1510 A.C. EGITTO: IL SEGRETO DELLE ORIGINI
Siamo di fronte a dei colossi, colossi della storia dell’uomo che possiamo trovare nella Valle dei Re e delle Regine a Luxor.
Stiamo per raccontare una storia d’amore che, però, svela anche qualcosa di molto segreto. Parla delle origini, di qualcosa che non si doveva sapere, di qualcosa che è legato a tutto quello che conosciamo sull’antico Egitto.
Ma, soprattutto, parla di una donna, una donna fantastica: il suo nome era Hatshepsut, la donna-faraone.
Da questa storia d’amore, dolcissima e bella, sarebbe nata anche una bambina. Tutto, però, sarebbe stato osteggiato da chi viveva in quel periodo, tanto che si è provato addirittura a cancellare la sovrana dalla storia.
Vivremo una storia, un giallo, un thriller che fonda le sue basi nel più segreto antico Egitto.
Stiamo per parlare di una donna realmente fantastica, di lei è stato detto che era “bella come una dea, forte come un uomo”. Suo padre era il faraone Thutmose I, che le insegnò tutti i segreti per affrontare una vita fatta di potere e di sacrifici.
Lei non era destinata a diventare faraone, ma poi accadde quello che nessuno aveva previsto.
Suo padre è morto quando lei aveva solo 20 anni, e da quel momento ha cominciato a camminare da sola.
Stiamo per raccontare la sua storia, le sue imprese, tutto quello che ha fatto per far valere la figura della donna, un’antesignana del desiderio di far sapere quanto le donne siano forti e capaci.
Lei, prima tra tutte le donne.
Alla morte del marito, il faraone Thutmose II, Hatshepsut divenne temporaneamente faraone. Un suo figliastro era destinato al trono, ma aveva solo 3 anni: come tutrice, prese il suo posto. Avrebbe dovuto cedere il potere nel momento in cui il bambino fosse cresciuto ma, trattandosi di un figliastro del marito, apparteneva a una linea di sangue considerata non primaria.
L’ostacolo principale, quindi, non era la giovane età ma la titolarità ad assumere il ruolo. L’unico modo perché lui potesse salire al vertice del potere egizio era quello di sposare una donna di alto lignaggio, ma la sola che poteva donargli questa possibilità era proprio la figlia di Hatshepsut.
Quindi, per mantenere il potere il più a lungo possibile doveva, per forza di cose, cercare di posticipare questo matrimonio. E fu molto brava, perché per tanti anni rimase faraone e cedette il trono solo dopo la sua morte.
Ma nella sua vita non fu tutto così semplice.
Cerchiamo ora di capire esattamente chi era questa donna, perché attraverso di lei arriveremo a raccontare uno dei più affascinanti segreti che ho mai avuto l’opportunità di indagare.
Credo che se non mi fossi imbattuto all’inizio della mia carriera in questa storia, una storia d’amore e di segreti, se studiandola ed esaminandola non avessi avuto un’idea sicuramente ardita, forse folle, che però partendo da presupposti diversi potrebbe spiegare le origini e la fantastica e repentina evoluzione del popolo egizio poco meno di 3000 anni prima di Cristo, probabilmente oggi non saremmo qui a condividere viaggi, avventure e misteri.
Insomma, questa storia è quella che, per quanto mi riguarda, ha dato il via a tutto.
“Che emozione” è la prima cosa che viene in mente quando ci si trova di fronte al tempio funerario di Hatshepsut.
Sembra costruito ieri eppure, pensate, ha 3500 anni: è nell’area di Deir el-Bahari. È stato costruito all’interno di una conca di una montagna, in un anfiteatro di pietra dall’architetto di corte. Si chiamava Senenmut. Un nome che ritornerà più volte in questa storia. Il grande monumento ha tre livelli: il primo è dedicato a lei, in ricordo del periodo nel quale era principessa reggente e aveva questo ruolo; il secondo ricorda quando lei era faraone; il terzo è dedicato all’Aldilà. E proprio il terzo livello avrebbe portato verso la camera funeraria, inserita in una corona di pietra all’interno di questa montagna dedicata alla dea della maternità. Quindi, lei nell’Aldilà sarebbe rientrata nel ventre da cui tutto ha origine, un simbolo molto forte che poteva forse anche attenuare il dolore per il passaggio dal mondo dei vivi a quello dei morti.
