Capitolo 5
Fu il rumore della porta che si apriva a risvegliarmi definitivamente. Impugnai d’istinto il calcio della pistola, ma mollai subito la presa, perché dietro al velo di nebbia che ancora mi offuscava la vista intuii i tratti familiari di Holmes che, venendo verso di me, sventolava a mezz’aria la copia di un giornale.
– Buone nuove, Watson, anche se il pericolo, purtroppo, non è ancora scampato.
– Che significa, Holmes? – domandai, sconcertato. – Come possono esserci buone nuove se la signora Hudson è ancora in pericolo?
Holmes raggiunse il tavolo ed aprì una borsa dalla quale tirò fuori alcuni tramezzini e una bottiglia che, avvolta in una pelliccia di agnello, sprigionava odore di caffè.
– Venga, dottore, immagino che anche lei, ieri sera, non abbia cenato. So che è troppo tardi per la prima colazione, ma è pur sempre troppo presto anche per il pranzo. Mandare giù un boccone, perciò, ci farà bene. Avremo bisogno di energie per affrontare il resto della giornata. No, non faccia domande. La metterò al corrente delle novità mentre ci sfamiamo.
Mi alzai stancamente dalla poltrona e andai a sedermi al tavolo. Il caffè, bollente e forte, fu un toccasana.
– Non mi tenga sulle spine. Che novità ci sono? – chiesi prima di addentare il tramezzino.
– La nostra cara padrona di casa, amico mio, non è caduta vittima della banda dei testamenti – rispose con un largo sorriso dopo aver trangugiato, in due bocconi, la sua colazione.
– Tuttavia è ancora prigioniera e la sua vita è in pericolo – brontolai.
– La situazione non è così fosca, tutto sommato – dichiarò accendendo la pipa. – Vede, Watson, ho idea che siamo alle prese con un’accozzaglia di criminali dilettanti. È questo fatto insolito che ci ha precipitati nel buio più assoluto. Adesso, però, abbiamo in mano un bandolo della matassa. Senta qua, dottore – s’infervorò staccando la pipa dalle labbra e aprendo la copia del “Globe”. – ‘Per le riparazioni servono 221 buone sterline. Ultimo deposito, Canary Wharf’.
– Per Giove, 221 buone sterline – esclamai calcando la voce sulla lettera “b”.
– Sì, Watson, il nostro indirizzo celato all’interno di una richiesta di riscatto – annuì dopo aver tirato una boccata di fumo. – E dovremmo lasciare il denaro presso l’ultimo magazzino del West India Docks, in pieno East End. A proposito, sa che in zona ci sono diverse baracche che ospitano la sede di aziende edili?
– Il martello.
– Già, come vede, avevo ragione a chiamare in causa un muratore o un suo collega di cantiere. Dunque, adesso sappiamo dove concentrare le nostre ricerche. Ma non è finita qui, sa? Senta cosa dice quest’altro trafiletto: ‘Tutti i sottoscrittori della lotteria a sostegno della Scottish Soldier’s Orphans Association sono invitati nel salone del sodalizio per l’estrazione dei premi. Ore 18 – 3 Brunswick Mews’.
– Accidenti, Holmes, la signora Hudson…
– …è la segretaria dell’associazione a sostegno degli orfani di guerra dei militari scozzesi.
– L’hanno rapita per impossessarsi delle sottoscrizioni.
– Esatto, Watson – confermò il mio amico spegnendo la pipa. – E adesso sarà meglio raggiungere Lestrade. Se non avremo intoppi, per l’ora di pranzo questa brutta faccenda sarà solo un fastidioso ricordo. Su, dottore, andiamo.
Quando lo raggiunsi in strada, Holmes era già a bordo di una vettura pubblica e appena mi sedetti al suo fianco i cavalli si misero in movimento.
– Holmes…
– No, Watson, non adesso, la prego. Il resto delle spiegazioni solo a giochi chiusi.
