Carvalho non si iscrisse alle lezioni pratiche perché ricordava vagamente quanto aveva imparato più di trent’anni prima e aspettava l’inizio delle classi decisive sullo spionaggio politico e il corpo a corpo. Tuttavia uscì dalla lezione più preoccupato che mai, come se avesse scoperto che la vita e la storia fanno sul serio perfino a Barcellona, capitale assoluta di un immaginario chiamato Catalogna e capitale relativa di una comunità relativamente autonoma. Arrivò in ufficio in tempo per strappare, prima che lo facesse Biscuter, il foglio che usciva dal fax:

Come sono andate le sue vacanze? Io le mie le ho passate scontrandomi con me stessa, o forse meglio, inciampando in me stessa. Una goffaggine che posso attribuire soltanto all'impazienza per l’incontro che ci attende. A dire il vero, rincontro. Ero molto nervosa e mi sono messa in testa che tornando sarei riuscita a vederla prima. Ho cercato di contattarla. All’inizio mi ha sorpreso che il suo telefono/segreteria/fax non fosse particolarmente dotato, perché nulla, e nessuno, rispondeva (ho perfino temuto di essere io la causa di tanto silenzio), ma ho insistito, finché un galantuomo, suppongo Biscuter, mi ha fatto sapere che non la vedeva da due giorni. Qualche minuto fa ho potuto verificare che ha attaccato il fax di nuovo, dunque spedisco questa nota e spero che domani si metta in contatto con me, per fax o per telefono, come preferisce, ma mi dica quando e dove potrò vederla.

Era come l’annuncio della fine dell’estate, come se gli avessero ricordato una scadenza rimandata troppo a lungo, e tra la curiosità e l’esasperazione, Carvalho telefonò a Sp Associati. Con chi voleva parlare? Rossella? Morgana? Rossella O’Hara, forse?

“Rossella O’Hara, per favore.”

“Ha sbagliato numero.”

“Rossella O’Hara mi invia dei fax dal vostro telefono. Faccia attenzione. Può darsi che non se ne sia accorto. Dica ad alta voce: Pepe Carvalho chiede di Rossella O’Hara!”

“Non sono in vena di scherzi.”

“Qualche tempo fa ho chiamato, ho dato indicazioni simili, e qualcuno ha risposto all’apparecchio.

“Un momento.”

Si ripresentò la voce della balena del fax ma ora, dal suono, Carvalho la suppose astenica e pulita, un po’ la voce intonata dei burocrati importanti di qualche ministero, e non poteva essere così, al contrario, lui desiderava che fosse ciccia, tracagnotta, ossessionata e pedante. La voce gli diceva:

“Finalmente. Qualche volta i sogni si avverano”.

“Rossella O’Hara?”

“Rhett Burler?”

“Perché non Ashley?”

“Vedo che ha visto il film o letto il romanzo.”

“Entrambe le cose, ma ho potuto bruciare solo il romanzo.” “Sospetto che mi chiama perché ci si veda.”

“Che gliene pare di Can Boadas o dell’Ideal Club? Sono scenari adatti per smetterla di non vedersi. O forse il Café de la Opera, se dobbiamo intavolare una conversazione.”

“Io la conosco perfettamente, è lei che mi conosce imperfettamente.”

“È da vedersi. Domani?”

“Alle sette.”

“Di mattina?”

“A quell’ora odio me stessa. Non ho nemmeno indossato la faccia. Preferisco le sette di sera, al Café de la Opera. Dobbiamo intavolare una conversazione.”

La donna seduta a un tavolino del Café de la Opera gli faceva un gesto con la mano, ed era una donna che si faceva notare, cento volte sarebbe entrato Carvalho in un posto qualsiasi dove c’era lei, e cento volte l’avrebbe scoperta e contemplata. Era una bella donna, troppo bella per poter credere che fosse la balena del fax, ma le si avvicinò e si strinsero le mani studiandosi. Quando Carvalho si sedette e la ebbe davanti come un busto silenzioso, dalla memoria riemerse la figura di un’altra donna che cercava di inserirsi in quella che aveva di fronte. Sbatté più volte le palpebre sperando che il silenzio dello sguardo lo aiutasse a fissare il ricordo, dalla memoria alla realtà.

“Non ricordi ancora chi sono?

“Ti ricordo, non so bene come.”

“Mi chiamo Jessica Stuart-Pedrell.”

Adesso la figura del passato coincideva totalmente con quella del presente. Yes. Era Yes. La figlia dell’imprenditore che non raggiunse mai i mari del Sud, la vide a un tratto, ragazza fugace che accarezza un cucciolo di cane, Bietola, Bietola la cagnetta, una ferita nel cuore di Carvalho. Ma quest’immagine fugace fu sostituita da un'altra più costruita, la stessa ragazza di spalle, prima di voltare il viso, in casa Stuart-Pedrell. Ricordava quando l’aveva vista per la prima volta, un vitino, un vitino stretto sottolineato da una cintura rossa che divideva la sua schiena di donna giovane. Le natiche foderate dai jeans riposavano la loro giovinezza tonda e tesa sullo sgabello. La schiena cresceva dal vertice della vita con una delicatezza costruita fino a raggiungere la chioma bionda con le mèche che cadeva dalla sommità di una testa buttata all’indietro. Quando si voltò, Carvalho colse in una frazione di secondo che aveva gli occhi grigi, la pelle da sciatrice, una bocca grande e tenera, zigomi da ragazza disegnata, braccia da donna cresciuta senza fretta e senza pause, forse sopracciglia esagerate, troppo folte, che tuttavia accentuavano il suo carattere fondamentale di ragazza da pubblicità americana degli anni settanta, della Coca-Cola, naturalmente, o del latte: everybody needs milk.

A un tratto notò che era la stessa ragazza con vent’anni di più e ogni segno degli anni all’interno di un sistema di segni di donna bellamente sulla quarantina, continuava a essere quello di allora, in particolare negli occhi grigi e chiari, nella bocca grande ormai non più tanto tenera e incorniciata da rughe che la mettevano tra virgolette, nei capelli biondi ora ramati e corti che sottolineavano ancor di più gli zigomi che l’avrebbero aiutata a invecchiare in bellezza. Era come se questa donna combaciasse con l’altra, e non viceversa. “È finito l’enigma?”

“Questo enigma. Ne restano altri.”

“Per esempio?”

“Perché ora?”

“Ho tardato a capire che avevo bisogno di incontrarti. Era un problema di crescita. Di maturità, forse. Sei stato una lunga assenza, assente ma presente, come se tu fossi lì dov’ero io, in ogni attimo della vita quotidiana. Ricordi questo biglietto?”

Era il suo biglietto, la sua calligrafia:

Forse ti conviene fare quel viaggio, ma sola o in miglior compagnia. Cercati un ragazzo gentile, cui fare un favore con questo viaggio. Ti raccomando un ragazzo sensibile, con una certa cultura e non molto denaro. Ne troverai a bizzeffe alla facoltà di Lettere e Filosofia. Ti allego indirizzo e telefono di un mio amico professore che ti aiuterà nella ricerca. Non abbandonarlo fino a quando non sarete arrivati, quanto meno, a Katmandu, e dagli abbastanza soldi per il rientro. Tu continua il tuo viaggio e non tornare finché non crollerai per stanchezza o vecchiaia. Tornerai in tempo per constatare che qui tutti sono diventati meschini o pazzi o vecchi. Sono le uniche tre possibilità di sopravvivenza in un paese che non ha fatto in tempo la rivoluzione industriale.

Lei studiava ansiosa Carvalho intento a ripensare il proprio testo e rispettò il silenzio con cui l’uomo cercava di guadagnare tempo e capacità di giudizio mentre nel petto gli cresceva un dolore solido, come se a un tratto avesse scoperto la sua parte di colpa in un disastro, perfino nel proprio.

“Seguii per filo e per segno le tue indicazioni. Andai dal tuo amico Sergio Beser e gli dissi: Aiutami a trovare uno studente povero con una certa cultura, capace di venire con me a Katmandu. Sergio mi rispose: Ci sarà la fila, ma mi aiutò a trovarne uno delle sue parti, più o meno, non proprio di Morella. Accettai il suo campanilismo.” “Durò fino a Katmandu?”

“È mio marito. Il padre dei miei due figli.”

E dove c’era stato il pezzo di carta con l’infame congedo, adesso c’era una foto con due ragazzi quasi ventenni.

“Il maggiore è nato a Katmandu. Dopo Katmandu abbiamo seguito la via della seta.”

Gli occhi di Carvalho domandavano: Va tutto bene? Ma le labbra non dissero nulla, perché negli occhi di Yes dominava ormai la malinconia.

“Hai avuto ragione a cacciarmi via da te. Ero una ragazzina snob e una tossica insopportabile.”

No, pensò Carvalho, no. Non credere a ciò che dicevano i miei occhi. Eri una ragazza meravigliosa, generosa, la ragazza assoluta, la “ragazza dorata” che io avevo continuato ad aspettare fin dall'infanzia, ma…

“Che cosa hai pensato di me la prima volta che mi hai visto?” “La prima volta che ti ho vista ho pensato: fa entrare Gary Cooper nella tua vita, ragazza. Sembrava che stessi aspettando Gary Cooper e avevi delle gambe belle e lunghe.”

“Eri sfasato. Gary Cooper non era più di moda.”

“Lo so, ma dovevo difendermi dal tuo impatto, ridurti a una ‘ragazza dorata’ da film, a una realtà in technicolor.”

“È curioso, ma a volte, quando non ti ricordo com’eri allora vent’anni fa, accanto a noi appare quel cucciolo che avevi.” “Bietola.”

“Sì, Bietola. Che fine ha fatto?”

“Me l’hanno uccisa.”

Entrambi chiusero gli occhi come addolorati dalla morte di un cane, adesso. Ed era vero, Bietola era morta di nuovo. Carvalho ritrovava la pelle di cartone dell’animale sgozzato e la sequenza della sepoltura nella terra del giardino di Vallvidrera. I suoi resti erano lì, talvolta vi si fermava davanti e pronunciava il nome dell’animale come si pronuncia il nome di un’assenza e si ricordano le ingiustizie più irrimediabili, quelle biologiche.

“Tua madre?”

“Più vecchia e più insopportabile. Quel che era rimasto degli affari di mio padre è gestito insieme da lei e mio marito. Io mi sono dedicata a coltivarmi, a leggere tutto ciò che non avevo letto quando ti conobbi, quando mi sembrava orribile che tu bruciassi i libri. Faccio qualcosa nell’ufficio di Sp Associati, cose che hanno a che vedere con i contatti esteri, mi affascinano. È da lì che ti spedisco i fax.”

Sp Associati era Stuart-Pedrell Associati. Si sorprese a contemplarla, aveva gli occhi arrossati, forse le lenti a contatto, anche se dalla prospettiva di Carvalho non era possibile capire se le portava.

“Congiuntivite. Ho la congiuntivite.”

Disse lei anticipando ogni parola. Come un flash, improvvisamente nella mente di Carvalho apparve una scena con Yes a letto, anzi due, una convenzionale, l’altra da cancellare subito, non voleva che pure lei ci ripensasse, studiava l’uomo in un modo tale, senza perdere il sorriso, né l’umidità agli occhi. A Carvalho, il cuore faceva male dalla gioia. Chiese un whisky e poi un altro e gli sembrò meraviglioso tutto quel che usciva delle labbra di Yes e ricordò un bolero che cominciò a canticchiare senza rendersene conto, finché la voce di lei svelò a un tratto la canzone, una canzone che esprimeva l’euforia malcelata.

“Ci sono campane a festa che mi cantano nel cuore.”

E le labbra di lei recitarono:

Soltanto una volta si concede l’anima

con dolce e totale rinuncia

e quando questo miracolo

compie il prodigio di amarsi

ci sono campane a festa

che mi cantano nel cuore.

“Qual è oggigiorno il migliore strumento di spionaggio?”

Il silenzio degli studenti gonfiava il professore di soddisfazione, che divenne estasi vera e propria quando esclamò, con una punta di precipitazione per evitare che qualcuno lo precedesse:

“Il satellite spia. Un satellite può captare conversazioni, ‘pedinare’, ma fondamentalmente lo si utilizza per gruppi umani importanti, senza dimenticare che è in grado di intercettare un’infinità di comunicazioni interpersonali. Tuttavia, l’uomo continua a essere fondamentale come agente di informazione per le cosiddette ‘azioni coperte’ e oggi dispone di strumenti sofisticatissimi, che, di conseguenza, hanno richiesto l’invenzione di altro tipo di materiale sofisticatissimo per individuare gli apparecchi di intrusione. È un gioco costante, oggi a te domani a me, di cui bisogna farvi conoscere i pezzi più essenziali. Partiamo dall’inizio: come ascoltare a distanza, come vedere a distanza, come aggredire, se necessario, a distanza. Cominciamo dalla tecnica delle intercettazioni, che si divide a seconda dei mesi: via cavo, ventosa magnetica, radio, fascio ottico o luce coerente o aria, vale a dire, dall’intercettazione di un telefono fino ai microfoni e ai cannoni microfonici, passando dal laser. Oggi disponiamo di una serie eccezionale di gingilli, ma conviene seguire un allenamento umano approfondito perché, non va dimenticato, è l’orecchio umano ad ascoltare e l’occhio umano a vedere, e bisogna essere in grado sia di intercettare un telefono, sia di introdursi nella posta elettronica, così come saper analizzare le pattumiere e discariche usati dall’oggetto spiato senza suscitare sospetti mediante tecniche di mimesi che suppongono una buona dose di intelligenza. Bisogna imparare a travestirsi senza sembrare dei travestiti. Dobbiamo spiare senza suscitare sospetti, il che significa che non dobbiamo diventare sospettosi. Soprattutto, non smettete mai l’impermeabile per spiare”.

Qualcuno prendeva appunti. Il professore era dotato del dono dell’ovvietà e a volte diventava giocoso e faceva vedere loro film di spionaggio, li commentava, nascevano dibattiti da cineteca. A Carvalho colpì La conversazione, soprattutto una sequenza iniziale in cui le spie ascoltano una dolce coppietta intenerita dalla vecchiaia inerme. “Ma per provarvi quanto sia determinante il fattore umano, vi voglio proporre un esercizio pratico, personalizzato, e con ciò intendo che ognuno di voi avrà un obiettivo da spiare; lo spierete e ne trarrete le conseguenze.”

Il professore fece l’appello e scelse i compiti da affidare. Qualcuno si avviò verso la Diputación di Barcellona per indagare sulla strategia socialista nei confronti del treno ad alta velocità; qualcun altro doveva scoprire, sempre senza essere scoperto, il grado di infiltrazione dei corpi di sicurezza di stato nella polizia autonomistica. A Carvalho toccò di verificare i movimenti preparatori per il prossimo incontro delle Nazioni senza Stato, dove si sarebbe tenuto l’incontro, e quale fosse il programma previsto. Gli studenti uscirono travestiti da loro stessi, ripassando con concentrazione quanto avevano imparato e con l’impegno di non adoperare strumento al di fuori dei cinque sensi.

“Pensate che Picasso, prima di diventare Picasso, ha dovuto dimostrare di saper disegnare un gatto.”

Da dove si cominciava per disegnare il gatto? Carvalho approfittò del fatto di essere rimasto solo in classe con il professore per parlargli del cambiamento dei paradigmi dello spionaggio e di come la stessa natura dello spiato sottintendesse un cambiamento di strategia. Io che ho lavorato, per esempio, negli anni sessanta, tenendo d’occhio l’evolversi dei giovani verso la radicalizzazione, per avvicinarmi ai movimenti delle Nazioni senza Stato ora devo assumere un atteggiamento del tutto diverso. Il professore era completamente d’accordo.

“Tenga soprattutto conto che non si tratta di un incontro protocollare, all’interno di una liturgia abituale, ma che potrebbe avvenire in clandestinità, senza renderlo pubblico.”

“Forse nemmeno in Catalogna.”

“Evidente. La cosa più probabile è che abbia luogo nella Padania, possibile locomotrice del movimento in Europa per i prossimi anni.”

“Che rapporto ha la Padania con il progetto Región Plus?”

“La politica genera strani compagni di letto. Infatti la Padania, il progetto di Bossi, non è strettamente nazionalista, ma economicista, di conseguenza Región Plus non gli dà fastidio. Invece, per il nazionalismo catalano o basco può essere una catastrofe.”

Se la conversazione fosse proseguita, il professore gli avrebbe spiegato tutto ma proprio tutto, e a Carvalho divertiva l’idea di tornare all’abc del mestiere, a mani vuote e a faccia scoperta. Si recò da Lluquet i Rovello. Questa volta fu la vedova belloccia ad accogliere Carvalho con intima soddisfazione quando gli sentì dire De bon matí quan els estels es ponen, e subito dopo che gli era indispensabile incontrare il signor Xibert prima che partisse per l’Italia. La vedova si lamentò dei molti problemi creati da quel viaggio in Italia, perché tutto si sarebbe svolto a ritmi precipitosi e raggiungere la località di Grinzane Cavour in tempo non era per niente facile.

“Ma manca ancora qualche giorno, signora… Scusi, non mi ha detto il suo nome.”

“Madrona, Madrona Campalans. È vero, mancano ancora parecchi giorni. Si figuri, all’inizio di dicembre.”

Lo invitò a passare in una saletta contigua dove, poco dopo, si presentò con un cappuccio in mano.

Oi que es posarà la caputxeta? Oi che serà un bon minyó?” [Vero che si metterà il cappuccio? Vero che farà il bravo ragazzo?]

Era più che lieto di mettere il cappuccio e che a guidarlo fosse il braccio abbondante ma ancora tornito della vedova, con il valore aggiunto che l’avambraccio di Carvalho percepiva il contorno esterno di un seno della vedova tenuto su da un energico reggipetto. Quando gli fu tolto il cappuccio si trovò nella stanza dell’incontro precedente. L’uomo in tuta lo esaminava con studiato acume.

“Ebbene?”

“Vorrei che parlassimo del suo prossimo viaggio in Italia in occasione dell’incontro delle Nazioni senza Stato.”

“Come fa a sapere che vado in Italia e a questo scopo?” Carvalho era sorpreso.

“Ma questo incontro in Italia, è forse un segreto?”

Xibert era collerico e cominciò a passeggiare, nei limiti del possibile, nel ridotto perimetro della stanza-nascondiglio. Gli uscivano dalla bocca improperi di ogni genere. Chi ha mancato alle norme di sicurezza? Il nostro non sarà mai uno stato, qui il senso dello stato non esiste proprio, Carvalho, mi creda, non esiste affatto. Carvalho era d’accordo, non c’è senso dello stato, ma forse incontri come quello di Grinzane Cavour potranno servire perché a poco a poco se ne crei uno. Ora Xibert era molto triste, sembrava quasi ferito.

“Sa che cosa penso, Carvalho? A volte penso che il solo a prendere queste cose sul serio sono proprio io. Dopo la morte di Franco la politica si è riempita di gente sbucata dal nulla che non sa manco cosa sia passare un’ora, un’ora soltanto agli arresti e non conosce gli sganascioni della polizia. All’interno del nazionalismo accade la stessa cosa. Vi si sono intrufolati perché abbiamo vinto in Catalogna e nel Paese Basco, ma se un giorno perdiamo, Catalogna addio, chi s’è visto s’è visto.”

“Può darsi che l’incontro sia estremamente utile. Una rete di servizi di informazione delle Nazioni senza Stato, per esempio.” Xibert lo guardò valutandolo.

“Lei ha un cervello deduttivo e induttivo, Carvalho. Proprio quello che ci serve.”

Sono tanto felice!…

Il farmacista dice che la mia congiuntivite è dovuta a un eccesso di luce, lo ha detto con serietà e circospezione mentre tratteneva a malapena le risate, curioso che il mio “abbaglio" si possa curare con il collirio, ed è con il collirio che misto curando.

Intuisco, o per dirla meglio: subodoro problemi, adesso oltre a essere un mito senza crepe ti sei rivelato come un uomo caldo, accessibile, adorabile, inquietante, conturbante, singolare, imprevedibile. Al peso che implica la costante tirannia del mito (gli dei non sono mai paghi, sacrifici e offerte a loro non bastano mai) devo aggiungere il giogo, l’oppressione di un uomo tanto interessante, tanto attraente.

Un’ultima cosa, ogni volta che desideri chiamarmi, in qualsiasi momento, fallo pensando a te, non sono un’ingrata insensibile ai gesti di interesse per il mio benessere emozionale, apprezzo veramente le tue buone intenzioni, ma d’ora in avanti se dobbiamo avere una relazione di qualche tipo questa dovrà compiersi tenendo conto dell'equilibrio di un interesse reciproco, anche se non di identica natura per quanto riguarda te e me, quest’è ovvio.

Sono felice, felice, felice. Metti su la musica che vuoi, mi sento generosa sul tema. Tra tutte le sventure che colpiscono l'umanità, la più amara è essere costretti alla consapevolezza di molte cose e non avere il controllo su niente. La consapevolezza non ci impedisce di commettere peccati, ma per sfortuna ci impedisce di goderceli. Una sola parola pronunciata durante quelle ore serene mi ha posta tra il mio passato e il mio futuro, come una nave tra la profondità dei mari e le vette dello spazio. Yes, sì, io sono Yes e il segreto della felicità non consiste nel fare sempre quel che si vuole ma nel volere sempre quel che si fa.

Probabilmente la cosa più inattesa sono state le tue mani. È curioso che siano le stesse che avevi da bambino, perché continuano a sembrare mani da bambino, mani in cui ho percepito i danni dei denti sulle unghie e constatato, nel congedarci, il tatto caldo e dolce; le stesse mani con cui tracci i profili degli assassini o dei ladri prima di scoprirli; le stesse mani con cui sperimenti nuovi piatti ai funghi, Merlino?, mani disciplinate che mai sono andate oltre lo spazio diagonale, obliquo, diametralmente opposto a quello già deciso. L'intera, intricata confusione che forma la tua personalità sbalorditiva è presente nelle tue mani, lo si può leggere, e allora non me nero accorta, quando ero Yes, la bella figlia, o ero solo scopabile?, dell’oligarca Stuart-Pedrell.

La tua personalità è il risultato di una somma interminabile; non sembra essersi lasciata nulla alle spalle, non è la naturale evoluzione di chi smette di essere qualcosa per diventarne altro. Ho l'impressione che tu non rinunci al passato, non opponga resistenza al presente e sia in attesa di un avvenire qualsiasi.

Tu accetti la Storia, la fai e per di più l’attendi sempre in agguato.

Adoro il tuo modo di porre le domande, lo fai nel modo più semplice, le domande - un sacco - che non hai posto, le hai scansate con un’ellisse perfetta, così che so con certezza che cosa volevi sapere e che cosa no. Lo so che sei un detective. Un detective conturbante.

Si dice che uno dei piaceri maggiori della vita sia porsi dei limiti. Dopo aver riflettuto un po' - molto poco - sull’argomento sono giunta alla saggia conclusione che se bisogna porsi dei divieti, o fissare un qualche tipo di confine, nel mio comunicare con te, non sarò io a impormeli.

Pertanto, su quel che dico non ci piove: avrei voluto ricevere una tua telefonata la settimana scorsa, ma visto che non ho avuto tale onore, non intendo aggiungere alle mie pene il disagio di vietarmi di scriverti / telefonarti io.

Ogni volta che si sentiva depresso, ed erano tante, nel corso della giornata, cercava di capirne la ragione e riusciva sempre a trovarne una profonda o immediata alla radice del cedimento. Ora si sentiva depresso perché sentiva le campane a festa nel cuore e desiderava di continuo che il fax gli mandasse dei messaggi, un modo di avviare la relazione.

Intorno a lui, il viso di Yes cercava di imporsi, come mosso da una forza parapsicologica che lo spingeva in un angolo dell'ufficio, sulla carta che si avvicinava agli occhi, sul bordo della fondina in cui Biscuter gli aveva servito un gazpacho alle fragole.

“Alle fragole, sì, capo. Una ricetta della Ruscalleda, quella ragazza di Sant Pol che cucina tanto bene; io mi sono già fatto del pane al pomodoro ma con le fragole al posto del pomodoro, il tutto condito come si deve, sale, olio, come sempre.”

Yes era in quella fragola che Biscuter cercava di spalmare su una fetta di pane, e Carvalho si impedì di vietarglielo, pur temendo che fosse la stessa Yes a finire spalmata. E quel rapporto di dipendenza lo irritava, dipendenza perfino di pensiero, perché ogni suo pensiero era motivato dal desiderio che lei glielo leggesse mentalmente e talvolta si sorprendeva a parlare da solo sperando che Yes lo ascoltasse. Ma non voleva telefonarle, per non arrendersi totalmente e ogni volta che ricordava Yes, gli spiaceva l’assenza di Charo, autrice di tre telefonate nel tentativo di richiamare la sua attenzione, l’ultima a nome di Quimet: Ti aspettano. Non c’è verso che riescano a parlarti. Anche una telefonata di Margalida. Si limitava a dirgli: Satana! e gli dava un numero di cellulare. Associava la ragazza agli ultimi bagni dell’estate e l’immaginava mentre usciva dall’acqua, appena fosse tornato il caldo, un futuro ritrovamento di quella patria che è il mare. Si stavano esaurendo i giorni di ottobre, ma non si accorgeva del passare del tempo, e nemmeno delle stagioni, cui negli ultimi anni era stato più sensibile, come se le contasse a una a una con le sue ormai poche aspettative di vita. Come se tutto intorno a lui fosse diventato piatto e soltanto il tunnel dal quale sarebbe arrivata la chiamata di Yes avesse carattere tridimensionale, il tunnel che avrebbe percorso per andarle incontro. Margalida gli diede appuntamento al Caffè Velodromo di calle Muntaner, uno dei pochi bar ancora non colpiti dal piccone della non-memoria, un bar che aveva conservato biliardi e camerieri conosciuti da tutta la vita o almeno da tutta la nostalgia. Arrivò vestita da motociclista con il casco in mano e la chioma rossa legata e appoggiata su un seno.