La vita di Hatshepsut è accompagnata da una splendida storia d’amore, un sentimento nato quand’era ragazza. Il suo amato era un compagno di giochi, che da adulto sarebbe rimasto sempre con lei: si trattava proprio di Senenmut. Prima come architetto reale, poi con ruoli sempre più importanti fino ad affiancare la stessa donna-faraone. Una crescita che gli avrebbe permesso di avere enormi conoscenze, che cercheremo di capire insieme.
Un affetto, quello tra Hatshepsut e Senenmut, che non si poteva cancellare, una storia d’amore ma anche un incredibile giallo storico.
Sì, perché qualcosa è successo, in maniera inspiegabile, nella vita di questa donna-faraone, e anche dopo la sua morte.
Quale segreto è stato trasmesso? Quale segreto, fino a quel momento, era assolutamente riservato? Perché sarebbe stato rivelato?
Vi racconteremo delle ipotesi fatte. Prima, però, bisogna accennare a qualcosa che riguarda la vita di Hatshepsut, che in certi momenti è stata anche molto dolorosa. A dieci anni dalla sua morte scompare sua figlia, una donna splendida che era diventata anche la sua consulente, puntuale, affezionata, leale. E prima di lei muore anche il suo grande amore, Senenmut, era il 1463 a.C.
Lei, Hatshepsut, e lui, Senenmut, come abbiamo detto si conoscevano fin da ragazzi. La leggenda vuole che lui l’abbia addirittura salvata a 15 anni da un possibile annegamento nelle acque del Nilo. Erano amici, quindi, compagni di giochi sin da bambini. Una volta arrivata al potere, la donna-faraone Hatshepsut chiede al suo amico d’infanzia di cominciare a realizzare il suo tempio funerario. Un progetto importante che ogni sovrano, di fatto, cominciava a progettare sin dal giorno del proprio insediamento, per fare in modo non solo di sottolineare la propria potenza in vita ma anche perché fosse pronto prima della sua scomparsa.
Hatshepsut è divenuta così “proprietaria” di uno degli edifici più belli di tutto l’antico Egitto. Una costruzione che ancora oggi sembra attualissima.
A seguito di un’amicizia cresciuta con gli anni, i due diventarono amanti, o forse lo erano sempre stati. Un rapporto il loro, in effetti, continuato nell’ombra anche dopo il matrimonio, previsto e di fatto obbligato dal cerimoniale del tempo, che vedeva Hatshepsut moglie di un altro uomo, l’allora faraone e fratellastro Thutmose II.
Da questa relazione clandestina nasce una bambina, sulla cui paternità la stessa aristocrazia si trova in grande difficoltà.
È a questo punto che Hatshepsut fa una cosa tanto inaspettata per i tempi quanto anticipatrice di costumi che sarebbero divenuti comuni solo migliaia di anni più tardi. Decide di insignire Senenmut di una carica importantissima all’interno della corte, di fatto il suo braccio destro, quindi di renderlo non più solo architetto, ma uomo di grande potere.
Un titolo tanto importante da consentire l’accesso alle conoscenze più segrete in possesso dei faraoni. Decide inoltre di affidare la tutela della bambina proprio a lui, che di fatto ne era il padre, e di continuare a frequentarlo per il nuovo ruolo che lui rivestiva, creando così la prima famiglia “di fatto” della storia.
Naturalmente i sacerdoti di corte e gli altri dignitari non videro di buon occhio tutto questo, ma non potevano far nulla: lei era il faraone e nessuno avrebbe mai potuto contraddirla… finché era in vita.
Perché dico questo? Perché tra breve capiremo come l’astio e i contrasti rimasti sopiti per l’intero suo regno si siano risvegliati ferocemente dopo la sua morte.
Gli anni passano, la figlia cresce, il rapporto con Senenmut rimane solido.
Ma con il tempo, e diminuendo inevitabilmente la forza della donna-faraone, i due si rendono conto che a breve la loro storia avrebbe avuto un ineluttabile epilogo.
