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La sera seguente Adelmo si sedette sulla stessa panchina di viale Principe Amedeo. Voleva vedere se la finestra era davvero sempre aperta come aveva detto Lise. E lo era. Ma non era l’unica ragione. Aveva pensato alla tedesca tutto il giorno, rimanendone talmente preso che alla Carlina erano saltati i nervi e gli aveva tirato un ceffone. Uno di quelli cattivi, che fanno male.
Lui aveva allargato le braccia sconsolato. «Che c’è? Non ho portato a casa un bel po’ di soldini stanotte?».
Lei aveva annuito. «E vorrei vedere! Ma mi fa girare i maroni quella faccia imbambolata che ti porti dietro. Sembra che tu abbia la testa piena di sogni».
«E anche se fosse?».
«Qui» aveva detto indicando il pavimento, «nessuno se la può permettere. Soprattutto tu».
Era tornato sotto casa di Lise fingendo di resistere alla tentazione di scavalcare il cancello. Rispettò il rito della canzone propiziatoria ma fu più veloce nell’esecuzione del brano. Aveva fretta di entrare. Gli sembrava di vivere un’avventura unica e necessaria allo stesso tempo.
Si fermò più a lungo nel bagno e rovistò negli armadietti, sgraffignando una boccetta di profumo che di certo non arrivava dagli scaffali di un grande magazzino. Indugiò nel corridoio qualche istante, poi accese la torcia e si diresse verso il salotto.
Il lampadario illuminò la stanza non appena Adelmo ci mise piede. La tedesca aveva cambiato vestito e trucco ma non la sciarpa, che ora sembrava stonare avvolta a quel collo sottile e delicato.
La donna alzò appena il capo, accennando un sorriso che subito si spense per lasciare posto a una smorfia di amara delusione.
«Non sei contenta di vedermi?» chiese il ladro sorpreso dalla reazione.
«Sei senza guanti e cappello, stupido!» rispose irritata. «Mi ero tanto raccomandata».
Lui si guardò le mani stupito. Poi capì. «Ma no, non sono venuto per quella faccenda».
«E allora cosa sei venuto a fare?».
«A vedere come stai, no? Ma non sei contenta che mi stai a cuore?».
«Preferirei pesare brevemente sulla tua coscienza con il mio cadavere fresco di strangolamento».
«Secondo me stasera non sei di buonumore».
«Lo ero. Mi illudevo che saresti venuto vestito di nero, un berretto di lana calato sulla fronte, una sciarpa che ti nascondeva parte del volto. Solo gli occhi scoperti. Limpidi, sereni, rassicuranti. E prima di afferrare i lembi della sciarpa mi sussurravi una bella frase. Una di quelle in grado di cullarti mentre abbandoni la vita».
«Ma tu pensi davvero che mi verrebbe in mente qualcosa di intelligente da dire mentre commetto un omicidio?».
La donna si arrese all’evidenza. «No».
Adelmo le strizzò l’occhio e tirò fuori dalla tasca un mazzo di carte. «Ascolta me, invece, che sono un uomo che sa il fatto suo. Guarda un po’ questo mazzo. È la soluzione di tutti i problemi. Tu mi insegni i trucchi e io inizio a battere le bische della zona e a farmi un nome come giocatore. Tu finanzi le partite e poi dividiamo. Guadagno assicurato» disse tutto in una volta. Si era preparato il discorso mentre arrivava in bicicletta.
Lei gli strappò il mazzo di mano e lo annusò. Poi lo gettò a terra, spargendo ovunque picche, quadri, fiori e cuori.
«Cinesi» sibilò. «In casa mia non la devi portare certa robaccia».
Lui accusò il colpo ma non si arrese. «Va bene. E della mia idea che dici? Iniziamo stasera?».