“Vieni con me, se non ti importa viaggiare in moto da passeggero.

“Negli ultimi tempi non faccio altro.”

Discesero calle Muntaner e Margalida guidò la moto fino a plaza de la Garduña. Poi camminarono fino al giardino dell'antico ospedale della Santa Cruz. La ragazza si sedette su una panchina in attesa che prima o poi Carvalho facesse altrettanto. Una volta seduti entrambi, lei abbracciò con lo sguardo l’intero campo visivo, edifici gotici e giardini con vecchiette e immigrati di ogni razza e senza lavoro. Sembrò rilassarsi.

“Non fidarti. È possibile che ci stiano osservando e spiando con un telescopio.”

“Ho preso le mie precauzioni. Il mio telefono non è intercettato. Non abbiamo molto tempo a disposizione. Non hai fatto commenti su ciò che è accaduto al veglione di fine estate.”

“Ho fatto amicizia con il signor Pérez i Ruidoms.”

“Quel che voleva sapere. Che ne pensi di suo figlio?”

“Nulla. Che è innocente, come buona parte dell’umanità.” “Molto più innocente di quanto tu possa pensare.”

Notava di nuovo un inatteso interesse da parte della ragazza per il figlio di Pérez i Ruidoms.

“Albert e io siamo amici fin da quando eravamo bambini. Abbiamo studiato nelle stesse scuole, fino all’università. Si potrebbe quasi dire che tra noi due c’era qualcosa, e questo finché gli è venuta la mattana delle sette e di sperimentare tutto, assolutamente tutto. Era una vittima di suo padre. Anche Alexandre Mata i Delapeu lo era del proprio. E Albert continuerà a esserlo, a meno che non facciamo qualcosa.”

“Io cosa dovrei fare?”

“Parlargli. Il padre lo tiene sequestrato e gli sta programmando il futuro, ma è proprio da questo futuro che va salvato.”

Per conto di che cosa o di chi agiva Margalida? Sembrava una donna eccessivamente innamorata, decisa a salvare qualcuno che probabilmente non voleva salvarsi.

“Devi parlargli non solo per fare un favore a lui, ma anche a te stesso. Non so se ti rendi conto di dove ti sei cacciato. Ti sei chiesto perché ti hanno cacciato in questa situazione?”

“C’è tutta una serie di fattori. Alcuni spontanei, diciamo pure positivi, e altri calcolatissimi. A me interessa capire dove inizia il calcolo e a che scopo.”

“Non dimenticare quel che ti dico, tutto passa da quello squalo, Pérez i Ruidoms.”

Lei teneva gli occhi spalancati, come fosse l’espressione più indicata per comunicare sincerità.

“Ti sei ficcata in questo ginepraio per via di quel ragazzo, Albert?”

“Sì.”

“Sei riuscita a ingannare tutti quanti?”

“No. Un giorno ti racconterò, ma ho bisogno di essere più sicura sul tuo conto. Se non hai niente in contrario, ti farò incontrare Albert, ma non posso garantirti quando. È sorvegliatissimo. Non sorprenderti se sarà tra qualche settimana. In questo momento non so nemmeno dove lo tengono.”

Non fu un fax, ma la voce in diretta di Yes a infilarsi come una sostanza propizia, adattatasi alla solitudine del suo udito. E quel che proponeva era un appuntamento, in un bar, El Zigurat, dove Carvalho accorse con la speranza di superare la situazione da gusti parlanti e di uscire in strada, a passeggio, a sentire l’intero corpo di Yes accanto a lui, finalmente all’interno dello spazio favorevole, soltanto loro, delimitato soltanto da loro con la semplice operazione di camminare insieme. Ma Yes rimase dietro il tavolo, dispiegando una seduzione passiva e parlando di continuo del marito, Mauricio, cui si riferiva come a un parente comune, quasi non notasse che per Carvalho era come inserire un estraneo in uno spazio soltanto per due o, al contrario, lo faceva apposta, come quelle ragazze che si proteggono il seno coprendolo di libri sui quali hanno incrociato le braccia. E accanto al prodigioso Mauricio, comprensivo, sagace luogotenente inseparabile della vedova Stuart-Pedrell che si fidava di lui assai più che della figlia, i due ragazzi assolutamente superdotati quanto a bellezza, studi e amore filiale. Per niente assomiglianti, quindi, alla stessa Yes nel momento in cui Carvalho l’aveva conosciuta, fluttuante, disintegrata, invertebrata, puerilmente attaccata alle droghe, sempre intenta a preparare piste di coca, perfino sugli specchietti del lussuoso lavandino di porcellana inglese della residenza degli Stuart-Pedrell. Capisci com’è perfetto il mondo che mi circonda? Puoi pensare che io intenda spezzarne l’armonia o che tu abbia il diritto di farlo? Erano domande finte o reali che attendevano una decisione da parte di Carvalho? Non sarà un mondo tanto perfetto se hai avuto bisogno di ritrovarmi per dirmi che sono l’uomo della tua vita.

Dopo l’appuntamento a Zigurat, Yes cambiò scenario e decise per l’Hemiciclo, altro bar per gusti parlanti. Tuttavia, mentre sedevano uno accanto all’altra Carvalho poteva apprezzare il profilo bello e sedimentato di Yes, la leggerezza delle sue forme scultoree e i suoi gesti d’attrice esperta nel controllo del proprio sistema di segnali, tutti perfetti, una donna che si merita un dieci, si sarebbe detto anni prima, quando nel mondo era ancora rimasto un po’ di ottimismo storico e biologico.

“Un giorno potremmo andare insieme al cinema.”

Vent’anni dopo aver fatto l’amore sul letto di Carvalho, andare insieme al cinema sarebbe quasi stata una trasgressione. Perfino Carvalho riuscì a precisare l’immagine che rifiutava, il momento in cui era stato sul punto di inculare Yes gli non individuando nell’atto una semplice affermazione di prepotenza e di umiliazione sociale, prendere in culo una signorina di buona famiglia. Soltanto a ripensarci gli faceva male una parte del corpo, quella in cui risiede il senso di colpa. Ma non poteva evitare, quando Yes gli camminava davanti, di guardarle il sedere tentando di verificare in che modo gli ricordasse quel luminoso oggetto del suo desiderio. Quando si congedavano, Carvalho si riprometteva di troncare la relazione, ma la sua capacità di distacco si limitava ad aspettare che fosse lei a prendere l’iniziativa, il tempo che Yes tardava a richiamarlo era un’agonia, un tempo giustificato sempre dal troppo lavoro o da attività sociali o familiari la cui sola menzione infastidiva Carvalho fino a mortificarlo quando lei gli scriveva per filo e per segno una dimensione di vita che a lui era negata, non gli apparteneva. Mentre Yes era in grado di andare avanti con la sua vita di tutti i giorni, nutrita dalla leggera trasgressione di recuperare il suo mito di gioventù, per Carvalho era impossibile concentrarsi nel quotidiano. Curava poco o niente Delmira, la vedova del proprio figlio, sfuggiva Charo, si aggiornava a malapena sui progressi di Biscuter nella sua intrusione nel mondo delle sette, anche se vedeva aumentare la bibliografia su cui chinava quella piccola testa maltrattata dal forcipe: II fenomeno delle sette fondamentaliste, Nuovo dizionario di sette e satanismo, Le sette in mezzo a noi, Magia e stregoneria in Europa (in francese), Atlante dei catari, Il vero volto dei catari, I templari catalani, questi ultimi tutti in catalano. E ancora in spagnolo, Le sette distruttive, Guida dei catari, Il legato segreto dei catari, Dizionario delle religioni, nonché alcuni libri del principale esperto locale, credibile nonostante si chiamasse con un nome tanto comune come Pepe Rodríguez. Biscuter era affascinato, in particolare, gli diceva, dal potenziale positivo del satanismo.

“Per i catari, Satana non è di per sé positivo, ma a me interessa, capo. Se il mondo creato dal Dio ufficiale è tanto deplorevole, perché non supporre in Satana un ribelle necessario?”

Carvalho gli promise che un giorno avrebbero parlato dell'intera faccenda, ma quel giorno non arrivava mai, come non arrivava quello di parlare con Quimet per raccogliere i frutti del corso finito cum laude dietro presentazione, ritenuta splendida, di una ricerca sul campo a proposito delle Nazioni senza Stato. Aspettava di essere convocato per passare al corso superiore, armamento e tecniche di attacco e difesa, tenuto dal colonnello Migueloa, una bascofrancese ex membro dell’OAS, residente a Barcellona, dove abitava una figlia sposata con un filologo svizzero specializzato nell’uso del salar [utilizzazione del sa al posto dell’articolo determinativo], la parlata della gente dell’Ampurdán e di Maiorca. Ma si sarebbe trattato di corsi molto selettivi da tenersi in posti di estrema sicurezza, visto che dovevano restare al margine dei circuiti abituali di sicurezza per non essere individuati dagli uomini del Cesid o dalla polizia autonomistica. La nostalgia per Yes gli rovinava le giornate, la distanza era diventata un elemento ripugnante che lo metteva a disagio ovunque non ci fosse lei. Così la immaginava presente in tutto quel che faceva e si scopriva a chiacchierare con Yes su quanto lo riguardava, dall’acquisto di tre paia di calzini a quello del baccalà al mercato della Boquería, o alla scelta di un attrezzo per friggere alla giapponese, consistente in un ampio tubo di latta, alto venti centimetri circa, da immerge nell’olio bollente e in cui inserire dall’alto i cibi da friggere. Lo ordinò in un tradizionale negozio di ferramenta dietro la Boquería stessa, di fronte al ristorante Turia, dove mangiava una buona cucina di mercato a prezzi da prepensionato desideroso di spendere il poco che gli era rimasto. Carvalho aveva scoperto un giorno un altro ristorante degno di interesse nella plaza Real, mentre cercava di ritrovare il negozio del tassidermista. Aveva visto che all'interno non c’erano più uccelli impagliati, ma tortini alle sardine, terrine di foie-gras con cotognata allo sherry Pedro Ximénez, riso alle vongole, brick di verdure. Il ristorante si chiamava Il Tassidermista e lo gestiva una donna che faceva pensare a una ragazza stupita che la plaza Real fosse diventata una specie di prova generale del purgatorio della globalizzazione. La madre, di nome Nieves, sembrava appena uscita dalla Madrid del ’36, quando la città era detta la capitale della Gloria, ed era una repubblicana da sempre, da tutta la vita, tutto il dopoguerra e la Transizione, come gli confessò dopo avergli cucinato apposta un arròs amb fesols i naps [riso con fagioli e rape]. Un giorno avrebbe portato Yes al Tassidermista.

A Yes non convinceva la storia del tubo di latta. Dove puoi metterlo? Una di quelle cose che si comprano e non si adoperano mai. Vedrai. Stasera lo adopero. Preparò verdure tagliate a listelle, uniformate da una leggera pastella di farina, acqua, uovo e gamberi sgusciati. Mise dell’olio sul fuoco fino a quando cominciò a sfrigolare, vi introdusse il tubo di latta e dal buco in alto versò due grosse cucchiaiate di impasto. Quando questo ebbe preso consistenza ritirò il tubo e l’isolotto di frittura navigò sull’olio fino a diventare abbastanza solido da poter essere girato. La frittella era squisita con un po’ di salsa di soia, da sola o rinvigorita con un po’ di cren e zenzero. Lo vedi, donna di poca fede? Yes assaggiava il piatto e diceva di sì con quegli occhi entusiasti che solo lei sapeva sfoggiare, con quella meraviglia che possono fingere soltanto i ricchi simpatici come Yes o che possono provare soltanto i poveri solidali come Charo. Il momento magico tuttavia passò e nella solitudine della sala da pranzo di Vallvidrera la non presenza di Yes significava un vuoto superiore allo spazio occupato prima della sua presenza assoluta.

Dovette togliersi da questo stato di introversione, perché Delmira pretese tassativamente una spiegazione, non voleva morire senza sapere tutto sull’assassinio del figlio.

“Sto aspettando di avere un incontro con Albert Pérez i Ruidoms, ma non è facile. Lui potrà chiarirmi molte cose.”

“Perché non è facile? Non è in libertà?”

“Suo padre lo tiene nascosto.”

Delmira scoppiò a piangere a dirotto, ma silenziosamente, e Carvalho fece l’impossibile per scomparire sprofondando nel divano e chiudendo gli occhi.

“Perché gli uomini sono così crudeli? O forse è più giusto domandarsi perché l’uomo è tanto crudele.”

“Certo.”

Legga.

Delmira gli allungava un foglio e Carvalho lesse in silenzio:

Delmira cara. Ho pensato molto alla nostra vita in comune dopo la morte del ragazzo e non ha senso, anche se non concepisco la possibilità di una nostra separazione legale data la complessità degli interessi comuni, società in condivisione, problemi di eredità che un giorno dovremo discutere perché tu avrai i tuoi eredi tra i membri preferiti della tua famiglia e io forse cercherò di farmi una famiglia nuova, avere figli che mi ripaghino dell’assenza del nostro. I miei nemici mi hanno colpito nel punto più sensibile e devo ritrovare le forze per distruggerli. Per il momento, parto per un lungo viaggio da cui farò ritorno appena mi sarà passata la voglia di fuggire. Cerca di capire come io capisco te.

“Potrebbe scoprire con chi parte?”

“Ha un’agenzia di viaggi, di cui si serve abitualmente?” “Avionjet. È la signorina Fina a occuparsene.”

Era il minimo che potesse fare per la doppia vedovanza, la doppia verginità essenziale di Delmira, la quale poteva permettersi il lusso di partire per qualsiasi posto di suo gradimento ma forse non quello di rifarsi una famiglia e avere altri figli. Alla Avionjet si era rivolta mezza Barcellona per programmare i viaggi di fine anno, fine secolo, fine millennio e Carvalho ascoltava le proposte di fuga più esotiche.

“Se si tiene conto da dove spunterà il primo sole del 2000, che posto mi consiglia per essere fra i primi a vederlo?”

Chiese della signorina Fina e parlò con il didietro di un computer pieno di rotondità, voluttuoso se paragonato alla ragazza che lo gestiva, Fina, che era dall’altra parte dell’aggeggio, tanto magra da non superare lo spazio della macchina.

“Il signor Mata i Delapeu deve studiare l’itinerario del viaggio e vuole che lei mi confermi le tappe.”

“Glielo spedisco per fax?”

“No. Lo dia a me e così potrò parlarne con lui.”

Fina affacciò un angolo di viso, abbastanza perché il suo occhio potesse vedere Carvalho, considerato che la donna era tanto sottile, aveva un viso tanto sottile, che lo spazio disponibile bastava appena per un occhio solo.

“Non l’avevo mai vista da queste parti.”

“Il signor Mata i Delapeu vuole condurre la faccenda nella massima riservatezza.”

Gli passò una cartella con i dettagli del viaggio alle Seychelles di Madrona Campalans Martínez e Joan Mata i Delapeu.

“È il primo scalo, eravamo già d’accordo che la tappa a Sri Lanka e alle Maldive era un optional, così come la crociera da Penang fino a Bali.”

“Mi dia un attimo. Esamino gli appunti del signor Mata i Delapeu, e in breve sarò in grado di darle la conferma.”

Prese della tasca un notes pieno di indirizzi, lo consultò con gravità e accondiscese:

“Così. Mi pare corretto”.

“Corretto?”

“Corretto.”

“Ha bisogno che glielo confermi per fax?”

“Non è necessario.”

Il nome di Madrona Campalans gli arrivò da una piega della memoria e lo fece sorridere. Ma per verificare l’intuizione, si recò da Lluquet i Rovello e, vedendo la commessa vedova, le chiese: “Signora Campalans?”.

“Sì, Madrona Campalans. Come fa a conoscere il mio cognome da ragazza?”

“Una vedova bella come lei riconquista subito la condizione di nubile.”

Finse di aver bisogno di incontrare Xibert. Non c’era e Carvalho insistette, dovevano trovarlo. Poi andò da Delmira. Le diede notizie del viaggio.

“Conosce quella donna? È la classica puttanella giovane?”

“No. È una vedova. Una spia vedova. Di fatto viaggia con lui per spremerlo.”

“Soldi?”

“Informazioni.”

Furono necessari diversi incontri per recuperare vent’anni di lontananza e, mentre Carvalho cercava di difendere il suo spazio vitale, quasi offrendo a Yes di costruirne uno nuovo al di fuori di vent’anni di solitudine, lei continuava a sovrapporre la sua vita quotidiana, il marito, i figli, come se li portasse con sé, guardiani dalle frontiere degli incontri con Carvalho. Mauricio, quel ragazzo sensibile che si era portata a Katmandu, era diventato un formidabile affarista. I due figli erano il massimo, non avevano concorrenti. Studiosi, sportivi, attenti ai problemi del mondo, membri di diverse Ong, e anche il nonno oggi sarebbe indubbiamente membro di qualche Ong se non fosse morto. Dell’Ong degli imprenditori senza frontiere, pensò Carvalho, ma si pentì del sarcasmo, perché Stuart-Pedrell aveva fatto parte dell’unica e ultima generazione di imprenditori con qualche senso di colpa. Yes sembrava non essere mai stata quella ragazza che sniffava da ogni orifizio del corpo, che si preparava piste di coca a colazione e si vantava con insistenza di vivere, in modo equilibrato, una vita del tutto paga con marito e figli. Voleva cocciutamente che Carvalho la riportasse al mondo dell’infanzia, quasi nel tentativo di impadronirsi di lui per intero, dalle origini, e mentre visitavano quel che un tempo fu il Barrio Chino o Distrito V o Raval come ora lo chiamavano, si rattristava ogni volta che Carvalho le spiegava che il bulldozer aveva abbattuto i cinema della sua infanzia, la gente della sua infanzia, sostituta ora da immigrati di un altro Sud più lontano, da cui provenivano per esempio quei bambini coreani, latinoamericani o pakistani che giocavano a calcio sotto l’ombra bianca di un museo d’arte modernissimo, quasi appoggiato all’antica Casa de la Coridad.

Forse Yes voleva regalargli l’interesse per il suo passato pur di imporgli la propria vita quotidiana? La decima volta che lei parlò di Mauricio e dei ragazzi, Carvalho si sentì esistenzialmente mortificato e col pensiero la spedì a quel paese. O cercava di dissuaderlo perché rispettasse una zona che lui non aveva mai tentato di invadere, o si stava costruendo un muro di sicurezza. Un fatto che lo costringeva a parlare non solo del paese ormai quasi fantasmagorico della sua infanzia, ma anche “dei suoi”, della sua strana famiglia. Yes aveva adottato Biscuter. Le sembrava un affetto, diceva, quasi tascabile. Me lo porterei a casa. Non faceva sforzi invece per nascondere una certa antipatia nei confronti di Charo, come se lei avesse diritto a essere seccata da una rivale nel territorio di Carvalho e lui dovesse accettare come la cosa più normale del mondo il suo Mauricio e i due meravigliosi ragazzi innamorati della madre, indubbiamente edipici, non poteva essere altrimenti. Tuttavia a un tratto lei poté fare un salto con l'immaginazione e proporgli:

“Perché tu e io siamo amanti, non è vero? È come se fossimo amanti”.

“Ci nascondiamo come se lo fossimo. Suppongo che tu non vada a raccontare a tuo marito che continuiamo a vederci.”

“Potrei raccontarglielo perfettamente.”

Disse lei tassativa, come se la faccenda non meritasse ulteriori commenti. Ma Carvalho era scocciato di un marito tanto perfetto, intelligente, comprensivo, e da tanta prole prodigio, tre intrusi in un regno fortunato che avrebbe dovuto appartenere a Yes e lui soltanto.

“Ma non gli hai detto niente.”

“Diciamo che non ho voluto creare ‘allarme sociale’.”

E si mise a ridere, sempre con maggiore entusiasmo fino ad avvicinare la testa a Carvalho e sfiorargli la fronte con una spalla. Carvalho si staccò per un attimo dalla situazione di amici che vivono a Barcellona e giocano a fare gli amanti platonici e si sentì ridicolo. Vent’anni prima sarebbero andati a letto e probabilmente in lei, in lui senza dubbio, c’era la voglia di tornare a letto insieme.

“No. Non siamo amanti. Gli amanti non si pongono confini. Non si trincerano dietro i tavolini dei bar, non parlano di mariti o mogli o figli o genitori, perché costruiscono un mondo soltanto per se stessi, duri quel che duri, cinque minuti, un’ora, tutta la vita. Gli amanti hanno altre lingue oltre a quella chilometrica del fax. Se ti baciassi ora, subito, ti verrebbe un colpo. Potresti svenire.” “Provaci.”

Disse lei e gli offrì il viso con aria di sfida. Carvalho le prese la testa per la nuca e l’avvicinò a sé leggendo negli occhi di lei un allarme crescente, finché Yes chiuse le palpebre nel notare l'ariete della lingua di lui che le apriva le labbra cercandone gli angoli più segreti. Quando si separarono lei aveva gli occhi chiusi e sospirò profondamente. Poi si accomodò sullo schienale della sedia e lo guardò da una distanza ingrandita dalla finta sorpresa.

“Mi hai baciato.”

“Me ne ricordo.”

“Cioè, ormai siamo amanti.”

“Molto superficialmente.”

“Vuoi dire che dobbiamo andare a letto per essere amanti?” “Per esempio.”

“Ma io non posso accettare una doppia vita sessuale. Non posso andare a letto con te di giorno e con Mauricio di notte.” “Capisco perfettamente. Siamo in un periodo di involuzione sessuale. Vent’anni fa, ciò che hai appena detto ti sarebbe sembrato una stupidata.”

Adesso lei gli si era rovesciata addosso e gli metteva una mano sul braccio.

“Invece, sono disposta a seguirti. Per sempre. Non dimenticarlo, sei tu l’uomo della mia vita.”

Davanti a Carvalho, Yes era scomparsa e si apriva un baratro calamitato che lo attirava e insieme gli faceva male al petto.

“Alla mia età, questo per sempre sarebbe brevissimo. E il tuo marito stupendo e i tuoi figli meravigliosi? Non te la perdonerebbero. Il tuo ecosistema finirebbe distrutto.”

“Mi è indifferente, sempre che ti sia ben chiara una cosa. O tutto o niente.”

Aveva il problema tra le mani. Lei glielo aveva delegato e ora lo guardava con un misto di angoscia e fierezza. Non rifiutarmi, gli chiedeva, ma dalle labbra di Carvalho uscì un foglio di fax più che un discorso impegnativo. L’età segnava una distanza eccessiva, non poteva rompere il proprio ecosistema perché rompeva quello di Charo, di Biscuter, e soprattutto quello di Yes. Immagini una vita senza gli esseri che dipendono da te? Immagini quali sensi di colpa ti troveresti ad affrontare?

“A che senso di colpa ti riferisci? Al mio? Sono così innamorata di te che non ho sensi di colpa, ma mi rifiuto di vivere due vite in due letti. Voglio una vita e un letto soltanto. Con te. La tua vita. Ma un letto soltanto.”

Non rispondi alle mie telefonate, né alle lettere che ti invio per fax. Non ti sono più rimasti paesaggi della memoria da mostrarmi?

Vuoi che ti lasci in pace. Le più belle storie invidierebbero una fine tanto splendida. Senza morti, senza lacrime; un’elegante chiusura - tutta mentale, è ovvio - che ha sublimato, soffocandola addirittura, ogni continuità possibile.

Non vuoi giocare a distruggere il mio ecosistema, hai detto. Tutte e ciascuna delle consistenti ragioni, tanto inappellabili quanto ineluttabili, hanno giocato in tuo favore, nemmeno io - regina dell'improvvisazione - sono stata capace di schivare, o distrarre, una manovra così impeccabile. Perfetta posizione sul campo, esatto calcolo della distanza, opportuna scelta del momento, scrupolosa esecuzione. Questa ignorante - e umile - donna era solo in grado di intuire la sconfitta, stordita e sconcertata. Avere ragione è molto importante e tu hai ragione, tutta la ragione… e nient’altro che la ragione. Alla mia età - 540 anni - le ragioni non mi interessano, le ho rispettate troppo a lungo; ho capito ormai che la passione non è la cosa più importante, è l'unica cosa importante. D’altra parte non concepisco come si possa pretendere, a questo punto, di scendere a patti con l'emozione, dando retta a faccende tanto prosaiche quanto la scomodità degli orari, le abitudini, il marito che c’è eccome, i figli…; quando gli dei ci regalano qualcosa di tanto raro quant’è l’illusione, è un atto di superbia - imperdonabile - rifiutare. Qualcuno che indovino vassallo dell’estetica deve, almeno, trovarsi in mezzo a un dilemma; mi spiego: sembra ben difficile che tu possa rinunciare a uno spettacolo come me, non meno difficile che rinunciare alla tua credibilità, comodità e pace morale. Dimenticavo di dirti che nel primo piano finale, proprio prima di chinare la testa e andarmene - defilarmi? - ho baciato la tua fronte, le tue guance e le tue labbra con gli occhi, soffermandomi il meno possibile. Non mi piace disturbare. Non cerco di disfarmi dell’idolo, posso accettare i suoi - se li hai - piedi di argilla, la mia adorazione è fuori questione, ha superato il passare del tempo, tutte le mode.

