va lì, e loro due sono convinte che molto tempo fa abbia vissuto nell’appartamento per parecchie settimane... Lo chiamano il Grassone... Ha una faccia da bambino, tonda e rosea, con occhi chiari sporgenti...
«Quasi ogni settimana lui e Josée andavano a cena fuori, e dopo a vedere uno spettacolo... La sera il Grassone si fermava a dormire, e a volte ripartiva solo in tarda mattinata...».
Maigret consultò i suoi appunti.
«È Fernand Courcel, di Rouen... Ha un ufficio a Parigi, in boulevard Voltaire... Gli altri?...».
«Non mi hanno detto niente degli altri, e secondo loro il cornuto era Florentin...».
«Poi?».
«A destra c’è il negozio di calzature Martin... È un locale lungo e stretto, piuttosto buio... La scaffalatura impedisce di vedere cosa succede per strada, a meno che non si stia dietro la porta a vetri...».
«Continua».
«Al primo piano, a sinistra, un odontoiatra... Non sa nulla... Josée è stata sua paziente quattro anni fa... Tre sedute per un’otturazione... A destra, una coppia di anziani che non escono quasi più di casa... Il marito ha lavorato alla Banca di Francia, non so con quale incarico... La figlia è sposata e va a trovarli tutte le domeniche con il marito e i due bambini...
«L’appartamento sul cortile al momento è vuoto... Gli inquilini – marito e moglie, lavorano nella ristorazione – sono in Italia da un mese...
«Al secondo piano, la signora che fa busti su misura... Ha con lei due apprendiste... Ma non sanno nemmeno chi sia Joséphine Papet...
«Sull’altro lato del pianerottolo, una donna con tre bambini, il maggiore dei quali ha solo cinque anni... Una che non smette un attimo di strillare... È anche vero che, con il baccano che fanno i bambini, per farsi sentire bisogna alzare la voce...
«“È disgustoso” mi ha detto. “Ho scritto al proprietario... Mio marito non voleva, ma io ho scritto lo stesso... Lui ha sempre paura che gli facciano storie... Non si esercita quel mestiere in una casa rispettabile, dove ci sono dei bambini... Ce n’era uno quasi ogni giorno, li riconoscevo dal loro modo di suonare... Lo zoppo veniva il sabato, nelle prime ore del pomeriggio, subito dopo pranzo... Era facile riconoscere il suo passo... Per di più, suonava il campanello a ritmo cadenzato: ta, ta, ta, ta... ta, ta! Povero scemo! Forse credeva di essere l’unico...”».
«Non sei riuscito a sapere nient’altro di lui?».
«Niente, a parte che è un tale sulla cinquantina e che arriva in taxi...».
«E Pel di carota?».
«È uno nuovo... Frequenta la casa solo da qualche settimana... È più giovane degli altri, sui trenta, trentacinque anni, e sale le scale facendo quattro gradini alla volta...».
«Ha le chiavi?».
«No. Nessuno le ha, tranne Florentin, che l’inquilina del secondo piano definisce un notorio magnaccia...
«“Preferisco ancora quelli di Pigalle” ha detto. “Quelli almeno corrono un rischio... E comunque non sarebbero capaci di fare altro... E invece lui, che deve essere di buona famiglia, e che probabilmente è istruito...”».
Maigret non poté fare a meno di sorridere e rimpianse di non aver interrogato lui stesso gli abitanti del palazzo.
«A destra non mi ha risposto nessuno... Al quarto piano sono capitato in piena lite coniugale.
«“Se non mi dici dove sei stata e chi hai visto...” urlava il marito.
«“Avrò pure il diritto di fare la spesa senza dirti il nome di tutti i negozi in cui sono entrata!... O devo portarti una dichiarazione scritta dei negozianti?...”.
«“Non mi dirai che ti ci vuole un pomeriggio intero per comprarti un paio di scarpe... Rispondi alla mia domanda... Chi?...”.
«“Chi cosa?”.
«“Chi hai incontrato?”.
«Ho preferito eclissarmi» concluse Janvier. «Di fronte, abita una vecchia. È incredibile quanti anziani ci siano in quel quartiere. Non sa niente. È mezza sorda e la casa puzza di rancido.