La vita non era lunga come ai nostri giorni. Il tempio funerario di Hatshepsut era stato completato, mentre Senenmut si era fatto costruire, come previsto, una tomba in una piccola necropoli, vicina al tempio dell’area di Deir el-Bahari, nella quale erano riportati solo disegni e geroglifici privi di contenuti importanti. Era costume che i personaggi più rilevanti all’interno della corte non potessero “raccontare” attraverso le mura delle proprie tombe cose che avrebbero potuto mettere a rischio i grandi segreti tramandati dal clero, dal faraone e da pochissimi altri.
Ma quali erano questi segreti? Cosa non si doveva rivelare? Una possibile risposta la troviamo nella seconda tomba di Senenmut.
Una seconda tomba? Ma non ne bastava una? Perché un’altra?
Forse proprio perché alla tomba ufficiale mancava qualcosa. Senenmut decide così di costruirsi una piccolissima tomba fuori da ogni cimitero, fuori da ogni necropoli. Una tomba invece molto vicina al tempio funerario della sua amata Hatshepsut. Scavata in profondità, con un lungo e basso tunnel come via d’accesso. Ma c’è di più. Questa tomba si trova di fronte al tempio principale, solo leggermente spostata sulla destra, a circa 300 metri dalla camera funeraria della donnafaraone. Proprio dalla stanza ricavata dopo il tunnel d’ingresso parte un altro tunnel lungo, stretto e accidentato, con piccole stanze che danno l’illusione ogni volta che si sia giunti alla fine. Invece no.
Basta guardarsi intorno e si può vedere una piccola apertura, da lì si scende di circa un metro e si continua a camminare. Si dice che questo tunnel sia stato costruito per mettere in contatto la stanza funeraria di Senenmut con quella di Hatshepsut, la donna che ha amato per tutta la vita e alla quale voleva rimanere vicino per sempre, attraverso un passaggio esclusivo.
Questa piccola tomba è considerata la tomba che Senenmut si fece costruire in qualità di architetto, non come sapiente di corte. Questo gli avrebbe permesso di scrivere, incidendo sulle pareti, quello che nella tomba “ufficiale” era proibito tramandare.
Questo luogo fu scoperto per puro caso agli inizi del Novecento. Se non si fosse incontrato l’imbocco del lungo tunnel che portava a quell’unica stanza decorata, probabilmente lì non si sarebbe mai scavato, perché era una zona al di fuori di ogni settore riservato alle sepolture.
A trovarla fu una squadra di archeologi statunitensi che, una volta entrati, videro i racconti incisi nella pietra che circondavano tutta la stanza. Si trattava di un ambiente molto piccolo, di circa 2 metri e mezzo per 2, alto 1 metro e 80.
Gli archeologi cercarono da subito di decifrare quello che vedevano, compito non facile dato che le immagini che raffiguravano i due amanti erano state rimosse, impietosamente scalpellate.
La stessa cosa che era successa all’esterno.
A cominciare dal Tempio di Deir el-Bahari, tutte le immagini del faraone Hatshepsut erano state cancellate a colpi di martello. Lo stesso destino l’avevano subito le immagini di Senenmut.
C’era così tanto odio nei loro confronti che ci fu il tentativo di cancellarli dalla storia. Addirittura non risulta il nome di Hatshepsut sul cartiglio della sequenza dei faraoni inciso sulla cosiddetta Tavola di Abydos, una parete del Tempio di Seti I.
Una vera e propria damnatio memoriae per la donna-faraone, perseguita per due motivi principali: per la mai accettata storia d’amore con il suo braccio destro e amico d’infanzia Senenmut e per il semplice motivo che era una donna. Una società molto muscolare e maschilista non vedeva di buon grado una donna al vertice della catena di potere.
Ma la verità trova sempre il modo per venire a galla. Studiando la piccola tomba nascosta di Senenmut, gli archeologi americani si accorsero anche di un’altra cosa. Il soffitto era apparentemente bianco, senza nessuna incisione né scritta, ma in un angolo una parte di intonaco, dopo vari millenni, si era staccata. E sotto quello strato candido si potevano intravedere dei segni, realizzati con un inchiostro scuro.
A quel tempo non si dovevano chiedere troppi permessi, così gli archeologi decisero lì per lì di togliere l’intonaco per scoprire cosa si nascondeva sul soffitto della piccola stanza appena scoperta.
