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L’ultima volta che avevo parlato in pubblico era stata a scuola, per descrivere “il più bel giorno della mia vita”. Quanto tempo era passato? Un mese, due? Chi se lo ricordava più. Allora ero stata costretta a raccontare alla classe la verità, o quanto meno la mia versione della verità, e le conseguenze non erano state il massimo. Adesso invece mi toccava affrontare una folla di estranei (malati e moribondi, giornalisti, persone tipo quell’agente e chissà chi altro) e dichiarare di essere una bugiarda. Era il momento di mentire, di rinnegare la spiacevole verità che mi aveva ossessionato per tutta la vita.

– Va bene, sono pronta.

Karen mi strinse il braccio. – Brava, così si fa –. Lei, che non aveva mai creduto alla mia storia, era contenta che mi fossi finalmente decisa a rimangiarmi una bugia.

In chiesa c’era un sacco di gente: mi sembrò che ci fossero centinaia di persone quando uscii dalla porta della sagrestia. Non appena comparvi, il brusio si intensificò e le persone cominciarono ad accalcarsi intorno a me. Karen si fece largo tra la folla, scortandomi fino all’altare, dove c’erano Anne e suo marito Stephen.

– Jem vorrebbe fare una dichiarazione – disse Karen senza tanti preamboli. – Qual è il posto migliore?

– Be’... – esordì il vicario, ma venne subito interrotto dall’agente, che si era aperto la strada a gomitate dietro di noi e mi aveva afferrato un braccio.

– Sconsiglio vivamente una dichiarazione ufficiale! Non possiamo dare una storia come questa in pasto alla stampa! È molto più prudente concordare ogni singola intervista. Vieni, ti riporto in sagrestia.

Cercai di scrollarmelo di dosso, ma quello mi stringeva in una morsa.

– Mi lasci andare! – strillai. – Io non le appartengo e non ho intenzione di concordare proprio niente!

Mi guardò con un’espressione sinceramente stupita, come se non capisse una parola. – Ma hai sentito quello che ho detto, prima?

– Sì, io stavo ascoltando, al contrario di lei. Le ripeto che non sono interessata. E adesso tolga quella mano dal mio braccio, se non vuole che gliela morda.

Levò la mano ma non si scostò: anzi, si chinò su di me.

– Non riesco a credere che tu stia sprecando una simile opportunità. Sei molto ingenua... o molto stupida.

Aveva parlato a voce bassa, ma gli altri sentirono lo stesso.

– Jem non è né ingenua né stupida – replicò Karen. – È una ragazza che sa il fatto suo e ha preso la sua decisione. E adesso, per favore, la lasci in pace.

Il tizio si arrese e si allontanò stizzito, ma rimase tra la folla a osservare.

– Allora, volevi dichiarare qualcosa? – mi chiese il vicario.

– Sì... credo sia ora di... queste persone stanno solo perdendo tempo, qui.

Anne lanciò un’occhiata preoccupata a Karen, ma suo marito annuì con aria sollevata.

– Bene! Ne sono lieto. Questo scompiglio è durato anche troppo. Puoi parlare da lì –. Indicò un gradino che saliva al coro.

Ma da quel punto, bassina com’ero, non mi avrebbe vista nessuno! Guardai verso il pulpito. – Non sarebbe meglio da lassù? C’è anche un microfono.

Il vicario avvampò. – Sarebbe assolutamente inappropriato... – farfugliò, ma poi ebbe un ripensamento. – E va bene. Purché la facciamo finita...

Mi fece strada e un attimo dopo mi trovavo davanti al pulpito di legno scuro dell’abbazia di Bath.

Il vicario accese il microfono e la sua voce riecheggiò tra le panche. – Gentili signori, sedetevi, prego. La nostra giovane... ehm... ospite... vorrebbe dirvi qualcosa –. Mi invitò a farmi avanti, dopodiché ridiscese i gradini.

Il silenzio calò sulla folla.

Commisi l’errore di alzare lo sguardo. Davanti a me c’era un mare di facce. Un mare di numeri. Non mi ero preparata nessun discorso: niente introduzione, né svolgimento, né conclusione. Avevo solo una cosa da dire: una bugia spudorata.

Respirai profondamente e mi lanciai: – Salve. Sono Jem, ma questo lo sapete già. È per questo che siete qui.