«Ho provato anche con la portinaia, non si sa mai... Mi ha guardato con quegli occhi da pesce lesso e non sono riuscito a cavarle una parola di bocca...».
«Nemmeno io, se ti può consolare. A parte il fatto che, secondo lei, fra le tre e le quattro non è salito nessuno...».
«Ne è sicura?».
«Questo sostiene... Dice anche di non aver mai lasciato la portineria e che quindi nessuno avrebbe potuto passarci davanti a sua insaputa... Lo ripeterà con fermezza anche in Corte d’assise...
«Che cosa faccio adesso?».
«Torna a casa, ci vediamo domani mattina in ufficio...».
«Buonanotte, capo».
Maigret aveva appena riattaccato e stava per tornare al suo mezzo melone quando il telefono squillò di nuovo. Questa volta era Lapointe.
«È un quarto d’ora che cerco di prendere la linea,» disse con voce concitata «ma dava sempre occupato... Prima avevo tentato al Quai... La chiamo dalla tabaccheria all’angolo... Ci sono novità, capo...».
«Ti ascolto...».
«Quando abbiamo lasciato la Polizia giudiziaria, Florentin sapeva perfettamente che lo stavo pedinando, e scendendo le scale si è persino girato per farmi l’occhiolino...
«Io lo seguivo sul marciapiede, a tre o quattro metri di distanza... Arrivato in place Dauphine ha esitato un attimo, poi si è diretto verso la Brasserie Dauphine... Ma sulla porta si è fermato, come se mi aspettasse. Visto che non mi avvicinavo, è venuto verso di me.
«“Siccome sto andando a bere un bicchiere, non vedo perché non dovrei offrirne uno anche a lei...”.
«Sembrava che mi prendesse in giro. È un vero spiritosone... Gli ho risposto che non bevo mai in servizio, e lui è entrato da solo... L’ho visto mandar giù uno dopo l’altro tre o quattro cognac, non so di preciso...
«Poi, dopo essersi accertato che ero ancora lì e avermi fatto di nuovo l’occhiolino, si è avviato verso il Pont-Neuf. A quell’ora c’era una gran folla, e gli automobilisti, bloccati in un ingorgo, suonavano quasi tutti il clacson...
«Sempre camminando l’uno dietro l’altro, eravamo quasi arrivati in quai de la Mégisserie quando l’ho visto salire sul parapetto e buttarsi nella Senna. È successo tutto così in fretta che solo alcuni passanti, quelli che erano vicini a lui, se ne sono accorti...
«È tornato a galla a meno di tre metri da una chiatta ormeggiata e, mentre la folla si accalcava, è successa una cosa quasi comica. Il battelliere aveva afferrato una gaffa lunga e pesante e ne tendeva un’estremità a Florentin, che ha afferrato il gancio e si è lasciato trascinare fuori dall’acqua...
«Un agente è accorso e si è chinato sul finto annegato... Io nel frattempo ero riuscito a districarmi dalla ressa e a raggiungere la riva, e poi la barca.
«C’erano curiosi dappertutto, come se si trattasse di un avvenimento importante.
«Ho preferito tenermi in disparte e seguire le cose a distanza... Casomai ci fosse stato un giornalista, era inutile mettergli la pulce nell’orecchio... Non so se ho fatto bene...».
«Hai fatto benissimo... Ti informo comunque che Florentin non correva alcun rischio perché, quando andavamo a fare il bagno nell’Allier, era quello di noi che nuotava meglio... Che cosa è successo dopo?».
«Il bravo battelliere gli ha dato qualcosa di forte, senza sospettare che il suo annegato aveva appena bevuto tre o quattro bicchierini... Poi l’agente ha portato Florentin al commissariato delle Halles...
«Io non sono entrato, per il motivo che le ho già detto... Gli avranno preso nome, cognome e indirizzo e fatto qualche domanda... Quando è uscito non mi ha visto, perché stavo mangiando un panino nel bistrot di fronte... Faceva pena, poveraccio, con quella vecchia coperta che gli avevano prestato i poliziotti sulle spalle...
«Ha fermato un taxi e si è fatto portare a casa... Si è cambiato... Riuscivo a vederlo nell’atelier, attraverso i vetri... È uscito, e questa volta mi ha visto... Mi ha rivolto un’altra strizzatina d’occhio, un’altra smorfia stravagante, poi è arrivato fino a place Blanche, dove è entrato in un ristorante...