Riconosco il mio errore nel proporre un' “avventura”, non solo per l’ambiguità del termine, anche perché ho tenuto nascosto il nostro incontro a Mauricio, non so perché, non ne sono certa, forse perché mi sono lasciata impregnare dall’atmosfera da me creata. E, per colmo, LA LETTERA ANONIMA CHE È STATA RICEVUTA IN CASA: può darsi che io sia circondata da gente cui non sono simpatica, sono la padrona e noi padroni non siamo mai simpatici. Di sicuro mi passerà presto il bisogno di rivolgermi a te in modo tanto compulsivo.

Mi è passato per la mente che la profumeria, o quel che è, che Charo vuole mettere su ora che è tornata da Andorra - le puttane trovano sempre il modo di rendere tutto pratico e vantaggioso - dovrebbe chiamarsi: “In essenza”, “Essenziali”… A mio parere ti meriti che questo personaggio torni, come dice il tango, con la fronte avvizzita, ma pronto a far diventare trasparente e positivo tutto quel che c'era di sordido nella sua vita. Questo negozio le consentirà di riciclare i vecchi clienti in clienti nuovi, e far sì che anche le sue vecchie colleghe vadano a comprare da lei; Pepe Carvalho ora sarà pure lui un cliente come tutti gli altri, una rivincita? Tutti clienti ma di un affare trasparente, socialmente presentabile, con bon ton, chic.

Sono stata un’insensata, un’illusa e per di più una noiosa. E piuttosto chiaro che non ti servo proprio a niente, mi ascolti o leggi quando ti chiamo o ti scrivo, ma sono atti riflessi dei miei. Avevo pensato di conoscerti, divertirmi, giocare un po’, senza che questo facesse del male a nessuno; che tu ricevessi un milione di lusinghe e accettassi qualche appuntamento divertente, non mi pareva nocivo. Da parte mia materializzare la mia relazione con te (nei miei sogni abbiamo sempre discusso parecchio) era un progetto troppo attraente, di per sé naif e quindi irrinunciabile.

Quando abbiamo ricevuto la lettera anonima ho ritenuto di non avere niente da nascondere, ecco perché ho raccontato tutto, TUTTO, a Mauricio. Gli ho potuto raccontare tutto perché non è successo niente. Posso vivere e perfino controllare un innamoramento di qualsiasi tipo, si tratta solo di emozioni passeggere, di distrazioni, che non hanno ragione per essere destabilizzanti, semplici scaramucce senza alcun peso, esercitazioni, che non superano i confini di una schermaglia verbale. Con una certa frequenza nascono intorno a me episodi galanti, che in casa vengono conosciuti e accettati senza provocare irritazione, al contrario a mio marito e ai miei figli quasi diverte che qualche loro conoscente mostri interesse per me; si parla delle “mie vittime”, di “quella nuova vittima” e di quanto io sia fiera dei miei successi, dicono che sono spietata, “leggera”, una civetta senza rimedio, e mi "sgridano” ma senza troppa enfasi. Tutti sanno che, d’altro canto, a me la cosa lascia del tutto fredda, pura ginnastica, e che del resto non sono mai io a favorire tali situazioni; diciamo che se da una parte mi lusingano, dall’altra le subisco con rassegnazione.

A quanto pare, è stata una premonizione che io firmassi alcuni scritti Alice, al di là dello specchio, perché essere dall’altra parte dello specchio è quel che sto facendo ora. Una nuova prospettiva per niente comoda, ma risolverò senza dubbio tutte queste inquietudini, cercherò di non essere troppo fastidiosa e, insieme, di non essere “infastidita” da te - confido in pieno nella tua capacità di capire quel che dico - non consentirò che nulla di tutto questo turbi il mio equilibrio emozionale, né quello dei miei. Le mie scuse e, anche, i miei rispetti. ALICE

Forse era meglio così. Considerare il nuovo incontro con Yes come una perizia dello spirito che avrebbe finito per sembrargli irreale, come se fosse passato dall’evocazione al miraggio o come se avesse vissuto la fantasmagoria della Donna del ritratto di Fritz Lang. I giorni passavano senza nuovi messaggi, finché a un tratto:

Lenta maschera tragica

Stordita, imbarazzata, allarmata.

Negromante, nuovo Nibelungo,

Ulisse che trama utopie.

Sei la speranza esatta

Folle lingua libertina.

Troppo breve per essere grave. Carvalho rimase in piedi davanti al fax aspettando un seguito, ma trascorsero due, tre ore e Biscuter gli sfilava davanti senza dire niente, dalla spesa al cucinino, intento a preparare un soufflé mediterraneo, capo, di tonno coi capperi, perché non c’è nulla come la cucina mediterranea, capo. Fece in tempo a mangiare il soufflé con del vino Albariño gagliego bello fresco, masticando improperi contro chi beve champagne, spumanti e vini bianchi a una temperatura superiore al fresco. Fece anche in tempo a uscire in strada con Biscuter, ostinato a farsi accompagnare al centro culturale dei gesuiti di calle Caspe, dove era annunciata una conferenza che gli poteva interessare parecchio, tenuta da Guifré González, sul neocatarismo. Titolo della conferenza: “Tra l’Opus Dei e i catari”. A Carvalho sembrava uno di quei personaggi che vengono sempre presentati dicendo che non hanno bisogno di presentazioni, forse uno della radio, un habitué di salotti televisivi, apparso in un’intervista che lui aveva sbirciato per caso. La sala era piena e Biscuter gli aveva tenuto un posto giusto dietro la testa fulva di Margalida, la Donzella del Vallés, che si voltò salutandoli con un sorriso. Sul palco, alla parete di fondo, uno schermo per proiezioni cinematografiche. Un’occhiata nella sala consentì a Carvalho di scoprire l’uomo in tuta, il giovane liberista dei corsi accelerati e Anfrúns circondato da ragazzi e ragazze sempre attenti ai suoi commenti, ai suoi mormorii, alle sue sortite. Il solito corruttore di minorenni. Salirono sul palco Francese Marc Álvaro, Guifré González e un gesuita presentato da Francese Marc Álvaro come uno dei più brillanti ed equilibrati giovani intellettuali; appena Francese Marc Álvaro prese la parola si dedicò a lodare ironicamente, la sola maniera civile di lodare qualcuno, Guifré González, considerato come la testa pensante di maggior rilievo in Catalogna e una delle più dotate d’Europa. Come si può riempire di doti una testa senza ridurne lo spazio interiore?, si domandò Álvaro a conclusione della sua breve e brillante presentazione, lasciando in dubbio quanto fosse piena la testa di Guifré. Il conferenziere, ora chiamato Guifré González, non era altri che il finto prete, finto zio di Neus, che in realtà si chiamava Margalida. Senza il clergyman e senza guayabera, ora sembrava un tipico membro dello star system dell’intellighenzia. Dopo vari sofismi di ringraziamento per la larghezza liberale, nel miglior senso del termine liberale, dimostrata dai gesuiti, suoi ospiti, parlò della crisi di modernità della Chiesa cattolica e dei duri anni di concorrenza che si annunciavano, per esempio, nel caso dei Paesi Catalani. La Chiesa cattolica non era stata in grado di compiere il passo verso l’autonomia ecclesiastica davanti al rischio di perdere il contatto con i fedeli che reclamavano in religione il diritto alla differenza. La Chiesa cattolica tiene conto di una sola sfida sicura, l’Opus Dei come nuova forza difensiva, in grado di collegarla alla strategia del dominio temporale attraverso il dominio materiale e viceversa, ma l’Opus Dei non aveva fatto il passo necessario per adeguarsi al futuro nuovo ordine internazionale di una globalizzazione basata sui popoli identificabili. Che fare? Forse era giunto il momento di lasciare la Chiesa cattolica sulla sua strada verso l'obsolescenza, poiché il Vaticano si era ostinato a percorrere quel “cammino” in compagnia dell’Opus Dei, e pensare a una religiosità studiata a tavolino per i Paesi Catalani. Più che irritati atteggiamenti scismatici, forse sarebbe più interessante cercare nella memoria collettiva un substrato religioso che già in passato avesse cercato di rispondere a una nuova spiritualità, e la nuova Europa dovrebbe tener conto di quel che era stato il catarismo come religione solidale e fondamentalista, sulla linea del vecchio, moderno, eterno desiderio di ritorno al cristianesimo primitivo, di base, umanista che, dall'istituzionalizzazione costantiniana della Chiesa, aveva acceso l’Europa dalla Bulgaria fino a Tolosa, da Coblenza fino alla Catalogna del Nord nei secoli XII e XIII. Fu in quel momento che si fece buio in sala e sullo schermo apparve la mappa dell’espansione dei catari nei secoli XII, XIII e XIV, mescolati talvolta agli albigesi o ai valdesi, anche se sarebbe sciocco collegarli, visto che il catarismo era stato totalmente liquidato nel 1321 con il rogo di Vila-Roja, sul quale venne bruciato Termenes di Belibastre, ultimo prefetto cataro conosciuto. Non solo, sottolineò Guifré, alcuni sostengono che i catari volessero creare il principato di Septimania, mentre altri aggiungono, come Javaloys, che tale principato si ispirasse al potere ebraico, il re di Francia e il Papato si allearono per debellare quegli eretici scissionisti e politicamente scorretti. Ma i catari, anche se dispersi, continuarono a essere catari e molti di loro si stabilirono nella Catalogna meridionale, occultando il loro passato per evitare la repressione, e qualche seme è rimasto. Guifré González profetizzava una nuova religiosità non studiata a tavolino concepibile a partire dall’ingegneria religiosa in atto, intendendo come religione studiata a tavolino una religione ricostruita dalle sue ceneri, come se avesse aspettato una nuova sensibilità nonché le condizioni oggettive e soggettive per rinascere. “Povertà, solidarietà, impegno di fronte al capitalismo selvaggio costruito con la complicità di qualsiasi establishment. Quella religione ebbe a che fare con gran parte della Catalogna del Nord, contagiò persone o zone della Catalogna meridionale e i popoli strutturalmente rimandati come i Paesi Catalani potrebbero farneuso evangelico e insieme strutturalizzante per una territorialità dello spirito e dell'emozione, strumento di emancipazione contro gli intenti economicisti volti a creare nuove territorialità per ragioni strettamente economiche. Non va dimenticato che ai loro tempi i catari erano conosciuti come gli ‘uomini buoni’, perché da essi emanava, almeno, una brama di bontà e carità, come viene dimostrato nel saggio fondamentale di Jordi Ventura i Subirats. E ora? Qui? Solo una corrente mistica controllata dall'intellighenzia laica potrebbe contrastare gli effetti della dittatura economicista che incombe sulla Catalogna come una minaccia. La Catalogna può scomparire in quanto progetto se il potere economico spagnolo e multinazionale con l’aiuto dei botiflers, i catalani rinnegati, la distruggono come immaginario unitario e la rimpiazzano con un triangolo di potere economico.”

Margalida applaudiva con sconfinato entusiasmo, fischiava, gridava, come se Guifré González fosse un eroe del rock e non suo zio, il suo finto zio, e Anfrúns portava al pascolo le reazioni del suo gregge studiando a distanza le non reazioni di Carvalho. Ormai era la volta delle domande del pubblico e Anfrúns chiese la parola.

“Caro Guifré, la tua sfida che punta su un neocatarismo pancatalano controllato da una mente laica, atea addirittura?, mi commuove. Se per davvero incombe una minaccia economicista, che cosa può impedire a chi studia a tavolino un’alternativa all’immaginario catalano di trasformare il neocatarismo in una religione del triangolo Región Plus? Perché anche se questa cospirazione economicista non si è ancora manifestata, quando ne parli lo fai pensando a Región Plus. Osserva la figura geometrica tracciata dal territorio cataro.”

“Non è un triangolo.”

Ribattè González, mentre Álvaro e il gesuita annuivano. Il gesuita andò oltre:

“È un rombo un po’ schiacciato”.

Anfrúns si spazientì:

“Triangoli o rombi, che cosa importa”.

Guifré calcò la mano:

“Una nuova spiritualità, intelligentemente laica, è quel che serve a far prosperare un nuovo umanesimo non più fondabile a partire da proposte strettamente razionali, come negli intenti dell’Illuminismo o del marxismo”.

Anfrúns si alzò in punta di piedi e recitò a voce alta:

Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà, così in cielo come in terra. Dacci oggi il pane nostro sovrasostanziale. E perdona i nostri debiti come noi perdoniamo i nostri debitori. E non lasciarci cadere in tentazione. Ma liberaci dal male perché tuo è il regno, il potere e la gloria.

Appena il pubblico si fu ripreso, tra le beffe e il raccoglimento, dall’effetto della preghiera, Anfrúns assunse maniere da tribuno e si rivolse a tutti i presenti disinteressandosi della reazione dei conferenzieri.

“Vi ho appena recitato il padrenostro nella versione catara, una religione che potremmo infatti associare al substrato spirituale di molti catalani prima della perdita della sovranità. Ma attenzione al manicheismo cataro. Il diavolo ha creato il corpo umano e Dio lo spirito. Dobbiamo pensare alla fine del padrenostro: ‘Tuo è il regno, il potere e la gloria’. Non si riferisce a un regno tangibile, ma all’insieme degli spiriti, anche se Gesù Cristo ci ha liberati dal male con il suo sacrificio. Gesù Cristo ha redento il regno per consegnarlo a Dio Padre ed è un dovere per noi catalani dare a tale regno una geografia. Appena il potere si è visto degradare e abbattere da debolezze di ogni genere, per noi catalani è un obbligo far sì che queste debolezze si trasformino in forza. E la gloria! Il Signore dice in un salmo: ‘Gloria mia, sveglia, svegliatevi, arpa e cetra!’. Il regno, il potere e la gloria rappresentano lo spirito, la vita e l’anima di ogni individuo. Come trasmigra questa natura individuale in quella collettiva di un popolo?”

Ora sì che Anfrúns sfidava Guifré Gonzales, e questi rispose:

“Non intendo il catarismo come una rivelazione simbolista nutrita del catastrofismo dell’apocalisse, ma come un’etica della ribellione e della partecipazione in chiave religiosa, etica, che si addice a un progetto di catalanità popolare, liberata da patteggiamenti, dalla servitù piccolo-borghese al politicamente corretto nello stile bottegaio del signor Jordi Pujol Soley, che spero esca sconfitto dalle imminenti elezioni in modo da farci entrare nel postnazionalismo. Ma attenzione. Coloro che predicano il postnazionalismo non devono cadere in errore. In ogni fine c'è un principio e bisogna che termini il nazionalismo necessario ma vergognoso alla maniera del pujolismo o del Pnv nel Paese Basco affinché il postnazionalismo significhi neonazionalismo.”

Una potente combinazione di fischi e applausi coronò le parole di González e, contro ogni aspettativa di Carvalho, Anfrúns si lasciò cadere nella poltrona molto soddisfatto; quando i presenti cominciarono a defilarsi, il capitano dei Testimoni di Lucifero si fermò dietro Carvalho e gli bisbigliò all’orecchio:

“Ha appena avuto occasione di vedere Manelic nel suo stesso brodo”.

A conferma dell’insinuazione fece un cenno in direzione di Guifré González che discuteva con Álvaro e il gesuita e poi, adducendo la fretta, lasciò Carvalho in piena ritirata conducendo il suo gregge verso i verdi pascoli di Satana. Margalida gli mormorò che presto avrebbe avuto “nostre” notizie, e ripeté il subdolo plurale “nostre”. Il detective scelse di tornarsene in ufficio prima di rientrare a Vallvidrera, dove si imbatté subito nella lingua continua del messaggio di Yes e verificò la nuova assenza di Biscuter che inseriva il catarismo tra qualche corso serale di riarmo culturale, probabilmente di inglese, se non conferenze sulla globalizzazione o sulle attività volontarie a favore del Chiapas.

Il mio profondo malumore ricade sul mondo intero, mi sono comportata in modo che questo avvenisse, non ho fatto altro che ostinarmi ad amareggiare la vita di chi mi circonda; un atto deplorevole che giustificherei, addirittura, se mi fosse stato di qualche utilità. Sono frustrata, irritata, perplessa, costernata… furiosa.

Con una rabbia arbitraria, sicuramente sproporzionata, che mi brucia dentro. Nessuno è responsabile della mia tristezza, al contrario, ti devo avere senz’altro seccato, ti ho cercato, braccato, costretto a gesti, espressioni che mai avresti mosso da solo e, per di più, non mi sento soddisfatta e ti accuso addirittura di non sentire come me, con la mia stessa intensità. È vero tuttavia che l’adorazione che ho per te mi ha fatto credere in diritto di pretendere una risposta adeguata ai miei desideri; quando ho sentito il distacco, ti avrei schiaffeggiato. È stato molto dopo che ho intuito fino a che punto sei stato costretto; indubbiamente, sono stata io a lanciarmi all’abbordaggio di una nave (una nave che seguiva la sua rotta, non in pace e felicità, ma con l’orizzonte in vista) senza essere stata invitata, aggredendoti a sorpresa e reclamando - esigendo - la tua attenzione, la tua dedizione.

Non credo di essere in errore se penso che al mio sconcerto abbia anche contribuito una certa dose - logica - di vanità da parte tua, la voglia di prolungare la piacevole sensazione di essere ammirato; se a questo vogliamo aggiungere il fascino della differenza di età che ti avrà lusingato (a ogni minuto che passa, questa differenza diminuisce, mi sento invecchiare a momenti) e l’incentivo della mia bella presenza (consentimi questa vanità) riesco a spiegarmi come ho fatto a pensare che i tuoi gesti, la tua inclinazione nei miei confronti, nascessero dal bisogno di spartire emozioni più serie. Quando sono con te ho uno stomaco di ferro; le inquietudini di Mauricio mi preoccupano meno che mai.

Hai un bisogno di affetto insaziabile, un problema al quale si aggiunge la tua generosità - adorabile - che ti costringe a corrispondere - ringraziare? - coloro che ti amano.

E questo comportamento finisce sempre in un groviglio che raramente riesci a sciogliere, sei costretto a tenere in piedi la messinscena delle manifestazioni di affetto a te rivolte, come un modo di ripagare, e insieme propiziare, l’amore altrui. E visto che parliamo di amore e affetto sembra giusto dire che tu stabilisci una dinamica da “abbraccio mortale”, cioè che bari con te stesso, sei disonesto. Non mi sorprenderebbe se, quando ti senti (perché tu ti senti) tirannizzato dalle tue Charo e dai tuoi Biscuter, dimostri il tuo fastidio per, subito dopo, cercare di porvi rimedio con nuove manifestazioni di affetto, con l’eco prevedibile. Hai la mia ammirazione, il mio affetto, il mio rispetto, mi hai ridato l’illusione, i sogni, le chimere, i dubbi, tutti i dubbi. Ne sarei felice se questo ti procurasse di rimando una qualche felicità, ma nulla ti devo e nulla mi devi, come dice la canzone.

Sono in stato di grazia, e sei stato tu il catalizzatore e in quanto tale, avviata ormai la reazione, non mi servi più a niente.

Cancellami dalla lista dei ringraziamenti.

Assente

Assente maschera magica

Utilitaria imbarazzata allarmata.

Stregone nuovo Nibelungo,

Sei speranza esatta folle lingua libertina.

Negalo, negami, negati

Prendi la mia voce nel deserto.

Scusa il mio dolore, è di questo mondo.

A proposito, Assente. Da un altro deserto mi arriva LA SECONDA LETTERA ANONIMA. Credo di sapere chi è l’autore. Un disgraziato al quale tempo fa, non chiedermi il perché, avevo fatto qualche confidenza sulla nostra relazione e che è legato alla cerchia di mio marito, nello specifico il suo avvocato.

Ho ottenuto il salvacondotto temporale, tra le tre e le tre e mezza di una notte tormentata e tempestosa per risentire la musica della tua voce - salmodiante, invocante - come quella del muezzim che invita/incita alla preghiera; tra ombre e lampi, suonava come Una notte sul Monte Calvo. Ho verificato che tu eri stato solo senza di me, che io ero sola senza di te. Tutto questo interminabile fine settimana, cosparso di incidenti telefonici che ho interpretato come fallite o insinuate chiamate tue, l’ho passato a circondare la mia solitudine di presenze familiari simili a giochi. A cercare di patteggiare il mio affetto nei loro confronti, di adattarmi allo spazio tempo, di rispondere con onestà ai vari “ma… oltre al fatto che stai crescendo, che cosa ti succede?’’. Non trovo la chiave per essere onesta e non fare del male; non si può raggirare la verità. Il tentativo di rinunciare a mettere in scena, materializzare ciò che sento, dubito che nessuno ne sia mai stato capace, ma posso cercare di farlo; non so come sia possibile guardare in faccia un essere amato e fargli un male irrimediabile; ignoro come si possa arrivare alla - comoda? - finzione fingendo di non fare del male. A un tratto dimentico tutti i problemi e mi trovo in paradiso, in una doppia programmazione, interminabile, continua, di baci; di quei baci meravigliosi che tu dai, soffocanti, sorprendenti, conturbanti: sdruccioli, non importa se non si dice così, adesso si dice. E poi, improvvisamente dall’alto, dall’alto più alto precipitare nell’inferno della cornice che mi circonda, che io stessa ho costruito, un po’ alla volta, con gioia, con affetto, con dedizione, è come sabotare me stessa, una specie di autosequestro, terrorismo puro.

Non mi sorprende che con gli anni alla gente venga quella faccia che viene, nel mio caso temo il peggio.

Carvalho non rispose al fax di Yes, e Fuster suonò in tempo il campanello della villa di Vallvidrera carico di barattoli di vetro pieni di buon vino vecchio e tartufi di Villores, in attesa del raccolto di fine secolo e inizio millennio. Insieme ai tartufi, l'inevitabile conversazione sul perché i tartufi bianchi spagnoli non abbiano nulla a che vedere con i tartufi bianchi italiani. Quelli spagnoli assomigliano a patate leggermente aromatiche, mentre un tartufo bianco d’Alba è un gioiello della natura, esclamava Fuster, tartufaro di famiglia e quindi di nascita.

“Un’asta di tartufi a Morella è uno spettacolo, e constatare che i giacimenti di tartufi sono segreti serbati dai contadini come se si trattasse di miniere d’oro è la riprova della teoria del valore, secondo cui il valore aumenta con la scarsità del valutato. Il tartufo ha un valore simbolico, saturnale. Ma tu volevi parlarmi di religione.”

Carvalho gli offri un assaggio di tre nuovi whisky acquistati in un’enoteca di calle Aguilers. Fuster scelse un Linkwood e Carvalho uno Springbank stagionato, come sempre. Fuster preferiva il whisky meno vecchio.

“Non che io ne capisca tanto, ma quelli che piacciono a te ricordano il cognac o l’armagnac.”

Carvalho gli espose i suoi nuovi orizzonti religiosi e la sorpresa di riscontrarli così strettamente collegati alle rivendicazioni nazionaliste. Fuster levò gli occhi al cielo ed esclamò: La madre, la Terra e Dio! La Vergine Maria come nesso tra Dio e la Terra e i preti a officiare da ruffiani in ogni nazionalismo. A loro sembra che la nazione sacralizzi l’esistenza, l'avvicini alle verità essenziali, per cui i popoli eletti da Dio sono tanti quanti i preti disposti a benedire l’elezione. L’internazionalismo è sempre stato ateo.

“E l’ecumenismo?”

“Questa è un’altra storia. È l’imperialismo cattolico, sempre meno pregnante. Il cattolicesimo non cresce. È una religione poco utile da quando il latifondismo è scomparso e si è sviluppata la rete autostradale e la televisione. Non ha manco preparato i cattolici alla lotta per l’egemonia materiale, come invece ha fatto il protestantesimo.”

Carvalho credeva che il cattolicesimo fosse una religione di accumulatori primitivi e di gente che vive di rendita. Brutta faccenda quando il tasso di interesse continua a perdere punti. D’altro canto, la razionalità ascendente ha messo in crisi i misteri cristiani, ma in particolare quelli di lettura cattolica.

“Non mi piace parlare così, ho paura di venir preso per un anticlericale convenzionalista, e non si tratta di questo. O forse sì?”

Fuster ribatté:

“E le correnti neocristiane basate sulla solidarietà? Che mi dici della Teologia della liberazione?”.

“Mi suona di marxismo improntato al divino. La cosa più moderna che la Chiesa cattolica si è trovata tra le mani è l'Opus Dei. Immagina, il cristianesimo filtrato da un machiavellismo a buon mercato e impreditoriale stile Dale Carnegie. Un cristianesimo da Reader’s Digest. Mi piacerebbe tantissimo se tornassimo ai riti di una volta. La religione senza teatro non vale una cicca, non è niente.”

