Capitolo sette
Erica
Sbattei le palpebre per scacciare la sonnolenza e assicurarmi che la notte trascorsa non l’avessi sognata. Che tutta quella maledetta giornata non fosse stata un sogno surreale da stringere il cuore e farlo scoppiare. Mi sollevai sul gomito e vidi i vestiti gettati a terra. Il flagellatore di cuoio nero che vi era posato sopra provava in modo lampante che non avevo immaginato niente.
Mi misi seduta tirando fuori le gambe dal letto, sussultando per i dolori muscolari. La maggior parte delle nostre notti migliori aveva quel prezzo, un indolenzimento di cui avrei sofferto in seguito. Eppure avevo avuto bisogno dell’intensità di Blake in una forma che non riuscivo del tutto a spiegarmi.
Anche nel mio stato di sonnolenza, niente avrebbe potuto distogliermi da lui quando era rientrato. Ero andata a dormire presto, tormentata dagli incubi che non sarebbe mai tornato da me. Che lasciando il distretto di polizia, lo vedevo per l’ultima volta. Riaverlo a casa, in carne e ossa, mi aveva fatto desiderare di possederlo con la stessa passione con cui lui voleva possedere me.
Chiusi gli occhi e ripensai al bruciore delle sferzate. Una sensazione nuova che mi colpì la pelle. Lo shock e poi il calore. L’elettricità che aveva fatto diventare tutto così vivido. Un migliaio di piccoli colpi, che gridavano tutti dal dolore… il dolore tra noi che non aveva altro luogo dove andare.
Mi alzai e mi guardai allo specchio. Torcendomi per esaminare la schiena, mi sorpresi nel constatare che la punizione di quella notte non aveva lasciato segni. Non che me ne importasse qualcosa. Solitamente li apprezzavo, li consideravo piccoli ricordi di alcuni dei nostri incontri più memorabili.
Passai le dita sui lividi che mi decoravano le cosce là dove Blake mi aveva tenuta tanto stretta la notte prima. Un’ondata di rossore si fece strada sulle mie guance e sul petto. Non avevo sentito niente in quel momento, eppure l’evidenza della sua passione aveva l’abilità di riscaldami.
Non ero mai riuscita a spiegarmelo, ma in qualche modo Blake mi aveva totalmente preso la mente, riscritto ogni preconcetto che avessi mai avuto su sesso e dolore e mi aveva portata a livelli ai quali non mi ero mai neanche minimamente avvicinata. In quello avevamo trovato la pace. Ci eravamo creati un’isola personale. I nostri corpi, il nostro amore e il modo feroce in cui venivamo insieme davano sempre un senso a tutto quando il resto del mondo ci deludeva.
Se solo avessimo potuto viverci su quell’isola senza doverla lasciare…
La realtà stemperò rapidamente le mie fantasie quando il basso brusio della televisione al piano di sotto mi informò che Blake era in casa. Non mi aveva raccontato niente di com’era andato l’interrogatorio con Evans.
Fatta la doccia e indossato un abito informale per andare al lavoro, mi avviai giù per le scale. Blake era seduto su uno dei divani foderati di lino, concentrato sul notiziario del mattino. Il viso di Daniel apparve sullo schermo. Filmati recenti lo mostravano mentre schivava i giornalisti lasciando lo stesso distretto di polizia dove il giorno prima eravamo stati anche Blake e io. La sua espressione impassibile mi ricordò quel lato oscuro che conoscevo e che lui rivelava solo quando gli veniva fatto un torto ed era assetato di vendetta. Era diretta verso Blake?
Mi allungai verso il telecomando e abbassai il volume. L’attenzione di Blake non si interruppe.
Mi sedetti accanto a lui e lo tirai leggermente per l’orlo della camicia, sperando di distoglierlo dal suo bersaglio. «Blake».
Il suo petto si gonfiò in un profondo respiro quando mi guardò. Gli occhi erano distanti, come se fosse assorto nei propri pensieri.
«Tutto bene?», mi chiese.
Corrugai la fronte. «Certo».
«Clay mi ha detto che sei stata avvicinata da Max».
Espirai e mi rannicchiai accanto a lui. «Quando sono rientrata Alli mi ha detto che è stato condannato. Era solo andato al distretto di polizia per l’arresto».
