capitolo iii
Le grandi purghe avevano colpito molte più persone di quelle previste, le condizioni di vita all’interno dei Gulag52 erano disumane, la situazione all’interno del Paese era di terrore. Nessuno riusciva più a vivere tranquillo, troppa era la paura dei delatori e di finire nelle liste territoriali, anche i militanti bolscevichi della prima ora non si sentivano al sicuro, in quanto Stalin dimostrava sempre più di non fare distinzioni tra coloro che si fossero rivelati d’intralcio ai suoi intenti.
Un procuratore incaricato di costruire la linea ferroviaria tra il Bajkal e l’Amur così descriveva le terribili condizioni di un Gulag da lui visitato: “Nell’infermeria dormono nudi sui tavolacci comuni, come sardine in scatola. Per settimane non vengono portati a fare il bagno per mancanza di biancheria. In alcune stanze le donne dormono sui tavolacci con gli uomini. La malata di sifilide sta accanto a quello malato di tubercolosi. Dai treni in arrivo si tirano giù i morti per congelamento. I nuovi venuti non hanno addosso neanche la biancheria, solo stracci e nel Bamlag non vi sono ricambi, né stivali, né abiti. Hanno il corpo coperto di croste, sui loro cenci strisciano a centinaia i pidocchi. Sono delle parvenze di uomini, o più esattamente di selvaggi, o uomini dell’età della pietra”.53
L’ondata repressiva delle grandi purghe stava per colpire anche Berija: Ežov stava infatti emettendo un provvedimento contro di lui, descrivendolo come complice di un fantomatico “Centro militare fascista”. Quando arrivò l’ordine di arresto al capo dell’NKVD georgiana Sergeij Goglidze, questi invece di procedere all’ordine informò subito Berija, a cui doveva il prestigioso posto, che di corsa si recò da Stalin in persona per giurargli la sua fedeltà.
Come già altre volte in passato, Berija non solo uscì indenne da quell’ordine di arresto, ma convinse Stalin, anche grazie all’appoggio di Lazar’ Kaganovič,54 della propria innocenza, accusando Ežov di inventare complotti per arrestare persone innocenti o presunti avversari politici.
Quello che fu per tutta la vita lo strumento di Berija per liberarsi dei suoi nemici, ossia il complotto per screditare un avversario, veniva ora denunciato dallo stesso, maestro di adulazione e dissimulazione politica, come un intrigo contro di lui.
Da accusato quale egli era si ritrovò invece in una situazione totalmente opposta, promosso da Stalin in persona come vice di Ežov all’NKVD, con l’obbligo di raggiungere la capitale al più presto.
Ežov apprese con stupore la notizia del suo nuovo vice e cominciò, non a torto, a preoccuparsi.
L’accusa di Berija e Kaganovi
nei confronti di Ežov altro non era che una conferma di quanto Stalin andava pensando già da tempo, ossia quella di porre fine all’ežovščina,55 incaricando una Commissione di inchiesta per far luce sugli eccessi dell’NKVD. Di questa Commissione facevano parte il segretario del Comitato Centrale Georgij Malenkov, il presidente del Sovnarkom, Vjačeslav Molotov, il procuratore generale dell’URSS Andrej Vyšinskij e lo stesso Lavrentij Berija, proposto direttamente da Kaganovi.
Berija divenne membro della Commissione pur avendo già accettato l’incarico come vice di Ežov all’NKVD; quello che può sembrare un fatto anomalo aveva invece una sua logica, in quanto Berija dall’interno avrebbe avuto libero accesso a tutti i documenti possibili ai fini di far luce sugli eccessi di Ežov.
Sul lavoro svolto dalla Commissione il Sovnarkom si espresse, il 17 novembre 1938 approvando una risoluzione intitolata Sugli arresti, la supervisione della procura e la conduzione delle indagini, che nei contenuti esprimeva un forte dissenso nei confronti di quanto era stato fatto in giro per l’Unione Sovietica dagli uomini di Ežov e proibiva all’NKVD di continuare nella politica degli arresti e deportazioni di massa.
Ežov, oramai depresso e dedito all’alcol, intuita l’aria di cambiamento che si apprestava a giungere sull’NKVD, si presentò dimissionario da Stalin con una lettera in cui si addossava tutte le responsabilità degli eccessi e venne da quest’ultimo assegnato a un incarico minore, quello di Commissario del popolo per il trasporto fluviale.
La sua politica di terrore si portò dietro centinaia di migliaia tra morti e deportati, tra cui 30.000 ufficiali allontanati dall’Armata Rossa, pari a circa il 30% dei prestanti servizio.
Il 24 novembre 1938 Lavrentij Berija divenne il capo dell’NKVD, insediandosi negli uffici del carcere della Lubjanka, in via Dzeržjinskij.
Questo carcere era ospitato presso un eremo maschile intitolato a Santa Caterina, risalente al XVII secolo, nei pressi del villaggio di Rastorguevo, accanto alla tenuta dei principi Volkonskij chiamata Suchanovo. Dopo la rivoluzione di ottobre i monaci si erano trasferiti altrove per far spazio a un gruppo di monache sfollate dalla Polonia durante la guerra; l’eremo era diventato così da maschile a femminile. Ben presto la nuova amministrazione bolscevica aveva imposto di trasformare il monastero in una cooperativa agricola adattando alcune parti della struttura a riformatorio per minori.