Carvalho ebbe bisogno di altri due whisky per fare a Fuster un riassunto della situazione, della sua situazione. Fuster, dopo aver meditato, decise:

“Molla le religioni e dà retta a Charo. Sono il tuo amministratore e so quel che dico. Per essere chiari, non hai il becco di un quattrino e un lavoro fisso, con qualche extra, potrebbe essere qualcosa di simile a una liquidazione assicurata. Chiudi il caso di quella madre. Consegnale un rapporto razionale, credibile, e non cacciarti in altri pasticci”.

“Che io lo voglia o non lo voglia, il nesso esiste. Qui bolle in pentola qualcosa di oscuro, complesso, sospetto che anche se non mi ci volessi infilare, finirebbero comunque col cacciarmi dentro. Ma, a che scopo?”

Fuster non aveva una risposta, e a Carvalho dormirci sopra non servì a niente. Il giorno seguente verificò che il whisky scadente procura dei gran mal di testa e uscì di casa con il proposito di seguire il consiglio di Fuster. Appena arrivato in ufficio, cominciò la stesura del rapporto per Delmira:

II punto delle indagini in cui mi trovo mi spinge a esprimere la necessità di chiudere il caso, tenuto conto del fatto che nulla mi porta a nuovi indizi verificabili. Il desiderio di coinvolgere il finanziere Pérez i Ruidoms in uno scandalo, fa che “X” ingaggi certi sicari per assassinarle il figlio, basandosi sui rapporti avuti dallo stesso con il figlio di Pérez i Ruidoms. L'omicidio sembra avvolto in un clima da delitto passionale, nato da un rifiuto, finché qualcuno, che potremmo chiamare “Z” ne svela i veri moventi e ci mette sulle tracce di un delitto mercenario tramato da un gruppo di pressione rivale di Pérez i Ruidoms, senza che tuttavia lo si possa attribuire al gruppo Mata i Delapeu, in quanto è capitanato proprio del padre dell’assassinato, e non sembra si tratti di una confusa tragedia greca o ebraica, il sacrificio di Isacco, per esempio. Il modo in cui la polizia venne condotta fino ai sicari, presunti autori materiali del delitto, risulta sospetto, come pure l’esecuzione degli assassini al momento del loro arresto, anche se in qualità di testimone oculare dell’azione della polizia sospetto che nemmeno l’ispettore Lifante controllasse le fila che hanno determinato l’esecuzione dei sicari. Mosso dalle sue indicazioni, signora, ho cercato di risolvere le due incognite: “X” e “Z”. “X” sarebbe l’ideatore dell’esecuzione e “Z” colui che ne ha svelato il movente reale. I miei mezzi per risolvere queste due incognite sono nulli…

Giunto a questo punto della stesura, Carvalho si fermò. No. Non era vero. Poteva andare oltre, ma per la prima volta provava insicurezza, paura di andare troppo lontano, paura della stessa idea di eccedere, un concetto che in altri tempi lo aveva più stimolato che represso. Fino a oggi. L’angoscia di essere angosciato. La paura di avere paura. Accartocciò il foglio di carta e lo gettò nel cestino, ma se ne pentì, lo riprese, lo lisciò e se lo mise in tasca.

E improvvisamente uscì un altro fax:

Barbaro, crudele, rozzo, approssimativo, selvaggio, feroce e inclemente lottizzi il tuo cuore e i tuoi pensieri in modo minuzioso e strategico, scansi con una manata tutto ciò che non rientra esattamente nel tuo concetto di utilità; lo confessi freddo e cinico senza alcuna inquietudine. Con totale sfacciataggine e aggressività ti vanti di aver trovato la formula magistrale. Tuttavia quel che hai fatto, l’ideazione del tuo piano, raggiunge la perfezione, ma dimentichi di essere rimasto senza cuore per vivere.

Tu non senti, non ti impegni di amore, desiderio, necessità… tutti esercizi che attui, dispieghi, spingi a produrre come utilità e, mentre li esegui, li perpetri, li prosciughi, li spegni fino all'estenuazione, come emozioni. Non è un’educazione incravattata la causa principale del disaccordo tra i tuoi gesti e quel che dici di sentire; i tuoi gesti - pochi - sono in perfetta concordanza con ciò che veramente senti – poco -! Sei troppo intelligente per non notare che in questo schema qualcosa fa cilecca, ti sai impotente per apprezzare che il fascino dell’inutile è necessario.

Beh, no, i baci sì, i baci che avrai già deciso mi tocchino in sorte come quota, dammeli tutti, dammeli dolci, umidi, lenti, poderosi, blu e… contati; è questo che sono venuta a reclamare, per favore: baciami tanto. Mentre ti scrivo dal mio computer, quasi ubriaca, in una notte più notte di nessun’altra, sono trafitta interamente da due canzoni: bossanova nel tuo sguardo, Bossanova…; e: Siamo. Non posso organizzarmi, non so come farlo, mi sento inutile sotto ogni aspetto per tutti, per me stessa; le gambe non mi ubbidiscono, suonano come raganelle ossidate, eppure devo uscire di corsa a ogni costo; il tuo ricordo indica un cammino che a volte mi pare noto, o per dirla meglio, di star conoscendo… Io che avevo immaginato carezze nell’arpa delle tue vene… che avevo inventato nuovi baci. Non rispondi, ma la tua voce c’è. Ho appena parlato con te, mi colpisce tanto la tua voce, sembra quasi che tu sappia quel che sto per dire. È talmente grave, ti amo, ti amo, ti amo. Non sto giocando con te, non voglio giocare con nessuno, non voglio essere un pericolo pubblico, un giorno sarò completamente sola, lo so.

Ho altre sensazioni fisiche, anch’esse molto sorprendenti, non te le dico perché non credo tu sia abbastanza adulto per capirle.

Tu, che sai tutto, non potresti passarmi quel manuale di istruzioni tanto efficace che adoperi? Lo so che non ti sono indifferente, so di piacerti molto.

E sufficientemente gradevole sapere che scombussolo in qualche modo il tuo sistema ormonale, e che parlare con me ti diverte, che ne hai voglia, che ti ricordi di me. È una relazione disuguale. Io ho un bisogno fondamentale di te. Quando te ne sei andato, dopo il mio ultimatum sui due letti, ti ho seguito, sono riuscita a vederti scendere le scale del parcheggio, poi mi sono appostata (che espressione!) dietro un angolo per vederti uscire con la macchina. Si allontanava la preda, o meglio: io me ne stavo allontanando, e sono rimasta stordita, sola, ridicola. Non so se tu abbia mai provato un’attrazione così smisurata come quella che io provo per te, intuisco di sì; ma anche se avrai trovato scogli, difficoltà da superare, avrai certamente preso ogni scrupolo, lealtà, la tua nobilità d’animo, li avrai avvolti a dovere e poi lanciati alla Luna.

Poi, superato l’"episodio”, hai dato ragione a te stesso, giungendo alla conclusione che era stato molto conveniente non turbare la pace familiare; ogni volta che ti capita qualcosa del genere, non ti alteri minimamente, prendi in mano il libro di istruzioni ed eseguì le operazioni nell’impunità. Mauricio è eccezionale, non c’è un altro come lui, nemmeno il mio innamoramento mi impedisce di riconoscerne la superiorità; devo essergli assolutamente sincera, devo farlo nell’unico modo pulito che mi riesce di immaginare, partecipando alla solitudine e tristezza che gli causerò, ossia: triste e sola a mia volta. Ti ho già detto in qualche occasione di non credere che ci si vergogni dei propri sentimenti, nascono senza chiedere il permesso.

Mi spiace molto, Orso delle Caverne, devi essere esausto e afflitto, per qualcuno che voleva qualcosa di ludico, piacevole e intrascendente dev’essere una gran noia. Se può servire a consolarti, ti dirò che ci dev’essere un mucchio di belle donne alla cui vita puoi dare un orien­tamento, anche se non è possibile spedirle a Katmandu.

Alle elezioni catalane vinse di nuovo il nazionalismo moderato, ma la vittoria fu così precaria da non annullare le aspettative di fine di un periodo, al contrario, si accentuarono e, mentre socialisti ed ex comunisti si preparavano alle elezioni anticipate, i diversi nazionalismi lustravano le armi per la battaglia disputandosi la tunica sacra del pujolismo; intanto la vita continuava, e i funghi si offrivano all’impetuoso camminare di Carvalho nella Boquería in un anno in cui abbandonavano gli ous de reig, gli ovoli, chiamati anche e giustamente “amanita dei cesarai”, i re dei funghi secondo l’opinione di Carvalho, contro il patriottismo micologico difensore dei rovelló, i lattarelli, in quanto funghi nazionali metafisici, contro i palati claustrofobici e clitoridei che sceglievano le spugnole, o quelli cosmopoliti che preferivano i porcini. Stracciò qualche fax di Yes senza neanche leggerlo, pensando che la distruzione l'avrebbe aiutato a costruire la voglia di allontanamento, e accolse con gioia la chiamata di Margalida, che apparve in moto, pretendendo ancora una volta che lui salisse dietro. Questa volta non era disposto a soffrire il freddo e Margalida gli mise dei fogli di giornale ripiegati sul petto, l’edizione in catalano di “El Periódico”, trattenuti dalla giacca. Non era nemmeno disposto a sfidare la legge di gravità mentre lei scansava i taxi e le passò le braccia davanti allo stomaco incollandosi alla schiena della ragazza. Non solo dribblava le macchine, ma osservava dallo specchietto retrovisore se qualcuno li seguiva e svoltava bruscamente nelle vie più impensate per prendere la strada di Hospitalet e proseguire l'interminabile viaggio verso il mare, laddove la città ha definitivamente perso il suo nome e le ultime campagne che la separano dall’aeroporto allietano l’ormai rara nostalgia contadina. I frutti del Prat e gli spazzini locali con i loro carri e cavalli popolavano ancora l’infanzia di Carvalho, la cui memoria ultimamente reclamava con forza di coesistere con la premonizione della vecchiaia. Le strade ormai erano sterrate e la moto si diresse verso una fattoria isolata in mezzo a un piccolo palmeto con una noria, vicinissima al fiume Llobregat. La moto si fermò davanti alla casa mezza diroccata. Appena scesi, lei si abbassò la cerniera del giubbotto di pelle, prese una torcia dalla sacca attaccata al sellino e s'incamminò verso la porta. Il fascio di luce superò stanze erose odoranti di umidità e illuminò una scala che scesero fino a imbattersi in una porta chiusa. Margalida bussò ritmicamente con le nocche e la porta venne aperta da un giovane dall’aspetto del principe indiano in esilio, effetto accentuato forse dalla gellaba bianca che gli nascondeva i piedi trasformandolo in una figura d’alabastro, che più che camminare slittava sulla moquette dell’unica stanza abitata nonché abitabile, arredata di tutto punto, inclusi compact disc e mobile-bar. Albert Pérez i Ruidoms cercò il centro radiale della stanza e si sedette sulle gambe piegate come per iniziare un esercizio di yoga. Si era concentrato ma non tardò a uscire da se stesso per badare ai visitatori. Margalida seguiva i movimenti del giovane con rispetto e Carvalho con il fascino da sempre suscitato in lui dalle teatralizzazioni applicate alla vita quoditiana. Il silenzio di Albert era un invito a farli parlare, ma Carvalho non era disposto a dare inizio allo spettacolo, né voleva apparire come il discepolo di Socrate che fa domande maieutiche al maestro.

‘Albert, il signor Carvalho sta dalla nostra parte e vorrebbe una tua spiegazione sull’accaduto, in particolare sull’omicidio del povero Alexandre.”

Albert si rivolse a Carvalho.

“Lo suppongo al corrente dell’idea della morte di Dio derivata da Immanuel Kant.”

“Mi pare di essere al corrente solo dell’avvenuto pagamento della bolletta della luce.”

Lo sconcerto di Albert costrinse Margalida a intervenire.

“Il signor Carvalho ha un buon senso dell’umorismo.”

“Ebbene, senza risalire fino a Kant, bisogna prendere atto che il fallimento del razionalismo è condiviso da tutti gli integralismi totalitari, siano di indole cosiddetta rivoluzionaria, siano d’indole capitalista conservatrice. L’irrazionalismo non è la negazione della capacità umana di capire, ma un universo pieno di possibilità negate dal razionalismo. Io non sono Satana. Il Satana che ci hanno descritto è fatto a misura dell’affermazione del Dio cristiano e non è mai esistito. Satana è l’altro sguardo e visto come ci hanno lasciato la Terra, la vita e la Storia, la luce, Satana è la luce della negazione. I Testimoni di Lucifero avevano un carattere rivendicativo di altro ordine.”

“Avevano? La setta esiste ancora. Adesso la dirige Anfrúns.” “Anche Satana può avere i suoi Giuda e Anfrúns è uno di loro. Anfrúns è una marionetta nelle mani di mio padre.”

Ora Carvalho cercò in Margalida la conferma di quanto diceva il suo amico. Lei era estasiata nella contemplazione di Satana, come se le fosse giunta la beata eternità infernale e la felicità consistesse nell’ammirazione infinita di un Satana infinito. Albert proseguì:

“È da quando avevo quindici anni che continuo a cercare alternative a quel che rappresenta mio padre, come aveva fatto anche il povero Alexandre. Almeno lui aveva la fortuna di avere una madre sensibile e intelligente, io no. Ogni volta che ho rinnegato quel che ero e mi sono posto al di fuori dell'universo di mio padre, lui si è impadronito del mio spazio, in quanto questo spazio mi avvolgeva. Avevo creduto che i Testimoni di Lucifero fossero posti, definitivamente, in un’altra galassia che lui non avrebbe mai raggiunto. Non è stato così”.

Dall’esterno, un rumore, piuttosto forte, spezzò il discorso di Albert. Margalida balzò e corse verso una porta-finestra per cercare di vedere che cosa stesse accadendo fuori, nella sera ormai buia. “Són ells!” [Sono loro!]

Albert si era messo in piedi e sembrava paralizzato, ma Margalida lo costrinse a uscire dalla paralisi spingendolo.

Surt per la cava i agafa la meva moto. Nosaltres ja ens espavilarem. ” [Esci dalla cantina e prendi la mia moto. Noi due vedremo di cavarcela]

Margalida aveva una fiducia illimitata in se stéssa o in Carvalho, ma il detective non fece in tempo a confermare una tale sicurezza, perché l’uscita precipitosa di Albert dalla stanza precedette l'ingresso di quattro ragazzotti dalle teste rapate, armati di sbarre di ferro e grida che talvolta raggiungevano la struttura della minaccia.

“Figli di puttana! Vi taglieremo le palle!”

La reazione di Margalida li colse di sorpresa. Aggredì con uno spray due intrusi e si voltò in tempo per mollare un calcio fulmineo sulla patta di un terzo. Carvalho considerò che gli spettava di attaccare il quarto e avanzò verso di lui lanciandogli contro di testa, per non dargli tempo di creare una distanza, ma l’altro la creò, e il detective perse quindi l’equilibrio e cadde a terra in ginocchio dove fu colpito dal rivale con un calcio alle costole. Si rigirò per potersi alzare e vide Margalida che simile a una belva prendeva possesso con gli artigli dell’emisfero nord del quarto uomo, occhi e basso ventre incluso, unghie negli occhi e calci nel basso ventre. Quelli colpiti dallo spray erano ormai usciti sperando nell’azione benefica dell’aria, e Carvalho fece in tempo ad assestare altri due calci con la punta della scarpa sulla testa della prima vittima di Margalida, mentre il quarto uomo subiva una pioggia di colpi di karate che alla ragazza venivano dall'anima, dal corpo e da una rabbia fredda, assassina. Quelli fuori avevano avviato una macchina e Margalida non poté impedire che gli altri uscissero di corsa. Si udì la voce di uno di loro:

“È scappato su una moto!”.

Margalida uscì nel tentativo di inseguirli ma, quando giunse alla spianata, la macchina serpeggiava ormai lungo la strada in cerca di una piccola luce lontana sulla quale cavalcava Albert. Si rigirò furiosa verso Carvalho.

“La pistola! Perché non hai usato la pistola?”

“Non la porto quasi mai.”

“Ma che razza di detective privato sei? In questo gioco, la pistola bisogna portarla. Adesso piglieranno Albert.”

Aveva voglia di piangere e non si trattenne. Carvalho represse il gesto di consolarla, toccandola anche con la punta delle dita. Margalida rientrò a casa e si lasciò cadere a terra. Carvalho si rimase in piedi al suo fianco. Lei guardava le pareti, l’arredo, le comodità disabitate.

“Ho passato settimane a preparargli questo rifugio in modo che si potesse nascondere dal padre. La fattoria era stata dei miei nonni materni ed era quasi abbandonata e ora…”

“Chi erano?”

“Sicari di suo padre. Ne ha un repertorio completo. A volte si serve di quelli di Dalmatius, altre, delle teste rapate. Esiste una specie di agenzia per queste cose.”

“Che senso ha quel che ha detto di Anfrúns?”

“È così difficile da capire? Anfruns è l’uomo che l’onnipotente Pérez i Ruidoms ha infiltrato nel mondo delle sette.”

“È l’omicidio di Alexandre Mata i Delapeu?”

“Albert crede che sia stato deciso da suo padre.”

“Bisogna uscire da qui. Hai con te il cellulare? Qualcuno dovrebbe venire a prenderci.”

“Non mi fido. Possono avere un furgoncino per le intercettazioni da queste parti. Raggiungiamo una vecchia locanda che c’è da queste parti.”

Seguirono la strada percorsa dalla moto e dai suoi inseguitori in cerca di un gruppo di case illuminate in lontananza, a un tratto Margalida vide qualcosa sulla strada che la fece correre. Quando Carvalho la raggiunse, a terra c’era la moto abbattuta, e sentì Margalida che diceva:

“L’hanno preso. È di nuovo nelle grinfie di suo padre”.

Yes continuava sulla linea dei rimproveri lirici e Carvalho non aveva una sua linea per ribattere se non affidarsi al silenzio. Yes era eccessiva nel pessimismo e nell’ottimismo.

Consolati, le stelle non ti vedranno mai ritornare con indifferenza. Me lo hanno detto: Antares, Altair e Aldabaran. A quanto pare, la novità più importante del mio presente sta nell’essere passata dalla tattica alla strategia. Della tattica si dice che è quel che si mette in pratica quando si ha molto da perdere, della strategia che è quel che si fa quando si è già perso tutto.

Non potrò mai costruire nulla insieme a te, tuttavia mi ingegnerò per rimanerti dentro, molto più di quanto tu abbia previsto. Non hai mai saputo che fartene di questa storia, hai paura di crederci, pretendi di poterla ridurre come si fa con un consommé. Non permetterò che tu mi frequenti al punto di ricordare ogni neo e ogni altra piccola imperfezione della pelle, non voglio ritrovarmi nella tua soffitta insieme ai tanti altri giocattoli rotti e messi da parte. Cerchi sempre le situazioni piacevoli, che ti portino a sorridere, fai in modo che il gesto sostituisca il sentimento, secondo la credenza che il ciglio aggrottato mette di cattivo umore e il sorriso riesce a renderti felice. Intanto aspiri, in fondo al cuore, di verificare ancora una volta che si è solo trattato di un abbaglio e che per questo viaggio puoi partire senza portarti niente appresso. Sai già qualcosa di me che corregge l’impressione avuta vent’anni fa, e so di non dispiacerti. Questo è stato ben più di quanto potessi mai immaginare, ma è assai meno di quanto voglio.

Me ne vado, su due piedi.

Affonderò questa zattera che avrebbe dovuto condurci in un mondo nuovo e felice. L'avevo scioccamente costruita pensando che ti avrebbe salvato, risparmiato dal vivere in un grattacielo nell’isola di Manhattan e che ti avrebbe portato… sotto un ponte dell’Isola Stravaganza, ti vien quasi da ridere, lo capisco. Mentre sai ancora di poter scoprire molte cose interessanti; non solo, mentre sei ancora interessato a farlo. Mentre ancora cerchi, o inventi, riferimenti a noi comuni. Mentre ancora ti ritrovi talvolta a canticchiare, e questo grazie alla carica di gioia che ti ho regalato. Mentre ancora credi che sono una peculiare combinazione di bianco e nero; quando sentire un bolero, questo bolero; ancora adesso è capace di turbarti nel profondo.

Aspetta, la nave dell’oblio non è ancora partita

non condanniamo al naufragio quanto abbiamo vissuto.

Ammettilo, è una strategia perfetta, perché anche se naturalmente supererai tutto quanto, non mi avrai consumata, nella tua memoria sarò intatta. Tutti i boleri ti porteranno a me, e il bolero è sempre stato il percorso più breve tra due esseri umani. Tu sarai con me come lo sei sempre stato e né nulla né nessuno mi toglierà l’estasi di sapere che non sei stato soltanto un sogno.

A nessuno di noi due resta tanto tempo, l’ho sempre saputo e ho sempre vissuto come se stessi per morire l’indomani. E il modo più sincero, onesto e preciso in cui si può vivere, per se stessi e per gli altri; né io devo perdere tempo, né nessun altro deve farlo a causa mia. Ho agito di conseguenza, ho accettato tutti i rischi, in tutto e con tutto ho agito con rapidità, forse troppa, mi si rimprovera una simile precipitazione, a quanto pare non sapere a quale scopo lo faccio è più importante che sapere perché lo faccio; in questo calcolo non sono stata molto intelligente eppure… sembra incredibile, mi dicono. Chi me lo dice? Gli occhi di mio marito che hanno intuito tutto e la bocca di mia madre che non smette di rimproverarmi la mia follia. Dice che hai i suoi anni. Mi chiede che cosa mi potessi aspettare da un uomo della sua età. Mia madre ha concepito l’assurdo progetto di parlare con te; di chiederti di lasciarmi, come se tu avessi ancora la testa sulle spalle e io non l’avessi irrimediabilmente persa. Non sono riuscita a dissuaderla. Preparati, quindi, al peggio.

Io non sono perfetta ma sono tuttavia autentica, chi ha un rapporto con me ha sempre la garanzia di trovarsi davanti all’originale e dal vivo, non sono una foto con dedica che rispecchia l'immagine di un attimo congelato. Non ho nulla da rimproverarle, perfino adesso tutto quel che dice e fa non è che la dimostrazione del suo ostinarsi a non volermi perdere, nella falsa coscienza che la porta a credere che io non l’abbia mai sentita come una madre. Un giorno capirà che la faccenda non è nelle sue mani e nemmeno nelle mie.

Mi piace sempre più l’idea di fare un picnic con te.

Il biglietto con cui la vedova Stuart-Pedrell gli fissava un appuntamento lo colse come una multa annunciata. La sua prima reazione fu di stracciarlo e di scriverle qualche riga raccomandandole di rinchiudere la figlia in un riformatorio tenuto dalle suore o di andare a prenderla tutti i giorni all’uscita dal lavoro per riportarla dritta a casa. Ma l’attirava anche l’idea di recitare la parte del vampiro invecchiato che incombe sulla tenera gola di una ricca ereditiera e vive l’esperienza di discutere il futuro della malcapitata con la madre protettiva. Yes restava fuori gioco, si trattava soltanto di tentare le carni e i neuroni della signora vedova. Accettò la sfida non per entrare in merito sull’assennatezza o meno della sua relazione con Yes, ma per la curiosità di riconoscere o disconoscere per sempre una donna che, gli pareva di ricordare, somigliava a Jeanne Moreau. Dai bei tempi della sua prima gioventù erano passati quarant’anni o quasi, e meno male che dall’ultima conversazione con la vedova Stuart-Pedrell ne erano passati soltanto venti. Ricorda la proposta della vedova allegra: Non è mai stato nei mari del Sud? Mi accompagna? Voglio fare un viaggio nei mari del Sud. Allora, la donna gli ricordava l’attrice francese e gli sembrava morbosamente più vecchia Jeanne Moreau, con le sue occhiaie patriottiche e le sue labbra extracorporee, un corpo inserito in un altro corpo, quanto di più provocante in un insieme già di per sé provocante. Ma le disse di no, non voleva andare nei mari del Sud insieme a lei, anche se del tutto spesato. La casa continuava a essere una protagonista in cima al quartiere di Pedralbes, il parco-giardino era ancora uno dei migliori parchi-giardino che avesse mai visto, soltanto il maggiordomo multiuso era cambiato e diversi domestici asiatici evidenziavano quanto la globalizzazione fosse utile ad abbassare i costi del servizio. Non che la vedova fosse invecchiata male, ma era invecchiata e la cosa risultava particolarmente visibile nel lifting disperato che l’aveva dotata di guance da bambola, rimpicciolito gli occhi e ridotto le poderose labbra, ora simili a una fessura gonfia di collagene, non meno drammatica dell'opacità acquistata dagli occhi. Non era mai stata gentile e continuava a non esserlo.

“Sa perché l’ho fatta venire?”

“Qualche delitto in famiglia o negli affari? Non ci sono più imprenditori con sensi di colpa come ai tempi di suo marito. Nel 1978 potevano credere di dover chiedere perdono per la loro adesione al franchismo. Adesso hanno il morale alto. Il mondo è loro.” “Me l’aspettavo. Lei è sgradevole, come sempre. Non le farò perdere tempo. Vent’anni fa le avevo consigliato di lasciare in pace mia figlia.”

“Lo disse in modo più delicato. Mi spiegò che Yes cercava un padre sostitutivo di quello morto e io le diedi ragione. Le dissi quasi testualmente che non ero ancora arrivato a quell’età in cui la pedofilia si maschera con la voglia di ringiovanire o viceversa. Lei non sapeva che mi ero già tolto di torno la ragazza e l’avevo spedita a Katmandu.”