Sentii montare la rabbia, ma trattenni senza battere ciglio le sconvenienti parole con le quali avrei voluto investirlo. Lo conoscevo troppo bene. Se aveva deciso di tacere, nulla al mondo lo avrebbe convinto a un ripensamento. Irritato, chiusi gli occhi per il resto del viaggio. Li riaprii quando la carrozza fermò la sua corsa. Eravamo in una zona indefinita di quel vaso inferno che è l’East End. Fuori, ad attenderci, c’era l’ispettore Lestrade in compagnia di due agenti. Ma altri poliziotti, ne ero sicuro, si nascondevano tutt’intorno, pronti ad entrare in azione in caso di bisogno. Holmes scese a terra con un balzo, divorò un centinaio di metri di strada con ampie falcate e, all’improvviso, svoltò in un vicolo. Era un budello buio, ricoperto di fango e ammorbato da un tanfo insopportabile. Holmes era fermo davanti a una porta, in realtà un tavolaccio di legno imbarcato e mezzo marcio. Ci fece un cenno e poi bussò.
– Chi rompe? – gridò dall’interno una voce gutturale e sguaiata.
– Polizia – rispose il detective senza tradire alcuna emozione, mentre Lestrade e i due agenti estraevano le pistole dalla fondina.
Per alcuni, interminabili istanti regnò un silenzio irreale. Poi, d’un tratto, risuonò un cigolio sinistro e la porta si aprì verso l’interno. Apparve allora la figura gigantesca di un uomo calvo e barbuto che, corporatura a parte, non aveva nulla di minaccioso. Il suo sguardo era spaurito. Ci osservò per pochi attimi, poi abbassò gli occhi a terra e sollevò in alto le braccia in segno di resa. Holmes s’infilò nell’esiguo spazio tra l’uomo e il battente della porta e sgusciò dentro il tugurio. Mentre uno degli agenti ammanettava il gigante, all'interno udii un leggero trambusto. Pochi secondi dopo l’altro poliziotto e l’ispettore Lestrade uscirono dalla casa tenendo per le braccia un secondo uomo, cencioso al pari del gigante ma di statura media e corporatura esile. Ero talmente in pena per la salute della signora Hudson che quasi non mi ero reso conto degli avvenimenti che si erano consumati così velocemente sotto i miei occhi.
Non so descrivere la felicità che provai quando dall’oscurità della catapecchia vidi apparire la signora Hudson, sostenuta affettuosamente dal mio amico. Abbracciai quella santa donna con lo stesso slancio di un figlio che rincontri la madre dopo un lungo periodo di separazione. Era pallida e tremante, ma non le era stato torto un capello, per fortuna.
– Non ho mai dubitato, nemmeno per un istante, che il signor Holmes e lei mi avreste tirata fuori da questo impiccio – sussurrò tutto d’un fiato il nostro caro angelo del focolare con la voce stanca e strascicata. Tuttavia la sua presenza di spirito era straordinaria, perché trovò parole gentili anche per Lestrade: – Grazie anche a lei, ispettore. Ero certa che avrebbe dato una mano ai suoi amici.
Forse Holmes non avrebbe definito in termini così intimi il suo rapporto con il funzionario di Scotland Yard, ma restò impassibile e non fece commenti. Non era il momento delle punzecchiature, e poi Lestrade si era commosso.
– Dovere…dovere – bofonchiò il poliziotto, rosso in viso.
– Purtroppo, signora Hudson, non potremo riaccompagnarla a casa – intervenne Holmes in tono suadente. – C’è stato uno spiacevole incidente e prima di tornare nel suo appartamento sarà necessario risistemarlo a dovere. Se non le reca fastidio, la farò alloggiare per qualche giorno presso la signora Howe. Vive in una zona tranquilla e dopo tutto questo trambusto un po' di pace è quello di cui ha bisogno per riprendersi. E poi è un’amica, sarà ben lieta di ospitarla e di accudirla.
Restai interdetto. Non avevo mai sentito nominare alcuna signora Howe, né mi risultava che Holmes avesse un’amica. Provai ad aprire bocca, ma lui mi fulminò con lo sguardo e, sempre sostenendola premurosamente, accompagnò la signora Hudson alla carrozza, la fece salire e, montando a sua volta, fece segno al vetturino di mettersi in marcia.
Rivolsi uno sguardo interrogativo a Lestrade, ma anche lui appariva sconcertato.
– Le offrirò io un passaggio – disse scuotendo la testa. – Se non le dispiace, salirò su con lei. Sono curioso di sapere cosa avrà da raccontarci Holmes su questa storia, perché, lo confesso, a parte l’arresto dei due delinquenti, io non ci ho capito un bel niente.