NON HO UCCISO MIA MOGLIE

La conferenza di cinque ore che ebbi con Wolfe in fondo non ha molta importanza ed è inutile che ve la propini. Però val la pena che vi riferisca l'arrivo del mio signore a casa di Lily.

La mia amica si tolse il soprabito, ci scortò in salotto e trillò: "Archie, lo sapevo che una volta o l'altra sarebbe successo qualcosa che m'avrebbe ricompensato di tutto il tempo che ho perso per voi. Me lo sentivo nel sangue!"

"Certamente" convenni. "Il vostro bilancio rimarrà in attivo questa sera, anche se ci offrite qualche tramezzino, tanto Pete mangia pochissimo: è a dieta."

"Oh" protestò lei. "Non parlavo di denaro, parlavo dell'onore che m'avete fatto. Sono l'unica donna d'America che ha "filato" con Nero Wolfe. Altro che incubo. Ha uno stile!" Wolfe che si era messo a sedere chinò il capo da un lato e le lanciò un'occhiataccia, senza però osare d'incontrare il mio sguardo. Io sorrisi paternamente.

"Avevo già riferito a Pete quel che m'avete detto per telefono. La vostra perspicacia gli piace, ma lo preoccupa."

"Ho capito perfettamente la situazione" rispose lei. S'accostò a Wolfe e lo contemplò amorevolmente. "Non prendetevela, Pete. Non vi avrei riconosciuto per parte di Adamo, nessuno al mondo vi avrebbe riconosciuto. È stata tutta colpa del mio eroe, qui. Archie è atrocemente modesto. Ha affrontato situazioni da far arricciare i capelli, ma non ha chiesto il mio aiuto una sola volta. Mai! È un modesto orgoglioso. Poi, tutt'a un tratto mi strappa dal bel mezzo di un'orgia… per quel che ne sapeva lui potevo benissimo star gozzovigliando… e mi scaraventa in automobile ordinandomi di abbandonarmi a intimità con uno sconosciuto. C'è una sola persona al mondo per la quale si sarebbe abbassato a tanto: voi. Quindi se in macchina sono stata piuttosto ardente sapevo quel che facevo. E non preoccupatevi per me… qualsiasi cosa abbiate in mente le mie labbra sono suggellate. Per me sarete sempre Pete, in eterno. L'unica donna d'America che con Nero Wolfe… Oh, Dio! Oh, Dio! Sarà la consolazione della mia vecchiaia. Adesso vado a preparare i panini imbottiti. Che specie di dieta seguite?"

"Non voglio niente" sibilò il principale tra i denti.

"Ma no, è impossibile. Una pesca? Un grappolo d'uva? Una foglia d'insalata?"

"No!"

"Un bicchier d'acqua?"

"Sì!" E Lily se ne andò, guardandomi con affettata superiorità mentre mi passava accanto. Un istante dopo dalla cucina venne un acciottolio di piatti.

"Siete stato voi a dire che vi occorreva una donna" feci osservare a Wolfe in tono offensivo.

"Ma siete stato voi a sceglierla."

"Però voi l'avete approvata."

"Ormai è fatta" commentò lui amaramente. "Siamo presi. Questa creatura spettegolerà, naturalmente."

"C'è ancora una speranza" suggerii. "Sposatevela. Un marito non lo tradirebbe. E a quanto pare vi è bastato fare un viaggetto in automobile con lei per…" M'interruppi di botto. La faccia di Wolfe poteva non essere più la sua, ma dagli occhi avevo capito che mi conveniva tacere, immediatamente.

Lily con molto tatto se ne andò a dormire. Noi restammo nel suo salotto finché spuntò l'alba e alle sei Wolfe prese congedo. Forse sarebbe stato sicuro anche per me andarmene a quell'ora, perché se anche gli uomini di Zeck avevano lasciato una sentinella, Roeder se l'era tirata dietro, ma preferivo non correre rischi e mi fermai sino alle otto.

Alle dieci andai al "diciannove" e per prima cosa chiamai Saul, Orrie e Fred.

La situazione non mi piaceva affatto. Io, checché ne dica Lily, non sono orgoglioso, almeno fino al punto da torturarmi l'anima se commetto uno sbaglio sul lavoro, ma da come Wolfe aveva inquadrato la faccenda cominciavo ad avere il sospetto che un errore sul lavoro ci avrebbe portato entrambi difilato al cimitero, e non per una semplice visita! Non era questione d'orgoglio, vedete, ma mi ero ripromesso di visitare la Norvegia prima di morire. Lanciai in aria una moneta. Decisi che se fosse venuta croce avrei mollato tutto, se fosse venuta testa avrei continuato la battaglia. La moneta ricadde. Venne croce. Mi ricordai che avevo già sprecato un ventino per telefonare a Orrie e a Saul e stabilii di continuare.