«Che cosa ti ha detto?». Le sue parole trasudavano tensione.
«Niente», mentii.
«Erica».
«Niente di importante».
Max ormai era andato. Un capitolo chiuso. Almeno fino a che non avesse scontato la pena. Ma in quel momento non ci dovevo pensare. Aveva giurato a Clay che non lo avrei più rivisto. Potevo solo sperare che fosse la verità.
Blake se ne stava in silenzio, ma in un certo senso sentivo che mi chiedeva di dirgli quello che voleva sapere. I suoi muscoli si irrigidirono accanto a me.
Sospirai. «Ha detto “vi rovinerà”».
«Noi?».
Tracciai dei cerchi sui jeans dove i muscoli delle sue gambe erano tesi. «Penso che intendesse noi, sì».
Sollevai il capo per cogliere la sua reazione e cercai di indovinare i suoi pensieri. Chiuse gli occhi e guardò altrove, di fatto escludendomi.
«Dimmi qualcosa, Blake», implorai.
«Cosa vuoi che ti dica?».
C’era un’irritazione nella sua voce che mi bloccò.
«Perché non iniziamo da ieri? Cos’è successo?»
«L’FBI e la polizia si sono date il cambio per interrogarmi per nove ore. Ecco cos’è successo».
Esitai prima di chiedergli quello che volevo. Sembrava già abbastanza nervoso ed erano solo cinque minuti che eravamo insieme. Ma dovevo alleggerire l’atmosfera. Soprattutto, avevo bisogno che mi parlasse per poter arrivare in fondo a quella storia.
«E che cosa gli hai detto?»
«Ciò che ho ritenuto dovessero sapere».
L’ambiguità di quelle parole non mi piacque. La notte prima eravamo stati così vicini e ora mi sembrava che ci separasse un milione di chilometri. Mi stava nascondendo qualcosa? Mi rigirai l’anello di diamanti intorno al dito, considerando tutte le cose che avrebbe potuto tenermi nascoste.
«C’è qualcosa che non hai detto a loro che vuoi dire a me?».
A quel punto i nostri sguardi si incontrarono. Cercai nei suoi occhi, ma non vi trovai niente.
«Di che stai parlando, Erica?»
«Intendo… cos’è successo con le elezioni?».
Rise piano, ma non c’era divertimento in quella risata. «Mi stai chiedendo se sono stato io?».
Abbandonai il calore del suo fianco e mi alzai in piedi. Feci un breve giro della stanza, con un improvviso bisogno di spazio. Ingoiai le mie ultime parole, non volendo ammettere che era proprio quello che mi aveva bruciato in fondo alla mente da quando il giorno prima era scomparso dietro a Evans. «Immagino di sì».
Si piegò in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia. «Tu credi che io abbia tolto tempo al mio viaggio di nozze di un mese con mia moglie per manipolare l’elezione di Daniel, rovinare la sua carriera e mettere a repentaglio la mia? No. La risposta è no. Non l’ho fatto».
Le mie spalle si rilassarono, la tensione si allentò. «Scusa, Blake, io…».
«Scusami tu, Erica. Pensavo che non ci fosse bisogno di dirlo, ma forse non ti ho dato abbastanza motivi per non dubitarne».
«Non che non ne saresti stato capace».
Fece una smorfia. «Me lo ricordate tutti quanti».
«Ho solo pensato…».
«Non potrei mai farti del male, Erica. Cazzo se odio Daniel». Serrò la mascella come se volesse mangiarsi un migliaio di cose da dire. «Lo disprezzo e non lo nego e sarò il primo ad ammettere che mi sono crogiolato nel pensiero di rovinarlo. Ma non lo odio abbastanza da mettere te e me nei guai ancora una volta».
Passò qualche minuto. Si appoggiò allo schienale del divano, a braccia conserte, lo sguardo che vagava ovunque, ma non su di me.
«La polizia cos’ha detto? Non ha trovato niente che riporti a te, giusto?»
«Considerano un movente il mio rapporto con te».
Secondo Carmody, quello avrebbe giocato comunque contro di noi, sia che Blake intendesse danneggiare Daniel sia che intendesse favorirlo. Ma il modo in cui Gove aveva interrotto quella serie di domande mi aveva rassicurata sul fatto che non avessero in mano abbastanza elementi da trattenere Blake.