La vedova lo accusò con un dito affilato quanto il suo sguardo. “E quindi fu lei a indurla a commettere una simile pazzia! Che cosa vuole, adesso? Mandare all’aria il matrimonio, la famiglia, l’azienda? Suo marito è al corrente di tutto e ne è distrutto. Adesso lei è già abbastanza vecchio per fare il vampiro credendo che un po’ di sangue giovane la possa ringiovanire.”

“Sua figlia è una donna sulla quarantina. No. Non ho più il complesso del vampiro, ma so di avere gli anni che ho, perfino di essere meno giovane ogni giorno che passa, anche se non accetto la parola vecchio e non mi piacciono gli impegni assoluti.” “Quanto?”

La vedova si era avvicinata allo stesso mobile da cui aveva preso l’assegno per pagare l'indagine sul caso del marito morto.

Carvalho le voltò le spalle e se ne andò sputando:

“Lei è una cretina”.

Ormai in giardino cercò una siepe e, davanti alla sorpresa orientalmente dissimulata di un domestico filippino, si abbassò la cerniera e pisciò su una siepe di mirto, mentre con la coda dell’occhio verificava se la vedova lo stesse spiando dietro le tendine della stanza al primo piano. Lo aspettava una sfilza di acquisti allettanti: un cesto da picnic da Vincon con coppe da champagne incluse, caviale, blinis, salmone marinato e champagne francese da Semon, dove s’incapricciò anche per una bottiglia di Gevrey Chambertin, un vino eccellente per picnic adulterini. Aspettava che Yes portasse parte sostanziale dell’attrezzatura, infatti aveva con sé un plaid, posate d’argento, bicchieri di cristallo di rocca, una tovaglia per un picnic da Far West e una collezione completa di dolciumi. Portò se stessa, come illuminata da una lunga veglia delle armi che stava per consegnare. Era bella e colpevole.

“Non temi che la misteriosa spia che spedisce lettere anonime ci possa vedere?”

“Dev’essere un pretendente rifiutato. Ne ho a migliaia.” Carvalho pensò che le lettere anonime non erano mai esistite. Tra tutti gli itinerari possibili, Carvalho aveva scartato i dintorni della città e infilò l’autostrada di Manresa in cerca del Parco Nazionale di Sant Llorenç, quanto di più simile a un paesaggio da Far West domestico, rocce rosse e vegetazione mediterranea, simile a un portale alto sul Vallés e aperto sul Bages. Come in una rappresentazione teatrale in cui una coppia cerca di appartarsi, lasciarono la macchina parcheggiata a un ingresso del bosco e vi si inoltrarono fino a trovare uno spiazzo protetto dagli alberi e reso soffice dagli aghi di pino e dalle foglie morte. Fu Yes a dispiegare la tovaglia e il plaid e a trasformare il posto in una camera da letto non meno proibita della sala da pranzo, e fu Yes a impadronirsi del brindisi e delle labbra del detective, ad abbandonarsi tra le sue braccia come se cercasse la porta del petto di Carvalho che l'avrebbe guidata nelle tenebre interiori che tanto la spaventavano, fu Yes a possederlo come si percorre la distanza più breve tra due punti, senza dare a se stessa tempo per provare pudore, vergogna, rimorso, concedendosi senza alcuna riserva né possibilità di ritorno. Aveva smesso di essere la ragazza color dell’oro, luminosa e innocente, la mitomane che nutre per vent’anni un’ossessione per il primo uomo con cui era finita a letto, incapace di ricordare gli adolescenti sensibili che le avevano insegnato a sniffare cocaina e a perdere la verginità in una sveltina. Adesso era una donna senza passato e senza cognomi, un’estranea propizia allargata nel bosco su un plaid scozzese, sul viso il dubbio della sua stessa presenza, su quanto fosse giusta questa resa, un seno all’aria, l’altro coperto, senza mutande, negli occhi la disperata richiesta che almeno gli occhi, se non le labbra, di Carvalho, le parlassero di amore. Carvalho contemplava le nudità selettive, precise, color avorio o violacee, lisce o anche fessure che divennero ferite rese livide dallo sfregamento dei corpi e dal freddo, quel sesso lilla che sembrava le labbra di Jeanne Moreau, che gli ricordava stupidamente la faccia della madre di Yes. Carvalho chiuse gli occhi per evitare l’associazione e coprì il corpo della donna con il plaid, come a proteggerlo e a restituirgli l’identità perduta. Abbracciò quel fagotto pieno di umanità, lo cullò, era sul punto di dire ti amo come ci si lancia nel vuoto, ma pensò che in fondo a quell’abisso era già tracciata la figura della vittima. Era la sua. Quando Yes riuscì a tirar fuori la testa spettinata dal plaid aveva un'espressione così felice che Carvalho temette di avere esagerato, quindi si alzò e si accese un sigaro Rey del Mundo davanti a un precipizio che dominava la strada in salita, e finse di distrarsi osservando il passaggio di auto e camion, non troppo frequente, in lontananza, adatto a un universo che non aveva nulla a che vedere con quello abitato da lui e da Yes. Canticchiava una canzone: soltanto una volta si concede l’anima / con dolce e totale rinuncia / e quando questo miracolo / compie il prodigio di amarsi / ci sono campane a festa / che mi cantano nel cuore.

Le braccia di lei lo avvolsero da dietro.

“A cosa pensi? Cosa canticchi?”

“Ricordavo un film che ho visto l’altro giorno in televisione.”

“Un giallo?”

“No. Un film più o meno d’amore. Si chiama Nelly e monsieur Arnaud.”

“Che strano titolo.”

“Nelly è una ragazza e il signor Arnaud è proprio questo, un signore di una certa età. Lei gli dà una mano come dattilografa ribattendogli un testo e lui se ne innamora, lei prova attrazione per lui, ma sono entrambi consapevoli di non potersi amare per via della differenza di età, di mondi, di codici.”

“Finisce male?”

“Dipende dal punto di vista. Si separano con l’inquietudine di sapere che forse non si erano detti quel che tutti e due volevano sentire.”

Finalmente ho visto Nelly e monsieur Arnaud, davvero un bel film, inquietante e, per via di certe coincidenze, sorprendente. Lui è talmente ermetico, intenso, programmato e calcolatore, attaccato sia alle sue fantasticherie sia alle sue abitudini, mondano, distinto, saggio ma fragile, proprio per tutte queste ragioni: non può fare a meno di essere vigliacco - e quindi: prudente - proprio come te. E lei ha bisogno sempre di far coincidere, a qualsiasi costo, il sogno con la realtà. Fa che le cose accadano subito, proprio come ha immaginato debbano essere; è una ragazza laboriosa e attraente; è saggia ma forte, proprio per questo: non può fare a meno di essere coraggiosa, come me.

Il film crea una situazione equilibrata: lui ha una certa età ma oltre a essere uomo (ancora oggi esserlo è un privilegio) ha una solida posizione e lei, pur essendo giovane, e per di più donna (ancora oggi esserlo è una zavorra) si trova in una situazione precaria. Non è questo il nostro caso. O ti terrorizza l’idea che io sia relativamente ricca e tu assolutamente povero?

Nelly e monsieur Amaud sono quelli che sono, perché sono così; se uno è prudente lo è in ogni contingenza, se è giovane perché si sente insicuro, se è anziano perché non ha più tempo davanti, se ha molto perché teme di perderlo, se ha poco per paura di avere ancora di meno. Al coraggioso accade lo stesso, se è giovane l’inesperienza lo porta a situazioni temerarie, se è anziano agisce allo stesso modo pensando di dover vivere al massimo ciò che gli resta da vivere, se ha molto perché così avrà le cose più facili e se ha poco perché tanto ha poco da perdere.

Le due scene finali sottolineano la sola cosa che hanno in comune, che tutti e due sono saggi, che sono soli e sanno che a un certo punto l'uno si era visto negli occhi dell’altro. Non sto inventandomi un cast, non mi censuro comunque. Sapevo già di te, ed ero sedotta dalla tua personalità. Mi seduce. Sei l’uomo della mia vita. Sì, lo so, e adesso che succede? È facile, andrai avanti da solo come hai sempre fatto, questa volta senza un cadavere da strangolare. Ma, senz’altro, noterai di tanto in tanto che la solitudine cresce in te come un valzer, lo stesso che ha cominciato a suonare per me. Come sta diventando strana questa storia. Sono completamente sconcertata, nessun sistema di equazioni mi spiega tutto questo e ancor meno me lo risolve; il fatto più grave non è che la mia ragione non trovi argomenti per risolvere le incognite anche se mi inquieta parecchio - il peggio sta nel senso di vuoto, in questa tristezza ricorrente e finora sconosciuta, che sono diventati la mia ombra. Intendo riempire la mia agenda di attività, cose da fare, impegni, non so se per far traboccare il vaso con qualcosa di estremo, di davvero estremo, qualcosa che mi aiuti a vedere con chiarezza che esiste una sola cosa peggiore dello stare con te: stare senza di te; o per dare alla vita l’occasione di distrarre la mia attenzione, di sollevarmi, mettere a tacere questa frustrazione, non so come né con quale mezzo: purché sia.

Non sai di quanto coraggio io necessiti per dire, in tutta sincerità: ti amo! e insieme sottrarmi alla possibilità di materializzare i miei sogni, non lo immagini nemmeno remotamente. Non potresti compiere per me un atto di solidarietà simile alla descrizione della paura, della solitudine che provo nel leggere certi romanzi scritti da coloro che le hanno vissute.

Ti chiederei un atto di solidarietà come… non saprei, dire qualcosa che mi consoli, qualcosa da cui sentirmi cullata, forse amata, come ho potuto sentire il giorno del picnic (ma forse pretendo troppo, diciamo desiderata, no?); insomma… dimentica tutto, me la caverò da sola. Per una volta nella vita mi spiace non suscitare compassione, a quanto pare questo sentimento è il sintomo dell’innamoramento, sempre che si tratti di una donna in carne e ossa, del resto anche se il postino non suona sempre due volte, non mi è arrivata nemmeno una lettera - divina - che mi faccia toccare il cielo con un dito; quanto alla lettera, lo so che è più che un sintomo di innamoramento, sì tratterebbe di una dichiarazione in piena regola. Innamorarmi di te è la cosa più solitaria che io abbia mai fatto nella vita.

E il Natale è alle porte, la fine dell’anno e quella del secolo e quel la del millennio.

Buone feste!

Aveva ancora l’ultima lettera davanti agli occhi della memoria mentre vedeva Yes, Yes in persona, entrare nel giardino della sua casa a Vallvidrera, la ritrovava lì dopo vent’anni con un sorriso che rivelava una conversazione segreta tra sé e sé. Tra il primo bacio, la prima frase spezzata da un altro bacio e la nudità totale sul letto rimandato tanto a lungo, non passarono che pochi minuti, minuti tuttavia più lunghi di quelli normali. E fu lei a prendere l'iniziativa, disposta a dimostrare a se stessa di cosa era capace, per restare poi meditativa ma sorridente a guardare il soffitto, talvolta Carvalho, che non voleva pensare a nulla, perché il suo sentimento era soprattutto di gratitudine.

“Sarebbe meraviglioso. O tutto o niente. Ma, lo immagini questo tutto? Ricordi le descrizioni del Paradiso? Dicevano che lì non avremmo avuto bisogno di nulla, che ci sarebbe bastata la contemplazione di Dio. Giorno dopo giorno, tutti i giorni. Tu e io. Di cos’altro avremmo bisogno?”

L’espressione di Yes gli sembrava non meno propizia del corpo di lei disteso tra le lenzuola. Gli accarezzava la nuca con le dita mentre parlava e contemplava il futuro che costruiva in mente come se facesse già parte della stanza.

“Rompiamo con tutto. Io sono disposta a mollare tutto. Adesso. Chiedimelo adesso. Oggi. Alle sette e dieci, telefono a casa e dico: Non torno. È quel che farei. Lo faccio? No. Non ingannarmi di nuovo. Non spedirmi di nuovo a Katmandu con un altro.”

“Quella Katmandu non esiste più. Probabilmente non esisteva nemmeno allora.”

“O tutto o niente, José.”

José era lui, recuperato con un nome che solo sua madre aveva adoperato dall’inizio alla fine di una conoscenza insufficiente. Pepe, mai. José! La madre vestita. José. José! Ora la madre nuda allatta un uomo più che responsabile della sua faccia e dei suoi molti anni. Gli ricordava la sequenza finale di Furore, di Steinbeck, quando la giovane con i seni gonfi allatta un povero vecchio moribondo e affamato. O tutto o niente. Ricomporre la sua vita dall’alba fino al tramonto per tutti gli anni rimastigli da vivere, costretto a una capacità di autoinganno in grado di aiutarlo nei momenti di terrore, quando lo specchio gli avrebbe rimandato un’immagine decrepita e i dottori l’avrebbero braccato come si fa solo con i corpi vinti in attesa della sentenza finale. Troppo autoinganno necessario per coabitare con la propria salute, quella catastrofe a lungo annunciata che aspettava la sua grande occasione per distruggerlo e praticare esternamente le cortesie sufficienti per attraversare i deserti gelidi di una famiglia amputata: la mamma se n’è andata con un vecchio e rozzo annusapatte e adesso pretende che passiamo il Natale insieme. Il Natale insieme a dei ragazzi feriti fino alla crudeltà e all’odio. Lei sottoposta alla felicità temporanea di usufruire della pazienza di Carvalho e Biscuter, forse anche di Fuster, ma non di Charo, che senza dubbio lui non avrebbe più rivisto. Per Yes, poco cielo per tanta eternità, perché forse nemmeno la vertigine di una simile felicità avrebbe accelerato la morte di Carvalho, ma avrebbe al contrario allungato la sua non-vita facendolo diventare con il tempo un amante insopportabile e tuttavia sopportato. Le peggiori grinze, quelle del sesso e del carisma. Il carisma dei vecchi si raggrinza a tal punto che o diventano orribili a se stessi o invisibili agli altri. E non dirmi che l’amore supera ogni ostacolo e che basta la gioia a occupare un unico spazio, come si occupa l’identità, perché la letteratura ti ha resa forte, Yes, parli con proprietà, ma non possiedi le parole. Sono sempre le parole a possederci, Yes. Una mattina, dopo tre mesi, un anno, due, ti metteresti a calcolare i vantaggi e gli svantaggi e capiresti che sono riuscito a sostituire il nulla con il tutto paventato. Scopriresti di vivere insieme a un uomo senza liquidazione e senza pensione, senza un mestiere credibile in mano, al quale non gli si alza quando è necessario e che da un giorno all’altro avrà bisogno di una sonda per pisciare senza dar fastidio al prossimo, e quel giorno i suoi silenzi non ti sembreranno più misteriosi ma idioti e non sorbiresti più le sue parole bavose con la cannuccia del fruitore lento, ma te le cancelleresti dalle orecchie come una sostanza appiccicosa che non ti lascia sentire ciò che vuoi sentire. Se avessi tanti soldi, Yes, mi comprerei un'enorme residenza, ci circonderemmo di domestici che mi aiuterebbero a invecchiare per non esserti di peso. Metterei perfino degli ascensori dal letto alla piscina coperta, dove i massaggiatori aiuterebbero la circolazione del mio cattivo sangue. E avrei sedie a rotelle con chip intelligentissimi che mi imboccherebbero le pappine con pazienza da dannati della terra, costretti a curare vecchi ricchi e mi pulirebbero il culo quando non fossi più in grado di controllare lo sfintere e, nel frattempo, emetterebbero qualche melodia di prestigio ma appiccicosa, qualcosa di Brahms, per esempio, il leitmotiv di Aimez-vous Brahms? Quanti vecchi cagoni hai visto, Yes? Passato un tempo, quando la mia decadenza si sarà ormai compiuta, ti lascerò avere qualche amante giovane e discreto, qualcosa come un nipote incestuoso; ricordo il cinema degli anni sessanta, quando i registi d’avanguardia sperimentavano i limiti della condotta e simili problemi erano abituali, con molto contrappunto, molto contesto, molto silenzio. Io potrei recitare la parte di John Gielgud in Providence, un intelligentissimo vecchio che sta morendo di cancro al culo mentre si beve i migliori vini bianchi e le donne si sentono ancora attratte dalla sua capacità di ricordare e di associare il ricordo alla vita, come se questo fosse vivere e non gettare briciole di memoria morta agli uccelli più avidi, o ai più indifesi o ai più costretti a darti ascolto. Ma, quando mi si saranno asciugati i neuroni del detective privato, non riuscirò più nemmeno a guadagnarmi da vivere.

“Non mi dici niente? Il mio sogno, non ti è piaciuto?”

“Non ho mai creduto che la contemplazione di Dio per tutta l’eternità fosse un avvenire minimamente tollerabile.”

Yes diede un pugno prima alle lenzuola, poi sul torace di Carvalho.

“Nemmeno oggi puoi impegnarti con le parole? Non dici mai nulla in cui possa credere un essere umano.”

A Carvalho, angoscia e saliva salivano fino alle labbra, e riuscì soltanto a dire:

“Ti amo”.

Ma rifiutò l’abbraccio che portava all’ipotesi e si alzò per chiudersi in bagno e guardare allo specchio la faccia di un cretino generoso che aveva appena salvato da se stessa la protagonista del film condannandosi insieme a non vivere un’altra vita. Forse per questo finse di non notare che Yes gli chiedeva un bacio quando la lasciò alla fermata dei taxi, con la testa rivolta verso un problema di traffico che soltanto lui vedeva.

Ma prima di uscire di casa e di chiudere una mattina che avrebbe potuto definire addirittura felice, era andato in biblioteca e individuata una vecchia edizione di Furore l’aveva bruciata nel caminetto, senza riuscire a evitare di guardare di tanto in tanto, quasi di nascosto, il poderoso seno di Yes.

La rottura della sua linea di condotta aveva bisogno di continuo di plasma che non lo rendesse consapevole e quel plasma erano i frequenti messaggi di Yes e le non meno imperiose telefonate di Charo, mentre Biscuter soffriva in silenzio quell'aggressiva indifferenza verso tutto ciò che non fossero i fax pieni di rimproveri per la vigliaccheria del detective o di canzoni esaltate che cercavano di ricomporre un ballo ripreso da poco. A Yes le canzoni piacevano tantissimo.

bossanova nel tuo sguardo

bossanova nelle tue parole

bossanova accanto a te

può darsi che tu mi ricordi

ogni giorno e sempre più…

Questo suono, ritmo e lento che intono di tanto in tanto, è come una valvola di scappamento, geiser o fumarola, dell’anima mia. Quando la pressione interna minaccia di farmi scoppiare, allora: bossanova nel tuo sguardo. È possibile che quanto ho vissuto non sia niente (ricordi? l’espressione è tua: a te non è mai successo niente), in ogni caso deve essere stato inutile perché a me ora non serve a niente di utile. Eppure… so tutto. Lei, lei che vive e regna, nel tuo cuore, Charo, lo sa? Lo so comunque io, e senza essere mossa da alcunché con carattere sublimale - almeno questo credo - hai anche la mia solidarietà. Non essere triste, anche se l’unica canzone che mi viene in mente è:

Che notti nere per la prigione,

piangono i lucchetti

batte il cuore.

Non essere triste, perché quando sei triste diventi bellissimo, Orso delle Caverne.

Talvolta le veniva una poesia a scaletta.

Stupida e anfibia

sbattuta in un mare

geometrico di gesti,

comuni, dispari e definitivi.

Azzurri, azzurri, azzurri gesti

scalini, tratti, pezzi del percorso.

O lo copriva di rimproveri, che Carvalho viveva come baci.

Tu sei l'unico capace di starsene in silenzio a sgranare l'anima; a incassare le tasse; con artigianale e astuto graffio; aristotelico ed esatto; incappucciato e crudele; lento e dis-unghiato accarezzatore. Superstite di tutto. Che fantastica intuizione è stata quella di chiamarti Orso delle Caverne: onnivoro, solitario, ibernato ma attento al pericolo, leccatore imperativo, caldo e feroce, feroce. Al lupo! Al lupo! Al lupo! Indubbiamente, ormai hanno ragione i giorni lavorativi e si scopre che quelli festivi sono un rimando inutile, una falsificazione del sognato ottavo giorno della settimana.

Adolescente o semi-adulto, hai cercato quell’ottavo giorno guidato dalla malinconia di un magnifico e ubriaco scrittore polacco, Mark Hasklo, a proposito, mai riabilitato né da Wojtyla né dalla Cia. Può darsi che l’ottavo giorno della settimana non sia che una sera, un incontro, un’assenza morbosa, quell’istante che diverrà petalo mummificato tra le pagine-muro della vecchia casa della propria memoria. Questo romanzo. La memoria.

In solitudine ormai davanti all’anno 2000, montagna di secondi, bisognerà trovare un senso prima che sia il tempo a segnare la nostra intenzione di vita e l’ipoteca della storia.

Nemmeno l’anno 2000 sarà l’ottavo giorno della settimana, lo subodorano le viscere dell’intuizione di chi questo scrive, sei stato avvertito, Orso delle Caverne. Buon anno 2000! A rischio di essere ingiusta con quanti mi circondano, il 6 gennaio, giorno dei Re Magi, vorrei ricevere il regalo più inatteso, impressionante, commovente, tu per me, tutto per me, mio soltanto, mio, mio. Sei un Edonista puro che consapevolmente sceglie - setaccia - nel sacco del piacere, scegliendo che cosa, chi, quando, come, dove. Sei come un padrone di appartamenti che affitta a chi paga meglio, hai certi squatter… una abbastanza insubordinata, quella donna che ha la sfacciataggine di lasciarsi andare su una sdraio davanti agli occhi di tutti nel tuo salotto, e che trovi anche nella minestra, sta eccedendo parecchio: lo supererai! Dimmi, che ne sarebbe di te se non ti amassi tanto?

Certamente, che ne sarebbe di te, Pepe Carvalho, se Yes non ti amasse tanto, se Charo non ti amasse tanto, se Biscuter non dipendesse tanto da te. Ma era soprattutto l’amore di Yes a rivitalizzarlo con tanta forza da doverlo ostacolare con una spropositata paura del fallimento e del ridicolo.

Sai cosa? Ho una voglia folle di vederti.

Ho pensato di discutere con te di tre o quattro faccende - non importa quali - per cominciare. Ti immagino canticchiare qualcosa, lo fai spesso? Se è così, mi piacerebbe pensare che, almeno ora, il repertorio è più romantico.

Quando ero bambina mi insegnarono che un punto di domanda era un segno che richiedeva una risposta. Rispondi alla domanda precedente e poi alla successiva. Lo so che non potremo mai vivere insieme, ma potremmo scrivere qualcosa insieme: che te ne pare di una canzone d’amore? Per quanto ti ostini, non tornerai mai a casa. Io so quel che dico e so che tu mi capisci.

Sospetto che ti senta spinto a provare un innamoramento di qualche tipo nei miei confronti, e la cosa mi preoccupa. Ti spiego, per te non sono il motore dei tuoi pensieri, sogni, illusioni… sono qualcosa di altrettanto positivo (non sto facendo giudizi di valore) ma di diverso: qualcuno di nuovo, lusinghiero, rinfrescante, può darsi che addirittura io sia ingegnosa, carina. La svolta presa dalle tue espressioni, quando mi riguardano, mi fa ricordare l’aforisma: “Le donne per scopare hanno bisogno di innamorarsi. Gli uomini, se ce n’è bisogno, per poter scopare si innamorano… ”.

Sto rivedendo tutto, tutto quel che credevo e praticavo, nei miei rapporti di coppia; alla mia usura personale, anche se non intenzionalmente, sto aggiungendo quella altrui. Può darsi che ciò sia dovuto alla pelle che sto perdendo per strada, non mi sento colpevole, anche se non smetto mai di sentimi responsabile. Ho fatto di Mauricio qualcosa di più di mio marito. E così da quando accettò quel dannato invito a Katmandu.

Come avrei potuto immaginare tutto questo, che cosa mi sedusse, perché si ha nostalgia di qualcuno mai avuto prima, come mai ne conosci le paure, le sue (a mio parere) meravigliose illusioni, tanto puerili quanto passeggere (a tuo parere). Ti vedo come un essere complesso e antiagonico.

Nota: Conviene sapere che i piccioni viaggiatori non sanno andare da nessuna parte, conoscono solo la via del ritorno.

Davanti allo specchio mentre mi provavo camicie da notte, pigiami, tuniche, clamidi, chimoni, gellabe e altri stracci; con la sola e affannata intenzione di farmi bella per te, sei stato molto generoso. Ti sei limitato ad approvare quando li indossavo e quando me li levavo; infine mi hai consigliato un pigiama carino, con la fantasia in forte contrasto e di taglio maschile. Mi hai allacciato dal primo all’ultimo bottone.

Capisci? Tu assisti a tutti i momenti della mia vita e ti vedo perfino nella lattuga che sfoglio, non arrabbiarti, perché tu sei quanto vorrei toccare e dove vorrei essere. Questi momenti che condiziono o riesco a rubare sono diventati lo scopo della mia giornata, poi trascino i piedi in un’altra realtà (devo trascinarli per appartarmi da te) e quando raggiungo Mauricio e i ragazzi li coccolo come se fossi appena tornata da un viaggio, cerco di ripagarli della mia assenza ma ben presto si rende evidente che non sono ancora arrivata e me ne sto già andando.

