Capitolo 9

 

La giornata piovosa scivolò in un umido crepuscolo mentre dal terreno si sollevava una densa foschia. La notte scese furtivamente, senza luna e senza stelle a fendere l'oscurità.

Moira attraversò la coltre di nebbia del cortile e rimase al passo di Glenna.

— Sono quasi a casa — mormorò lei strega. — Più tardi di quanto pensavamo, ma sono quasi a casa.

— Ho fatto accendere il fuoco nella vostra stanza e in quella di Larkin e Blair e ho fatto preparare loro un bagno caldo. Avranno freddo e saranno zuppi.

— Grazie. Non ci avevo pensato.

— Quando eravamo in Irlanda, pensavi tu a ogni dettaglio per rendere tutto più confortevole. Adesso tocca a me. — Come Glenna, anche Moira guardò il cielo. — Ho ordinato che servissero la cena nella sala da pranzo di famiglia, a meno che tu non preferisca stare da sola con Hoyt.

— No, no. Vorranno raccontarci tutto e tutti insieme. Staremo da soli dopo. — Sollevò una mano per afferrare la croce e l'amuleto che aveva al collo. — Non credevo che sarei stata così preoccupata. Quando siamo stati in battaglia ed eravamo in inferiorità numerica non ricordo di essere stata tanto preoccupata come adesso.

— Perché eri con lui. Amare e aspettare è peggio di una ferita.

— È una delle lezioni che ho imparato. Ce ne sono state così tante... Tu ti preoccupi di Larkin, lo so. E di Tynan, adesso che è partito. Lui prova dei sentimenti per te.

Moira capì che l'amica si riferiva a Tynan. — Lo so. Le nostre madri hanno sempre sperato che ci fidanzassimo.

— Ma...?

— Quello che provo per Tynan non ha niente a che vedere con l'amore che dovrebbe esserci tra due fidanzati. Lui è un amico per me. Forse il fatto di non avere nessun amato da aspettare, nessuno da perdere, mi rende più facile sopportare tutto questo.

Glenna attese un attimo. — Ma...

— Ma — proseguì l'altra con una mezza risata — invidio il tuo macerarti per lui.

Dal punto in cui si trovava, Moira scorse Cian, la sua figura che attraversava l'oscurità. Veniva dalle scuderie, notò. Invece del mantello che gli uomini di Geall indossavano per ripararsi dal freddo e dalla pioggia, portava un cappotto simile a quello di Blair. Lungo e nero, di pelle. I lembi si sollevavano nella foschia mentre si dirigeva verso di loro, accompagnato dal rumore degli stivali sulle pietre bagnate.

— Non arriveranno prima, se rimanete ad aspettare fuori all'umido — commentò.

— Sono quasi a casa. — La strega scrutò il cielo come se volesse che si aprisse e le mandasse Hoyt. — Lui sa che lo aspetto.

— Se tu aspettassi me, rossa, non sarei mai partito.

Con un sorriso, Glenna gli appoggiò la testa su una spalla. Quando Cian la circondò con un braccio, Moira lesse in quel gesto lo stesso affetto che lei nutriva per Larkin, quello che viene dal cuore, dalla famiglia.

— Là — disse Cian dolcemente. — A est.

— Li vedi? — Glenna si tese in avanti. — Riesci a vederli?

— Aspetta un minuto e li vedrai anche tu.

Appena li vide, la sua mano strinse forte quella di Moira. — Grazie a Dio. Grazie a Dio.

Il drago avanzava nell'aria densa, uno scintillio dorato con i passeggeri sulla schiena. Mentre atterrava, Glenna gli corse incontro sul selciato. Quando smontò, le braccia di Hoyt si aprirono per accoglierla.

— È un bello spettacolo — sussurrò Moira osservando Hoyt e Glenna che si abbracciavano. — Tanti hanno detto addio oggi e altri lo faranno domani. È bellissimo vedere qualcuno tornare a casa, tra le braccia di chi lo aspetta.

