CAPITOLO UNDICI

CAPITOLO UNDICI

La paura s’impossessò del suo corpo e la fece indietreggiare, ma non prima che i suoi occhi vedessero l’ondata di collera e disgusto sul volto di Sorrotore, che abbandonò il palco di corsa.

Vita si ritrasse nell’oscurità, voltandosi verso Arkady e Samuel. Lottò per vincere la paura, per metterla al tappeto: non si sarebbe lasciata inghiottire.

«Dobbiamo andare» disse.

«Andare dove? Noi abitiamo qui!» disse Arkady.

«C’è qui Sorrotore. Mi ha visto. E se mi trova… ho il suo anello.»

Il volto di Arkady si accartocciò in una smorfia. «Quale anello?»

«Ho preso un anello dal suo caminetto; penso che sia la prova di un fatto orribile. Qualcuno è venuto a cercarlo, hanno frugato sotto il mio letto…»

«In che senso…» cominciò a dire Arkady, ma Samuel lo interruppe. Aveva visto il panico negli occhi di Vita.

«Non conviene rimanere qui» disse. «Gli spettatori, se sono ricchi abbastanza, possono andare dietro le quinte. Usciamo dalla porta sul retro.»

Tornarono di corsa in corridoio. Vita perse l’equilibrio sul pavimento scivoloso e cadde, graffiandosi i palmi sul legno, ma si rimise subito in piedi e il suo sguardo li sfidò a fare qualsiasi commento. Si precipitarono verso l’ingresso degli artisti, che era socchiuso e lasciava entrare l’aria della notte. Samuel, in testa al gruppo, sfrecciò oltre la soglia.

Un attimo dopo tornò dentro senza preavviso, spalancò un’altra porta che si affacciava sul corridoio e ci spinse dentro Vita. Si ritrovarono tutti e tre nel caotico magazzino del materiale di scena: sugli scaffali erano accatastate alla rinfusa maschere, mantelli e una testa di scimmia. Quello che pareva un mucchio di peli si rivelò una scorta di baffi finti.

«Che cosa succede?» sibilò Arkady. «Non mi sembra il momento di perdere tempo con gli accessori.»

«Là fuori c’è un uomo che aspetta» disse Samuel.

«Me lo descrivi?» domandò Vita.

Samuel scosse la testa. «L’ho visto di sfuggita… però posso dirti che è alto e ha i capelli scuri. E la faccia di uno che ha i soldi, con un sacco di brillantina nei capelli.»

«Potrebbe essere lui.» Vita si guardò attorno. Non c’erano finestre in quella stanza. «Siamo in trappola?»

«Passiamo dall’altra parte» propose Samuel. «Attraverso la hall e l’ingresso principale insieme agli spettatori. Dobbiamo confonderci tra la folla.»

Arkady agguantò dallo scaffale il cappello a cilindro di suo padre. «Mettiti questo» disse a Vita. Le scendeva fin sulle orecchie. Arkady prese un paio di baffi e cercò di incollarglieli sotto il naso.

«Perfetto» disse Samuel. «Così passa inosservata: una ragazza con i baffi e il cappello a cilindro.»

«Altre idee?» domandò Arkady.

Vita ripose i baffi e il cilindro e Samuel le offrì un altro cappello, un trilby marrone scuro che trovò appeso a un gancio. Le stava alla perfezione. Se lo calcò fin sugli occhi.

«Così va meglio» disse Vita. «Andiamo.»

Corsero a ritroso per i corridoi, superarono due porte laterali e all’improvviso si ritrovarono davanti all’ampia scalinata della hall. Una famiglia composta da due adulti e quattro bambini – tutti vestiti eleganti – stava scendendo lentamente i gradini, al ritmo dettato da un bimbo di tre anni che non smetteva mai di parlare. Samuel spinse Vita verso di loro e lei si accodò alla famiglia, cercando di fingersi parte del gruppo.

In fondo alle scale c’era la donna con l’abito color rosa cipria, che guardava l’orologio. E accanto a lei una ragazza con la treccia biondissima, quasi bianca, avvolta in un cappotto leggero troppo stretto sulle spalle.

“Fai finta di niente” si disse Vita, camminando tra la gente. In fondo non era tanto diversa dagli altri spettatori che le passavano accanto, anche se aveva un gusto insolito in fatto di cappelli.

La ragazza con la treccia bionda si voltò, e a Vita si torse lo stomaco. Era Silk, le labbra piegate all’ingiù come un ferro di cavallo, gli occhi fissi su un punto alle spalle di Vita.

Girandosi per seguire il suo sguardo, ecco che Vita scorse un piede spuntare dall’angolo del palazzo, e poi il cappotto di cashmere nero di Sorrotore.

Quando Sorrotore passò loro accanto, Vita si nascose dietro il bambino più alto della famiglia.

Accadde tutto molto in fretta. Silk passò davanti a Sorrotore con la testa bassa, e fece scattare la mano verso di lui.

Sorrotore apparteneva a una classe che non faceva caso ai poveri. La ignorò, troppo concentrato sulla donna in rosa cipria. «Mi dispiace, tesoro… ti avevo detto di non aspettare! Mi è parso di vedere un vecchio socio d’affari.» La prese sottobraccio, e si voltò a controllare un’ultima volta i gradini alle sue spalle. Vita si strinse ancora di più al resto della famiglia, senza alzare lo sguardo, scivolando dietro la schiena della madre. Sorrotore sbuffò infastidito, svoltò a sinistra e s’incamminò con la donna verso Central Park. Silk prese la direzione opposta quasi di corsa, e Vita trasse un sospiro di sollievo.

La famiglia sollevò all’unisono sei sopracciglia, quando si accorse della ragazza con il trilby e gli stivali rossi che stava in mezzo a loro, ma l’adrenalina che pulsava nelle vene di Vita la protesse dall’imbarazzo. Arkady e Samuel scesero in fretta la scala e si avvicinarono.

«Ti ha visto?» domandò Arkady.

«Stai bene?» disse Samuel.

Vita annuì. «Ci aspetta un pedinamento.»

«Vuoi pedinare Sorrotore? Sei matta?»

«No. Pediniamo una ragazza.»

Samuel le rivolse il suo mezzo sorriso. «Una ragazza in particolare, oppure una a caso?»

«Ve lo spiego per strada. So dove trovarla.»