Si pensava a qualcosa di incompiuto, come spesso poteva accadere nelle decorazioni di tombe il cui destinatario fosse morto prima del tempo.
Ma non era questo il caso. Sotto quello strato di materiale bianco si nascondeva uno dei disegni più perfetti del cielo mai ritrovato nell’antico Egitto. Un cielo che, probabilmente, non rappresentava nemmeno il periodo storico nel quale fu realizzato.
Ma la domanda è proprio questa: perché fu realizzato, e perché è stato coperto?
Un’ipotesi che mi permetto di avanzare potrebbe essere quella legata proprio al momento difficile, di persecuzione, che la coppia stava vivendo. Senenmut si sentiva braccato insieme ad Hatshepsut e voleva in qualche maniera farla pagare a chi non aveva avuto rispetto né della donna-faraone né di lui stesso.
Potrebbe aver deciso di realizzare questa seconda tomba, destinata a farlo rimanere in contatto con il suo amore per l’eternità, anche per poter nascondere al suo interno quelle conoscenze, quei segreti che mai avrebbe potuto far scolpire o rappresentare nella sua tomba ufficiale, quella di cui abbiamo parlato poco fa.
Era una tomba segreta, quindi, dove raffigurare il loro amore, dalla quale far partire un tunnel in grado di metterlo in contatto con la sala funeraria della sua amata, nella quale rappresentare ufficialmente sulle pareti verticali la loro storia d’amore, poi parzialmente cancellata da chi è arrivato dopo, ma anche nella quale nascondere le conoscenze delle quali era venuto in possesso proprio per il suo ruolo. Un ruolo, quello di potere, imposto dalla donna-faraone e non frutto di una scalata nelle gerarchie del tempo. Anche per questo la sua figura era invisa.
Senenmut, in vita, aveva così avuto accesso ai segreti, alla cultura, ai sacri testi e quindi al potere del tempo.
Ricordiamoci che lui era un architetto, capace di progettare e quindi di disegnare. Quello ritrovato sul soffitto della sua tomba non era un geroglifico scolpito come gli altri. Vista l’altezza ridotta della stanza, non è da escludere che ciò che vediamo oggi sia stato realizzato proprio da lui, da Senenmut in persona, con le sue mani, per poi essere ricoperto.
È legittima però un’ulteriore domanda: perché ricoprirlo?
Mi spingo avanti nell’ipotesi, formulando un altro quesito: potrebbe aver voluto rappresentare tutta la conoscenza “proibita” del tempo, quindi così segreta che anche ai grandi sacerdoti era vietato riportarne accenni nelle proprie tombe? In fondo anche lui non aveva lasciato nulla di rilevante sulle pareti della sua tomba principale.
Se così fosse, avrebbe trovato questo modo per farla pagare a tutti coloro che in vita, e probabilmente anche dopo la loro morte, avessero prima osteggiato e poi oltraggiato la loro esistenza.
Tutta la verità su un soffitto dipinto, probabilmente in maniera clandestina, nelle lunghe notti egizie, su un soffitto basso dove non aveva bisogno di null’altro per disegnare se non della sua arte. Una lavagna perfetta dove scrivere tutto per poi nasconderlo.
Doveva assolutamente restare celata ai contemporanei per attraversare il tempo, nella speranza, prima o poi, di essere svelata. Come è avvenuto circa 3500 anni dopo.
Gli egittologi americani, dopo aver scoperto questo disegno del cielo, non fecero altro che riprodurlo e inserirlo all’interno di una documentazione realizzata alla fine della loro spedizione archeologica.
Insomma, solo una fotografia messa in archivio senza nessun tipo di approfondimento se non la cronaca della scoperta.
La tomba si trovava fuori dal circuito ufficiale ed era considerata pericolosa da un punto di vista statico, quindi venne chiusa e così rimase per decine di anni.
Ne ho sentito parlare circa vent’anni fa, proprio dal mio amico Zahi Hawass, che in quel periodo era il responsabile delle piramidi della Piana di Giza, al Cairo.