Non sarebbe mai tornato a casa. Forse Yes disegnava la casa che li avrebbe resi possibili come coppia, quella che avevano edificato nel bosco o nello spettacolo pomeridiano di un letto che serbava memoria di loro. O si riferiva alla quotidianità, alla sofisticata quotidianità di un detective, personaggio di frontiera e voyeur che non doveva mai diventare materia di osservazione. Oppure non tornare a casa era una dannazione più totale, più essenziale, qualcosa di simile a piccole sensazioni, anticipazioni del grande fallimento finale.

Per il momento decise di non rispondere ancora alle lettere di Yes e di rispondere al telefono la prossima volta che Charo lo avrebbe chiamato.

La voce di Charo, piagnucolosa.

“Ma dove ti eri cacciato? Nessuno sapeva darmi tue notizie. Come se ti avesse ingoiato la terra. Pepe, vita mia. Ce l’hanno con Quimet! È distrutto. Lo sai. I telefoni.”

Che cosa sapeva dei telefoni? Che erano intercettati. Non poteva quindi che accendere la radio, la quale ripeteva monotona notizie dalle sei del mattino e in questo caso erano le emittenti in lingua catalana a spiegare meglio l’accaduto. Erano state trovate le prove dell’implicazione del finanziere Joaquim Rigalt i Mataplana in un finanziamento illegale di partiti politici e nell’organizzazione di trame illegali con propositi di prevaricazione. Quindi, la lotta per il post-potere si radicalizzava e, a detta della radio, il presidente Pujol aveva dichiarato che Rigalt i Mataplana non aveva nulla a che vedere con le strutture amministrative del governo autonomistico, ma che sul piano personale era suo amico da oltre cinquant'anni, un’amicizia al di sopra di ogni contingenza e che tuttavia non doveva avere alcun effetto sulla vita politica catalana. Rigalt i Mataplana non deteneva alcuna carica ufficiale. Senza notizie quindi sul sistema adoperato per abbattere il personaggio, Carvalho rimase in ufficio finché verso metà mattina ricevette la chiamata dell’ispettore Lifante. Lo voleva incontrare in Questura centrale ma, se preferiva, poteva mandargli qualche ispettore che l’avrebbe accompagnato sul posto. Carvalho preferì camminare e salire le scale della Questura con la pressione sotto controllo, nell’evidenza che in quel palazzo ormai si poteva entrare e uscire senza che ti mettessero le manette o le mani addosso. Lifante si aggirava per gli uffici e trascurava Carvalho sperando che il detective si preoccupasse. Si chiuse nel suo ufficio e Carvalho vide passare un cameriere con un vassoio, dove ballava un vermut rosso con il seltz e un piatto di olive. Il cameriere si infilò nella tana di Lifante. Calcolò il tempo necessario per far fuori una dozzina di olive, quello ritenuto necessario prima di essere ammesso, ma tutto dipendeva dalla volontà masticatoria dell'ispettore. Poteva anche darsi che fosse un teologo dell'alimentazione, uno di quelli che masticano trentaquattro volte un’oliva o un chicco di riso. Non doveva sbagliarsi del tutto se la porta tardò un'ora ad aprirsi, e fu allora che Lifante lo invitò a entrare. Su una scrivania, il bicchiere e il piatto vuoti.

“Sento odore di vermut. Adoro il vermut con seltz e olive.”

“Ne ho appena preso uno.”

“Si sente nell’aria.”

“Ne ordino un altro per lei.”.

“Vorrei tanto anche un piattino di acciughe.”

Senza battere ciglio, Lifante fece l’ordinazione per telefono e Carvalho rimase alla sua mercé.

“Le cose cominciano bene, Carvalho, e spero che continuino così. Avanti. Mi spieghi tutto.”

“Comincio da Adamo ed Eva? Non ho mai creduto alla storia della mela. Delle due una, o è vera o è la metafora della necessità di uccidere per sopravvivere, cioè l’origine dell’alibi della cucina, soprattutto della nouvelle cuisine.”

“Finisce che la lascio senza vermut.”

“Mi è capitato di peggio.”

“Lo sa da dove sono uscite le carte che incriminano Rigalt i Mataplana? Dal caso degli slavi che avevano ucciso Mata i Delapeu. No. Non sono state trovate durante la perquisizione del domicilio dove si erano trincerati, ma da un’indagine successiva. A un tratto ci sono arrivati tra le mani dei documenti che incriminavano Rigalt i Mataplana per una faccenda di riscossione di tangenti per il partito al governo della Generalitat e indirettamente vediamo implicato Rigalt nel finanziamento di trame nazionaliste illegali. Che ne sa di tutto questo?”

“Non la commuove tutta questa voglia di chiarire?”

“Non sono nato ieri, Carvalho. Mi hanno servito le prove su un vassoio d’argento.”

“Allora, perché ha diffuso subito la notizia dell’implicazione di Rigalt?”

Lifante scagliò un pugno sulla scrivania, si mise in piedi e gridò a Carvalho dall’alto della sua statura.

“Non offenda la mia intelligenza! Chi è che controlla il flusso dell’informazione? Nessuno sa chi sia stato a passare la notizia stamattina stessa, prestissimo, a tutte le stazioni radio. L'informazione su Rigalt mi è giunta a un tratto mentre seguivamo la traccia che ci aveva portato ai sicari slavi. Diciamo che si tratta di documenti individuati in un centro di informazione. Così, improvvisamente, zacchete, il dossier Rigalt i Mataplana. Allora ho cominciato a fare le mie deduzioni. Lei si presenta sulla scena dell’assedio all’appartamento degli slavi, lei appare in venti rapporti sugli andirivieni di Rigalt i Mataplana, la sua ragazza, Charo, è una protetta di Rigalt i Mataplana. Carvalho, non sono cretino. Le chiedo chi è che tira le fila. E lei, chi la muove?”

Carvalho si strinse nelle spalle. Noi non ci muoviamo, siamo mossi. Da dove gli arrivava questa frase? Da quando credeva nella cultura e in modo del tutto particolare in Beckett: “Questo non è muoversi, questo è essere mosso”.

“A chi giovano questi delitti? Vuole che sia io a tirare le fila? Forse lei, Lifante, ha la soluzione più vicina di quanto non creda. Io in questa faccenda dei nazionalismi mi muovo come un'anatra sull’Everest, ma pratico la deduzione o l’induzione. La scomparsa politica di Rigalt i Mataplana lascia il presidente della Generalitat sguarnito e questo mentre stanno per accadere fatti importanti.” “Si riferisce all’incontro dei capi dell’informazione delle Nazioni senza Stato o a un altro incontro? Quella dei Popoli senza Stato o Stati senza Popolo o come si chiama questa coglionata, non si terrà. Glielo posso assicurare.”

Lifante aveva scoperto la metà delle sue carte, ma ne teneva in serbo l’altra metà.

“Troppi incontri per questa città. Lo temevo. In occasione dei Giochi olimpici hanno costruito un immenso teatro e ora non sempre trovano lo spettacolo adatto da rappresentarci.”

“Carvalho, né l’incontro dei capi dell’informazione dei Popoli senza Stato, né quella di Región Plus dovevano aver luogo a Barcellona.”

“Di una cosa sono sicuro, che di tutto questo il governo spagnolo ne era al corrente, come quello francese, italiano, inglese e tedesco. Vale a dire, tutti quelli che controllano da vicino i popoli eletti da Dio ma senza stato. Lifante, ha mai pensato che forse Dio li ha eletti proprio per non dar loro uno stato? Dio è molto speciale. Supponga che lei venga fuorviato da false informazioni provenienti dal Cesid, cioè dal servizio di informazioni dello stesso governo spagnolo. In fin dei conti, lei è un poliziotto periferico.”

“No comment. Io ho soltanto una patria e uno stato.”

Con il dito alzato Lifante gli esprimeva la propria impazienza, ma Carvalho si sentiva a suo agio in quel gioco.

“Anch’io vengo strumentalizzato, ma non so ancora né da chi né perché.”

Era giunto il momento di scoprirlo, così, appena Lifante l’ebbe congedato, Carvalho telefonò a Charo chiedendole un incontro con Quimet. Impossibile. Dopo un po’ di insistenza, Charo cedette. Vieni da me, ma soprattutto che non ti salti in mente di comprare quelle erbe di cui ti avevo parlato. Non fanno bene. Insistette ancora prima di tagliare la comunicazione: non ti salti in mente di comprare quelle erbe di cui ti avevo parlato. Vale a dire, non doveva passare da Lluquet i Rovello. Andò alla Villa Olímpica con l’intenzione di passeggiare un po’ per le sue strade aspettando l’ora dell’incontro. La passeggiata suscitava una curiosità non normale, come se almeno quattro o cinque persone lo avessero scambiato per Julio Iglesias o per Sharon Stone. Inseguito dai suoi sfacciati sorveglianti, Carvalho scese fino ai moli del Port Nou e curiosò tra le navi di seconda mano in offerta. Fu davanti a un vecchio veliero con una bandiera indecifrabile che sentì una certa pressione sul rene, mentre una voce accanto all’orecchio gli ordinò:

“Salga sulla nave senza dare nell’occhio”.

Può esserci niente di più curioso che salire su una nave da diporto in novembre?

L’uomo importante era il ciccione seduto sulla poltrona girevole del presunto capitano della nave, dedusse che era slavo o qualcosa del genere perché parlava proprio come tutti gli allenatori di calcio preiugoslavi, iugoslavi o postiugoslavi che avevano allenato o allenavano le squadre spagnole. L’uomo non fece mistero di chiamarsi Dalmatius e Carvalho digerì la sorpresa: quel Dalmatius non era lo stesso che aveva visto, torturato, in Casa Borau. Si somigliavano, questo sì, e il Dalmatius attuale era deciso a impressionare il suo prigioniero mentre i quattro aiutanti sembravano essere appena usciti dalle docce di uno stadio di calcio. Perché mai tutti i giovani slavi sembrano giocatori di calcio o di pallacanestro? Carvalho non poté darsi una risposta perché gli occhietti neri di Dalmatius erano fissi su di lui, sprofondati in una palla bianca che i suoi migliori amici avevano deciso di chiamare faccia. Era il solo a non avere l’aspetto del calciatore iugoslavo e ancor meno del giocatore di pallacanestro, e tuttavia non era il Dalmatius mostratogli da Pérez i Ruidoms nella sua segreta di tortura privata. Un altro trompe-l'oeil.

“Intendo farle un regalo, amico. Io le do un avvertimento, ma lei, a sua volta, mi dice per chi lavora.”

“Prima l’avvertimento.”

“Può finire direttamente da qui nelle acque del porto con il ventre aperto e pieno di sassi o bruciare nella sua casa di Vallvidrera con una delle ragazze di cui suole accompagnarsi. A lei la scelta.

La puttanella di Rigalt i Mataplana o Jessica Stuart-Pedrell. O può far sì che tutto resti un semplice avvertimento, purché lei ci aiuti a capire la situazione. Per chi lavora?”

“Per me stesso. Sono un detective privato.”

“Un detective privato!”

Il tono di Dalmatius invitava a ridere e tutti risero.

“Un detective privato! Da quale film è saltato fuori?” Continuavano a ridere e Carvalho dedusse che non erano bene informati.

“Voi siete stranieri e può darsi che non mi conosciate, ma sono un detective privato piuttosto famoso, il più noto a Barcellona, senza dubbio. Di fatto, i personaggi più emblematici della città siamo un gorilla albino chiamato Copito de Nieve e io, Pepe Carvalho.”

Qualcuno gli aveva assestato un colpo sulla nuca e cadde in ginocchio. Volle dimostrare elasticità e riuscì ad alzarsi prontamente e attaccare a testa bassa il primo corpo umano che poté distinguere con gli occhi. Fu come se il suo cervello si scontrasse con il mento dell’altro e Carvalho sentì un dolore intellettuale intensissimo, qualcosa di simile all’annuncio di uno svenimento. Dovette rigirarsi per picchiare prima quello che gli si buttava addosso ma non vi riuscì. Il pugno gli rimase a mezz’aria e invece i due che mollarono a lui lo colpirono al fegato e a un orecchio. Ripeté la prodezza di rigirarsi sui tacchi per assestare un calcio a una cosa qualsiasi, ma la gamba destinata a fare da supporto alla prodezza ricevette un calcio al ginocchio e in ginocchio cadde di nuovo il detective sopraffatto dall’evidenza che stavano per riempirlo di botte senza risposta. Si lasciò cadere del tutto e rotolò per cozzare contro le gambe di un suo assediatore, che riuscì ad abbattere e, nella confusione di corpi sovrapposti, Carvalho riuscì ad alzarsi e correre fino ai gradini che portavano in coperta. Aveva un occhio pieno di sangue e con l’altro non volle verificare se lo seguissero, ma il vano della porta che l’avrebbe riportato alla libertà in quel momento era occupato da un giocatore di pallacanestro postiugoslavo. Era altissimo e teneva in mano qualcosa che somigliava a un punteruolo. Carvalho si bloccò, alzò le braccia e scese verso Dalmatius e i suoi ragazzi che erano rimasti in piedi tesi ma fermi.

“Detective privato!”

Masticò il ciccione.

“Uno scemo privato e morto, uno scemo morto. Le do un altro avvertimento. Lasci le cose come stanno e dia per chiuso il caso Mata i Delapeu. Mi ha preso in una buona giornata, ma pensi che le infedeltà si pagano, talvolta con la morte. C’è sempre qualcuno disposto a uccidere, e adesso ancor più, in questi tempi di ignominia.”

Adesso la via di fuga era priva di ostacoli, per cui Carvalho uscì cercando di sorridere con la mezza faccia non inondata dal sangue che gli colava da un sopracciglio. Il sicario alto gli diede un asciugamano perché arrivasse al molo con il viso pulito e l'asciugamano gli servì a tamponare il danno finché raggiunse il negozio di Charo. Stava servendo alcune clienti e fece un cenno a Carvalho di passare nel retrobottega. Trattenne un grido di allarme e uscì di corsa per tornare con garze, cerotti e acqua ossigenata.

“Per il momento, pulisci e tampona, ma devo andare al pronto soccorso. Mi dovranno dare dei punti.”

Charo chiamò un taxi e, mentre volavano verso il pronto soccorso di Perecamps, pianse in silenzio. Che abbiamo fatto di sbagliato, Pepe? Stamane, la storia di Quimet. Non avevo fatto in tempo ad aprire gli occhi, ed ecco arrivare la notizia. Che ne sarà di te?

“E di te?”

“Il negozio è a mio nome.”

Charo aveva ritrovato una calma profonda per pronunciare la frase di sollievo, ma ora tornava ad angosciarsi. E pensare a tutto quello che Quimet avrebbe potuto fare per te.

“Ho bisogno di vederlo. Urgentemente. Dovunque sia.”

Charo aprì la borsa e prese un foglietto ripiegato. Lo mise in mano a Carvalho mentre scendevano dal taxi. Carvalho lo sbirciò mentre si infilava nella coda del pronto soccorso di Perecamps, come continuava a chiamare l’ambulatorio in fondo al suo vecchio quartiere. Quando uscì con il sopracciglio ricucito si congedò da Charo e lei lo trattenne abbracciandolo.

“Dovremmo passare Natale insieme.”

“Non ho proprio voglia di festeggiarlo, questo Natale.”

“La vigilia, almeno. Vuoi che la passiamo ciascuno a casa propria? Ad Andorra ho passato tutte le feste, ma proprio tutte, da sola, e così per ben sette anni, Pepe, perché Quimet doveva accontentare la famiglia.”

“La vigilia, forse. Gli altri giorni voglio dormire mentre una parte considerevole dell’umanità fa le sue cretinate.”

Lasciò Charo speranzosa, consultò di nuovo l’indirizzo scritto sul biglietto e camminò lungo il viale aperto dai bulldozer verso le viscere del Barrio Chino, verso le viscere del paese della sua infanzia di cui cominciava a non restare più pietra su pietra. Le sue labbra mormorarono alcuni versi che gli giunsero da un sedimento di vecchia memoria carceraria. Il carcere Modelo. Gli amplificatori e le canzoni richieste. Yves Montand. Loin, très loin de Brest, dont il ne reste rien.

Che Quimet si fosse rifugiato in un ufficio dell’assistenza sociale nel Raval dimostrava che il quartiere, nonostante tutte le riforme, continuava a essere sentito dalla città del benessere come qualcosa di troppo. Lì l’angelo caduto si sentiva al sicuro, extra moenia dal suo mondo, extra moenia dal suo regno, dal potere e dalla gloria. E come guardiana del suo rifugio appariva una ragazza che poteva essere la gemella di Margalida, lo stesso formato da volontaria a prova di bomba e pronta a marciare… de bon matí quan els estels es ponen, hem de sortir per guanyar el pic gegant… [Di buon mattino, quando le stelle tramontano, dobbiamo uscire per guadagnare il picco gigante] Una girl scout patriottica che proteggeva Rigalt, come gli altri giovani impiegati affannosamente consapevoli di salvaguardare qualcosa di più di un posto di lavoro. Rigalt era in fondo a un corridoio, in un ufficio senza finestre areato da un ventilatore a mulinello che comunicava con l’esterno. Quimet non era un angelo caduto, al contrario, sembrava esultare, liberatosi da un'oppressione insospettata, e abbracciò Carvalho come se avesse ritrovato un naufrago della stessa nave colata a picco. Ma dove si era cacciato? Eravamo tutti preoccupatissimi. Non è passato nemmeno a ritirare il diploma del corso accelerato. Carvalho si limitava a rispondergli con gesti rassegnati, come se gli rispondesse così è la vita, un giorno ci siamo e quello dopo no. E poiché il detective restava in silenzio in attesa che l’illustre padre della patria, come lo definivano certi giornali, si spiegasse, Quimet si concentrò nell’abbozzo del discorso che stava per fare. Lei si merita di sapere tutto. Che cos’ha sulla fronte? Dalmatius? Le cose hanno superato la misura. Se Dalmatius è capace di prendere l’iniziativa, questo significa che le cose hanno tracimato e temo che Madrid intenda invaderci a ferro e fuoco. Quando gli parve che Carvalho non capisse del tutto chi fosse Madrid o almeno la Madrid che intendeva invadere a ferro e fuoco, Quimet precisò:

“Il governo, mediante il Cesid. Buona parte dei lavori del Cesid sono intesi a indagare su quel che gli strateghi chiamano ‘guerre civili potenziali’, vale a dire i focolai conflittuali che possono nascere dall’impulso indipendentista del Paese Basco e della Catalogna. Avevo avvertito che stavamo premendo troppo sull’acceleratore e che se avessimo superato un timing molto studiato, ci avrebbero fatto fuori sul nascere. Ma intorno a me si sono scatenate forze che non controllavo e, ancora peggio, talpe insospettate. Siamo circondati da talpe che hanno agito da provocatori. L’omicidio di Mata i Delapeu ha messo in moto l'intero ingranaggio. C’è una doppia operazione patteggiata dal governo spagnolo con il consenso di altri governi europei. Hanno due obiettivi, ben chiari: la destabilizzazione del tessuto politico-economico del governo catalano e il progetto Región Plus. Per attrarre il settore del capitale catalano interessato al progetto ci hanno richiesto di smantellare alcune forze operative del nazionalismo più duro e soprattutto la debole rete del servizio di informazione da noi organizzata. Stavamo per tenere un incontro dei rappresentanti dei servizi di informazione delle Nazioni senza Stato e sono cominciate ad avverarsi coincidenze misteriose. Hanno arrestato alcuni dei presunti partecipanti accusandoli di attività contro non meno presunti stati e io sono stato coinvolto in questa sporca faccenda. Non posso lasciare il paese”.

“Che cosa c’entro io in tutto questo?”

“È un caso personale. Charo mi aveva parlato di lei.”

“Qualcos’altro?”

“Lei rientrava in quello che noi chiamiamo ‘strategia del fallimento’. Nella sua condizione di outsider, di professionista non strettamente catalano, non nazionalista, se l’avessimo coinvolta nella costruzione della rete, se le cose fossero andate a monte, sarebbe stato lei a pagarne le conseguenze. Non si preoccupi, Carvalho. Le avevo preparato un materasso. Un materasso bello morbido dove farla cadere. Ma l’esecuzione sommaria dei sicari che si presume abbiano ucciso Mata i Delapeu è stato un segnale di allarme. Stavano forzando gli eventi. Pérez i Ruidoms stava forzando gli eventi.”

“Si riferisce al padre?”

“Lui è la persona con più interessi e maggior potere nel progetto Región Plus.”

“Fa uccidere l’amante del figlio per incriminare il proprio figlio?”

“Siamo tutti sorpresi quanto lei. Chi avrebbe mai pensato a una cosa del genere?”

“Allora, è Pérez i Ruidoms la talpa.”

“No. È un imprenditore senza scrupoli e senza patria. Gioca le sue carte per vincere ed è politicamente ben spalleggiato da Madrid. Hanno creato una società di mutuo soccorso. La talpa non è Pérez i Ruidoms. Non avrebbe senso.”

“E chi, allora?”

Quimet aspettò tre minuti perché Carvalho traesse le proprie conclusioni e, visto che il detective si ostinava a tacere fissandolo negli occhi, Quimet liberò il nome tra i sospiri:

“Anfrúns. Jordi Anfrúns, forse. Pérez i Ruidoms utilizza lui, ma Anfrúns utilizza tutti noi”.

Carvalho gli voltò le spalle e fu raggiunto dalla voce di Quimet: “Nonostante quel che mi è capitato, tutti continuavano a contare su di lei, Carvalho”.

“Mi spiace che non abbia potuto recarsi in Italia. A Grinzane Cavour c’è un castello interessantissimo, e i vini sono buoni.”

Non si voltò verso Quimet per non rubargli la faccia da sconcerto.

Siamo in una democrazia. Qualcuno bussa alla porta di casa alle quattro del mattino. Di conseguenza, come sostengono i politologi, non può essere che il lattaio. Ma Carvalho ricorda che lui il latte non lo beve, che da molti anni non adopera il latte se non per preparare la besciamella o farsi una cioccolata calda. Pertanto, non può essere il lattaio. Ha la pistola, dimenticata in un angolo di casa che non vuole ricordare, ed esce sul terrazzo nonostante la durezza del vento freddo di dicembre a Vallvidrera e si trova davanti alla porta Margalida e un uomo dal viso ben nascosto da cappotto e cappuccio. L’uomo sembra alto. Quando apre la porta verifica che l’intuito non l’ha ingannato e che l’uomo alto è il giovane principe Pérez in esilio, a meno che non abbia messo insieme i due cognomi del padre per ascendere alla condizione di Pérez i Ruidoms.

“Puoi tenerci qui fino all’alba?”

“Mancano appena tre o quattro ore.”

“Forse qualche ora di più.”

Lo precedono e si tuffano nel caldo della casa per finire davanti alle braci del caminetto, verso cui tendono le mani aperte quasi a invocare lo spirito della cenere. Si siedono mentre Carvalho va in cucina a preparare un caffè ristoratore e chiede se hanno fame. Rimasto senza risposta prende dal frigo una torta al formaggio che ha fatto con un po’ di feta rimastagli da insalate mai realizzate e dell’uvetta. Quando lo vedono apparire con il caffè e la torta, gli occhi di Margalida gli rendono omaggio, ma quelli del giovane sono sempre molto prevenuti, in particolare verso la torta.

“Lei è satanico o macrobiotico?”

“Perché me lo domanda?”

“Perché guarda la torta come se stesse per infilarle un gol macrobiotico. Io, tra Ying e Yang faccio un gran casino, ma si tratta di un’innocente torta al formaggio greco e uvette.”

“Non sono macrobiotico, ma ho una mia ideologia personale sul cibo.”

“Se è satanico, le devono piacere soprattutto ben cotte, alla brace o al forno.”

“Nemmeno il Papa crede più che l’inferno sia fatto di fuoco e calderoni.”

“Questo Papa è molto sospettoso. Non si fida nemmeno dei preservativi.”

Mangiarono e bevvero, il principe indiano con la punta delle labbra, e Carvalho spiegò quel che stava accadendo. Non avevano dove nascondersi, altrimenti non si sarebbero rivolti a lui. Il che lo inquietava, perché casa sua non era un posto sicuro e da un momento all’altro poteva riempirsi di assassini postiugoslavi inviati dalla Nato e da teste rapate escursioniste. Margalida si era tolta il giubbotto di pelle e le si affacciarono le tette sotto un golf attillato, insieme al calcio di una pistola che teneva sotto la cintura. Era un invito a Carvalho, affinché si tranquillizzasse.

“Continui a pensare che dovrei tenere la pistola a portata di mano?”

“Sì.”

Carvalho andò in bagno, spostò tutti i prodotti scaduti tenuti nell’armadietto dei medicinali prima di riuscire ad aprire il doppio fondo. Apparve una nicchia nella parete, che a sua volta ospitava un fagotto di tessuto da cui estrasse una Lüger. Tornò in salotto e la mostrò a Margalida che subito fece una faccia sorniona.

“Ignoravo che avessi un museo in casa. Quella pistola è un pezzo d’antiquariato.”

“Spara. Spara bene. Che progetti avete?”

Albert era riuscito a fuggire e volevano andare all’estero. Avevano un contatto e intendevano passare da Port Bou, era la frontiera più incustodita e se avvistava una qualche possibilità di controllo da parte degli uomini di Pérez i Ruidoms, qualcuno li avrebbe condotti da Port Bou a un punto della costa francese via mare. Margalida non poteva servirsi della rete, primo perché si trattava di una faccenda personale, poi perché Pérez i Ruidoms aveva gente infiltrata a ogni livello.

