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Non ero mai stata così felice di vedere qualcuno in vita mia.
«Che diavolo ci fai tu qui?» Il tono di Jake era scioccato.
«L'hai vista?»
«Chi?»
«Purviance.»
«Chi è Purviance?»
«Non importa.» Avanzai con determinazione verso di lui e lo afferrai per un braccio. «Dobbiamo fermarla.»
Lo strattonai. Iniziammo a correre.
«Non ha più di tre minuti di vantaggio.»
Fuori dall'ufficio. Giù nell'ingresso.
«Chi è Purviance?»
«La donna che ha le tue ossa.»
Aggrappandomi al corrimano saltavo tre gradini alla volta. Jake mi stava dietro.
«Sei venuto in macchina?» esclamai.
«Con il furgone della squadra degli scavi. Tempe...»
«Dov'è?» Avevo il fiato corto.
«Nel vialetto, all'entrata.»
Mentre ci precipitavamo fuori dalla porta, un'auto ci passò davanti.
«È lei» dissi ansimando.
La vettura sfrecciò fuori dal cancello.
«Andiamo!»
Aprimmo con uno strattone le portiere e ci catapultammo nel furgone.
Jake girò la chiave, inserì la marcia e con rapide manovre imboccò l'uscita.
In quel momento la macchina di Purviance stava scomparendo dalla nostra vista.
«Ha girato a sinistra sulla Sultan Suleiman.»
Jake dette gas. La ghiaia scricchiolò sotto le gomme e ci lanciammo all'inseguimento.
«Che modello è?»
«Citroën C-3, credo. L'ho solamente intravista.»
Ci tuffammo giù per la strada ripida. Più avanti, la Città Vecchia era avvolta nella foschia.
Senza quasi toccare il freno, Jake sterzò velocemente a sinistra. Venni scaraventata a destra e urtai con la spalla contro il finestrino.
Di fronte, i fanali di coda della Citroën svoltarono di nuovo a sinistra.
Jake premette il piede sull'acceleratore. Allungai la mano e con un movimento rapido allacciai la cintura di sicurezza.
Jake girò in Derech Jericho.
La Citroën guadagnava vantaggio. I fanali di coda erano ora due luci rosse sfuocate.
«Dove sta andando?»
«Siamo in HaEgoz Street, più indietro, però, si chiama Jericho Road. Potrebbe dirigersi a Gerico. Maledizione, potrebbe dirigersi in Giordania.»
La strada era semideserta. I lampioni a lato del marciapiede avvolti nella nebbia.
Purviance toccò gli ottanta chilometri all'ora.
Jake le stava dietro.
Purviance toccò i cento.
«Aspetta.»
Appoggiai le mani sul cruscotto.
Jake spinse a fondo l'acceleratore. Il distacco tra le due macchine si ridusse.
L'aria nel furgone era umida e odorava di chiuso. Il parabrezza si era appannato. Jake azionò i tergicristalli, io abbassai il finestrino.
Sul ciglio della strada s'intravedevano delle luci. Appartamenti? Stazioni di servizio? Locali notturni? Sinagoghe? Le costruzioni rassomigliavano a tanti mattoncini neri, come quelli del Lego, ammassati l'uno contro l'altro. Non capivo dove fossimo.
Una torre prese forma alla mia destra, delle insegne al neon luccicavano nella foschia. L'Hotel Hyatt. Stavamo per intersecare Nablus Road.
Purviance curvò.
«Sta andando a nord» dissi con voce nervosa. Jake lo sapeva.
Il semaforo divenne rosso. Jake lo ignorò e sterzò bruscamente facendo sbandare l'auto.
I fanali di coda della Citroën si ridussero a due puntini. Purviance aveva guadagnato una cinquantina di metri.
Il cuore mi batteva forte. Le mani, salde sul cruscotto, sudavano.
Di tanto in tanto un cartellone pubblicitario compariva come un'ombra nel buio. Procedevamo velocemente.
All'improvviso dei cartelli stradali emersero dalla nebbia. Ma'aleh Adumin. Gerico. Mar Morto.