Dopo una serie di ricerche, fatte anche grazie all’aiuto di un amico giornalista, ho scoperto che i documenti di quella spedizione si trovavano in America, al Metropolitan Museum di New York. Ho chiamato immediatamente un altro amico che viveva a New York e gli ho chiesto se poteva darmi una mano. Dopo pochi giorni mi ha mandato una serie di immagini del documento redatto al tempo dagli archeologi: c’era anche una perfetta ricostruzione, forse fotografica, del soffitto.
Sono stato un’intera notte a guardarlo, quel magico soffitto: era pieno di sorprese. Io non so tradurre i geroglifici, ma di scritte in geroglifico ce ne erano veramente poche. C’erano invece immagini di dei e di stelle, di grandi cerchi con alcuni tratti di colore rosso, gli unici di tutto il soffitto, immagini di animali e altri disegni, apparentemente poco comprensibili.
Ma il soffitto era completo, in ogni suo centimetro quadrato. Non si era trattato di un lavoro incompleto da ricoprire ma proprio di un disegno da nascondere. Ne ero sempre più convinto. Ho ringraziato il mio amico per il grande lavoro che aveva fatto per me. Per quanto ne sapessi, fino ad allora quelle erano le uniche immagini di quella tomba esistenti al mondo, ed erano rinchiuse in un fondo museale negli Stati Uniti.
A quel punto sapevo esattamente cosa stavo cercando: dovevo assolutamente riuscire a entrare nella tomba.
Ho deciso quindi di andare a cercarla appena un’occasione di lavoro mi avesse portato a Luxor.
E così è stato. Ricordo ancora quando, in maniera assolutamente ingenua, chiesi di potervi entrare. Il responsabile di allora mi disse che era impossibile, che era chiusa da molti anni e che il cancello d’ingresso al tunnel che mi avrebbe portato fino alla stanza decorata era chiuso addirittura con i sigilli di ceralacca.
Dopo il primo tentativo ho incontrato di nuovo questo guardiano e, a seguito di una lunga e serrata trattativa, sono riuscito a farmela aprire.
L’ingresso sarebbe avvenuto a sito archeologico chiuso e previa corresponsione di una cospicua mancia per il disturbo. La cosa che non mi tornava era che avrebbe dovuto rompere il sigillo di ceralacca: come l’avrebbe giustificato il giorno dopo e cosa si sarebbe detto in giro ritrovando il sigillo aperto? Stavo rischiando e lo sapevo. Infatti chiesi al portiere dell’albergo di tenere per conto mio una busta, con dentro il denaro. E mi sono raccomandato di consegnarla a una certa persona, ma solo dopo che io fossi tornato quella sera dal luogo in cui stavo andando.
E questo lo dissi anche al guardiano che mi accompagnava: insomma, se non fossi tornato indietro sano e salvo, niente mancia.
Talvolta un’assicurazione sulla vita costa molto poco.
Era quasi buio. Il sito era deserto, o perlomeno i pochi presenti facevano finta di non vedermi, pur essendo io l’unico straniero.
Le ombre della sera rendevano l’enorme tempio funebre dedicato alla regina Hatshepsut ancora più suggestivo. Prima di arrivare sul piazzale dove un tempo si fermavano i pullman turistici, scendiamo sulla destra, in una conca piena di bottigliette di plastica portate dal vento. La sabbia era quasi nera e la plastica era addirittura cotta dalle altissime temperature che di giorno si raggiungevano in quel particolare luogo.
Arriviamo di fronte al cancelletto. Con una pinza il mio accompagnatore apre il fil di ferro intorno al quale era fusa la ceralacca, che si sgretola in pochi secondi: entriamo. Il tunnel, alto poco più di un metro e mezzo, era ripido e in discesa, nessun appiglio, nessuna tavola per terra.
Non finiva più e le pareti erano fragilissime, bastava sfiorarle per farne cadere alcune parti. Avevamo delle torce in mano che non riuscivano a illuminare la fine di questo budello di pietra friabile, poco più di sabbia compattata.
Arrivati in fondo, ecco la piccola stanza, tanto bassa da costringermi a sedermi per terra per riuscire ad ammirarne il soffitto.
Sono rimasto in silenzio per molti minuti. Chi mi accompagnava in un primo momento mi guardava con stupore, probabilmente non riusciva a capire il motivo di tanto interesse, poi ha cominciato a mettermi fretta: dovevamo uscire.