«Non basta».
Era silenzioso, e in un certo senso, fu quel silenzio a dirmi che c’era dell’altro.
«Cos’altro hanno?»
«Le votazioni sono state manomesse utilizzando il mio codice».
Il sangue mi si gelò nelle vene. Bloccai il mio passo frenetico. «Quale codice?»
«Il codice che ho elaborato anni fa quando ho sviluppato il software bancario. Sono stati utilizzati eseguibili di criptazione unici e i federali hanno passato le ultime settimane a studiarli, collegandoli poi a me».
«Non puoi essere l’unico in grado di farlo».
«Parliamo di banche, Erica. Miliardi di dollari. Sono pochissime le persone che hanno accesso a quel codice sorgente».
Le rotelle della mia mente presero a girare e gradualmente cominciai a mettere insieme le possibilità. «Okay. Chi lo ha?»
«Io, ovviamente. Michael Pope e pochi eletti nelle aziende a cui lo abbiamo venduto».
«Perché la polizia non parla con loro?».
Sospirò profondamente. «Immagino che lo facciano, ma è tutto così vicino a me che non stanno cercando granché. Io sono la loro carta migliore. E poi è come se Evans si fosse votato a una sorta di missione. Vuole inchiodarmi per qualcosa che ho fatto dieci anni fa con qualche nuova accusa».
Avevo avuto la stessa impressione nel mio breve contatto con Evans. Neanche Carmody mi ispirava fiducia, ma rispetto all’altro non sembrava agire come se avesse già la verità in tasca. Stava ancora cercando e restava da vedere cosa sarebbero riusciti a trovare per far passare Blake come il colpevole.
La mia mente cominciò a elaborare le nuove informazioni. La Banksoft era una società multimiliardaria. Che avesse una talpa, qualcuno interessato all’elezione del governatore del Massachusetts, sembrava improbabile. Se Blake mi stava dicendo la verità, e ne ero certa, l’infrazione doveva essere partita dalla copia di Michael. Michael non avrebbe mai danneggiato Blake, ma Max sì.
«Pensi che Max possa aver dato l’accesso a Trevor?».
Blake annuì lentamente. «Penso sia andata così».
«Lo hai detto alla polizia?»
«No». Fu una risposta semplice e secca.
«Perché?»
«Che vadano a farsi fottere».
Annaspai. «Vadano a farsi fottere? Stanno cercando di metterti in galera, Blake. E non hai neanche cercato di indirizzarli nella giusta direzione?»
«Non hanno niente contro di me, Erica. Ero all’estero. Perderanno settimane di tempo a cercare qualche straccio di prova che mi colleghi alle elezioni e non lo troveranno perché, maledizione, non sono stato io».
Il respiro crebbe rabbioso nel mio petto. Tutte quelle nuove informazioni mi avevano scaricato addosso l’adrenalina. «E quindi? Aspetterai che siano loro a scagionarti?»
«Cosa vuoi che faccia?». Agitò le braccia.
Mi avvicinai, le mani strette a pugno lungo i fianchi. «Voglio che collabori con loro per arrivare in fondo a questa storia. Sia tu che io sappiamo che non è un caso. Trevor ci ha presi di mira entrambi. Ha cercato per anni di infiltrarsi nelle tue attività, ma stavolta è diverso. È in gioco la tua libertà, non qualche sito al quale stiamo lavorando».
«Non collaboreranno con me. Non ho accesso al codice. Se l’avessi, troverei quello che non hanno scoperto».
«E allora troviamolo. Tu sai come reperire le informazioni».
«Sono sotto una cazzo di lente. Stanno setacciando i miei computer con un pettine a denti stretti. Pensi che non staranno lì come falchi a studiare tutto quello che faccio?».
Guardò altrove, gli occhi persi nell’orizzonte più lontano. Non sapevo dove fosse, ma avevo bisogno che tornasse da me. Dovevamo andare in fondo a quella storia e in fretta.
«Perché ho la sensazione che tu non voglia combattere anche se potresti?». Gli sedetti accanto e gli presi la mano. «È per quello che è successo con Brian, vero?».
