Epilogo.
Shakespeare centro del canone occidentale

Morto Voltaire, in Francia si ritorna a parlare di Shakespeare. Mercier scrive in De la littérature et des littérateurs a proposito del gusto: «Il teatro di Shakespeare, una volta conosciuto, lo colpirà con la sua rozzezza trionfante; e [quel vecchio gusto detestabile] cadrà, come un vecchio muro di cemento [...] si sgretola con un colpo di proiettile»1.

Mme du Deffand scrive a Walpole l’8 ottobre 1779:

Penso che il vostro Shakespeare abbia qualche somiglianza con Omero. Troverete che questo paragone non ha senso, ma vi è una certa arditezza e una certa forza nello stile che sfida ogni considerazione e convenienza: amo in Omero che gli dèi abbiano tutti i difetti e i vizi degli uomini, come in Shakespeare i re e i grandi signori hanno il tono e i modi rozzi del popolo2.

Il 4 marzo 1779 Ducis, che con i suoi adattamenti aveva introdotto per primo Shakespeare sulle scene francesi, ma edulcorandolo in base ai princìpi della tradizione classica cari a Voltaire, era stato accolto all’Académie al posto lasciato dal Patriarca e ne aveva pronunciato l’éloge3. Nel 1783 esce l’ultimo volume della traduzione di Shakespeare curata da Le Tourneur4.

Tuttavia in Francia, almeno per il momento, la conoscenza di Shakespeare restava limitata alla sola lettura. Con la morte di Voltaire la tradizione classica non si spegne del tutto. La profezia di Mercier doveva aspettare ancora del tempo per realizzarsi. La tragedia neoclassica sopravvive, sostenuta dalla politica, esaltata dalla Rivoluzione e da Napoleone, e continua ad essere rappresentata fino all’Ottocento inoltrato5. Mme de Staël nel 1807 parlava ancora di «mostruosità shakespeariane»6, e quando nel 1822 una compagnia inglese viene a Parigi a recitare Shakespeare, le rappresentazioni vengono interrotte perché una parte del pubblico urla «Shakespeare aiutante di campo di Wellington».

Ci sarebbero voluti ancora molti anni per accettare il vero Shakespeare sulle scene francesi. A Parigi – ma anche in Italia e in generale nei paesi latini, sotto l’influenza francese – il pubblico continuava a vedere Shakespeare negli adattamenti in versi alessandrini di Ducis o trasformato in mélodrame nei teatri dei boulevard. Solo nel 1829 con Otello nella traduzione di Vigny – da molti ritenuta ancora non sufficientemente fedele – Shakespeare viene accolto in una versione relativamente corretta al Théâtre-Français, in una serata che segue di due anni la celebre prefazione al Cromwell di Victor Hugo e precede di un anno la battaglia e la vittoria dell’Hernani. Il Romanticismo infligge a Voltaire il colpo fatale. È a Shakespeare, ai suoi drammi storici pieni di azione nei quali si mescolano il tragico ed il comico, che si ispira il teatro di Victor Hugo. Ma la stagione romantica in Francia è relativamente breve. Ducis sostituisce Shakespeare sulle scene francesi fino al 1875, quando, a parte Zaïre la cui ultima rappresentazione è nel 1936, smette di essere rappresentato anche Voltaire. Alla fine dell’Ottocento Shakespeare si afferma stabilmente nei teatri francesi e del teatro di Voltaire si parlerà sempre meno, anche se i francesi, poco inclini a diventare paladini di un autore straniero e fedeli alla predominanza del gusto, non diventeranno mai del tutto shakespeariani.

Molto diverso è il destino di Shakespeare e di Voltaire negli altri paesi europei. A parte l’Inghilterra, dove il processo di identificazione con Shakespeare iniziato da Johnson cresce e si rafforza (Coleridge equiparerà Shakespeare a Dio), la Germania è la prima a incrinare l’onnipotenza di Voltaire e a emanciparsi dalle idee che vincolavano critica e creatività. Se nell’ultima parte della sua vita l’ascendenza del Patriarca era stata a tal punto autorevole da rendere impossibile resistergli e Lessing scriveva il 2 giugno 1767: «Ma che vale sollevare obiezioni a Voltaire? Egli parla e viene creduto»7, dieci anni dopo, anche grazie a Lessing, tutto è diverso. Schubart scrive nel 1775: «Voltaire può sdraiarsi e dormire. Per noi è morto»8. Dal rifiuto del sistema classico francese e dal mito di Shakespeare ha origine la cultura tedesca. La Shakespearomania, che si diffonde in Germania a partire dal 1760, congela la rappresentazione delle tragedie di Voltaire sulle scene tedesche. Ottenuto uno straordinario successo con il suo adattamento di Amleto (1776) in cui interpretava il fantasma, nella seconda metà degli anni Settanta il grande attore Friedrich Ludwig Schröder (1744-1816), direttore del Teatro Nazionale di Amburgo, scatena la passione per Shakespeare adattando e interpretando Otello, Shylok, Lear (1778), Falstaff e Macbeth (1779). Negli anni Ottanta, mentre nei teatri tedeschi si moltiplicano le messinscene di Shakespeare, l’opera drammatica di Voltaire sembra appartenere a un’epoca tramontata9. Con la traduzione di Schlegel e Tieck, universalmente ritenuta superiore a ogni altra nel rendere Shakespeare in una lingua straniera10, Shakespeare si conferma «un bene tedesco».