«È tornato a casa mezzora fa, dopo aver comprato un giornale. Quando sono uscito dal vicolo, lo stava leggendo disteso sul letto...».
Maigret aveva ascoltato quel racconto con un certo sbigottimento.
«Hai cenato?».
«Ho mangiato un panino. Li fanno anche in questo bistrot, e ne mangerò ancora un paio... Torrence deve darmi il cambio alle due del mattino...».
«Buona guardia...» sospirò il commissario.
«La chiamo, se c’è qualcosa di nuovo?».
«A qualunque ora...».
L’appartamento era avvolto dal crepuscolo e Maigret andò a mangiare il melone – del quale si era quasi scordato – in piedi davanti alla finestra, mentre la signora Maigret sparecchiava la tavola.
Era evidente che Florentin non aveva tentato il suicidio, perché per un buon nuotatore è quasi impossibile annegare nella Senna, in pieno giugno, davanti a centinaia di spettatori. E a pochi metri da una chiatta!
Per quale motivo si era buttato in acqua? Voleva far credere di essere disperato perché sospettavano di lui?
«Lapointe sta bene?».
Maigret sorrise. Capiva dove voleva arrivare sua moglie. Non gli faceva mai domande dirette sul suo lavoro, ma le capitava di offrirgli lo spunto per parlarne.
«Benissimo. Sta consumando le suole delle scarpe in un cortile di boulevard Rochechouart... Ne avrà ancora per qualche ora...».
«A causa del tuo ex compagno di liceo?».
«Sì... Il quale ha appena inscenato una commediola a uso e consumo dei passanti del Pont-Neuf gettandosi di punto in bianco nella Senna...».
«Credi che volesse suicidarsi?».
«No, ne sono sicuro...».
Che interesse aveva Florentin ad attirare l’attenzione su di sé? Voleva che la sua storia comparisse sui giornali? Era assurdo – eppure, con lui, tutto era possibile.
«Andiamo a prendere una boccata d’aria?».
I lampioni di boulevard Richard-Lenoir erano accesi anche se non era ancora buio. Loro due non erano i soli a passeggiare sul marciapiede, tranquillamente, giusto per godersi il fresco dopo una giornata tanto calda.
Andarono a dormire alle undici. La mattina seguente il sole splendeva e l’aria era già tiepida. Un leggero odore di asfalto cominciava a salire dalla strada, l’odore dell’estate, quando il bitume si rammollisce.
Arrivato in ufficio, Maigret dovette sbrigare la voluminosa corrispondenza e poi andare a rapporto. I giornali del mattino riportavano senza molti dettagli la notizia del delitto di rue Notre-Dame-de-Lorette, e il commissario fece un breve riassunto di ciò che sapeva.
«Ha confessato?».
«No».
«Ha delle prove contro di lui?».
«Solo qualche indizio...».
Non ritenne utile aggiungere che Florentin era un suo ex compagno di scuola. Rientrato nel suo ufficio, chiamò Janvier.
«Riepilogando: Joséphine Papet aveva quattro visitatori regolari... Due di loro, François Paré e Courcel, sono stati identificati e me ne occuperò io questa mattina... Tu invece occupati degli altri due... Interroga i vicini, i negozianti del quartiere, interroga chi vuoi, ma portami il loro nome e indirizzo...».
Janvier non poté trattenere un sorriso, perché lo stesso Maigret sapeva benissimo che era un’impresa quasi impossibile.
«Conto su di te».
«Bene, capo...».
Maigret chiamò quindi il medico legale. Purtroppo non era più il buon vecchio dottor Paul che, quando era invitato a cena, provava un piacere sadico a descrivere per filo e per segno le sue autopsie.
«Ha ritrovato il proiettile, dottore?».
L’altro cominciò a leggergli il rapporto che stava redigendo. Joséphine Papet era una ragazza forte e sana, oltre che molto curata, e i suoi organi erano tutti in buono stato.
Quanto al colpo, era stato sparato da meno di un metro ma da più di cinquanta centimetri.
«Il proiettile si è conficcato alla base del cranio seguendo una traiettoria leggermente ascendente...».
Maigret non poté fare a meno di pensare che Florentin era alto di statura. Possibile che, al momento di sparare, fosse seduto?