«Ma se non sai neanche comprare un mazzo di carte!» sbottò la tedesca in tono astioso. «Giocatori non ci si improvvisa e prima di tutto bisogna esserlo qui» aggiunse toccandosi la testa. «E tu qui non hai nulla, altrimenti saresti venuto con i guanti, avresti fatto quello che dovevi».
L’uomo sospirò rassegnato. Con quella non c’era niente da fare. Non le andava mai bene nulla. Aveva pronto un piano B ma la curiosità lo spinse a guardare verso il cassetto. Lo indicò con un gesto appena accennato.
«Sono là?».
«Certo che “sono là”».
Adelmo si avvicinò e lo aprì con delicatezza. «Miseriaccia ladra! Guarda quante sono».
«Non provare ad allungare le mani» lo ammonì lei con voce gelida.
«Volevo solo vedere. Quando mai le ho viste tante banconote tutte insieme?».
«Chiudilo!».
Lui obbedì con un gesto secco. Era arrivato il momento di illustrarle l’affare del gioco d’azzardo da un altro punto di vista. «Comunque, continuando il discorso di prima, se io non sono adatto a giocare puoi farlo tu. Mi dài una percentuale per le partite che ti organizzo».
«E dove me le organizzeresti? Al bar all’angolo? Nel retro della salumeria? Al dopolavoro ferroviario?» domandò sarcastica.
«Guarda che girano bei soldi».
«Sono giri da poveracci e poi io non ho mai giocato una sola partita a dadi o a poker in vita mia».
«E perché?» chiese l’uomo, sinceramente sorpreso.
«Perché ero una croupier».
«Capisco».
«No, non capisci. E non capirai mai. Cosa sei venuto a fare veramente?».
«A vedere il denaro» ammise il ladro abbassando lo sguardo.
«La tentazione è forte, eh?».
«Mi mangia dentro. Non faccio altro che pensarci. Mi faccio tanti di quei discorsi in testa ma alla fine il risultato è sempre lo stesso: fallo! Perché se un omicidio è una cosa grande, enorme, che fa paura… questo è facile facile».
«Non ne hai parlato ancora con la tua Carlina, vero?».
«No».
«E perché?».
«Perché poi mi fa fare quello che vuole lei. E magari non è quello che voglio fare io».
«È il vostro rapporto che funziona così» sentenziò stancamente la tedesca mettendosi a sedere.
«Lo so. E mi va bene, l’ho lasciata fare fin dall’inizio. Ma questa è una faccenda speciale. E voglio decidere da solo».
«Non puoi farlo».
«E perché?».
«Che fai, torni a casa con centoventimila euro e le spieghi come te li sei guadagnati? Hai idea di quello che potrebbe succedere?».
«Non succede nulla se la Carlina non viene a saperlo».
«Non essere ridicolo».
Lui si avvicinò al divano, si sedette al suo fianco e le prese una mano.
«Non è questo che voglio da te» chiarì lei.
Il ladro la lasciò andare. Poi ci ripensò e iniziò ad accarezzarla. «Allora hai proprio deciso?» chiese indicando con il mento il cassetto che conteneva il denaro.
«Sì».
«Tutti i discorsi che ti ho fatto l’altro giorno non sono serviti a niente? Perché non ti perdoni?».
«Posso anche farlo. Il problema che non ha soluzione è che il mondo non mi deve nulla. Sono fuori dai giochi».
«Non ti capisco mica, sai?».
Lei alzò le spalle prima di tornare a distendersi sul divano. «Vattene. Lasciami sola».
«Ma non vuoi un po’ di compagnia?».
«No. Cerchi di farmi cambiare idea per avere la scusa di non farlo. Di non cedere alla tentazione in cui stai sprofondando».
«Un po’ è vero» ammise l’uomo.
«Parla con la tua Carlina. E non dimenticarti guanti e cappello» tagliò corto la tedesca spegnendo la luce.
Lui rimase impalato per un po’, poi tirò fuori dalla tasca la torcia e ancora una volta scordò di usare la porta per uscire dall’appartamento.