— Prima di lei, mio fratello è sempre stato un tipo solitario e schivo. Le donne cambiano tutto.

Lei gli lanciò un'occhiata. — Solo le donne?

— Le persone, insomma. Ma le donne... loro alterano gli universi solo per il loro essere donne.

— Nel bene o nel male?

— Dipende dalla donna, no?

— E dal trofeo, o dall'uomo, su cui ha messo gli occhi. — E con queste parole, Moira lo lasciò per correre verso Larkin. Nonostante fosse zuppo, lo abbracciò forte. — Ho da mangiare, da bere, acqua calda, tutto quello che puoi desiderare. Sono così felice di vederti. Di vedere tutti voi. — Ma appena si voltò per dare il benvenuto agli altri, lui la afferrò stretta.

Moira sentì il sollievo trasformarsi m paura.

— Che c'è? Cosa è successo?

— Dovremmo andare dentro — le consigliò lui con voce bassa e tesa. — Dovremmo andare dentro, per toglierci dalla pioggia.

— Dimmi cosa è successo. — Moira si scostò dal cugino.

— La truppa di Tynan è stata attaccata, circa a metà del percorso.

Lei si sentì gelare. — Oran. Tynan.

— Sono vivi. Tynan è stato ferito, ma non gravemente. Altri sei...

Moira afferrò il braccio di Larkin, affondandogli le dita nella pelle. — Uccisi o catturati?

— Cinque morti, uno preso. Molti altri feriti, due gravemente. Abbiamo fatto il possibile per loro.

Il freddo le gelò il cuore. — Avete i nomi? Dei morti, dei feriti e del prigioniero?

— Li abbiamo, sì. Moira, hanno preso il giovane Sean, il figlio del fabbro.

Le si contorse lo stomaco al pensiero di quello che attendeva il ragazzo. Qualcosa che era molto peggio della morte. — Parlerò alle loro famiglie. Non dite niente a nessuno finché non ho parlato con loro.

— Vengo con te.

— No, no, lo devo fare io. Tu devi asciugarti e scaldarti, e rifocillarti. Lo devo fare io, Larkin. È il mio ruolo.

— Abbiamo scritto i nomi. — Blair prese un appunto dalla tasca. — Mi spiace, Moira.

— Lo sapevamo che sarebbe successo. — Fece scivolare il foglietto sotto il mantello, per ripararlo dalla pioggia. — Vi raggiungo in sala da pranzo appena posso, così mi spiegate i dettagli. Per il momento, le famiglie devono sapere da me.

— Un gran peso — dichiarò Blair quando Moira si allontanò.

— Lo saprà portare. — Cian la guardò andare via. — È ciò che fanno le regine.

 

Moira pensava che dare quell'annuncio l'avrebbe distrutta, invece ci riuscì. Mentre madri e mogli piangevano tra le sue braccia, lei resse il peso. Non sapeva niente dell'attacco, ma raccontò a ognuna di loro che il figlio o il marito era morto con coraggio, da eroe.

Era quello che bisognava dire.

Fu più difficile con i genitori di Sean, fu peggio cogliere la speranza negli occhi del fabbro e vedere le lacrime di quella speranza riempire gli occhi della moglie. Non ebbe cuore di spegnerla e li lasciò così, con la speranza e le preghiere che il loro figlio in qualche modo riuscisse a scappare e a tornare a casa.

Quando finì, andò nella sua stanza e mise la lista di nomi in una scatola colorata che teneva di fianco al letto. Ce ne sarebbero state altre, lo sapeva. Quella non era che la prima. E di chiunque avesse dato la vita avrebbe conservato il nome in quella scatola.

Vi mise un rametto di rosmarino per ricordo e una moneta per tributo.

Dopo aver chiuso la scatola, scacciò il bisogno di solitudine, di dar sfogo al dolore, e raggiunse gli altri per sapere i dettagli dell'attacco. Quando entrò, la conversazione si interruppe di colpo e Larkin si alzò in fretta.