«Si sta immettendo sull'autostrada numero uno.» La voce di Jake era tesa come un cavo d'acciaio.
Accadde qualcosa. I fanali di coda della Citroën s'ingrandirono.
«Sta rallentando» dissi.
«Posto di blocco.»
«La fermeranno?»
«Di solito lasciano passare.»
Jake aveva ragione. Dopo una breve sosta, la Citroën superò la guardiola.
«Dovremmo chiedergli di fermarla?»
«Nemmeno per sogno.»
«La farebbero accostare.»
«Questi ragazzi pattugliano la zona di confine, non sono poliziotti.» Jake frenò. Il furgone rallentò.
«Tentiamo.»
«No.»
«È un errore.»
«Non dire una parola.»
Ci arrestammo allo stop. La guardia ispezionò l'abitacolo con aria annoiata, poi ci fece cenno di proseguire. Prima che potessi parlare, Jake accelerò.
Un pensiero improvviso.
Al museo Jake non mi aveva chiesto di Blotnik.
Non gli avevo dato il tempo di farlo?
Sapeva già che Blotnik era morto?
Mi voltai a guardarlo. Era una sagoma scura, il collo lungo corrugato dalla cannula ossuta della gola.
Mio Dio. Forse Jake aveva un suo piano?
Jake aumentò la velocità. Il furgone traballò.
Le mie mani sbatterono contro il cruscotto.
La strada era di nuovo vuota, il mondo ridotto alle due macchie rosse e sfuocate della Citroën.
Purviance sfiorò i centodieci, poi i centotrenta.
Sfrecciavamo attraverso il deserto, un luogo più antico del tempo. Lungo i bordi dell'autostrada si estendevano colline di terracotta, vallate fiammeggianti, gli accampamenti dei beduini con i loro capanni malandati e il bestiame che riposava beato. La terra desolata di Giudea. Un paesaggio lunare di ossa bianche e di sabbia immerso nella nebbia.
Chilometri e chilometri di silenzio. Il nulla. Di quando in quando, un fanale rarefatto inondava di luce artificiale la Citroën. Qualche secondo dopo avrebbe illuminato il nostro furgone, tingendo le mie mani allungate sul cruscotto di un surreale color salmone.
Purviance aveva toccato i centoquaranta all'ora. Jake le teneva testa.
Curva dopo curva, i fanali di coda della Citroën comparivano e scomparivano alla nostra vista. Il furgone era sotto sforzo. Riducemmo la velocità.
La tensione nell'abitacolo era palpabile. Nessuno di noi due parlava mentre concentravamo l'attenzione su quegli occhi rossi pulsanti.
Urtammo una cunetta. Jake inserì una marcia più bassa. Le ruote anteriori spiccarono il volo, poi fu la volta di quelle posteriori. Il furgone ricadde pesantemente al suolo facendomi oscillare violentemente la testa. Guardai avanti e vidi i fanali di coda scomparire nella foschia.
Jake inserì la quarta e puntò dritto nella loro direzione. Le luci s'ingrandirono. Sbirciai nello specchietto laterale. Nessuno dietro. Nei miei ricordi ciò che successe dopo si svolse al rallentatore, come in un replay, anche se in realtà la scena durò probabilmente un minuto e mezzo.
La Citroën imboccò una curva. Noi dietro. Ricordo il luccichio dell'asfalto. Il tachimetro segnava centotrenta chilometri orari. Le mani di Jake incollate al volante.
A un tratto, dall'altra corsia sbucò una macchina, fasci di luce velata fendevano la foschia. Un bagliore, poi i fari si infransero contro la Citroën.
Purviance sterzò. Istintivamente si buttò a destra, due ruote si bucarono. Purviance sterzò nuovamente. La Citroën rimbalzava sull'asfalto.
La macchina percorreva la corsia centrale illuminando la Citroën. Vidi la testa di Purviance ciondolare avanti e indietro come se stesse lottando con il volante. La luce rossa fissa indicava che aveva il piede schiacciato sul freno.
