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Lavrentij Berija nacque il 29 marzo 1899 a Merheuli, un piccolo villaggio del distretto di Sukhumi, in Abcasia, una repubblica autonoma che nel 1931 passò di fatto sotto il controllo della Georgia.6 Di famiglia molto povera con padre contadino e madre inserviente, Berija apparteneva al gruppo etnico dei mingreli, antichi discendenti delle tribù colchiche che si erano stanziate sulla costa orientale del Mar Nero e che avevano dato vita durante il Medioevo al primo Stato georgiano.

Dopo la frammentazione del Regno della Georgia nel XV secolo, la Mingrelia divenne un principato autonomo fino a che, agli inizi dell’Ottocento, non fu annessa all’Impero russo.

Orfano di padre in età adolescenziale, Berija ottenne il diploma presso le scuole medie di Sukhumi e subito dopo, a sedici anni, decise di trasferirsi a Baku, nell’Azerbaigian, per iscriversi al Politecnico alla facoltà di Ingegneria meccanica.

Baku distava circa seicento chilometri dal suo villaggio natìo e poté permettersi gli studi solo grazie all’intervento dei coniugi Ierkomocvhili, facoltosi commercianti di tessuti georgiani presso i quali la madre di Berija prestava servizio come cuoca e il padre, quando era ancora in vita, curava l’orto.

Durante la permanenza a Baku conobbe un giovane attivista bolscevico di nome Vsevolod Merkulov, che aveva fondato un circolo letterario e culturale dove si leggevano e commentavano le opere di Marx, circolo al quale Berija aderì con la mansione di tesoriere.

Tuttavia, Berija non entrò mai ufficialmente nei bolscevichi se non dopo l’abdicazione dello zar Nicola II, avvenuta il 14 marzo 1917 a seguito dei moti di Pietrogrado, che videro per la prima volta l’esercito schierarsi dalla parte del popolo affamato.

A seguito dell’abdicazione dello zar fu costituito un governo provvisorio, il cui primo Ministro della Giustizia, il socialista Aleksandr Kerenskij, divenuto poco dopo Primo Ministro, proclamò un’amnistia generale per i reati politici, incluso il terrorismo, che portò alla liberazione di rivoluzionari della prima ora come Grigorij Ordžonikidze, detto Sergo, e Iosif Stalin.

L’avvento del governo provvisorio dopo la rivoluzione del febbraio 1917 fece uscire dalla clandestinità alcuni quotidiani e diede la spinta alla creazione di nuovi, come il “Bakinskiy Raboiy” e l’“Izvestija Bakinskogo Sovieta” a cura del Soviet di Baku, che aveva come caporedattore Anastas Mikojan, futuro Commissario per il Commercio interno ed estero del governo bolscevico.

Questo fermento rivoluzionario dovuto alla caduta dello zar convinse Berija a aderire alla fazione bolscevica e a interrompere gli studi per un fine più nobile: partire volontario al fronte nella guerra ancora in corso contro la Germania.

Berija, dichiarato abile e arruolato, fu inviato sul fronte romeno e inquadrato nel genio idrotecnico.

Gli imperi centrali, approfittando della crisi del fronte interno russo, scatenarono una controffensiva che portò a una situazione ancora più critica; Lenin intanto, dall’esilio in Svizzera, rientrò in patria attraverso un vagone piombato, con l’ausilio dei tedeschi e in particolare della figura di Parvus, ai fini di destabilizzare ancor di più il fronte interno e giungere al più presto a una pace con i tedeschi.7

Passato per la Finlandia e giunto a Mosca, l’indiscusso leader infiammò la fazione bolscevica esponendo le famose “tesi di Aprile”, in cui Lenin disconosceva il governo provvisorio e vedeva una sola possibilità di governo, racchiusa in uno dei suoi motti più famosi: “Tutto il potere ai Soviet”, lanciando inevitabilmente la sfida a socialisti e liberali.