Fino al 1938 quando Berija fece sgomberare il monastero da tutti gli inquilini per creare la base operativa dell’NKVD da riformare.
Si racconta che oltre ad ampi uffici per sé e per i suoi fedelissimi, come Merkulov, egli disponesse di tre telefoni: il primo per la linea diretta con Stalin, il secondo per la linea con tutti i Commissari, il terzo per parlare con i responsabili governativi di ogni regione dell’URSS.
Come residenza privata, Berija scelse una palazzina Art Noveau sulla Sadovaja, la strada che rappresenta il secondo dei tre anelli che circondano il centro città, a soli cinque minuti a piedi dal quartiere generale dell’NKVD situato nella Lubjanka.
L’accesso principale era sulla Katchalova, una via che sbocca sulla Sadovaja, ed era anticipato dalla presenza di un giardino di platani e cespugli di lillà attraversato da un sentiero asfaltato. La casa aveva un muro di cinta alto tre metri e attualmente ospita la sede dell’Ambasciata di Tunisia presso la Russia.
L’edificio è a oggi circondato da tetre leggende, costruite in parte dal personaggio più famoso che lo abitò e in parte dai ritrovamenti di ossa umane nel giardino e in altri luoghi della casa, emersi nel corso del tempo per via delle ristrutturazioni apportate in seno all’Ambasciata. Leggenda o no, sicuramente dentro la casa di Berija vi erano dei tunnel sotterranei che portavano fino al Cremlino, oppure a trecento metri di distanza, nei pressi dello Zoo di Mosca e sotto il Palazzo della Radio, cosa probabile in quanto essendo titolare del Ministero degli Interni sovietico Berija doveva avere sotto controllo tutti i mezzi di comunicazione.
Grigorij Sarkisov, fedele guardia del corpo di Berija e suo autista personale per quasi un ventennio, avrebbe confessato a Nikolaj Šatalin56 anche la presenza di quattro celle predisposte per i “detenuti eccellenti” vicine ai locali della caldaia, dove si sarebbero consumati omicidi e stupri.
Tornando al suo arrivo a Mosca alla guida dell’NKVD nel 1938, Berija attuò una politica distensione necessaria al Paese dopo gli eccessi di Ežov.
A seguito della nota del 10 aprile 1939 indirizzata all’Ufficio politico, furono liberate dai campi di lavoro centinaia di migliaia di detenuti, tra cui circa undicimila ufficiali precedentemente arrestati; anche le condizioni nei Gulag divennero più umane, non certo per pietà ma per necessità. Berija era un convinto sostenitore che il lavoro quotidiano in condizioni disumane e sotto coercizione fisica o psicologica non rendesse quanto quello fatto in un clima migliore, con pasti decenti e assegnando lavori ai deportati in base alle loro specifiche competenze professionali.
Le razioni giornaliere per i detenuti dettate da Ežov si stimavano intorno alle 1400 calorie, buone per un detenuto rinchiuso in una cella e non per uno che invece si adoperava in lavori forzati. Ciò aveva provocato la morte nel 1938 di una cifra pari all’8% dei detenuti per malnutrizione e ne aveva resi inabili al lavoro ben 250.000.57
Il nuovo sistema fece conoscere all’Unione Sovietica una crescita della produzione dai Gulag sia a livello di qualità che di quantità.
Anche le donne trovarono una loro dimensione all’interno dei Gulag: esse vennero impiegate in varie mansioni tra cui quelle di infermiere, sarte e cuoche, anziché lavorare nei campi e nelle fabbriche.
L’amnistia concessa e la normalizzazione nel Paese non devono però trarre in inganno il lettore, in quanto Berija continuò nella sua attività di sempre, quella di stilare dossier su personalità politiche a lui scomode e di trovare poi un pretesto per epurarle.
In una situazione divenuta più normale Berija appariva come il “purificatore dei purificatori”,58 colui che aveva vendicato centinaia di migliaia di vittime innocenti dalle ingiuste accuse di Ežov e dei suoi seguaci, su cui ora si accaniva.
Procedette al tempo stesso a un reintegro delle mansioni per i funzionari che si erano occupati della Sicurezza dello Stato, rinforzando le unità a lui sottoposte e dotandole di armamenti più moderni e di nuove uniformi, garantendosi così la fedeltà dagli stessi che da epurati avevano ritrovato non solo il posto di lavoro, ma anche nuovi stimoli nello svolgimento delle loro attività.
52 Glavnoe upravlenie ispravitel’no-trudovych lagerej. Direzione principale dei campi di lavoro collettivi.
53 Rapporto di Vyšinskij a Ežov del febbraio 1938.
54 Membro del Politbjuro e Commissario del popolo per l’industria pesante.
55 Ežovščina è il termine utilizzato per indicare la politica di terrore di Ežov.
56 Durante il periodo del Processo a Berija, Šatalin era Presidente del PCUS, carica che mantenne fino al marzo 1955.
57 Stime riportate al 1°marzo 1939.
58 T. Wittlin, Beria, chef de la police secréte stalinienne, p. 273.