La macchina cambiò direzione, allontanandosi dalla Citroën. Azione e reazione. Anche la Citroën cambiò direzione e sbandò finendo di nuovo sul ghiaino depositatosi ai bordi dell'autostrada.
Purviance sterzò rapidamente verso il centro della carreggiata ritornando sull'asfalto. La macchina riemerse inspiegabilmente sulla destra. La Citroën sbatté contro il guardrail producendo una pioggia di scintille.
In preda al panico Purviance cercò in tutti i modi di dirigersi a sinistra. La Citroën centrò una pozzanghera, planò e iniziò a roteare vorticosamente.
La macchina si stava ora dirigendo a gran velocità verso di noi, le ruote tra le due corsie. Intravidi la testa dell'autista. Intravidi un passeggero.
Mi preparai all'impatto.
Jake sterzò. Ci lanciammo a destra e uno pneumatico anteriore si bucò.
La macchina ci superò rombando.
Uno pneumatico posteriore si bucò.
La gamba di Jake pulsava, le mani inchiodate al volante.
Perdemmo la direzione, sassi e ghiaia colpivano ripetutamente il guardrail.
Puntai le mani contro il cruscotto cercando di tenere piegati i gomiti. Abbassai il mento verso il busto.
Sentivo il metallo urtare il metallo.
Sollevai lo sguardo e vidi i fari della Citroën roteare di lato. Rimasero sospesi per un attimo per poi inabissarsi nel buio.
Udii un'esplosione metallica mista a sabbia e terra. Un'altra. Il lamento di un clacson. Continuo. Terribile.
La velocità diminuì. Lo sfregamento contro il guardrail era sempre più lento.
Il furgone si era appena fermato quando Jake afferrò il cellulare.
«Accidenti.»
«Non c'è segnale?»
«Maledizione.» Jake gettò il telefono sul cruscotto e diede un colpo per aprire il portaoggetti. «Torce elettriche.»
Trovai le Mag-Lite e Jake tirò fuori i razzi di segnalazione dal furgone.
Nel guardrail si era aperto un varco. Guardammo giù. La nebbia era come un oceano denso che inghiottiva il nostro segnale luminoso.
Mentre Jake posizionava i razzi di segnalazione, io scavalcai e scesi lungo il dirupo.
Giunta in fondo individuai alcuni oggetti. Un cerchione, una parte di cruscotto e un frammento dello specchietto laterale.
La Citroën era una montagnola immersa nel buio. La illuminai con la Mag-Lite.
All'impatto l'auto si era capottata, i vetri dei finestrini frantumati. Vapore e fumo uscivano dal cofano accartocciato.
Purviance giaceva per terra, il busto immobile, riversa come una bambola di pezza gettata sul pavimento. Aveva il viso talmente imbrattato di sangue che era impossibile vedere la pelle. La giacca era impregnata.
Udii uno scricchiolio, poi al mio fianco comparve Jake. «Dio mio!»
«Dobbiamo tirarla fuori» dissi.
Insieme, io e Jake cercammo di liberarla. Il suo corpo era viscido per l'umidità e il sangue. Continuavamo a perdere la presa.
Sopra di noi, un furgone frenò. Uscirono due uomini e iniziarono a rivolgerci delle domande. Li ignorammo e ci concentrammo su Purviance.
Cambiammo lato. Non funzionava. Mancava la giusta angolazione.
Purviance gemette piano. Afferrai la torcia e la feci scorrere lungo il suo corpo. Schegge di vetro brillavano sui vestiti e nei capelli intrisi di sangue.
«Ha un piede incastrato tra i pedali» dissi. «Entrerò dall'altra parte.»
«Scordatelo.»
Non c'era tempo per le discussioni. Girando intorno alla Citroën, esaminai i resti del finestrino del passeggero. Lo spazio era sufficiente.
Appoggiai la torcia, mi piegai e senza riflettere mi infilai dentro. Strisciando sui gomiti, riuscii a raggiungere il posto del guidatore.