Rackham viveva al Churchill, in un appartamento ad aria condizionata, sulla torretta. Durante la prima settimana di pedinamento ottenni una vera e propria biografia. Il vedovo desolato non usciva mai di casa prima dell'una. I luoghi che visitava abitualmente erano: due banche, un ufficio legale, nove bar, due club, un parrucchiere alla moda, sette negozi d'abbigliamento, tre ristoranti, tre teatri, due locali notturni e ritrovi vari. Di solito faceva colazione con uno o più uomini e pranzava con una donna, raramente la stessa. Ne cambiava tre alla settimana. Dalla descrizione fornitami dai miei agenti, era chiaro che le suddette donne facevano onore al loro sesso, al sistema di vita americano e al sindacato dell'abbigliamento femminile.

Qualche ora di pedinamento la feci anch'io, ma il grosso del lavoro lo lasciai al trio dei miei collaboratori. Però non rimanevo in ozio, tutt'altro. Trascorrevo ore ed ore con Lily Rowan, per assicurarmi che tenesse la bocca chiusa e per fungere da sostituto del viaggio in Norvegia ormai rimandato. Tragiche ore in cui dovevo sopportare i suoi interminabili sospiri per l'assenza dell'adorato Pete.

Facevo anche altre cose, naturalmente, ivi compresi i rapporti su Rackham, che battevo a macchina. Ogni pomeriggio sul tardi Max Christy veniva nel mio ufficio, li leggeva e mi tempestava di domande. Mi ci voleva del bello e del buono per convincerlo che, per un investigatore render conto dell'ottanta per cento dei movimenti del suo pedinato è un'impresa eccezionale, specialmente a New York.

Naturalmente avevo il vantaggio d'essermi sentito descrivere la situazione da Pete Roeder. I suoi amici erano piuttosto preoccupati per le indagini di Westchester e, soprattutto, per la polizia urbana. Poco dopo aver ricevuto un discreto numero di milioni in omaggio da un coltello da cucina, Rackham aveva fatto sapere a Zeck che non era più a sua disposizione. Brownie Castigan era andato da lui a far la voce grossa, pensando di spaventarlo ed era stato spedito via a pedate. Il chiasso che il governo aveva fatto negli ultimi tempi a proposito del giuoco d'azzardo e il conseguente entusiasmo scoppiato alla Procura Distrettuale di New York, avevano dato il via a un'epidemia di ballo di San Vito "chez" Zeck e c'era molta probabilità che se uno dei miei rapporti avesse parlato di un amoroso convegno tra Rackham e il procuratore distrettuale o uno dei suoi vice, il mio pedinato avrebbe avuto qualche piccolo, deplorevole incidente, come ad esempio uno scontro con alcune palline di piombo in volo.

Da Wolfe nessuna notizia. Però aveva promesso di avvisarmi in caso di novità urgenti e mi aveva dato modo di mettermi in contatto con lui. Nel frattempo seguivo il mio ruolino di marcia e dopo nove giorni, il primo settembre, un venerdì, lui venne alla conclusione che era ora di muoversi. Tutto era pronto. Saul, dietro mie istruzioni, s'era fatto notare per lo meno tre volte. Anch'io avevo cooperato lasciandomi vedere all'ingresso di un circolo, una sera che Rackham ne era emerso con amici vari. Così quel venerdì, verso le cinque, quando Saul mi telefonò che il nostro soggetto si trovava al bar Romance nella Quarantanovesima Strada uscii per fare una passeggiata, trovai Saul che contemplava con attenzione le vetrine, lo invitai ad andare a casa a rallegrare la sua bella famigliola ed entrai nel locale dandomi delle esageratissime arie di noncuranza. Quando Rackham uscì con un terzetto di bravi signori, feci altrettanto, e mentre quelli si salutavano mi fermai ad ammirare un portone. Ma a un tratto sentii una voce al mio fianco: "Eccomi qua, Goodwin."

"Oh, riverisco!" feci voltandomi con aria di lieta sorpresa.

"Che intenzioni avete?"

"Secondo" ribattei cortesemente "dipende dalla persona o dalla cosa di cui mi occupo."

"Capisco, parlo delle intenzioni che avete voi e tre amici vostri. Chi è così curioso sul mio conto?"

"Non ne ho la più pallida idea" risposi in tono comprensivo. "Perché, qualcuno vi importuna?" Lui divenne rosso come una barbabietola. La spalla destra cominciò a contrarglisi nervosamente.

"Non qui in strada" dissi in tono di gentile deplorazione. "Potrebbe riunirsi un capannello, specialmente se reagisco. Guardate quel signore che si volta! Vi siete piantato lì come Jack Dempsey."