— Mio padre è appena andato via. Se vuoi lo richiamo.

— No, no. Lascia che stia con tua madre e tua sorella. — Moira sapeva che il marito della cugina incinta l'indomani avrebbe dovuto guidare le truppe.

— Ti scaldo un po' di cibo. No, ora mangi — disse Glenna appena Moira fece per aprir bocca. — Considerala una medicina, quindi devi prenderla.

Mentre la strega disponeva il cibo su un piatto, Cian le versò una buona dose di brandy alle mele in un bicchiere e glielo porse. — Bevi questo, prima. Sei bianca come la cera.

— Con questo riprenderò anche colore, ma mi girerà la testa. — Poi si strinse nelle spalle e lo buttò giù come acqua.

— Ammiro le donne che riescono a bere tutto d'un fiato. — Impressionato, prese il bicchiere vuoto e tornò a sedersi.

— È stato orribile. Almeno posso ammetterlo qui, con tutti voi. È stato orribile. — La regina si sedette a tavola premendosi le dita sulle tempie. — Guardare i loro volti e vederli crollare. E sapere che sono cambiati per sempre a causa di quello che gli hai appena detto. Per quello che è stato portato loro via.

— Non è colpa tua. — La rabbia colmò la voce di Glenna intanto che le metteva il piatto davanti. — Non è colpa tua.

— Non intendevo dire che la guerra o la loro morte sono colpa mia, però la notizia gliel'ho data io. Il peggio è stato con i genitori del ragazzo che è caduto prigioniero. Il figlio del fabbro, Sean. I suoi genitori nutrono ancora speranze. Come facevo a dir loro che è peggio che se fosse morto? Non riuscivo a spezzare quell'ultimo filo di speranza e mi chiedo se non fosse stato meglio farlo. — Emise un sospiro, poi si stirò. Glenna aveva ragione, doveva mangiare. — Ditemi cosa sapete.

— Erano nascosti nel terreno — iniziò Hoyt. — Come quando hanno attaccato Blair. Tynan ha detto che non erario più di cinquanta, ma i soldati sono stati presi alla sprovvista. Ci ha detto che sembrava come se non gli importasse di venire eliminati, caricavano e combattevano come bestie impazzite. Due dei nostri uomini sono morti subito e nella confusione della battaglia hanno rubato tre dei nostri cavalli.

— Quasi un terzo dei cavalli che avevano.

— Quattro, forse cinque di loro hanno preso il figlio del fabbro, vivo, da quel che hanno raccontato quelli che hanno cercato di salvarlo. L'hanno portato via, dirigendosi a est, mentre tutti gli altri tenevano la linea e combattevano. La nostra truppa ha ucciso più di venti vampiri, gli altri si sono sparpagliati e sono corsi via in ritirata.

— È stata una vittoria. Devi vederla così — insisté Blair. — Devi, per forza. I tuoi uomini hanno fatto fuori più di venti nemici al loro primo scontro. Le tue perdite sono state leggere in confronto a quelle di Lilith. E non dire che un caduto dei nostri vale più di mille morti dei loro — aggiunse subito. — Lo so. Ma questa è la realtà dei fatti. I nostri soldati hanno dimostrato di essere ben allenati e all'altezza del compito.

— So che hai ragione e mi sono già detta le stesse cose. Ma è stata una vittoria anche per loro. Volevano un prigioniero. Non c'erano altre ragioni per non ucciderlo. La loro missione doveva essere prenderne uno vivo, a qualsiasi costo.

— Hai ragione, senza dubbio. Ma non la vedo come una loro vittoria. È stato uno spreco e una mossa stupida. Uccidere cinque soldati per prendere un solo prigioniero... Se quei vampiri fossero rimasti a combattere, avrebbero ucciso molti più uomini dei nostri, o avrebbero fatto altri prigionieri. Il mio sospetto è che Lilith abbia ordinato così perché era arrabbiata, o per impulso, seguendo in questo modo una cattiva strategia.