Scatto alcune fotografie anche alle pareti per riuscire a cogliere particolari che il documento del Metropolitan Museum poteva non avermi mostrato. Usciamo, la salita mi è sembrata molto più breve della discesa. Per quanto possa apparire incredibile, probabilmente nel corso della discesa l’ansia di vedere la stanza aveva dilatato i tempi della mia mente. È ormai notte quando sento di nuovo il fresco dell’aria aperta, il cielo era limpido e stellato. La mia attenzione viene attirata da quello che sta facendo il guardiano: armeggia intorno alla serratura, vedo la fiamma di una candela. Mi avvicino e scopro che sta richiudendo e rimettendo la ceralacca. Insomma, chi di giorno ne negava l’ingresso, e alla fine me lo ha concesso, era esattamente la persona che deteneva il “potere” di apporre di nuovo il sigillo, come se nulla fosse. Arrivati in albergo, consegnata la busta, tiro un lungo, interminabile sospiro di sollievo. Avevo le foto, avevo visto quello che volevo vedere e la mattina dopo, alle 6, mi aspettava un aereo per andare al Cairo e poi direttamente a Roma.
Oggi sono passati più di vent’anni, ormai tutto è prescritto, e nei miei successivi viaggi a Luxor non ho più incontrato questa persona. Tutto è finito così.
Avevo finalmente le foto, a casa ho cominciato a guardarle con mia moglie e subito sono andato a verificare un particolare disegno posto esattamente nella parte centrale del soffitto.
Sotto il dio Osiride, inscritte nella costellazione di Orione c’erano tre stelle, le stesse della cintura centrale della costellazione, la cosiddetta Cintura di Orione, più una quarta di fronte. Ipotizzando una corrispondenza tra la Cintura di Orione e la posizione delle tre piramidi di Giza, questa quarta stella disegnata sul soffitto corrisponderebbe al luogo dove troviamo la Sfinge.
E intorno alla stella centrale delle tre, quella che seguendo questa ipotetica mappa stellare corrisponderebbe alla piramide centrale, quindi a quella di Chefren, erano disegnate tre ellissi, con una parte più appuntita dell’altra. Cosa rappresentava quel piccolo disegno, messo nell’angolo di un quadrato, dove si vedevano il dio Osiride e le stelle della costellazione di Orione?
Era circoscritto e così separato dal quadro centrale, come se si trattasse di un’immagine ingrandita, di un particolare del disegno principale da tenere in considerazione e da guardare meglio, come in una zoomata posta in un angolo della zona in esame.
Tre ellissi intorno a una stella. A quel punto, sognando, mi sono permesso di ipotizzare che tra le conoscenze degli antichi egizi ci fosse anche qualcosa di legato a origini più remote. Mi chiedevo perché quelle tre stelle fossero così fortemente sottolineate. Era perché erano considerate il loro dio? E attenzione, non era un dio così importante, il principale, solo per gli egizi, ma lo è stato sia prima sia dopo per altre popolazioni, in altri luoghi del mondo.
Insomma, quelle stelle per molti uomini antichi erano una divinità.
E tra quelle stelle una era messa ancora più in evidenza: quella centrale della Cintura di Orione, marcata da quelle tre circonferenze intorno a lei.
Di che si tratta? Come mai questa civiltà è comparsa quasi all’improvviso poco dopo il 3000 a.C., con una serie di conoscenze uniche, dall’architettura alla medicina, alla scrittura, saperi rimasti praticamente invariati per tremila anni, cioè fino all’avvento dei romani, tanto erano “evoluti” per quei tempi?
Sì, perché gli egizi hanno scritto essenzialmente nello stesso modo lungo tutta la loro storia, avevano pratiche mediche avanzatissime, hanno mantenuto le stesse tecniche nel trattare i loro morti, lo stesso modo di venerare gli dei.
Proviamo a immaginare per un attimo se la nostra civiltà fosse identica da tremila anni, se oggi vivessimo come nel 1000 a.C.: facciamo fatica solo a pensarlo.
Eppure in Egitto è successo proprio qualcosa di simile.