Come un cieco che va a tentoni, stabilii di avere ragione. Uno dei piedi di Purviance si era fratturato ed era rimasto intrappolato dietro un pedale.
Allungai le braccia e tentai una leggera torsione. Il piede non si mosse. Spinsi più forte. Niente da fare.
Un odore acre mi irritava le narici. Mi lacrimavano gli occhi.
Gomma bruciata!
Il cuore risuonò sordo nella gabbia toracica.
Strisciando sull'addome, allungai il busto sul sedile e con uno strattone aprii la chiusura lampo dello stivale di Purviance, afferrai il tacco e tirai.
Qualcosa si mosse.
Un altro forte strattone e il tacco di Purviance era libero. Poi con le dita sfilai il piede.
«Ora!» urlai.
Mentre Jake tirava, spinsi il piede lontano dal pedale. Poi uscii dal finestrmo facendomi largo a spintoni.
Del fumo fuoriusciva dal motore.
Qualcuno dall'autostrada urlava. Non avevo bisogno di un traduttore.
«State lontano!»
«Sta per saltare in aria!»
Girai intorno alla Citroën e afferrai Purviance per un braccio. Jake teneva l'altro. Insieme la trascinammo via e la adagiammo per terra.
Jake si lanciò verso l'auto.
«Dobbiamo andarcene da qui!»
Jake era avvolto nel fumo. Vidi la sua figura smilza saltare avanti e indietro.
«Jake!»
Jake sembrava impazzito mentre correva da un finestrino all'altro.
«Non ce la faccio da sola!»
Jake si allontanò dall'auto e mi aiutò a trascinare Purviance un po' più indietro. Poi corse di nuovo verso la Citroën e cominciò a colpire il bagagliaio.
«Sta per esplodere!» urlai in quell'istante.
Il piede di Jake non si fermava e lo colpiva ripetutamente.
Qualcosa esplose. Il sibilo si fece più rumoroso, il fumo più denso.
Eravamo fuori dal raggio d'azione? Una potente esplosione avrebbe trasformato le parti dell'auto in un'arma micidiale.
Afferrando Purviance per le braccia, mi voltai e cominciai ad allontanarmi. Il suo corpo era un peso morto. Era già morta? Le stavo procurando più male che bene?
Passo dopo passo la trascinai via.
Tre metri.
Le mie mani erano sempre più intrise di sangue. I palmi e le dita tagliati dalle schegge di vetro.
Quattro metri e mezzo.
Sirene in lontananza.
Le dita mi dolevano. Mi cedevano le gambe. Ma l'adrenalina mi impediva di fermarmi. Una tenace energia interiore mi obbligava a proseguire senza desistere.
Decisi infine che mi ero allontanata a sufficienza. Adagiai Purviance per terra. Mi inginocchiai e le tastai il polso.
Debole? Non ne ero certa.
Aprii la giacca di Purviance e cercai il punto in cui la ferita pompava fuori il sangue. Una mezzaluna le squarciava il ventre. Ci premetti sopra la mano.
In quel momento un'esplosione straziò la notte. Udii l'orribile suono della lamiera tranciare altra lamiera.
Non appena alzai la testa la Citroën esplose producendo una sfera di luce. Il fuoco avviluppava il motore proiettando geyser bianchi nella nebbia bluastra.
Oddio! Dov'era Jake?
Corsi verso la Citroën.
A cinque o sei metri le fiamme mi fermarono come se fossero un muro. Alzai un braccio.
«Jake!»
L'auto era un inferno. Lingue di fuoco lambivano l'abitacolo e sprizzavano fuori dai finestrini. Nessun segno di Jake.
«Jake!»
Sentivo la cenere mista a sudore scendere lungo il viso. Foschia. Le lacrime sgorgavano sulle guance.
«Jake!»
Un secondo scoppio scaraventò altri pezzi metallici in aria. Le fiamme bruciavano alte.
Un nodo mi cresceva in gola.
Le mani strette alle spalle.
Qualcuno all'improvviso mi spinse indietro.