Moira mangiò il cibo senza riuscire ad assaporarlo mentre pensava. — Il modo in cui ci ha rimandato King... è stato meschino e brutale. Per lei è stato una specie di scherzo. Lei crede che queste cose ci indeboliscano, stronchino i nostri spiriti. Come può conoscerci così poco? Tu hai vissuto per metà del tempo che ha vissuto lei — disse rivolta a Cian. — E ci conosci meglio.

— Io trovo gli umani interessanti. Lei li trova... al massimo gustosi. Non hai bisogno di conoscere la mente di una mucca per allevarla e fame bistecche.

— Soprattutto se hai a disposizione tutta una banda per ucciderla e tagliarla a fette — aggiunse Blair. — Volevo solo seguire la tua metafora — disse al vampiro. — Ho ferito la sua ragazza, quindi adesso ha bisogno di controbattere. Abbiamo preso tre delle sue basi... dovrei aggiungere che abbiamo spazzato via anche altre due postazioni stamattina.

— Erano vuote — dichiarò Larkin. — Non si è preoccupata di piazzare delle trappole lì, o di lasciarci delle truppe. Inoltre, Glenna ci ha raccontato come avete giocato con lei mentre eravamo via.

— Il succo è che ci ha reso pan per focaccia. Lei, però, perde più di noi. Anche se questo non rende le cose più facili alle famiglie dei caduti — aggiunse Blair.

— E domani manderò in missione altre truppe. Phelan. — Moira si avvicinò a Larkin. — Non posso trattenerlo. Parlerò con Sinann, ma...

— No, tocca a me. Immagino che nostro padre le avrà già parlato, ma voglio andare di persona a vederla.

Moira annuì. — E Tynan? Le sue ferite?

— Un taglio lungo il fianco. Hoyt ha curato i feriti. Stava bene quando li abbiamo lasciati. Sono al sicuro per la notte.

— Bene, allora. Preghiamo che domani mattina ci sia il sole.

 

Moira aveva anche un altro compito da svolgere.

Le sue ancelle avevano una sala vicino alle sue stanze dove potevano sedersi e leggere, lavorare a maglia o raccontarsi pettegolezzi. La madre lo aveva reso uno spazio allegro, molto femminile, con tessuti morbidi, tanti cuscini, vasi di piante fiorite. Il fuoco nel caminetto era alimentato da legna di melo, che sprigionava un gradevole profumo, e i portafiaccole sulle pareti erano delle graziose fatine alate.

Quando era diventata regina, Moira aveva dato il permesso alle sue cameriere personali di apportare tutti i cambiamenti che avessero voluto. La stanza, però, era rimasta com'era nei suoi ricordi.

Le ancelle erano lì in quel momento, stavano aspettando che lei si ritirasse per la notte o che semplicemente le congedasse. Quando entrò, si alzarono e le fecero un inchino.

— Siamo tutte donne, qui. Per ora e in questo luogo siamo tutte solo delle donne. — Aprì le braccia verso Ceara.

— Oh, mia Signora. — Gli occhi di Ceara, già rossi e gonfi, si riempirono ancora di più di lacrime mentre correva incontro all'abbraccio di Moira. — Dwyn è morto. Mio fratello è morto.

— Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Vieni qui, ora. — Accompagnò Ceara a sedersi, tenendola accanto a sé. E pianse con lei, come aveva pianto con sua madre, e con i genitori delle altre vittime.

— Lo hanno seppellito là, in un campo lungo la strada. Non hanno neanche potuto portarlo a casa. Non ha avuto una veglia.

— Faremo consacrare il terreno da un prete. Ed erigeremo un monumento per coloro che sono caduti oggi.

— Era ansioso di partire... di combattere. Si è voltato e mi ha salutato prima di andare via.

