KANSAS
Dopo aver oltrepassato il Mercatino delle pulci della Route 66, il Drive in della Route 66, il Mercatone dell'auto usata della Route 66, l'ennesimo Ristorante della Route 66 e la Libreria della Route 66, entriamo in Kansas. Bisogna dirlo: ci saranno solo venti chilometri di Route 66 in Kansas, ma sono ben segnalati. Non solo ci sono cartelli "Historic 66" ovunque, ma il marchio distintivo della Route 66 è dipinto sul fondo stradale praticamente ogni quattro metri. Non lasciano nulla d'intentato.
La gioia di aver attraversato un confine di stato è di breve durata. Ci troviamo ben presto nel 'Mezzo acro d'inferno', un paesaggio aspro, desolato, di ruvida sterpaglia, lembi di letame secco, mucchi di pietrisco sparso. La mia guida dice che questo tratto di terra è irrimediabilmente danneggiato e impoverito da anni e anni di escavazioni a cielo aperto. Non mi ispira niente di buono, questo posto. Mi fa pensare a uomini sorridenti, dal viso crudele, che incidono la terra, devastano ogni cosa, sostenendo imperturbabili che è per il Bene, ma lasciando soltanto sfregi nella carne.
Mi dispiace per questa terra. Dopo una vita di appendicectomie, episiotomie, cesarei, isterectomie, mastectomie, protesi dell'anca, protesi del ginocchio, endoarteriectomie, cateterismi, il paesaggio del mio corpo è a sua volta un mezzo acro di inferno. (Facciamo anche un intero acro, via.) Una mappa topografica di punti, cicatrici, cuciture e altri svariati marchi dell'intervento sanitario. E ora che i medici, per una volta, si mostrano poco propensi a trinciarmi la pancia, potete ben capire la mia gioia. Potete ben capire perché ho preso baracca e burattini e via, sulla strada. Prima o poi, ne hai abbastanza.
Il fatto è questo: i medici aspirano a salvare le persone, ma quando si parla di persone di ottantanni, che cosa c'è ancora da salvare? Che divertimento c'è a tagliuzzarle? Lo faranno, se proprio ci tieni, ma senza mancare di segnalarti le controindicazioni. I vigliacchi bastardi se ne escono con contorsionismi verbali tipo 'patologie associate'. Ci metti un po' a capirne il significato, ma poi è tutto chiaro: è la gara per assegnare la vittoria finale tra le tante cose in corsa: e nell'ultimo giro il Cancro al Seno con Metastasi si porta in testa! Seconda l'Ipertensione Avanzata, segue, con un certo distacco, l'Ostruzione della Carotide, tallonata dall'Insufficienza Renale. Oh! Ma ecco che parte in volata l'Ictus Ischemico! Adesso è un testa a testa tra Ictus e Cancro al Seno! Ictus, Cancro! Cancro, Ictus! Signore e signori, che gara!
Accanto al minimarket Eisler Brothers, l'unica visione piacevole menzionata da guide e cartine è un vecchio ponte chiamato Marsh Rainbow Arch. Una volta ce n'erano tre in Kansas, di questi ponti eleganti, anni Venti, a forma di arcobaleno, ma gli altri sono stati demoliti, ed è rimasto solo questo. Do a John le indicazioni per raggiungerlo. Ben presto vediamo un delizioso ponticello in muratura, un bell'archetto appena ridipinto di bianco su uno sputo di torrente. Qualcuno ha stampigliato il marchio della 66 in fondo all'arcobaleno. Non c'è anima viva nel raggio di chilometri, così, in mezzo al ponte, chiedo a John di fermarsi.
«Cosa?» fa John, pensando di non aver capito.
«Ferma il camper, John».
Quando lo fa, apro la portiera e scendo. Voglio stare su questo ponte che collega le due sponde del Brush Creek.
«Si può sapere cos'hai in testa?» sbotta John, irritato.
Non lo so, per il momento non voglio far altro che fermarmi qui. Stando alle foto che ho visto, gli altri due ponti erano molto più grandi, e forse più belli. Sono stati distrutti semplicemente perché qualcuno pensava che occorresse qualcosa di nuovo e insulso. Perché il mondo deve distruggere tutto ciò che non è conforme? Non ci renderemo mai conto abbastanza che è la ragione principale per amare qualcosa.
È come essere a casa, qui, sorretta tra due rive. Mi sento così, ultimamente, sospesa tra qui e là, il buio e la luce, il peso e la leggerezza. Mi affaccio al parapetto e cerco di scrutare nell'acqua, ma è scura e fangosa.
«Ella!»
«Solo un secondo». Risalgo con gli occhi il corso del torrente e vedo qualcosa su una sponda. È una creatura di qualche tipo - gatto, topo o castoro - con il pelo liscio e nerastro. Qualunque cosa sia, è morta da un pezzo. Non so se è questo che attrae il mio sguardo; in ogni caso, mi pento di averlo fatto. Una visione di morte non fa per me. Anzi, mi spinge a rimbalzare all'istante sul camper, aggrappandomi a tutte le maniglie supplementari che John ha aggiunto negli anni, con una rapidità che ultimamente non mi è propria.
«Leviamoci di torno, John».
Oltrepassiamo Baxter Springs. Poco dopo, c'è un cartello che dice BENVENUTI IN OKLAHOMA.
«Di già?» chiede John.
Tale è la velocità con cui liquidiamo il Kansas. Persino John se ne è accorto.
«Sai una cosa? Stiamo andando alla grande, questa mattina» gli dico, sorridendo. Anche lui sorride. Sembra di buon umore, oggi, così non mi aspetto che dica quel che dice.
«Ella, hai visto la mia pistola?»