È dunque possibile che tutte queste conoscenze, tanto evolute da essere trasmesse come una religione, facessero parte dei segreti delle origini, in possesso solo di alcuni uomini, uomini di una casta che perpetrava il sapere di generazione in generazione in maniera assolutamente segreta? Uomini di potere, certamente anche della casta sacerdotale, erano a conoscenza di segreti inconfessabili, tanto da non permettere di scriverli o raffigurarli in nessun luogo, tantomeno nelle tombe. Potrebbe essere che un uomo, perseguitato per l’amore nei confronti di una donna, che era entrato in possesso di questi segreti per la posizione sociale acquisita proprio grazie alla sua amata, senza compiere il percorso corretto di iniziazione e dedizione totale richiesto, per vendicarsi di chi prima gli aveva trasmesso tutto questo e poi aveva voluto cancellarne la memoria abbia deciso di lasciare traccia di ciò che sapeva? E può averlo fatto scrivendolo in una tomba clandestina, su un soffitto poi imbiancato e ricoperto per impedirne la lettura ai contemporanei, ma con la speranza che tutto questo potesse attraversare i secoli ed essere riscoperto un giorno?
Se così fosse ci troveremmo di fronte all’unica crepa nella catena di omertà affidata ai potenti in circa tremila anni di storia, una crepa nata per rivalsa nei confronti di un amore contrastato. Ma cosa avrebbe voluto dirci questo architetto di corte, diventato gran sacerdote?
Tentiamo di dare un’interpretazione. È solo un’ipotesi e chissà mai se un giorno, ci vuole pazienza, anche tra molti anni, quello che stiamo ipotizzando solo come una semplice possibilità potrà mai essere verificato e raccontato come dato di fatto.
Proviamo a pensare che quelle ellissi siano orbite di pianeti e che quella stella possa nascondere una vita nell’universo. Proprio per questo sarebbe diventata la stella centrale del dio più venerato sulla Terra a quel tempo.
Immaginiamo che quella stella possa essere una specie di “casa degli dei”, un luogo dal quale un tempo possa essere arrivata la vita, o la conoscenza. È facile credere che se in quei tempi antichi qualcuno avesse visto un oggetto volare e provenire dal cielo sicuramente gli avrebbe attribuito origini divine.
Ricordiamo che già in altre civiltà alcune iscrizioni, alcuni disegni e racconti parlano di navi volanti come dei. Un esempio è quello dei cosiddetti vimana, nell’attuale India. Naturalmente ci vorrebbe poco a banalizzare il tutto, ma cerchiamo di mantenere la calma e proviamo a continuare questo ragionamento, che non ha nessuna velleità storica ma che spero possa stimolare qualche piccola riflessione.
Intanto, di quale stella stiamo parlando?
La stella centrale della costellazione di Orione si chiama Alnilam e si trova a circa 1340 anni luce dalla Terra.
È una stella molto luminosa, e intorno a sé ha anche una nebulosa importante. È anche chiamata Epsilon Orionis.
Quale può essere il significato di quelle tre ellissi a punta intorno alla stella?
Chi le ha disegnate, probabilmente lo stesso Senenmut, cosa voleva tramandare? Potevano essere traiettorie di pianeti in grado di girare intorno a questa stella? Oppure quel simbolo risale addirittura all’antica Babilonia, dove sarebbe stato utilizzato per raffigurare l’acqua?
In entrambi i casi è stimolante pensare che il percorso potrebbe portarci a ipotizzare la presenza di pianeti abitati intorno a quella stella. Solo ipotesi? Forse sì, ma non possiamo non ricordare che proprio alla fine degli anni Novanta intorno a quella stella furono notate ombre simili a quelle che a un osservatore esterno al Sistema Solare apparirebbero guardando la nostra Stella Madre, ombre provocate dal passaggio dei corpi celesti del nostro sistema planetario. Quindi quella stella potrebbe avere intorno dei pianeti. Ma c’è di più.
Qualche anno dopo, altri studiosi hanno cercato con strumenti particolari di individuare nello spazio visibile dalla nostra Terra luoghi dove fosse possibile la presenza di acqua. Tra questi luoghi, è emerso che uno dei più importanti sarebbe proprio la stella Alnilam.