— Prendi un po' di tè, ora. — Con gli occhi rossi anche lei, Isleen posò la teiera sul tavolino. — Bevi un po' di tè, Ceara. E anche voi, mia Signora.

— Grazie. — L'ancella si asciugò il viso. — Non so cosa avrei fatto in queste ultime ore senza Isleen e Dervil.

— È bello che siate amiche. Ma dopo che avrai preso il tè devi andare dalla tua famiglia. Avrai bisogno di loro, adesso. Hai il mio permesso finché vorrai stare con loro.

— C'è qualcosa che voglio di più, maestà. Qualcosa che vi chiedo di darmi, in nome di mio fratello.

Moira aspettò, ma Ceara tacque. — Vuoi che ti dia la mia parola senza sapere per cosa te la sto dando?

— Domani mio marito uscirà con la truppa.

La regina trasalì. — Ceara... — Si avvicinò e le accarezzò i capelli. — Anche il marito di Sinann uscirà all'alba. Sta aspettando il terzo figlio e tuttavia non posso impedire che parta.

— Non vi chiedo di non farlo partire. Vi chiedo il permesso di andare con lui.

— Per... — Attonita, Moira si sedette di nuovo. — E i tuoi figli?

— Staranno con mia madre, qui, al sicuro, con lei. Ma il mio uomo va in guerra e io sono stata addestrata come lui. Perché io devo stare qui a guardare? — L'ancella tese le mani. — Stare qui a fare l'uncinetto, a passeggiare in giardino mentre lui va a combattere... Voi avete detto che tutti dovevano tenersi pronti a difendere Geall e gli altri mondi. Io mi sono allenata. Maestà, mia Signora, vi chiedo formalmente il permesso di partire con mio marito, domani.

Moira si alzò senza rispondere. Andò verso la finestra per guardare il buio fuori. Aveva finalmente smesso di piovere, ma la foschia che la pioggia aveva lasciato si accumulava fitta come nubi.

— Hai parlato con lui di questo? — chiese infine.

— Sì, e il suo primo pensiero è stato per la mia sicurezza. Ma capisce che ho preso una decisione e perché.

— E qual è il perché?

— Lui è il mio cuore. — Ceara si alzò, posandosi una mano sul petto. — Non lascerei i miei figli senza protezione, ma sono sicura che mia madre farà il possibile per loro. Mia Signora, noi, noi donne, ci siamo addestrate e abbiamo sgobbato nel fango per tutto questo tempo solo per stare sedute davanti al caminetto?

— No. No, davvero.

— Non sono l'unica donna che vuole combattere.

Moira si voltò. — Ne hai parlato con altre. — Guardò Dervil e Isleen. — Anche voi due volete partire? — Annuì. — Capisco di aver sbagliato a trattenervi. Darò disposizioni per la vostra partenza, allora. Sono orgogliosa di essere una donna di Geall.

 

Per amore, pensò Moira mentre era seduta a compilare un'altra lista di nomi. Per amore quanto per senso del dovere. Le sue ancelle sarebbero partite e avrebbero combattuto per Geall. Però erano i mariti e gli uomini amati, le famiglie dentro Geall che le avevano spinte a impugnare la spada. E lei? Per chi combatteva? A chi poteva rivolgersi lei la notte prima di una battaglia per avere quel calore, per trovare una ragione per combattere?

I giorni scorrevano via e Samhain si profilava come un'ascia insanguinata sulla sua testa. E lei stava lì, sola, come ogni notte. Avrebbe studiato un altro libro, un'altra mappa, un'altra lista? Oppure avrebbe di nuovo vagato per le stanze, i giardini e i cortili, desiderando...

Desiderando Cian, pensò.

Sperando che lui posasse di nuovo le mani su di lei e la facesse sentire così piena, così viva, così luminosa. Desiderando che dividesse con lei ciò che aveva visto in lui mentre suonava e aveva mosso il suo cuore così come il suo sangue.