“Gioca in collaborazione con il Cesid e con le principali polizie d’Europa coinvolte nel caso. Albert è venuto a sapere notizie raccapriccianti, Carvalho. Da una parte spingono il progetto di Región Plus e dall’altra hanno strategie alternative allucinanti, per esempio focolai guerriglieri di destabilizzazione.”

“In Spagna?”

Albert prese la parola:

“Uno dei gruppi che lavorano per mio padre è quello dei Templari 2000. Sono in grado di dare il via ad azioni di guerriglia al confine tra Catalogna e Aragona, con il pretesto di un conflitto per le acque dell’Ebro. Pensano che questo focolaio possa generare abbastanza confusione da far intervenire l’esercito spagnolo e far scattare qui da noi un processo di balcanizzazione. Le reti del traffico d’armi sono già stabilite, e non dimentichi che in questo modo sono nati alcuni conflitti nella ex Iugoslavia”.

“È questo il gioco di suo padre? È certo che non le abbia messo su uno show con i figuranti della Cubana?”

“No, per il momento gioca. Si è limitato a dar loro ascolto e a chiedere di tanto in tanto un servizio. Del resto, nessuno sa chi siano questi Templari. Non sembrano di qui e non mi sorprenderebbe che si trattasse di un gruppo destabilizzante di chissà quale servizio segreto.”

“Se non fosse che sono certo che lei ignora Fu Manciù, penserei che si ispira al personaggio per costruire l’immaginario di suo padre.”

“Non sta dicendo niente di strano.”

Margalida aveva parlato con una tale decisione che Carvalho cominciò a prendere sul serio la nuova battaglia dell’Ebro.

“E chi dice Ebro dice qualsiasi altro posto. I conflitti sono latenti. Ci aspettano. Il mondo è fatto così male…”

Satana si impelagò in un discorso che iniziò imprecando contro Paul Claudel per avere affermato che soltanto il male richiede uno sforzo, in quanto si oppone al reale. No. No. La realtà è il male e tutto il casino costruito dalla borghesia contro il satanismo ha come alleati quei satanisti che fanno i coglioni sgozzando galline e agnelli.

“Il satanismo è una forza spirituale che può diventare fisica, qualcosa come l’omeopatia perché, per esempio, nella sessualità porta noi uomini alla virilità assoluta attraverso l’omosessualità e le donne alla femminilità assoluta con lo stesso sistema. Questo lo vide già Jean Genet, san Jean Genet, ma io mi rifiuto di accettare, come già fece André Gide, di essere al servizio del ‘signore delle tenebre’. No, Satana non è tenebroso, è la luce della negazione e la parola ebrea originale significa ‘accusatore davanti a un tribunale’, il signore di questo mondo sarebbe Dio e Satana il negatore della bontà della sua creazione. Satana è l’intelligenza critica, la cultura della resistenza.”

Il tono elegiaco del principe Pérez i Ruidoms si elevò:

“Il satanismo moderno ritiene che Satana rappresenti l'indulgenza davanti all’astinenza, l’esistenza di fronte alle falsificazioni spiritualiste, la saggezza di fronte all’autoinganno ipocrita, la gentilezza nei confronti dei deboli e la prepotenza nei confronti dei forti, la vendetta giusta contro la commedia del porgere l’altra guancia, la responsabilità dei responsabili contro i vampiri psichici, rappresenta la verità dell’uomo nella sua condizione animale, più pericolosa di quella degli animali a quattro zampe, perché lo sviluppo detto ‘divino-intellettuale’ l’ha trasformato nel più feroce degli animali. Satana rappresenta il dubbio gratificante e bisogna rimproverargli soltanto di essere il principale alleato della Chiesa in quanto l’ha aiutata a tenere in piedi la baracca per secoli. Noi satanisti siamo legati dalla necessità di negare tutto ciò che le religioni istituzionalizzate difendono”.

Margalida aveva fatto la faccia da dissidente solo quando Albert aveva esaltato l’omosessualità, ma in tutto il resto superò l’accordo per accedere alla condizione dell’estasi.

“Perché fuggire? Diventi il principe erede di tuo padre, il possibile primo re di Regiòn Plus o di qualsiasi altra patria studiata a tavolino.”

“E la mia anima?”

Fottuti tempi, quelli in cui Satana non vuole perdere l’anima e i socialisti vogliono perpetuare il capitalismo, ma erano giovani e avevano l’intera vita davanti per indurirsi nell’apprendistato della morte. Li sistemò in una stanza con due letti sotto la protezione di san Jean Genet, patrono laico dell’omosessualità, con il rischio che i poderosi attributi di Margalida non riuscissero a contrastare l'amnesia eterosessuale di Albert. Il problema era del ragazzo, quello di Carvalho era dormire, in quanto non riusciva a levarsi dalla testa il piano di fuga dei due giovani. Il problema è loro, si ripeteva, giocano alla fuga perché non hanno più l’età per giocare al dottore e lui non ci sta a giocare al paparino. Ma definitivamente non poteva dormire e si ritrovò davanti a una carta stradale intento a studiare le vie di fuga proposte da Margalida; poi si vide in cucina davanti al frigo aperto, con un inconcreto progetto di fare qualcosa che non fosse angosciarsi. Per esempio, cucinare, e a quell’ora del mattino aveva voglia di qualcosa di fresco, come una tartare di pesce che aveva in mente fin dal mattino del giorno prima, un particolare adattamento della tartare di ostriche di Jean-Louis Neichel, ma senza ostriche. Le ostriche non le aveva, c’erano invece delle vongole fresche, ricci di mare, gamberi, una lattina di caviale russo non del migliore e una spigola marinata e condita con olio vergine di oliva, sale, pepe verde. Aprì i ricci con le forbici e mise da parte le uova, poi le mescolò alle vongole e ai gamberi spezzettati e vi aggiunse un trito di capperi, finocchio, scalogno, cetriolini. Non aveva né alghe né finocchio di mare, per cui la ricetta era poco più di una parafrasi. Dopo aver legato il tutto con olio e limone, lo adoperò per condirvi il pesce e i frutti di mare tritati, introdusse l’amalgama nel fondo dei gusci vuoti dei ricci e depositò una cucchiaiata di caviale su ciascun guscio ripieno. Stappò una bottiglia di vino bianco Preludi e sistemò su un vassoio i tre ricci, il vino, i calici, pane tostato e burro. Quando Albert e Margalida si svegliarono alle sue chiamate e lei poté vedere il vassoio pieno di nature morte tanto strane, dovette trattenere il gesto istintivo di cercare con una mano la pistola nascosta sotto il guanciale.

La sorpresa per aver gradito così tanto il riccio ripieno aveva commosso sia Margalida sia Albert, che trascorsero la prima parte del viaggio a meditare sull’errore di aver passato quasi tutta una vita, seppur breve, limitandosi all’orizzonte gastronomico del pane e pomodoro oltre a la butifarra amb seques [salsiccia con i fagioli] per quanto riguardava lui. Talvolta i fattori disalienanti sono i più inattesi e Carvalho al volante dell’auto si godé quel silenzio che segue alle rivelazioni più trascendentali. E a partire da Llanca, si godé l’ultima parte della Costa Brava, intimista e di una bellezza verde scuro, grigio e blu profondo man mano che si avvicinava alla Francia.

“L’appuntamento è al Memoriale Walter Benjamin, accanto al cimitero di Port Bou, su una bellissima scogliera sul mare.”

Carvalho ricordava quanto lo emozionasse ai suoi tempi di giovane rosso e sensibile il suicidio di Walter Benjamin, a Port Bou, quell’ebreo fuggiasco cui il franchismo aveva rifiutato il visto di ingresso per la Spagna e che si uccise in un gabinetto con il fiato del nazismo sul collo. “Il compito del materialista storico è salvare il passato per il presente,” aveva detto o scritto, non sapeva dove, Benjamin, una frase che fluttuava nel nulla ai tempi in cui il passato è un tabù quanto il futuro. Per una storia senza colpevoli e un futuro che ha come sola prospettiva quello di essere consumato come un presente giorno dopo giorno. Mi sento in vena filosofica, nonostante quel che mangio e nonostante ultimamente abbia fatto l’amore, non lo facevo da quasi un lustro.

“Posso assistere all’incontro o mi ritiro a prudente distanza?”

“Devi assistere. Avrai una sorpresa.”

“Che cosa sapete di Benjamin?”

“Un marxista insufficiente, o insoddisfatto. È ancora da decidere.”

Sentenziò Satana sdegnoso. Margalida aveva una vaga idea del suo suicidio e qualcuno le aveva detto che Benjamin si intendeva parecchio di fotografia o faceva anche delle foto o aveva scritto sull’argomento. Forse in una conferenza tenuta da un fotografo di nome Fontcuberta.

“E lei sa chi era Benjamin?”

“Lo sapevo.”

“L’ha dimenticato?”

“Probabilmente no, ma ricordarlo non mi serve. Non mi serve ricordare le vite che ho vissuto e che non illuminano quella che vivo ora. Benjamin faceva parte del mio ecosistema di quarant'anni fa. Adesso non mi servirebbe manco come ciottolo su cui poggiare il piede per scalare una cima. Talvolta mi tornano in mente frasi che avevano un significato, perfino una che dice ‘il suicidio è una passione eroica’. Quando la lessi riuscì a inquietarmi, perché ritenevo il suicidio poco rivoluzionario. Come può un combattente sociale pensare che il suicidio sia una passione eroica? Oggi so che aveva ragione. Il suicidio è una passione eroica. L’unica passione eroica individuale in grado di fare del male soltanto a noi stessi. Tutte le altre passioni eroiche sono pericolose, e quelle che si provano in gruppo, beh, quelle sono le peggiori.”

Nella cornice di un tunnel quadrato volto verso il mare, c’era un uomo ad aspettarli e, fuori contesto, Carvalho tardò qualche secondo per identificarlo nell’album fotografico della memoria. Era Guifré González, Manelic, il finto zio di Margalida, l'angelo profeta del catarismo. Margalida uscì per prima dall’auto andandogli incontro con delle spiegazioni che lui ascoltò severamente e che digerì guardando talvolta in direzione di Carvalho, talaltra di Albert. Margalida raccontava qualcosa con veemenza e Albert scuoteva la testa contrariato.

“Gliel’avevo detto che non poteva funzionare.”

“Che cosa?”

“Manelic non sapeva che si trattava di me. Margalida non gli aveva detto niente supponendo che non mi avrebbe accettato. Perché mai dovrebbe aiutare il figlio di Pérez i Ruidoms?”

Carvalho camminò verso i due e affrontò Margalida. Le parlò con durezza:

“Eravamo d’accordo che tutto si sarebbe risolto in pochi minuti. Non posso aspettare”.

Lei era sorpresa della reazione del detective, conservava negli occhi le lacrime che non aveva fatto in tempo ad asciugare.

“Che cosa c’è? I catari non ti vogliono aiutare?”

Guifré lo guardava con curiosità e non perse del tutto la compostezza quando Carvalho cominciò a puntargli un dito al petto.

“Ci sono regole di solidarietà che stanno al di sopra dei cognomi, amico. C’è un diritto al lavoro e un diritto alla fuga. I sicari del papà del bamboccio ci stanno alle calcagna e tutti noi abbiamo qualcosa da perdere se ci catturano.”

Carvalho estrasse la pistola e la caricò.

“Una sparatoria a Port Bou farà notizia.”

“Non ho detto di non volerli aiutare, ma una storia del genere non va organizzata su informazioni false, e Margalida non mi ha detto di chi si trattava. Inoltre, la mia rete non è tenuta a impegnarsi in problemi personali.”

“Non commetta un errore. Avete contro il padre di questo ragazzo, ed è uno squalo. Il meglio che vi possa capitare è di avere dalla vostra il figlio, non solo perché si tratta di Satana in persona, ma perché sa tutto sul padre e vi può essere utile. Per di più, un giorno erediterà, lascerà il satanismo e potrebbe anche abbracciare la causa del nazionalcatarismo. Vi inonderà di milioni.”

Negli occhi di Guiffré González si leggeva la domanda: e tu che cavolo c’entri in tutto questo?, ma Manelic annuì e si pronunciò d’accordo, facendo balzare Margalida verso la macchina per comunicare la notizia ad Albert.

“Scendete al porto e chiedete di Eugeni de la Marqueta. È meglio farlo via mare.”

Lui rimase accanto al Memoriale come se ne facesse parte, e Carvalho portò la coppia all’imbarcadero. Margalida trovò Eugeni, un uomo alla deriva dei suoi molti chili, che li fece entrare in un capanno dove aspettare il buio. Carvalho si congedò da Satana con uno sguardo pieno di sottintesi perché dedusse che al diavolo non bisogna stringere la mano e tanto meno abbracciarlo. Lasciò invece che Margalida lo abbracciasse e gli baciasse entrambe le guance, scostando la bocca nel caso le fosse saltato in mente di cacciarvi dentro quella lingua larga e carnosa, commestibile.

“Sai con chi stai giocando?”

“È un ragazzo molto intelligente ma molto sciocco. Ha bisogno di me.”

“Oggi. Domani avrà di nuovo bisogno del padre. Conosco questa razza di ribelli. Ai miei tempi erano maoisti ricchi. Sono tornati alla casa del padre. Adesso sono satanici, ma torneranno alla casa del padre.”

Lasciò Margalida senza parole o senza argomenti e si incamminò verso la macchina. Manelic era lì ad aspettarlo.

“Tutto in regola?”

“Tutto.”

“Torna a Barcellona? Mi può dare un passaggio?”

“Com’è venuto?”

“Mi ci ha portato Eugeni.”

Salirono in macchina e rimasero in silenzio fino alla fine delle curve, quando superarono l’incrocio di Llançà per imboccare la provinciale di Figueres dove prendere l’autostrada. Sembra una vecchia storia, come ai tempi della clandestinità, vero? Carvalho assentì. Manelic guardava spesso l’orologio. A che ora crede che potremmo arrivare? Dall’ingresso in autostrada, un’ora circa. Il tempo stringe. Lui ci terrebbe proprio ad arrivare all’Hotel Princesa Sofía prima delle otto e mezza. Contemplava il paesaggio come se per certi versi gli appartenesse. “Lo sa, Carvalho, che la Catalogna è una fonte di religiosità e occultismo fin da tempi immemori? Così come nel sottosuolo scorrono fiumi segreti, in ogni posto dove ora si individua un insediamento religioso cristiano prima ve ne fu un altro pagano, e magico ancora prima, come se la terra, la stessa terra indicasse il posto in cui rendere culto agli dei. Un fatto percepibile proprio qui, in queste terre che stiamo attraversando, terre di templari e di conseguenza di occultismo. Lo sapeva che nel monastero di Sant Pere de Roda c’era stato prima un tempio probabilmente in onore di Venere Urania o Afrodite? Un luogo sacro per tradizione.” Guifré si lamentava della volgarità del presente, si erano persi i legami del magico con il reale. Bisogna accettare le cose come vengono. Sono davvero tempi di clandestinità per tutto ciò che è diverso, Carvalho, perché si accetta soltanto quel che si ritiene politicamente corretto e tutto ciò che è eccezionale deve muoversi in condizioni di semiclandestinità.

“Parlava sul serio quando esortava a un ritorno alla religione catara?”

“Non si tratta di farla resuscitare come se fosse una mummia, ma di adattare una formula di cristianesimo primitivo alla nuova situazione. La Teologia della liberazione è troppo internazionalista nel senso marxista del termine. Ci sono prove di insediamenti catari nella Catalogna del Nord e nella Catalogna del Sud, nell’Epordà ci furono catari fino al XIV secolo e perfino una nobile dama della stirpe dei Montcada, Guillermina de Montcada, fu catara. L’Europa ha una spina dorsale sovrastrutturale, ma i popoli sono più smidollati che mai e le crepe si allargano giorno dopo giorno. Ha seguito il cambiamento delle frontiere negli ultimi dieci anni? Può prevedere cambiamenti futuri? Avrebbe la gentilezza di farmi scendere sulla Diagonal, davanti al Princesa Sofía?”

“L’aspetta un raduno cataro?”

“Se facciamo in tempo, posso ancora vedere la partita del Barça. Comincia alle nove. Forse, in questo contesto, le può sembrare un po’ frivolo.”

“Frivolo, il Barça? Quando ero comunista, c’era chi si portava alle riunioni superclandestine una radio a transistor per seguire le partite del Barça. Ricordo una riunione particolarmente importante sull’opportunità dell’abbandono o no della lotta armata intesa come ipotesi. A un tratto capii che il Barga aveva segnato, perché la faccia dell’ascoltatore della radiolina segreta si era illuminata.” “Erano altri tempi, certo. Lo so che non ci dovrei andare perché la situazione della squadra mi sgonfia come un palloncino. Era stata il braccio simbolico disarmato della Catalogna e adesso nessuno sa più cosa sia, ma glielo dico io che cos’è: un’immobiliare! Il presidente Núñez è arrivato nel club vent’anni fa con gli stessi propositi di Franco - il Barça non dev’essere altro che un club sportivo, non dev’essere più un simbolo politico - e ci è riuscito con l’aiuto di quell’olandese sinistro che ha ingaggiato come allenatore, riempendo la squadra di stranieri e sacrificando quella splendida base di giovani granitici formata da Cruyff. Non è giusto, Carvalho, ma forse ci dovremmo staccare da questa dipendenza emozionale nei confronti del Barça. A molta gente basta essere del Barça per credere di avere pagato la propria quota di catalanismo. Non vogliono sapere altro. Tutto troppo semplice, Carvalho, troppo semplice. Non c’è storia senza dolore, la sovranità non l'avremo mai senza dolore. Non parlo di indipendenza. Parlo di sovranità. Mi pare che quel tizio, Van Gaal, l’olandese che allena il Barga, terrà Guardiola in panchina. Mi capisce, no? Il giocatore emblema della Catalogna in panchina e gli olandesi in campo.

“A dire il vero, Manelic, non capisco perché mai vi mettiate a costruire il nazionalcatarismo quando avete già il nazionalbarcellonismo. Prima di edificare lo stadio del Barcellona, quali culti sacri si celebravano sul posto?”

Guifré lo contemplò sconcertato, ma pieno di interesse.

“Devo indagare, perché è stato costruito accanto al cimitero di Les Corts, e dove c’è un cimitero, stia certo, c’è un punto originario del magnetismo magico.”

Aveva deciso di portarsi dietro la pistola, ma non gli venne in mente di adoperarla quando verificò che casa sua era occupata dai giocatori di pallacanestro postiugoslavi. Nulla di tanto comodo come uccidere in casa propria, e quei tizi erano così alti che sarebbe stato ben difficile sbarazzarsi dei cadaveri. Per di più, non l’avevano insultato. Né picchiato. E nemmeno lo avevano preso a spintoni, né alitato in faccia. Si erano limitati a consegnargli un biglietto in cui veniva invitato a un incontro a Casa Borau, a pochissimi chilometri di distanza. Solo quando avanzò l’idea di fare una telefonata, il postiugoslavo più sicuro di sé strappò il filo dall'apparecchio senza muovere un muscolo del viso e Carvalho fu sollecitato a scendere fino alla macchina che li aspettava davanti al portone. Era una macchina giapponese costosissima, con quella volontà di opulenza che le grandi berline giapponesi cercano di farsi perdonare per essere arrivate sul mercato dell’automobile dopo le Rolls Royce. Una macchina che si sarebbe detta imbottita in pelle dentro e fuori. Dal sedile posteriore poté verificare che la vettura aveva un mobile-bar e chiese un martini dry senza veder esaudita la richiesta. Quando finirono le curve di Vallvidrera e ormai sulla strada di Sant Cugat, l’auto prese per Casa Borau e lì si fermò. Era buio e la costruzione appariva meno illuminata dell’altra volta. Avrebbe potuto trattarsi di una sede di Sos Razzismo perché la domestica che li accolse sembrava una rosa del deserto, una metafora tra le più confacenti delle splendide bellezze maghrebine, e i postiugoslavi restarono a prudente distanza, quando un cameriere cinese gli servì il dry martini già chiesto in macchina.

“È fatto con Martini secco o con Noilly Prat?”

Il cinese sapeva soltanto il cinese e imitare il gestire reverenziale giapponese, due codici che gli avevano consentito di arrivare dov’era arrivato. Evidentemente, il dry martini non era fatto con Martini secco, e di Martini ce n’era troppo. Cercò di spiegare a un postiugoslavo che il vermut deve inumidire appena il ghiaccio perché sia il ghiaccio a profumare il gin, modificando qualitativamente l’aroma. Erano in un altro mondo. Forse pensavano ai Balcani, a quanto era lontana la possibilità di scannarsi tra di loro sotto lo sguardo pieno di commiserazione delle grandi potenze. Arrivò il maggiordomo della sera del finto veglione di fine estate e gli propose di seguirlo nel sotterraneo dove aveva assistito alla rappresentazione dell’incontro di Monte Pellegrino. Pérez i Ruidoms occupava lo stesso posto, la stessa poltrona, ma con lui c'era soltanto Anfrúns, un Anfrúns nervoso che passeggiava in tondo nella cripta come se fosse in gabbia. Trattenne il senso girevole della fuga quando Carvalho rimase al centro della stanza di fronte alla poltrona dove l’aspettava il padrone di casa, in una posizione a metà strada tra il pensatore di Rodin e l’incisione di Goethe meditabondo. Pérez i Ruidoms prese un porta-pastiglie di argento tascabile, lo aprì, scelse due pastiglie e le mandò giù aiutandosi con un bicchiere d’acqua posto su uno degli ampi braccioli della poltrona. Fissava Carvalho mentre gli parlava senza alzare il tono di voce.

“Quel che ha fatto aiutando mio figlio a fuggire con quella ragazza più che una provocazione è stato un errore. L’avevo avvertita. Aveva la situazione sotto controllo e ora le è scappata di mano. Ho parlato con il suo amico, il signor Anfrúns, credo vi conosciate da tempo. Sarebbe assai consigliabile che lei ci aiutasse a scoprire dove si sono cacciati quei due ragazzi. Prima o poi lo verremo a sapere, ma intanto la fuga può finire tragicamente. Ho molti nemici. Ricordi il caso dell’omicidio di Alexandre Mata i Delapeu. Chi volevano colpire? Mio figlio? In prima istanza, sì, ma l'obiettivo finale ero io.”

Anfrúns si era appoggiato alla parete e ascoltava con grande concentrazione.

“Sa fin dove li ho accompagnati?”

“Fino alla frontiera di Port Bou. Tutto era pronto per bloccarli, ma non hanno passato la frontiera. Non l’hanno passata salendo e scendendo la montagna. Ci dica come è andata.”

“Non sarò di grande aiuto. Mi sono limitato a lasciarli in un posto chiamato ‘Memoriale Walter Benjamin’, un monumento a un ebreo che vi si era suicidato nel 1940, credo. Aveva ideato il suicidio come passione, si dice.”

“Ci sono molti modi di suicidarsi, Carvalho. Lei sa che posso trasformarla in una particola galattica invisibile, in attesa della resurrezione della carne.”

Carvalho sospirò disgustato.

“Non sarà entrato anche lei a far parte di una setta religiosa.” “Tutte le sette sono religiose. Ebbene, Carvalho. Devo prendere il mio aereo privato per l’isola di Lanzarote, dove voglio accogliere il nuovo millennio in compagnia dei più alti rappresentanti di Monte Pellegrino, in una casa che ho fatto scavare nella roccia, davanti al migliore degli oceani. Lo sa qual è il migliore degli oceani?”

“Vista la posizione di Lanzarote, deduco sia l’Atlantico.”

“Dieci in geografia! Sicuro che lei sa dove si trova mio figlio. A giudicare dall’infrastruttura di chi l’ha aiutato a fuggire, si deve trovare da qualche parte nel Sud della Francia, in una di quelle enclavi neocatare che si stanno ricostituendo. Non posso aspettare oltre.” Pérez i Ruidoms si alzò e indicò Anfrúns.

“Lo lascio nelle sue mani.”

Passando accanto a Carvalho decise di porgerli la mano e quando Carvalho gli allungò la sua, gliela strinse e la trattenne avvicinandogli le parole alla faccia:

“Non fare il furbo, figlio di puttana. Sono cresciuto in strada e ho cominciato soltanto come Pérez, poi ho fatto abbastanza soldi da chiamarmi Pérez i Ruidoms. Mi sono già imbattuto nei Mata i Delapeu, una combriccola di ricchi nati ricchi. Io devo tutto a me stesso e nessuno potrà mai togliermi nulla di quel che mi appartiene. Io non sono un figlio di papà come Mata i Delapeu. Io non ho saputo che cosa fosse cambiarsi la biancheria intima tutti i giorni fino a trent’anni compiuti. A casa mia non c’era la doccia.”

Gli sembrò la frase migliore per iniziare la ritirata e liberare la mano di Carvalho. Anfrúns rideva debolmente con una mano sul mento e l’altra ripiegata dietro la testa ad accarezzare il codino. “Il suo capo mi ha commosso. Nemmeno io avevo la doccia in casa e non ho cambiato la biancheria ogni giorno per molto tempo, perfino oggi, lo confesso, non mi cambio le mutande tutti i giorni. I calzini sono un’altra faccenda. Non potrei mettere gli stessi calzini per più di due giorni di fila.”