"Voglio parlarvi" fece lui rilasciandosi un po. "Andiamo a casa mia, al Churchill."

"Già, già. Credo di avere un'oretta libera martedì prossimo."

"Ci andiamo ora."

"Non insieme però" precisai stringendomi nelle spalle. "Aprite la marcia che io vi seguo umilmente." E lo seguii, infatti. Il suo appartamento era fresco e tranquillo, tutto una sinfonia di azzurri. La luce era velata e l'insieme dava l'idea di costare un patrimonio.

"Grazioso!" esclamai. "Proprio il posticino ideale per un tete-a-tete."

"Un bicchierino?"

"No, grazie, ho già bevuto al bar, e poi non brindo mai con la gente che pedino." Rackham accese una sigaretta e venne verso di me a passo marziale, però non aveva le mani molto ferme.

"Sentite, Goodwin. In istrada ho quasi perso il lume degli occhi per un secondo. Ma in fondo, capisco che voi fate solo quel che vi ha ordinato chi vi ha assunto."

"Proprio così" feci in tono di approvazione. "La gente se la prende con gli investigatori molto più che coi medici o con gli idraulici. Non vedo il perché. Tutte e tre le categorie si battono per creare un mondo migliore."

"Certamente. Per chi lavorate?"

"Per me stesso."

"E chi vi paga perché lavoriate per voi stesso?"

"Meglio ricominciare da capo" dichiarai scuotendo il capo. "Minacciatemi con una pistola, con un coltello da cucina, con quel che volete. Per quanto io sia un tipo che si lascia persuadere facilmente, bisogna mantenere le apparenze." Lui si passò la lingua sulle labbra. A quanto pareva era un sistema sostitutivo per il classico "contare fino a dieci" ma in tal caso posso dire solo che non ebbe effetto. D'un balzo Rackham fu sotto al mio naso agitando i pugni. Io mi limitai ad alzare gli occhi per guardarlo ben dritto in faccia.

"È un'angolazione sbagliata" l'assicurai. "Se cercate di colpirmi di lì, io schivo, vi batto nelle ginocchia e voi perdete l'equilibrio."

"Voi parlate troppo, Goodwin" osservò recuperando la sigaretta che era finita sul tappeto e aspirando il fumo profondamente.

"No" protestai. "Non troppo, troppo francamente forse. Immagino che non avrei dovuto tirare in ballo il coltello, ma ero irritato. Se mi aveste piantato uno spillo sotto le unghie o mi aveste prezzolato con un dollaro, avrei forse fatto il nome del mio cliente, ma la vostra aria di suprema noncuranza mi ha urtato."

"Non ho ucciso mia moglie."

"Ecco una dichiarazione schietta e categorica che apprezzo altamente: che cos'altro non avete fatto?" Lui ignorò la domanda.

"So che Annabel Frey pensa che sia stato io, e spenderebbe tutto il denaro che le ha lasciato mia moglie… o almeno una buona metà… per provarlo. Non me ne importa che voi vi pappiate il suo denaro, dopo tutto fa parte del vostro mestiere, però mi dispiace vedere Annabel gettare il denaro in questione dalla finestra. Senza contare che detesto essere seguito come un'ombra. Deve pur esserci un sistema per soddisfare voi e lei e dimostrare la mia innocenza. Non potreste inventarne uno?"

"No" feci seccamente.

"Perché no? Ho detto: soddisfare "voi" e lei."

"Perché sono di nuovo irritato. A voi non importa un fico di quel che la signora Frey pensa o non pensa. Vi rodete l'anima per sapere chi è tanto curioso sul vostro conto da pagare per tenervi d'occhio e state cercando di prendere un pesce senza esca, il che, oltre tutto, è poco sportivo." Rackham rimase seduto a fissarmi per un minuto buono, poi andò al mobile-bar e si versò un beveraggio.

"Non ne volete proprio?" mi domandò. Io declinai con ringraziamenti vari. Lui bevve un paio di sorsi, poi sparò: "Mille dollari per il nome".

"Il nome puro e semplice?"

"Si."

"Affare fatto." Tesi una mano. "Qua, datemeli." Lui si alzò, si preparò un'altra bibita e lasciò la stanza. Quando rientrò mi mise in mano un pacchetto di banconote. Erano dieci fogli da cento nuovi di zecca. "Ebbene?" domandò buttando giù un lungo sorso.

"Arnold Zeck." Lui emise un suono soffocato e, senza preavviso, lanciò il bicchiere contro la parete mandandolo a infrangersi nel bel mezzo del vetro di un quadro, con un magnifico effetto sonoro e visivo.