Moira aveva combattuto e aveva sanguinato, e avrebbe combattuto e sanguinato ancora. Si sarebbe lanciata in battaglia come regina, con la spada degli dei in mano. In quel momento, però, era lì seduta nella sua stanza in silenzio anelando come una ragazzina timida il tocco e il calore dell'unico uomo che le faceva battere il cuore.

Certo, erano sciocchezze inutili. Inoltre era un insulto a tutte le donne.

Si alzò in fretta, continuando a riflettere. Sì, era proprio un insulto, ed era meschino.

Si sedette, riconsiderando quel che aveva sostenuto prima, quando aveva accettato di mandare le sue ancelle in battaglia. In genere erano gli uomini a correre in soccorso delle donne. Per tradizione il ruolo dell'uomo era quello di difendere e proteggere.

Le cose, però, erano cambiate, no?

Non aveva forse passato delle settimane in un mondo e in un tempo in cui le donne, come Glenna e Blair, sostenevano le proprie ragioni, e anche più di questo? Quindi, se voleva le mani di Cian su di sé, avrebbe visto di fargliele mettere, fine della storia.

Iniziò a misurare a grandi passi la stanza, poi si ricordò del suo aspetto. Poteva fare di meglio. Visto che stava per buttarsi e per sedurre un vampiro, doveva andarci ben armata.

Si tolse il vestito. Avrebbe voluto fare un bagno o, meglio, una di quelle magnifiche docce calde dell'Irlanda, ma si accontentò di lavarsi nel catino con dell'acqua profumata. Si mise una crema, immaginando le lunghe dita di Cian che la sfioravano. Fremé al pensiero, il ventre caldo, i nervi tesi mentre si infilava la migliore delle sue camicie da notte.

Pettinandosi, per un attimo si pentì di non aver chiesto a Glenna di insegnarle a truccarsi un po', anche se le sembrava di avere le guance in fiamme e gli occhi lucidi. Si morse le labbra fino a farsi male, ma pensò che così erano colorate e piene. Ed erano più belle.

Si allontanò dallo specchio e si studiò con attenzione da ogni punto di vista. Sperava di sembrare attraente. Prese una candela e lasciò la stanza con la determinazione assoluta che non vi sarebbe ritornata vergine.

 

Nella sua stanza, Cian era assorto nelle mappe. Era l'unico del cerchio a cui era stata negata un'occhiata al campo di battaglia, sia nella realtà che in sogno, e voleva porvi rimedio.

Il tempo era un problema. La strada che gli altri percorrevano in cinque giorni lui la poteva percorrere in due, forse meno. Questo, però, significava che avrebbe avuto bisogno di un posto sicuro in cui rifugiarsi durante le ore di luce. Uno degli avamposti che gli altri si erano assicurati sarebbe andato bene. Una volta fatta la sua ricognizione, si sarebbe potuto semplicemente spostare in una di quelle basi fino a Samhain.

E uscire da quel maledetto castello, lontano dalla sua regina tentatrice.

Gli altri avrebbero sollevato obiezioni, ne sarebbero stati infastiditi, ma non potevano chiuderlo in una prigione sotterranea e pretendere che se ne stesse lì tranquillo e buono. Loro stessi sarebbero partiti la settimana successiva.

Sarebbe andato via a cavallo. Poteva cavalcare con le truppe al mattino, se era nuvoloso e il sole era nascosto. Oppure poteva aspettare il tramonto.

Rilassandosi sulla sedia, sorseggiò del sangue che aveva corretto con il whisky, la sua versione personale di cocktail per conciliare il sonno. E se fosse partito subito? Se fosse andato via all'improvviso il fratello e gli altri non avrebbero avuto tempo di fare storie. Poteva lasciare un biglietto, pensò. Era strano avere delle persone che si preoccupavano per lui. Era strano ma anche piacevole, sebbene aumentasse le sue responsabilità.

