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Invece con il Reduce la notte era così emozionata per aver scoperto, sicuramente, la famosa cosa principale, che stava sveglia a guardare come lui era bello, sfruttando qualche chiarore nell’oscurità, e quando sussultava spaventato, come se sentisse sparare, o che cadevano le bombe sulla nave e la spezzavano in due, lo sfiorava leggermente con un dito e il Reduce nel sonno le rispondeva attraendola a sé e non era distante da lei neppure quando dormiva. Allora nonna prendeva coraggio e si faceva una nicchia nella curva del suo corpo e si metteva da sola il braccio del Reduce attorno alle spalle e la mano sulla testa e l’impressione che le faceva questa posizione mai provata era tale che non riusciva a rassegnarsi a quella cosa, secondo lei senza senso, che è addormentarsi quando si è felici. Quindi c’era da chiedersi se gli innamorati vivessero così. E se fosse possibile. E se non decidessero anche loro a un certo punto di mangiare e dormire. 

Il quaderno nero con il bordo rosso adesso lo aveva il Reduce, che se lo leggeva ed era un professore molto esigente, perché per ogni errore di ortografia, o ripetizione della stessa parola, o errori vari, le dava una sculacciata e le scompigliava i capelli e voleva che lei dopo riscrivesse tutto. “Non mi va bééne, non mi va bééne” diceva con quella é stretta di Genova e di Milano e nonna non si offendeva, anzi, si divertiva un mondo. E andava matta anche per la musica, quando lui le faceva i pezzi classici con tutti gli strumenti e poi a distanza di tempo glieli rifaceva e lei azzeccava il titolo e l’autore, o le cantava le opere con le voci dei maschi e delle femmine, o le recitava delle poesie, per esempio di uno che era stato suo compagno di scuola, Giorgio Caproni, che a nonna piacevano tantissimo perché le sembrava di trovarsi a Genova, dove non era mai stata, ma le pareva che quei posti delle poesie assomigliassero a Cagliari. Così verticale, che quando arrivi al porto dal mare, a lei era capitato una volta su un barcone per il rientro di Sant’Efisio, le case ti sembrano costruite una sull’altra. Cagliari, come la Genova descritta dal Reduce e da quel suo amico, o da quell’altro poveretto, quel Dino Campana che era morto in manicomio, buia e labirintica e misteriosa e umida, che si apre a improvvisi e inaspettati varchi sulla grande luce mediterranea, accecante. Allora, anche se vai di fretta, non puoi non affacciarti da un muretto, o da una ringhiera di ferro e non goderti il cielo e il mare e il sole ricchissimi. E se guardi giù vedi i tetti, i terrazzi con i gerani e la biancheria stesa e le agavi sui pendii e la vita della gente, che davvero ti sembra piccola e fuggevole, però anche gioiosa. 

 

Delle prestazioni di nonna la preferita del Reduce era la geisha, la più difficile. Perché con nonno lei se la cavava raccontandogli cosa ci sarebbe stato per cena, invece il Reduce voleva prestazioni sofisticate tipo la descrizione della spiaggia del Poetto e di Cagliari e del suo paese e i racconti della sua vita quotidiana e del suo passato e delle emozioni provate dentro il pozzo e faceva tante domande e voleva risposte particolareggiate. Così mia nonna usci dal suo mutismo e ci prese gusto e non la finiva più con le dune bianchissime del Poetto e del loro casotto a righe bianche e celesti, che se ci andavi d’inverno, dopo il vento, a controllare se era ancora in piedi, montagne di sabbia candida ti impedivano l’entrata e se le guardavi dalla battigia ti sembravano davvero un paesaggio con la neve, soprattutto se il freddo era intenso e avevi i guanti e il cappellino di lana e il cappotto e tutte le finestre dei casotti erano chiuse. Solo che i casotti erano a righe azzurre, arancioni, rosse, e il mare, anche se lo avevi alle spalle, eccome si capiva che c’era. Invece d’estate ci andavano in vacanza, anche le vicine e i loro bambini, e portavano tutto il necessario con un carretto. Lei aveva un vestito abbottonato davanti, proprio per il mare, con delle grandi tasche ricamate. Gli uomini invece, quando la domenica o per le ferie stavano lì, usavano dei pigiami o accappatoi di spugna e si erano comprati tutti gli occhiali da sole, compreso nonno che aveva sempre detto che gli occhiali da sole facevano tanto ta gan’e cagai17  

Come le piacevano Cagliari e il mare e il suo paese con quell’odore misto di legna, camino, cacca di cavallo, sapone, grano, pomodori, pane caldo. 

Ma non quanto lui, il Reduce. Lui le piaceva più di tutte le altre cose. 

 

Con lui non si vergognava di niente, neppure di fare la pipì insieme per buttar fuori le pietre, e siccome per tutta la vita le avevano detto che sembrava una di un paese della luna, le sembrò di aver incontrato, finalmente, uno di quel suo stesso paese ed era quella la cosa principale della vita, che le era sempre mancata. 

 

Infatti, dopo le cure termali, nonna non fece più gli sgorbi sulle decorazioni a metà muro, che sono ancora qui in via Manno, né strappò i ricami, che restano sulle tasche dei miei grembiuli di bambina e che, se Dio vorrà, e spero tanto che voglia, passerò a quelli dei miei figli. Né all’embrione di mio padre mancò la cosa principale. 

Il quadernetto lo aveva regalato al Reduce, perché ormai non avrebbe più avuto tempo per la scrittura. Bisognava cominciare a vivere. Perché il Reduce fu un attimo e la vita di nonna tante altre cose.