A maggio intanto era rientrato a Pietrogrado dagli Stati Uniti anche Trockij, poco amato dai bolscevichi con cui aveva spesso polemizzato, ma azionista puro e non spaventato, così come Lenin, dal ricorso alla violenza al fine del raggiungimento della Rivoluzione.

La guerra contro gli imperi centrali intanto continuava e dopo un tentativo di controffensiva giunse il momento dello sfacelo del fronte interno.

Dal 18 giugno 1917, giorno della controffensiva al 2 luglio, si passò alla situazione inversa: i russi furono costretti alla ritirata per centinaia di chilometri, permettendo così la nascita dell’Ucraina come Stato federale.

La resa russa di fronte alle richieste ucraine creò un’ulteriore spaccatura nel fronte interno, con l’abbandono dei cadetti8 dal governo, in protesta con le concessioni fatte all’Ucraina, pericolose ai fini dell’unità e della salvaguardia dello Stato.

I bolscevichi, approfittando della spaccatura governativa, tentarono il colpo di mano organizzando una manifestazione armata diretta verso il Soviet di Pietrogrado, che fu duramente repressa, culminando con l’arresto di Trockij e la fuga di Lenin in Finlandia.

Impauriti dal tentativo armato bolscevico liberali e menscevichi, con l’eccezione dei cadetti, nominarono un nuovo governo sperando di riuscire a riportare l’ordine sul fronte interno e resistere all’offensiva tedesca.

Tuttavia, dopo un disperato tentativo di controffensiva, la situazione divenne tragica e con le truppe oramai allo sbando, in soli due mesi, la diserzione passò da poco più di 100.000 uomini, pari a circa il 3%, a quasi un milione.

In questa situazione di stallo totale i bolscevichi fecero incetta di militanti, ingrossando di netto le loro fila, specie tra i contadini, inizialmente lontani dalle loro posizioni radicali, che andavano organizzando in giro per il Paese azioni di sabotaggio, saccheggi e sequestri di derrate.

La Rivoluzione, raccontò Lenin, colse di sorpresa tutti, compreso lui, significativo a tal riguardo fu il caso di Trockij, che in soli in tre mesi si ritrovò dall’arresto per l’assalto al Soviet di Pietrogrado alla guida del Soviet stesso, capitanando un esercito di fedelissimi stimato tra le 20.000 e le 30.000 unità. Fu con poche centinaia di questi uomini che la notte del 24 ottobre 1917 assaltò il Palazzo d’Inverno,9 arrivando ad arrestare tutti i ministri del governo provvisorio, dando vita all’instaurazione del socialismo reale nel Paese.

La presa del potere non aveva però fatto cessare le ostilità contro gli imperi centrali, la Germania continuava minacciosa ad avanzare verso Est e la Turchia verso il Caucaso; il governo fu quindi costretto a spostarsi per motivi di sicurezza da Pietrogrado a Mosca sancendo di fatto, da quel momento, l’allontanamento dall’Occidente.

Nemmeno la chiamata alle armi con un appello ai volontari civili, sull’onda della Rivoluzione gemella avvenuta nel 1789 in Francia, riuscì nell’effetto sperato: numerosi contadini e operai, seppur simpatizzanti per i bolscevichi, non mostrarono alcuna volontà di andare a combattere.

Fu con l’esercito allo sbando e con la mancata realizzazione di un’Armata civile che i bolscevichi presero l’unica strada possibile, quella della resa, sancita il 3 marzo 1918 con il trattato di Brest-Litovsk, che pose fine alle ostilità.

In realtà Brest-Litovsk fu molto di più che un porre fine alle ostilità, analizzandolo a fondo fu una vera e propria umiliazione per la Russia, che oltre a dovere garantire circa sei miliardi di marchi come riparazione dei danni di guerra, perdeva anche territori come la Polonia orientale, la Lituania, l’Estonia, l’Ucraina, la Finlandia, la Livonia, la Curlandia, la Bessarabia e alcune località transcaucasiche come Ardahan, Kars e Batum, che furono annesse alla Turchia, alleata degli imperi centrali nel conflitto bellico.