Il silenzio riempì la stanza mentre lui restava immobile. Alla fine si girò, gli occhi stanchi e svuotati da quella feroce determinazione che avevo imparato ad amare.
«Non ha niente a che vedere con Brian».
«Penso che ti sbagli. Tutto ha a che vedere con lui. Qualunque cosa sia successa tra voi due allora, il senso di colpa ti è rimasto. Non te ne sei mai liberato, e neanche Trevor. E ora la storia si ripete ed è esattamente quello che vuole lui. Vuole vederti soffrire per ciò che è successo a suo fratello. E mentre tu verrai interrogato e le nostre vite verranno fatte a pezzi, lui sarà da qualche parte là fuori a pianificare la mossa successiva. Non si fermerà fino a quando non ti avrà sconfitto».
«Basta!».
Sussultai al tono della sua voce.
Si alzò di scatto. Imprecando tra sé e sé, prese la giacca e imboccò la porta.
Mi affrettai a seguirlo, non volevo che se ne andasse così presto. «Dove stai andando?»
«Devo vedere il mio avvocato e mettere a punto un piano d’azione. Dobbiamo essere pronti per tutto quello che ci cadrà addosso».
«Sa di Trevor?».
Si voltò a guardarmi. «Lascia stare, Erica. Me ne occupo io. Si sgonfierà tutto. Credimi».
«E in che modo “te ne occupi tu”?»
«Fidati… fidati e basta, okay?»
«No».
Spalancò gli occhi. «No?»
«No, fino a che non mi dirai come farai a trovare Trevor».
Contrasse la mascella mentre si infilava la giacca. «Cazzo, Erica, piantala».
La rabbia si riversò nelle lacrime che erano già pronte a scorrere. «Non me ne starò qui a guardarti quando ti rovinerai la vita».
«Non mi rovinerò la vita», disse.
«No, ci rovinerai la vita. Ricordati che ogni decisione che prendiamo ha delle conseguenze sull’altro. O questo vale solo per me quando non faccio quello che vuoi?».
Trasalì e allungò la mano sulla maniglia. «Fine del discorso».
Prima che trovassi il modo per trattenerlo, era uscito.
L’emozione mi bruciava in gola. Non gli avrei permesso di arrendersi di nuovo. Ogni volta che Trevor ci aveva minacciati, Blake non aveva fatto altro che porgere l’altra guancia. Stavolta no. Mai più.
La Tesla di Blake sfrecciò sulla strada e io mi ritirai nella casa vuota. Sedetti all’isola in cucina, meditando sulla mossa successiva. Non riuscivo a riversare energia e concentrazione sul lavoro in quel momento. Ero troppo arrabbiata. Avevo troppa paura che, contrariamente a quello che aveva detto Blake, quella situazione non si sarebbe semplicemente sgonfiata.
«Porca puttana». Sbattei la mano sul bancone, chiudendo poi le dita per il dolore. Avevo un nodo in gola e le lacrime agli occhi, ma qualcosa dentro di me si rifiutava di cedere. In quel momento, piangere sarebbe stato come arrendersi. Non volevo… non potevo. Al contrario, mi invase di nuovo quel senso di nausea. Solo che stavolta non passò. Corsi in bagno e vomitai nel water.
Mi presero i brividi, poi mi si gelò il sudore addosso. Rimasi in piedi tremante a pulirmi la bocca. La persona che vidi nello specchio non stava bene, ma dopo un po’ il viso cereo riprese colore.
I vestiti mi stringevano appena. In viaggio avevo preso peso. Un peso che aveva compensato quello perso dopo la sparatoria. Passai il dito lungo l’orlo dei jeans, sulla pelle morbida.
Un barlume di speranza mi si accese dentro. Una speranza irrazionale e intempestiva.
Non poteva essere…
Mi lavai i denti. Cercai di scacciare quel pensiero, ma un centinaio di scenari si avvicendò nella mia testa. Erano in gioco il nostro amore, la vita che stavamo costruendo, la libertà di Blake e forse molto altro. Se non lui, chi poteva proteggere tutto ciò?
Improvvisamente il caos nella mia mente si placò e capii cosa dovevo fare. Andai all’armadio al piano di sopra e presi la mia valigia, ignorando il groviglio di lenzuola e il ricordo della nostra notte di passione. Quindi iniziai a fare i bagagli.