E allora, sia l’ipotesi dei pianeti intorno a lei sia quella della presenza d’acqua potrebbero trovare anche supporto nelle recenti osservazioni scientifiche.
A questo punto la domanda che possiamo porci è: com’è possibile che in una tomba del 1500 a.C. possa essere raccontato tutto questo?
Una spiegazione certa, naturalmente, non possiamo averla.
Possiamo solo sperare che ulteriori scoperte, e forse una maggiore umiltà da parte di alcuni esperti, possano chiarire i tanti dubbi. Teniamo conto del fatto che se quella stella veniva considerata dagli antichi la casa degli dei allora bisognerebbe chiedersene il motivo.
Cosa sapevano gli antichi egizi che ancora non abbiamo scoperto?
Da dove arrivava la loro sapienza, che si è evoluta così rapidamente all’inizio della loro civiltà? È possibile che questa apparentemente piccola scoperta all’interno di questa stanza possa essere l’inizio di una serie di scoperte molto più importanti?
A queste domande oggi non siamo in grado di rispondere.
Ma se tutto ciò è servito anche solo ad avvicinarvi con rispetto alla storia e ai segreti di questa grande civiltà, bene, può già essere sufficiente.
Prima di lasciare il capitolo, però, vorrei ricordare un episodio che mi è stato riferito da un ricercatore italiano. Un fatto storico accaduto in Egitto all’inizio dell’invasione romana. Si narra che un gran sacerdote avesse riunito ad Alessandria, in un’ampia sala, tutti i religiosi di maggior lignaggio e i potenti del tempo. Il motivo era quello di confrontarsi sul pericolo della presenza dei romani in Egitto. Non tutti i convocati davano garanzie di riservatezza, ed erano a rischio le conoscenze e le tradizioni, forse i segreti, di cui i sapienti egizi erano in possesso.
Una volta riuniti all’interno di questa grande sala, fecero il loro ingresso dei soldati del faraone che, senza proferire parola, sterminarono fino all’ultimo dei presenti. Gli stessi soldati furono riuniti dopo poco in un altro luogo, nel quale poterono accedere con un abbigliamento semplice e senz’armi.
Era una trappola: entrarono altri soldati che li sterminarono. Per ultimo venne ucciso, pare sotto sua espressa richiesta, il gran sacerdote che aveva ordito questo piano di morte.
Se questa storia si fosse svolta esattamente come ci è arrivata, ci autorizzerebbe a pensare che i grandi segreti dell’antico Egitto, non potendo più essere garantiti, dovevano essere sepolti per sempre insieme agli uomini che ne avevano conoscenza? Era a questo che pensava il gran sacerdote dando il via alla carneficina?
Un’esecuzione doppia, sia dei religiosi sia, subito dopo, dei soldati che li avevano uccisi. Una doppia sequenza, in grado di cancellare definitivamente il motivo di tanta crudeltà. I soldati che uccisero i propri commilitoni non sapevano cosa avessero fatto i primi. Possiamo pensare che fu loro detto dell’altro, probabilmente che dovevano essere uccisi perché erano dei traditori, cosa non così rara a quel tempo.
Come la storia di questa strage sia arrivata a noi non è chiaro. Un testimone del tempo, forse, è riuscito a sopravvivere e a lasciare traccia della carneficina, che al tempo doveva essere sembrata inspiegabile. E a noi è giunta come fatto storico, senza una spiegazione delle possibili motivazioni.
Una conoscenza, quella degli antichi egizi, che sarebbe andata perduta per sempre se un uomo, molti anni prima, non avesse deciso di disegnare tutto sul soffitto della sua tomba segreta, in una piccola stanza sotterranea a Luxor.
Un piccolo soffitto, che probabilmente ha ancora tante cose da raccontarci.
A cominciare da una storia d’amore tra una delle donne più importanti di una civiltà perduta e un suo amico d’infanzia.
Due ragazzi cresciuti insieme il cui amore è stato incompreso e ferito, al punto che si provò a cancellarlo per sempre, insieme ai suoi protagonisti.
Ma forse tutto sta riemergendo, forse una piccola parte di intonaco caduta può aver fatto riaprire uno scrigno segreto, chiuso da tanta forza e da tanto potere, ma riaperto da tanto amore.