In termini di numeri veniva strappato all’ex impero zarista il 32% della popolazione, pari circa a 56 milioni di abitanti, causando un danno economico di non poco conto, in quanto la perdita dei territori si portò dietro circa 5.000 fabbriche, un terzo delle strade ferrate, il 79% dei minerali ferrosi e l’89% della produzione del carbone.10

La situazione interna al Paese era altresì drammatica, l’Assemblea Costituente, la cui elezione si tenne subito dopo la Rivoluzione d’ottobre, oltre a un alto tasso di astensionismo (che aveva superato il 50% dei votanti), vide l’affermazione dei socialisti rivoluzionari, i bolscevichi piazzarsi secondi, i cadetti rimasero stabili mentre crollarono i menscevichi.

La nuova composizione dell’Assemblea Costituente era dunque così composta: su 715 seggi disponibili, 370 appartenevano ai socialisti rivoluzionari, 175 ai bolscevichi, 40 a un’ala fuoruscita dei socialisti, 17 ai cadetti e 16 ai menscevichi.

L’Assemblea di fatto si sciolse subito provocando una guerra civile tra bolscevichi e menscevichi che si sarebbe protratta per tre anni.

I bolscevichi erano molto forti a Mosca, mentre i menscevichi controllavano vaste aree del territorio russo, dalla Siberia alla Crimea.

In tutta la Transcaucasia, Baku era l’unica città controllata dai bolscevichi, però dopo una crisi dovuta alla mancanza di scorte alimentari, il potere passò nelle mani dei menscevichi e degli armeni, gruppo etnico molto forte nella città.

Dopo un tentativo turco di conquista della città il potere passò al Müsavat, un partito fondato nel 1911 da un gruppo di intellettuali del Partito Operaio Socialdemocratico Russo.

Pur avendo nel corso del tempo collaborato con i bolscevichi dando il proprio sostegno al Soviet, agli inizi del 1918, il Müsavat ne divenne il principale avversario.

Fu in questo periodo che Lavrentij Berija, tornato a Baku per conseguire il diploma di perito tecnico, svolse l’attività più ambigua della sua vita, una macchia nera che si portò dietro e che gli verrà rinfacciata dai suoi nemici fino al giorno della sua morte: l’aver prestato servizio per il governo del Müsavat e di aver quindi tradito gli ideali bolscevichi.

Principale sostenitore di questa accusa durante il processo contro Berija e il suo cerchio magico fu Mir Jafar Baghirov,11 che davanti al plenum del Comitato Centrale del PCUS, invitato a decidere sulla sorte di Berija rilanciò la tesi di questa collusione avvenuta nel 1920, ricordata già durante un plenum del Comitato Centrale del 1937 da Grigorij Kaminskij, il Commissario del popolo alla sanità, che fu poco dopo arrestato e ucciso nel quadro generale delle grandi purghe.

In realtà le cose andarono diversamente, poiché dallo stesso nucleo bolscevico di Baku, e in particolare grazie a Mikojan dopo un colloquio privato avvenuto nel suo ufficio da caporedattore del giornale “Izvestija”, nacque l’idea di infiltrare all’interno del Müsavat il giovane Lavrentij, bolscevico georgiano, che si trovava a Baku per motivi di studio ed era ancora sconosciuto alla città e quindi ai nemici.

La delicata operazione di controspionaggio, che sarebbe stata in grado di far conoscere in anticipo le mosse del nemico grazie a un infiltrato, ebbe il consenso di Sergo Ordžonikidze, plenipotenziario del Partito bolscevico a Baku e fedele amico di Lenin, e di Anastas Mikojan, che negherà anni dopo di aver mai affidato quell’incarico al giovane Berija.