Nessuna reazione.

Deglutii e continuai. – A dire il vero, non so perché siete venuti. Sono solo una ragazzina, la stessa ragazzina di un mese fa, un anno fa o cinque anni fa. Allora nessuno si interessava a me. Le cose sono cambiate quando ho sparso la voce che posso prevedere la data di morte delle persone guardandole in faccia. Quindi immagino che siate qui per questo... per sapere. Ma ecco, vi devo dire che... che... è una bugia. Mi sono inventata tutto.

Il pubblico rimase a bocca aperta.

– Cercavo solo un po’ di attenzione, niente di più. Be’, devo dire che ha funzionato. Comunque mi dispiace. Sono un’imbrogliona. Vi ho preso in giro. Potete tornare a casa, adesso. Qui non c’è niente da vedere.

Mi voltai per scendere i gradini. La gente rumoreggiava alle mie spalle: non era il discorso che era venuta a sentire. Si levarono alcune voci indignate e all’improvviso un grido di angoscia profonda sovrastò il clamore generale. Un grido terribile.

Mi girai di nuovo a scrutare la folla. A urlare era stata la donna con il foulard che mi aveva avvicinato il giorno prima. Lei e la sua insistenza... Eppure non potei fare a meno di sentirmi in colpa per averla delusa.

Tornai al microfono. – Ma che cosa si aspettava da me? – sbottai.

Mi ero rivolta direttamente a lei, ma tutta l’abbazia ripiombò nel silenzio, in ascolto.

– Cosa crede? Lo so perché è venuta qui.

Feci una pausa. Avevo la gola secca.

– Lei sta morendo.

La donna si premette le mani sulla bocca e spalancò gli occhi. Un mormorio attonito si diffuse per la chiesa.

– E anche il tizio accanto a lei. E quello dietro. E anch’io. Tutti moriremo. Tutte le persone in questa chiesa e anche tutte quelle fuori di qui. Non serve che ve lo dica io. Ma c’è dell’altro.

La porta in fondo alla chiesa si aprì ed entrò un gruppo di uomini in uniforme.

– Voi siete vivi. Oggi, in questo momento, siete ancora vivi. Avete un giorno in più da vivere. A tutti noi è stato concesso un altro giorno.

Gli uomini avanzarono lungo la navata principale. In mezzo a loro svettava un ragazzo altissimo, tanto alto da sembrare ridicolo in confronto. La testa gli ciondolava a un ritmo tutto suo... Il mio cuore cessò di battere, ma non smisi di parlare.

– Sappiamo tutti che un giorno moriremo, ma non per questo dobbiamo farci opprimere dall’angoscia. La vita va vissuta comunque...

Spider si era fermato più o meno a metà dell’abbazia e mi guardava con quel suo grande sorriso ebete stampato in faccia. A quel punto parlai solo per lui, come se oltre a noi non ci fosse nessun altro. – Specialmente se c’è una persona che vi ama... ecco, questa è la cosa più importante di tutte. Se qualcuno vi ama, allora dovreste approfittare di ogni singolo secondo che potete passare insieme...

Spider alzò le braccia e lanciò un urlo di entusiasmo. Alcuni cominciarono ad applaudire. Scostai il microfono e mi precipitai giù per le scale.

Cosa mi importava di avere puntati addosso gli occhi di tutti, oltre a chissà quanti obiettivi e telecamere? Corsi incontro a Spider, facendomi strada tra la folla acclamante, rischiando più volte di scivolare sul pavimento tirato a lucido. Spider era rimasto fermo dov’era, ad applaudire, e alla fine allargò le braccia per accogliermi. Mi buttai tra le sue braccia e lui mi sollevò in aria, facendomi volteggiare, prima di stringermi a sé. Io gli avvinghiai le gambe intorno ai fianchi, aggrappandomi a lui come un koala.

– Ehi, che succede? – rise, soffiandomi sul collo. – Ti perdo di vista per qualche giorno e mi diventi una predicatrice! Vieni qui – disse, avvicinando il viso. – Non ho mai baciato un prete prima d’ora –. E mi baciò teneramente, davanti a tutta quella gente. – Mi sei mancata – sussurrò.

– Anche tu mi sei mancato.

Sopra di noi, nella torre campanaria, il meccanismo dell’orologio scattò, facendo rintoccare le grosse campane dell’abbazia.