Girò la domanda al medico.
«Se uno è seduto...».
«No... Non parlo di un angolo simile... Ho detto leggermente ascendente... Ho inviato la pallottola a Gastinne-Renette per la perizia... Secondo me non è stata sparata con un’automatica, ma con una pistola a tamburo di un modello piuttosto vecchio...».
«La donna è morta sul colpo?».
«Dopo venti o trenta secondi, direi...».
«Quindi non si poteva salvarla?».
«Sicuramente no...».
«La ringrazio, dottore...».
Torrence era tornato in ufficio. Gli aveva dato il cambio uno nuovo, un certo Dieudonné.
«Che sta facendo Florentin?».
«Si è alzato alle sette e mezzo, si è rasato e, dopo una sommaria toilette, è andato, in pantofole, a bere due caffè e a mangiare qualche croissant nel bar tabacchi all’angolo. Poi è entrato nella cabina telefonica. È rimasto lì per un paio di minuti, poi è uscito senza aver utilizzato l’apparecchio.
«Si è girato più volte a osservarmi. Non so come sia di solito, ma mi è sembrato stanco, scoraggiato...
«Ha comprato i giornali all’edicola di place Blanche e ne ha scorsi due o tre in piedi sul marciapiede...
«Alla fine è tornato a casa... A quel punto è arrivato Dieudonné... Gli ho passato le consegne e sono venuto a informarla...».
«Florentin non ha parlato con nessuno?».
«No... Anzi sì, anche se non lo definirei proprio parlare... Mentre andava a prendere i giornali, ha incontrato il pittore della porta accanto, che non so dove dorma, ma certamente non nel suo atelier... Florentin gli ha detto:
«“Tutto bene?”.
«E l’altro ha ripetuto esattamente le stesse due parole, poi mi ha squadrato in modo strano. Si chiederà che cosa ci facciamo l’uno dopo l’altro nel suo cortile. Ha manifestato la stessa curiosità quando Dieudonné mi ha dato il cambio...».
Maigret prese il cappello e uscì. Avrebbe potuto farsi accompagnare da un ispettore e prendere una delle automobili nere parcheggiate lungo gli edifici.
Preferì andare a piedi, attraversare il Pont Saint-Michel e dirigersi verso boulevard Saint-Germain. Non gli era mai capitato di recarsi al ministero dei Lavori pubblici, e di fronte alle varie scale contrassegnate ciascuna da una lettera diversa ebbe un attimo di esitazione.
«Cerca qualcosa?».
«L’ufficio Canali navigabili...».
«Scala C, ultimo piano...».
Non c’era l’ascensore. La scala era grigiastra come quella del Quai des Orfèvres. A ogni piano c’erano delle frecce nere dipinte sui muri, con il nome dei vari uffici cui i corridoi davano accesso.
Quando fu al terzo, trovò la freccia giusta e spinse una porta sulla quale c’era scritto: «Avanti».
Nell’ufficio, dietro una balaustra, lavoravano sei impiegati, quattro uomini e due donne.
Alle pareti, carte geografiche ingiallite, come un tempo al liceo di Moulins.
«Desidera?».
«Vorrei parlare con il signor Paré, per favore».
«Chi devo dire?».
Il commissario esitò. Non volendo compromettere il capoufficio, che probabilmente era un brav’uomo, non consegnò il suo biglietto da visita.
«Mi chiamo Maigret...».
Il giovane impiegato aggrottò la fronte, lo guardò con maggior attenzione e poi si allontanò con un’alzata di spalle.
Si assentò solo per alcuni istanti e, al ritorno, aprì un cancelletto.
«Il signor Paré la riceve subito».
Aprì una porta, e il commissario si ritrovò davanti un uomo di una certa età, corpulento, dall’aria molto dignitosa; l’uomo era in piedi, e gli indicò una sedia con una certa solennità.
«La aspettavo, commissario».
Sulla scrivania c’era un giornale del mattino. Si sedette anche lui, lentamente, come fosse un gesto rituale, appoggiando i gomiti sui braccioli della poltrona.
«Penso sia superfluo dirle che mi trovo in una situazione alquanto spiacevole...».
Non sorrideva. E probabilmente non lo faceva spesso. Era un uomo calmo ed equilibrato, che soppesava ogni sua parola.