Avrebbe semplicemente fatto i bagagli e via, decise, mettendo da parte la bevanda. In quattro e quattr'otto. E non avrebbe dovuto rivedere Moira finché non lo avessero raggiunto.

Recuperò la fascia di pelle e perline che non le aveva restituito e ci giocherellò. Se fosse andato via quella notte, non avrebbe dovuto vederla o sentire il suo profumo, o immaginare come sarebbe stato averla sotto di sé nel buio.

E lui aveva un'immaginazione dannatamente buona.

Si alzò per scegliere l'abbigliamento più adatto al viaggio e aggrottò le sopracciglia quando sentì bussare alla porta. Probabilmente era Hoyt, pensò. Bene, non intendeva metterlo al corrente dei suoi piani, per evitare un lungo e irritante dibattito. Prese in considerazione la possibilità di non rispondere affatto, ma il silenzio e una porta chiusa non avrebbero fermato quello stregone del fratello.

Capì che era Moira nel momento stesso in cui toccò il chiavistello. E imprecò. Aprì la porta, intenzionato a congedarla subito e a proseguire con il suo piano di fuga.

Era vestita di bianco, un tessuto morbido e sottile, con una sorta di velo che era quasi dello stesso grigio dei suoi occhi. Profumava di primavera, ed era giovane e piena di promesse.

Il bisogno gli si agitò dentro come spire di serpenti.

— Non dormi mai? — le domandò.

— E tu? — Scivolò nella stanza con una mossa che lo sorprese tanto da non riuscire a bloccarla.

— Be', accomodati pure. Fa' come se fossi a casa tua.

— Grazie — gli rispose educatamente, come se le parole di Cian non fossero imbevute di sarcasmo. Poi appoggiò la candela e si voltò verso il caminetto, dove lui non si era preoccupato di accendere il fuoco.

— Vediamo se ci riesco. Ho provato e riprovato fino allo sfinimento. Non parlare, mi distrarresti. — Allungò una mano verso il caminetto. Si concentrò, immaginò. Spinse. Un'unica, debole fiamma tremolò, così strinse gli occhi e spinse più forte. — Ecco! — La sua voce era assolutamente soddisfatta, mentre la legna prendeva fuoco.

— Ora sono circondato da maledetti maghi.

I suoi capelli e le vesti svolazzarono mentre si girava. — È un'abilità molto utile e voglio imparare ancora.

— Non troverai un tutor di stregoneria qui.

— No. — Moira si spostò indietro i capelli. — Ma magari di altre cose. — Tornò verso la porta, tirò il chiavistello, poi si girò verso di lui. — Voglio che mi porti a letto.

Cian batté le palpebre. In un'altra situazione l'avrebbe fissata con gli occhi sgranati. — Cosa?

— Non sei sordo, mi pare, quindi mi hai sentito bene. Voglio venire a letto con te. Pensavo di provarci facendo la civettuola e seducendoti, ma poi mi sono detta che parlare chiaro avrebbe funzionato meglio.

I serpenti avvolti dentro di lui iniziarono a contorcersi. E a mordere. — Allora parlerò chiaro anch'io: vattene.

— Vedo che ti ho sorpreso. — Vagò per la stanza, passando un dito su una pila di libri. — Non è facile riuscirci, quindi, come direbbe Blair, un punto per me. — Si girò di nuovo e sorrise. — Non ho esperienza in materia, perciò dimmi... perché un uomo dovrebbe arrabbiarsi se una donna vuole andare a letto con lui?

— Io non sono un uomo.

— Ah. — Sollevò un dito per dargli ragione su questo punto. — Ma hai pur sempre dei bisogni, dei desideri. Tu mi desideri.

— Un uomo metterebbe le mani quasi su ogni donna.

— Tu non sei un uomo — replicò Moira e sorrise ancora. — Un altro punto per me. Non stai al passo.

— Se hai di nuovo bevuto...