La riscoperta di Shakespeare – ha scritto Steiner – significò il risveglio della coscienza11. Nei paesi anglosassoni come in Germania, nei paesi scandinavi e poco alla volta in tutto il mondo, Shakespeare diventa il centro del canone occidentale, l’autore supremo di ogni tempo e luogo12. La vittoria di Shakespeare è stata la vittoria della poesia, dell’emozione e dell’ispirazione sulla logica del razionalismo e sulle norme del gusto. Ed è stata anche la vittoria, gestita e tributata dal pubblico, della libertà e della vitalità del teatro sul potere della critica letteraria. Alla fine, dopo la lenta morte dell’egemonia culturale francese, proprio ciò che di Shakespeare Voltaire aveva condannato, la lingua, diventa la ragione della continuità universale e duratura del suo successo. Se fino all’inizio del Seicento la lingua dell’Europa colta era stata l’italiano e nel Settecento il francese, la vittoria della guerra dei Sette anni, che coincide significativamente con la rivalutazione di Shakespeare da parte di Johnson, getta le basi di un cambiamento epocale: a partire dal XX secolo, soprattutto nell’ultimo dopoguerra, la lingua prevalente in tutto il mondo sarà l’inglese. La disperazione del vecchio Voltaire mostra che aveva perfettamente intuito il destino che sarebbe prevalso. Con il riconoscimento della superiorità del genio di Shakespeare il mondo culturale europeo girava pagina, entrava nella nostra modernità.

 

1 L.-S. Mercier, De la littérature et des littérateurs, cit., p. 115.

2 Marie de Vichy de Chamrond marquise du Deffand a Horace Walpole, 8.10.1779, in Correspondance complète de la Marquise du Deffand, cit., vol. II, p. 708.

3 J.-F. Ducis, Œuvres, t. I, Paris, Ladvocat et Aimé André, 1827, p. 38.

4 Shakespeare traduit de l’anglois, cit.

5 Cfr. M. Fazio, Il mito di Shakespeare e il teatro romantico, cit., passim.

6 Mme de Staël, Corinne ou l’Italie, Paris, Gallimard, 1985, p. 176.

7 Lessing, Drammaturgia d’Amburgo, cit., p. 57.

8 Ch.F.D. Schubart, «Deutsche Chronik», Jhrg. III, 1776, p. 600. Schubart (1739-1791), poeta, compositore e pubblicista, fondò nel 1774 la rivista «Deutsche Chronik», che divenne uno degli organi dello Sturm und Drang.

9 E. Jaubert, Récupération théorique et exploitation pratique: le théâtre de Voltaire en Allemagne (1730-1770), in «Revue Voltaire», 7, 2007, p. 52. Nella seconda metà della sua vita (1802) Goethe traduce Tancrède e Mahomet che mette anche in scena a Weimar, ma l’obiettivo del classicismo weimariano, approdo della liberazione dallo Sturm und Drang, non era il ritorno alla tradizione francese. Goethe aspirava a un classicismo che non fosse copia e ripetizione, ma misteriosa e miracolosa palingenesi dei valori supremi dell’Arte e dell’Antichità. Sognava che la Germania potesse essere la nuova Ellade, la Grecia moderna, l’epicentro della cultura universale che avrebbe dovuto e potuto fondare la nuova civiltà europea occidentale nella varietà dei suoi popoli e delle sue culture. Dei francesi apprezzava la misura artistica, la capacità di conciliare l’impulso passionale con la più rigida disciplina della forma ed è in questo senso che va inteso il riavvicinamento a Voltaire.

10 La celebre traduzione in versi giambici dei romantici Schlegel e Tieck, iniziata nel 1796 da August Wilhelm von Schlegel (1767-1845), fu completata dal 1812 al 1833 da Ludwig Tieck (1773-1853) e da sua figlia Dorothea Tieck, insieme a Wolf Heinrich von Baudissin.

11 G. Steiner, Morte della tragedia, cit., p. 112.

12 H. Bloom, Il canone occidentale. I libri e le scuole delle età, Milano, Rizzoli, 2008, passim. «Shakespeare – ha scritto Emerson in Uomini rappresentativi (1850) – è altrettanto estraneo alla categoria degli autori eminenti quanto lo è alla folla. È inconcepibilmente sapiente; gli altri lo sono in maniera concepibile. Un buon lettore può, per così dire, annidarsi nel cervello di Platone e da lì pensare; non però in quello di Shakespeare. Ne siamo pur sempre esclusi. Quanto a capacità esecutiva, a creazione, Shakespeare è unico», cit. in H. Bloom, Il canone occidentale, cit., p. 35.