Non riusciva a far parlare Anfrúns e decise di tacere. L’altro l’osservava aspettando che il tempo agisse da leva sulla lingua di Carvalho. Ma il detective era tanto stanco di tacere quanto di parlare e prese la via d’uscita.

“Se non autorizzo io, lei da qui non esce. Ricorda quel che ha detto il signor Pèrez i Ruidoms? Gli ha toccato la sua proprietà più sacra, il suo stesso figlio, dal quale egli trae diletto.”

“Lasci la Bibbia in pace per una volta, Anfrúns.”

“Ci sono frasi bibliche o del Nuovo Testamento del tutto insuperabili. Ha pensato che questa casa di campagna non è innocente e potrebbe essere vista come un castello in cielo o un castello all’inferno? Conosce la matière de Bretagne, la leggenda arturiana, il mito del Santo Graal? Non crede che questa dimora potrebbe essere quell’isola bianca in cui vive il signore dei signori, il padrone del mondo, il re Artù, il prete Giovanni, Fu Manciù, il Doctor No, Pérez i Ruidoms? Se vuole le mostro la lancia insanguinata che Perceval o Parsifal vide al suo arrivo nel castello in cielo o all'inferno. Potrei essere piuttosto sgradevole nei suoi riguardi. Diciamo pure che potrei essere sgradevolissimo, lei mi capisce. Ma voglio darle ventiquattro ore per dormirci sopra e dimostrarle quanto può perdere se non soddisfa le nostre richieste. Domani, nella cappella della Colonia Güell, alle dieci. Domani le farò vedere la lancia insanguinata. Se ne vada, ora.”

“Non si aspetti che tomi a piedi.”

“L’accompagneranno.”

La macchina era sempre dove l’avevano lasciata e il percorso fu seguito da Carvalho con tensione e una mano sul petto, il più vicino possibile alla pistola, ma i giganti lo lasciarono davanti alla porta di casa e uno gli aprì la portiera. Di nuovo nella sua tana, Carvalho cercò il rapporto che aveva iniziato a stendere settimane prima come bilancio finale per la vedova Mata i Delapeu. Questa volta riuscì a finirlo:

II punto delle indagini in cui mi trovo mi spinge a esprimere la necessità di chiudere il caso, tenuto conto del fatto che nulla mi porta a nuovi indizi verificabili. Il desiderio di coinvolgere il finanziere Pérez i Ruidoms in uno scandalo fa che X ingaggi certi sicari per assassinarle il figlio, basandosi sulle complesse relazioni avute dallo stesso con quello di Pérez i Ruidoms. L'omicidio sembra avvolto in un clima da delitto passionale, nato da un rifiuto, finché qualcuno, che potremmo chiamare Z, ne svela i veri moventi e ci mette sulle tracce di un delitto mercenario tramato da un gruppo di pressione rivale a Pérez i Ruidoms, senza che tuttavia lo si possa attribuire al gruppo Mata i Delapeu in quanto diretto proprio dal padre dell’assassinato, e non sembra si tratti di una confusa tragedia greca o ebraica, il sacrificio di Isacco, per esempio. Il modo in cui la polizia venne condotta fino ai sicari, presunti autori materiali del delitto, risulta sospetto, come pure l’esecuzione degli assassini al momento del loro arresto, anche se in qualità di testimone oculare dell’azione della polizia sospetto che nemmeno l’ispettore Lifante controllasse le fila che hanno determinato l’esecuzione dei sicari. Mosso dalle sue indicazioni, signora, ho cercato di risolvere le due incognite: X e Z. X sarebbe l’ideatore dell'esecuzione e Z colui che mi ha svelato il movente reale. I miei mezzi per risolvere queste due incognite si sono arricchiti. Posso dirle che l'omicidio di Alexandre fu ordito dallo stesso Pérez i Ruidoms, anche a rischio che in prima istanza fosse Albert, il suo proprio figlio, a venire incriminato. A quale scopo? Il tutto faceva parte di una strategia dissuasoria, signora, contro suo marito. C’è molto denaro, molto potere in gioco. Le scrivo un rapido riassunto delle mie congetture, cui seguirà un rapporto molto più elaborato, nel caso mi capiti qualcosa nelle prossime ore e lei voglia prendere il mio posto nelle indagini per scoprire l’autore delle mie possibili sventure. La prego tuttavia di fare l’uso che desidera di questo mio bilancio, che è insieme una confidenza.

Faticò ad arrivare alla Colonia Güell, dove Anfrúns lo aspettava all’interno della cappella dalle colonne storte di Gaudi, come se la chiesa fosse sul punto di crollare, metafora di una fede vacillante; ma forse l’architetto-mostro aveva voluto esprimere il contrario, che anche le colonne storte sono in grado di reggere i templi. Anfrúns era di spalle all’altare, con lo sguardo fisso e sorridente rivolto verso l’ingresso, il corpo sostenuto dalle braccia appoggiate su un inginocchiatoio, e rimase così mentre Carvalho si avvicinava con la prevenzione di chi teme, se non di camminare sulle uova, quantomeno di calpestare la polvere di tante ostie consacrate e deglutite. In un angolo della piccola navata risuonavano le voci di un parroco e una giovane coppia sul rituale per le prossime nozze. Anfrúns invitò Carvalho a seguirlo dalla chiesa e salirono su un belvedere attraverso una scala tormentata e fu lì, faccia a faccia e da soli, che incrociò le braccia e si consegnò alla curiosità di Carvalho. “Non mi dica che sa tutto. Mi faccia qualche domanda.”

“Non è necessario. Tutte le tracce portano a lei: l’omicidio di Mata i Delapeu, Monte Pellegrino, Región Plus, Dalmatius, la defenestrazione di Quimet. Vorrebbe compormi il puzzle? Per un momento soltanto. Poi lo scomporremo di nuovo.”

Anfrúns sollevò ulteriormente le braccia incrociate sul petto per assecondare il sollevarsi della testa e degli occhi. Li teneva bene aperti e fissi su Carvalho. Poi scompose il gesto e si passò una mano sul codino canuto stretto da un legaccio con l’anima in piombo che Carvalho non aveva più visto da quando nell'infanzia osservava talvolta la madre pettinarsi con l’aiuto di forcine e arricciacapelli.

“Perché dovrei collaborare?”

“Per superbia. Se un diavolo non è superbo non è nulla.”

“Lei parte dal presupposto che io sono il Diavolo e non Dio. Che differenza c’è tra l’uno e l’altro? Se sono il Diavolo, questo vuol dire che sono stato io a portare via la luce lasciando la creazione al buio. Chi è più Dio, colui che governa al buio o colui che possiede la luce? Chi non può imporre il bene o chi può quantomeno illuminare il male?”

“Lei era molto più comprensibile quando faceva il marxista. Adesso che è il papa di una religione studiata a tavolino, crede in Dio, in un dio qualsiasi?”

“Papa? E perché non Dio? Insisto. Solo quelli di noi che non credono in Dio possono accedere a un certo grado di divinità, un grado funzionale, va da sé. Non credere in Dio è una suprema conquista umana, tuttavia questa gran conquista cercano di vendercela come una limitazione. Se non credi in Dio è perché non credi in te stesso. Capisce il trucco? Come ci si può aspettare che una persona sia cristiana se non è umana, se non sa come vivere? L’agonia del non credente viene interpretata come negazione di se stesso e non come un’eroica resa all’abisso di non poter dare risposte sulle cause ultime. C’è chi preferisce vivere sull’orlo di tale abisso piuttosto che rispondere a se stesso con delle idiozie, o come fanno Ernesto Cardenal e quella specie di mistici di sinistra, che cercano Dio nell’identità e nella carità, sulla linea di san Bonaventura: la carità ci rende divini. San Bonaventura dice che la coscienza è l’araldo di Dio e che tale coscienza è la prova dell'esistenza di Dio. Io direi che l’educazione religiosa ci ha costruito una coscienza su misura per dimostrare l’esistenza di Dio, e che solo quando ci si libera di questa coscienza religiosamente strumentale si accede alla lucidità. Proprio perché sono lucido, Carvalho, posso essere Dio, un dio maggiore o minore. Per il momento, un dio minore in testa a una setta perfettamente inserita nell’ecosistema del potere. Io costruisco i Testimoni di Lucifero e Manelic costruisce il neocatarismo pancatalano. Insieme, noi due facciamo parte di uno stesso dipartimento burocratico parallelo, potremmo addirittura servirci della stessa segretaria, la deliziosa Neus o Margalida. Proprio perché sono Dio posso capire che la religione, come il nazionalismo, è un placebo. Finiranno con il vendere le religioni nelle farmacie e i nazionalismi nei grandi magazzini del Corte Inglés.”

“Ma lei è inserito in un’operazione nazionalista.” “Postnazionalista, anche se marciamo con i nazionalisti stile Manelic come compagni di strada. Nella globalizzazione, i nazionalismi rimandati sono punti di partenza per la loro stessa auto-distruzione. Bisogna avere il coraggio di costruire neonazionalismi alternativi che la globalizzazione possa metabolizzare e a questo risponde Región Plus. Le nazioni emozionali saranno un fastidio, Carvalho, per questo vanno costruite e distrutte allo stesso tempo.”

“Ma i nazionalisti catalani, o quelli della Padania o gli occitani, sanno che Región Plus è una manovra interstatale tenuta in piedi dai dipartimenti di sicurezza dell’Unione europea allo scopo di affondare per l’appunto lo scissionismo basco, catalano o padano.” “Infatti, e io accetto questa posizione perché mi serve. Lei, Carvalho, non capisce il gioco? Io sono Lucifero e Manelic l'arcangelo san Michele, ma lavoriamo entrambi nello stesso ufficio, anche se quello sciocco di Manelic non ne è consapevole. Si sta costruendo una nuova modernità e pertanto una nuova sintesi tra Dio e Satana. Pensi alle chiavi della Teologia della sicurezza: controllare il traffico di droga, le sette religiose, l'estrema destra e la nuova estrema sinistra anarcoide.”

“E le guerre artificiali? E il traffico d’armi?”

“Non sia cretino, Carvalho. Vuole mandare a picco l’industria delle armi? È come voler fare a meno del petrolio. Ne conseguirebbe un crollo economico talmente catastrofico che ci troveremmo, allora sì, a vivere un nuovo Medioevo pullulante di guerrieri postindustriali e cannibalismi. Le fa male la testa?”

“Per il momento me la tengo tra le mani. Tutto è iniziato quando ho tentato di scoprire chi avesse ucciso un giovane di buona famiglia che voleva essere un diavolo, un diavoletto, per la precisione. È stato una vittima della nuova modernità costruita dalle mafie.”

“Poiché lo stato affonda, che cosa potremmo fare senza le mafie? Ogni potere ha avuto un’origine spuria, guerriera o mafiosa. Non perda tempo a trastullarsi con quel ricordo. Pensi a se stesso. Quimet l’ha cacciata in un ginepraio, nel suo stesso ginepraio, e lei non sa bene con che ruolo, ma se l'immagina. Quimet è un uomo fedele al governo catalano e se consente giochi radicali, servizi di informazione, collegamenti internazionali, è perché è convinto così di poter controllare tutto e quando si trova a sbrigare qualche faccenda con il presidente, gli può dire: Sono dei gran giocherelloni, ma tu, tranquillo, Jordi, tranquillo, è tutto sotto controllo. E per certi versi lo è e continuerà a esserlo finché resta in piedi il potere attuale, ma appena non ci sarà più, tutto è pronto per lo scoppio di conflitti di base in cui avranno parte rilevante elementi estranei che sfuggiranno alla capacità di controllo di Quimet. Come si può arrivare al XXI secolo chiamandosi Quimet? Nonostante tutto, è stato necessario eliminare questo Quimet. Non tornerà a fare politica il prossimo millennio. Allora, resteremo Quimet e io, faccia a faccia. Lui in testa al fronte patriottico, che non è quello mio. Io faccio il gioco duro, voglio il potere, il potere di tramare e decidere. Voglio vincere una volta nella vita. Per una volta sono a fianco dei vincitori, sicuro. Ho bisogno che in tale momento lei sia dalla mia parte e da quella di chi rappresento.”

“Chi è che rappresenta?”

“L’economicismo internazionale. Pérez i Ruidoms, il mio padrone e il mio schiavo, e viceversa. Un potere sovversivo contro il quale i politici non avranno alcun potere. Satana. Il padrone del castello all’inferno.”

Era scoppiato a ridere e si aspettava che Carvalho mettesse in dubbio il suo satanismo per dimostrarglielo, ma Carvalho lo guardava come se stesse recitando il monologo dell'Amleto o la romanza del baritono nell’operetta I gabbiani.

“Lo mette in dubbio? Pensa di avermi incasellato per sempre come un sociologo ossessionato e non pericoloso? Vuole che le mostri la lancia insanguinata?”

Portò la mano alla tasca del cappotto e ne estrasse una busta che consegnò a Carvalho. Il detective la tenne in mano per soppesarla e verificò che non era chiusa. Ne tirò fuori una manciata di foto. C’era abbastanza luce per poter vedere a una prima occhiata se stesso nudo, vedere Yes nuda, sul plaid, nel bosco durante il picnic galeotto.

“Ne ho di più compromettenti.”

Avvertì la voce di Anfrúns. Carvalho gliele restituì e fece spallucce.

“Sono orfano. Quindi non posso procurare un dispiacere ai miei genitori. Non sono sposato, vale a dire, non posso procurare un dispiacere a mia moglie. Ho una reputazione pessima, quindi lei non è in grado di peggiorarla.”

“E lei? Jessica Stuart-Pedrell è forse orfana? Pensa che queste foto piaceranno a suo marito? Ai suoi figli? Lo sa da quando controlliamo questa relazione? Non le ha parlato Yes, so che la chiama Yes, di certe lettere anonime?”

Carvalho mollò un pugno sull’occhio più vicino di Anfrúns e cercò di afferrargli la testa con un braccio nel tentativo di stringerla o togliersela di vista. Fu un atto puerile e destinato al fallimento, perché gli riuscì soltanto di afferrargli un codino scivoloso. Anfrúns si rigirò e assestò un calcio sul fianco di Carvalho, poi prese una pistola e l'avvicinò al detective finché la canna si scontrò con il naso di Carvalho.

“Tranquillo. È un avvertimento. Non si può essere un outsider. In questo mondo non c’è più posto per gli outsider.”

Anche se sta piangendo,

anche se sta morendo,

sai tu perché, amore mio?

Ho voglia di accarezzarti, di accarezzarti molto, di riempirti di baci, baci dolci, leggeri, e ancora di altri baci, fitti, umidi, intensi, lunghi… ma soprattutto: tanti. Sai una cosa? Tu sei la mia ossessione.

Nulla di quanto ho scritto ha come scopo di criticarti, tu mi hai sempre ripetuto, e molto chiaramente, che hai una tua vita e vuoi continuare ad averla; il meno è che si tratta di argomentazioni tue, non ti giudico né bene né male, è chiaro che hai le tue ragioni e, tra esse, non dubito ci sia anche un affetto molto speciale, grande e… conveniente e questo non lo rende, per forza, disprezzabile, ti assicuro che questa volta (lo dico senza seconde intenzioni) per te stesso o per l'immaginario che ti sei costruito, perché dubito sia Charo, la tua Charo, a frapporsi sempre tra te e me.

Sì, ogni giorno che passa è sempre maggiore la certezza che sto per restare sola.

Biscuter si era messo in testa di preparare il primo piatto seguendo una ricetta della rivista “Sobremesa”: terrina di foie-gras d’anatra con verdurine invernali e yogurt al mosto. Una proposta di cuoco giovane, evidentemente basco, perché si chiamava Bixente Arrieta.

“Quanti anni ha questo cuoco?”

“Ventisei, e lavora al ristorante del Museo Guggenheim di Bilbao.”

“A quell’età non si sa mangiare e, quindi, ancor meno cucinare.”

“Non sia razzista, capo, lei è un razzista biologico.”

Gli mostrò la rivista da cui prendeva la ricetta e la foto di un gruppo di giovani cuochi presentati come i novissimi. Insieme all’Arrieta c’erano altri che Carvalho definì imberbi. Charo si era impegnata a portare il torrone e Carvalho si era preso l’onere di cucinare il secondo, un carré di agnello disossato, ripieno di prosciutto di maiale iberico da passare poi alla fiamma, accompagnato da una guarnizione di patate fritte tagliate a lamelle e aromatizzate con scaglie di tartufo bianco. Carvalho dissertò davanti agli ingredienti indicandoli con uno dei suoi ditini meglio riusciti.

“Prima si cuoce il foie-gras nel grasso d’anatra, a fuoco lento, lentissimo, per dieci minuti circa e lo si lascia raffreddare. Con le verdure ho improvvisato perché non avevo a portata di mano quelle indicate dalla ricetta, ma cucinerò asparagi, porri, cavolfiore e shitaki, funghi cinesi. A parte preparo gli aromi, cipollotti, prezzemolo, timo e menta. Si fa una marinata con i cipollotti, olio di oliva, coriandolo, pepe nero, vino bianco, succo di limone, champignon, uvetta e pomodoro tritato. Cuocere il tutto tranne l’uvetta, che si aggiunge dopo aver setacciato gli ingredienti. Ormai ci manca solo lo yogurt al mosto, che si ottiene riducendo il mosto a caramello, sciogliendolo poi con gli yogurt sbattuti. Si aggiunge un po’ di panna, sempre sbattuta e visto che ci sono parti della ricetta che non capisco, perché sono spiegate peggio della guerra del Kossovo, a questo punto faccio a modo mio. Sistemo le verdure cotte al dente, ci verso sopra gli aromi e poi il foie-gras aggiustato con un po’ di sale da cucina e faccio un bordo decorativo con lo yogurt al mosto che circonderà la massa di foie-gras.

Biscuter si presentò a Vallvidrera con tutti gli ingredienti e si impadronì della cucina con il pretesto che il piatto di Carvalho era molto facile e molto veloce, mentre il suo aveva bisogno di tempo e concentrazione da grande chef. Carvalho lo lasciò fare mentre si dedicava a organizzare il caminetto bruciandovi L'uomo e la morte di Edgar Morin, un testo che l’aveva angosciato quasi trent'anni prima, quando improvvisamente aveva calcolato la propria età nel 2000 e gli era sembrato di cadere in un pozzo talmente senza fondo da rendere la caduta eterna, una caduta che sarebbe durata per sempre. Ricordava tutte le morti annunciate dall'invecchiamento e in particolare il degrado del cervello, il principio della fine più profonda, davanti alla quale è inutile scrivere quattrocento pagine per arrivare alla conclusione che l’unico sistema per vincere la morte sta nell’integrarla nella propria vita, mentre ci si aspetta un certo grado di non mortalità basato sul vivere a lungo, fino a compiere cento, centocinquant’anni con ostinazione e con l’aiuto della statistica. E se si smettesse di lottare contro la morte e si lottasse invece per la qualità dell’invecchiamento? Ma a questo punto il libro ormai stava bruciando e Biscuter esprimeva al detective alcune perplessità sulla ricetta.

“Che ne faccio della marinata, capo? Dove la verso? Sul foie-gras?”

“Sospetto che debba andare sulle verdure, perché altrimenti che senso ha il sale da cucina sul foie-gras?”

“Farò qualche prova, capo.”

“Perché non telefoni all’autore?”

Non pensò neanche lontanamente che Biscuter gli desse retta, ma poco dopo lo sgorbio aveva già trovato il numero telefonico del ristorante del Museo Guggenheim servendosi della sua bibbia gastronomica del momento, La guida alla gastronomìa 2000, di un tale Rafael García Santos, e in un attimo parlava direttamente con il cuoco. Allora, la marinata è per le verdure, chiaro, don Bixente, chiarissimo, voglia scusare se un amateur si è permesso di disturbarla in una serata come questa. Poi Biscuter si fregò le mani.

“La gioventù ci scalza, capo. Questo piatto a lei non sarebbe mai venuto in mente.”

Charo arrivò carica di torroni, cialde e pasticcini da fondere in bocca, nonché di bottiglie di moscato di Ribesaltes del quale si dichiarò appassionata dal periodo trascorso ad Andorra, insieme a una magnum di spumante Milenario, perché per la fine del millennio bisognava bere uno spumante preparato ad hoc per entrare in un’altra dimensione.

“Entrare in un nuovo millennio è come entrare in un nuovo mondo. Come sbarcare su Marte.”

Era venuta con l’animo della portatrice di gioia e stappò la bottiglia di spumante Milenario senza tener conto del fatto che Carvalho aveva stipato il frigo di bottiglie di Gramona, lo spumante della sua infanzia. In fin dei conti la festa era di Biscuter e Charo e furono loro a tirar fuori i regali per Carvalho: Biscuter dei mattoncini combustibili con cui far partire il fuoco nel camino e Charo una strana valigetta che gli porse con un sorriso complice.

“I mattoni, capo, sono per lasciarla senza scuse per far fuori dei libri. Bruciano meglio.”

“Vuoi frustare la parte fascista della mia anima, Biscuter?” Carvalho aprì la valigetta trovandosi davanti all’enigma del contenuto, qualcosa di simile alla tastiera e allo schermo di un computer portatile. Quando si voltò verso Charo per chiedere ragguagli, lei pronunciò laconica:

“MGV 25”.

E gli allungò un catalogo pieno di dati su simili valigette destinate a contenere strumenti di vigilanza elettronica, video e audio. Questo MGV disponeva di una micromacchina da presa a colori perfettamente nascosta, videoregistratore personale e un potente microfono stereo occulto.

“Funziona a batterie ricaricabili; c’è anche la versione zainetto o borsa da donna, ma dubito che tu vada in montagna a spiare o che accetti di farti vedere in giro con la borsetta.”

“L’anno prossimo potresti regalarmi un servizio di controspionaggio.”

Charo era a prova di sarcasmi.

“Ci avevo pensato. Avevo trovato un APC 99 che individua camere occulte, trasmettitori ambientali, telefonici, luminosi, mediante ogni tipo di aggeggio. Ma i miei risparmi non arrivano ancora a tanto.”

Carvalho non aveva comprato niente per loro e forse per compensare il silenzio del detective si lanciarono nei canti natalizi, Biscuter in catalano.

A Betlem m’n vull anar.

Vols venir tu rabadà?

Vull esmorzar!

[Voglio andare a Betlemme. / Vuoi venire, mandriano? / Voglio far colazione! ]

E Charo vecchie canzoni della sua infanzia meridionale e contadina:

Poiché il mio Dio è nato per partire

lasciatelo vegliare.

Poiché sta vegliando per me

lasciatelo dormire

chi dorme nel sonno

sta provando la morte.

A Carvalho venne in mente una canzone natalizia moresca imparata a lezione da un professore chiamato Blecua: Ballare moresco, con il tamburello, il bel bambino, è figlio di Allah… Ma la cantò solo dentro di sé e fece un sorriso di complicità davanti alla baldoria che Charo e Biscuter gli stavano organizzando mentre se ne andava al territorio comune dell’incontro con Yes, uno spazio fluttuante e costruito su misura per loro due, come se esistessero nel nulla, come se dessero corpo al nulla. Carvalho parlava con Yes e le spiegava la struttura della canzone natalizia con cui un moro sconosciuto convertito con la forza cercava di far rispettare il nome di Allah in quanto Dio Padre di Gesù Bambino. Si era aspettato una fine millennio senza superstizioni né irrazionalità e si ritrovava circondato da vecchie e future religioni che lo assediavano premonitorie. Con Yes avanzava verso una cucina interminabile dove si stava arrostendo l’agnello legato con lo spago e lei sembrava approvare con l’espressione del viso.

“Rosato. L’agnello mi piace di un bel colore rosato.”

Yes era interamente d’accordo. Come lo era con il Sauternes scelto per accompagnare il foie-gras di Biscuter e si sorprese a proporre un rosso Soneto de la Rioja con cui annaffiare l'agnello al prosciutto. Ma vedere Biscuter che usciva dalla cucina con il suo mosto allo yogurt, insieme alle esclamazioni di Charo, lo riportò alla realtà per tuffarsi nei sapori e nella fragile allegria dei suoi cari, tanto fragile che al quarto calice di spumante millenarista Charo scoppiò a piangere; dovettero pregarla perché confidasse la causa delle sue lacrime.

“Mi succede così ogni volta che penso al povero Quimet. A quanto deve essere triste il suo Natale, mentre noi invece, quanta allegria.”

“Potremmo invitare Quimet per un caffè e un bicchiere, capo?” Gli occhi di Carvalho fulminarono Biscuter, quelli di Charo invece sembravano sorridere nonostante le lacrime.

“Hai proprio un gran cuore, Biscuter! Ma Quimet è partito con la famiglia per le Hawaii ad aspettare il nuovo millennio. In ogni modo, grazie, Biscuter. Che gran cuore!”

“Se Dio mi avesse dato tanto cervello quanto cuore!”

“Ma di che Dio parli? Non eri ateo?”

“Sono un cristiano ateo.”

“Se sei ateo non puoi credere in Dio.”

“Ci sarà pure qualche vantaggio a essere ateo.”

E Biscuter rimase perplesso, perplesso con sé.

“Capo, io penso che ci siano due esseri divini. Quello che ha fatto questo mondo, ed è un dio malvagio, e un altro dio buono che aspetta da qualche parte e che rifarà il creato; tutto ciò che sappiamo sul male gli servirà per creare il bene.”

“Che bello, Biscuter!”