— Non ho bevuto. Lo sai che non l'ho fatto. Però ho pensato. Andrò in guerra, in battaglia. Potrei non sopravvivere, come può accadere a ciascuno di noi. Sono morti dei bravi uomini oggi, nel fango e nel sangue, e hanno lasciato dei cuori spezzati dietro di loro.

— E il sesso riconferma la vita. Conosco la psicologia del discorso.

— Questo, sì, è vero. E, in quanto a me, che io sia dannata, lo giuro, se morirò vergine. Voglio sapere com'è. E voglio sentirlo.

— Allora ordina un suddito come stallone, maestà. Io non sono interessato.

— Non voglio nessun altro. Non ho mai voluto nessuno prima di te e non ho voluto altri che te, da quando ti ho visto la prima volta. Mi ha turbato che potessi nutrire dei sentimenti simili per te, sapendo ciò che sei. Ora, però, sono dentro di me e non se ne vanno. Ho dei bisogni, come tutti. E sono abbastanza astuta, credo, per superare la tua resistenza, se ce ne sarà bisogno... dopotutto potresti non essere più così aitante, vista la tua veneranda età.

— Attenta dove metti i piedi, ragazzina...

— Oh, so benissimo dove metto i piedi e ci sto molto attenta. — Guardandolo, squadrandolo, passò una mano su un angolo del letto. — Dimmi... che differenza fanno per te un'ora o due? È da un po' che non hai donne, credo.

Si sentì un idiota. Rigido, cretino, e misero. — Non sarebbero affari tuoi.

— Potrebbero esserlo. Ho letto che quando un uomo è rimasto... diciamo... a secco per un po', le sue prestazioni possono essere ridotte. Ma non dovresti preoccupartene, dato che non ho un metro di paragone.

— Oh, come sono fortunato! O meglio, lo sarei se ti volessi.

Moira piegò la testa di lato e Cian le colse sul viso solo curiosità e sicurezza di sé. — Credi di mandarmi via con gli insulti? Scommetto quello che vuoi che ce l'hai duro come una pietra, ora. — Si mosse verso di lui. — Desidero tanto che tu mi tocchi, Cian. Sono stanca di sognarlo, voglio sentirlo.

Il terreno gli franò sotto i piedi. Stava franando, ne era sicuro, dal momento in cui Moira era entrata in quella stanza. — Non sai cosa chiedi, cosa rischi. Non conosci le conseguenze che comporta.

— Un vampiro può andare a letto con un umano. Non mi farai male. — Si avvicinò, si tolse la croce e la mise sul tavolo.

— Un'anima fiduciosa. — Provò con il sarcasmo, ma quel gesto lo turbò.

— Sono sicura di me. Non ho bisogno e non voglio uno scudo contro di te. Perché non mi chiami mai per nome?

— Cosa? Ma certo che ti chiamo per nome.

— No, non è vero. Ti rivolgi a me, ma non mi guardi mai e non pronunci mai il mio nome. — I suoi occhi erano grigi come il fumo. E colmi di sapere. — I nomi hanno potere, preso o dato. Hai paura di ciò che potrei prenderti?

— Non c'è niente che potresti prendere.

— Allora di' il mio nome.

— Moira.

— Ancora, ti prego. — Gli prese una mano e se la appoggiò sul cuore.

— Non farlo.

— Cian. Ecco il tuo nome detto da me. Cian. Credo che se non mi tocchi, se non mi prendi, urta parte di me morirà ancora prima di andare in battaglia. Ti prego. — Gli prese il viso tra le mani e vide, finalmente, ciò che aveva bisogno di vedere nei suoi occhi. — Di' il mio nome.

— Moira. — Perduto, le afferrò il polso e appoggiò le labbra sul suo palmo. — Moira, se non fossi già dannato, questo mi manderebbe all'inferno.

— Cercherò di portarti prima in paradiso, se mi insegni. — Si alzò sulle punte, avvicinandolo a sé, e le tremò il respiro quando le labbra di Cian incontrarono le sue.