All’alba del 20 aprile 1920, l’Undicesima Armata capitanata da Sergej Kirov e dal suo aiutante di campo Anatoli Gekker entrava trionfante a Baku, passando di fatto il potere nelle mani dei bolscevichi, pochissimi giorni dopo si provvide a organizzare la polizia politica (AzČeka) con lo scopo di indagare su eventuali crimini commessi dalle forze controrivoluzionarie.

Fu allora che l’attività minuziosa di Berija svolta all’interno del Müsavat si rivelò utile, l’ex studente georgiano consegnò infatti nelle mani di Kirov la lista con i nomi, gli indirizzi e le attività svolte dai controrivoluzionari azeri.

Quella lista permise in pochissimo tempo di dar luogo all’epurazione degli oppositori politici che furono imprigionati, processati sommariamente e uccisi.

Kirov allora assegnò a Berija una nuova missione in Georgia, quella di lavorare clandestinamente per i bolscevichi ai fini di sovvertire il potere menscevico.

Durò poco quest’attività in territorio nemico, Berija fu infatti scoperto e arrestato, portato nella stessa prigione di Kutaisi dov’era transitato in passato Stalin insieme agli altri rivoluzionari bolscevichi.

Rilasciato grazie all’intervento di Kirov, divenuto nel frattempo ambasciatore sovietico nel Paese, a Berija fu imposto di lasciare la Georgia entro tre giorni.

Tornato a Baku, Berija riprese la sua passione per gli studi iscrivendosi alla facoltà di architettura con la speranza di poter lavorare un giorno nell’ambito del settore petrolifero, di cui la città offriva eccellenti risorse.

In quel periodo riuscì a pagarsi gli studi grazie a un posto impiegatizio trovatogli dal Partito in un ufficio che si occupava degli espropri a favore dei bolscevichi; ma, soppresso l’ufficio alcuni mesi dopo, Berija, rimasto senza stipendio, si rivolse nuovamente al Partito affinché lo aiutasse a trovare lavoro; l’aiuto arrivò in poco tempo quando gli venne offerto l’ingresso nella neonata polizia politica, l’AzČeka, un lavoro che lo avrebbe accompagnato, con ruoli differenti, fino alla fine dei suoi giorni.


6 Appartenente all’Impero russo, l’Abcasia ottenne una parziale autonomia dopo la presa del potere da parte dei Bolscevichi; nel 1919 la Regione proclamò la sua totale autonomia, ma nel 1921 fu occupata dall’Armata Rossa a seguito di violenti scontri. Divenuta nel 1922 una Repubblica autonoma sotto il controllo diretto di Mosca, nel 1931 Stalin la pose di fatto sotto il controllo della Georgia. Questo provocò dissapori tra georgiani e abcasi che si protrassero fino a una sanguinosa guerra civile dopo che l’Abcasia, per sottrarsi al controllo georgiano, dichiarò il 23 luglio 1992 la sua totale indipendenza. La guerra terminò il 27 luglio 1993, e fu siglata una pace dopo un intervento da parte dell’ONU.

7 Aleksandr Parvus, pseudonimo di Israel Helphand, era un ebreo russo naturalizzato tedesco che fece pressioni sul governo germanico affinché Lenin tornasse in patria e destabilizzasse ancor di più il fronte interno ai fini di una resa da parte della Russia. Convinto sostenitore di una pace duratura tra i due Paesi, nonostante il servizio reso a Lenin e quindi alla fazione bolscevica, a Parvus fu impedito il rientro in Russia per via dell’imbarazzo che avrebbe creato nel Paese l’idea di una rivoluzione creata a tavolino e favorita da uno stato nemico. Morì a Berlino nel 1924.

8 Liberal-borghesi.

9 Sede del Governo.

10 A.Camera, R.Fabietti, Elementi di Storia vol.III, Zanichelli, Bologna,1999.

11 Primo segretario del Partito Comunista Azero dal 1933 al 1953.