7

 

Ogni anno una sventurata e tranquilla città viene gettata nel caos dalla American Academy of Forensic Sciences. Per una settimana ingegneri, psichiatri, dentisti, avvocati, patologi, antropologi e una miriade di tecnici la affollano come tarme su un tappeto arrotolato. Quella volta toccò a New Orleans.

Da lunedì a mercoledì il tempo è dedicato a comitati, consigli e riunioni di lavoro. Il giovedì e il venerdì le sessioni scientifiche offrono spunti di riflessione su tecniche e teorie d'avanguardia. Da neolaureata, o da consulente in erba, partecipavo a quelle presentazioni con lo zelo di un fanatico religioso. Oggi preferisco incontrare i vecchi amici in occasioni informali.

In entrambi i casi, il convegno è estenuante.

In parte anche per colpa mia. Perché partecipo a troppi gruppi di lavoro. In altre parole: non mi oppongo con sufficiente convinzione all'arruolamento coatto.

Passai la domenica a lavorare insieme al collega con cui stavo scrivendo un artìcolo da pubblicare sul «Journal of Forensic Sciences».

I successivi tre giorni trascorsero in una confusione di ordini del giorno, votazioni, rémoulade e abbondanti bevute: Hurricane per i miei colleghi in pace con l'alcol, Perrier per me. Le conversazioni vertevano su due argomenti principali: bravate del passato e casi curiosi. In cima alla classifica del bizzarro e dello sconcertante quell'anno c'erano calcoli biliari scheletrizzati grossi come nocciole, un suicidio in carcere con filo del telefono e un poliziotto sonnambulo con una pallottola della sua stessa pistola nel cervello.

Io contribuii con la descrizione del caso Ferris. E le opinioni sulla strana svasatura del foro d'ingresso furono alquanto varie. I più concordavano con lo scenario da me prospettato.

I miei impegni non mi permisero di fermarmi per le sessioni scientìfiche. E quando il mercoledì sera arrivai in taxi all'aeroporto di New Orleans ero distrutta.

Ma...

Guasto meccanico. Quaranta minuti di ritardo. Benvenuti nel magico mondo dei collegamenti aerei americani. Arrivi al check-in un minuto dopo e il tuo volo è partito. Arrivi un'ora prima e il tuo volo è in ritardo. Problemi meccanici, problemi di equipaggio, problemi meteorologici, problemi, problemi, problemi. Ormai li conosco tutti.

Un'ora dopo avevo terminato di inserire nel mio portatile i verbali dei vari comitati. Intanto il mio volo delle 17.40 era stato spostato alle 20.00.

Addio alla coincidenza per Chicago.

Frustrata, mi trascinai al banco della compagnia aerea, mi misi in fila e ottenni un nuovo biglietto. La buona notizia era che sarei arrivata a Montréal in serata. Quella cattiva, che sarei atterrata intorno a mezzanotte. E che strada facendo avrei fatto scalo a Detroit.

Infuriarsi serve a poco in queste situazioni, a parte alzare la pressione.

Nella libreria dell'aeroporto mi trovai di fronte a milioni di copie dei best-seller del momento. Ne presi uno quasi a caso. Il risvolto della copertina annunciava un mistero che avrebbe rivelato «un'esplosiva e antica verità...».

Come Masada?

Perché no? Pareva che tutto il mondo stesse leggendo lo stesso genere di cose.

Senza quasi accorgermene, arrivai al capitolo 40. D'accordo, erano brevi. Ma la storia era avvincente.

Chissà cosa pensavano del libro Jake e i suoi colleghi?

 

Giovedì mattina il suono della sveglia giunse gradito come una congiuntivite. E quasi altrettanto doloroso.

Quando arrivai al dodicesimo piano dell'Édifice Wilfrid-Derome, mi precipitai direttamente alla riunione del personale.

Solo due autopsie. Una toccò a Pelletier, l'altra a Santangelo.

LaManche mi informò che, come indicato dal mio messaggio, aveva chiesto a Lisa di ricontrollare la testa di Avram. Il nostro tecnico aveva recuperato altri frammenti e li aveva mandati su da noi. Mi domandò quando prevedevo di concludere il mio esame. Io stimai di poter finire nel primo pomeriggio.

Eccole. Sette schegge ossee mi aspettavano nel mio laboratorio, accanto al lavandino. Il loro numero di LSJML corrispondeva a quello del cadavere di Ferris.

Mi infilai il camice, ascoltai i messaggi della segreteria telefonica, risposi a due chiamate. Poi andai alle vaschette con la sabbia e iniziai a inserire i nuovi frammenti nelle porzioni di cranio già ricostruite.

Due appartenevano all'osso parietale. Uno si inserì in quello occipitale. Uno era un frammento isolato.

Tre completavano il margine della lesione ovale.

Era sufficiente. Avevo la mia risposta.

Mentre mi lavavo le mani, il cellulare trillò. Era Jake Drum. Linea disturbatissima.

«Ciao, Jake. Mi stai chiamando da Plutone?»

«Non c'è campo...» La linea gracchiò. «... perché Plutone è stato declassato da pianeta a...»

A che cosa? A luna?

«Sei in Israele?»

«Parigi. ...mbiato piani. ... Musée de l'Homme.»

Ascoltai una lunga scarica transoceanica di crepitìi e sfrigolìi.

«Mi chiami da un cellulare?»

«...vato un numero di acquisizione... scomparso dagli ... Settanta.»

«Jake? Richiamami da un telefono fisso. Non riesco praticamente a sentirti.»

A quanto pareva, neppure Jake ci riusciva.

«...tinuo a cercare. ...amo da un telefono fisso.»

Sentii un bip e la comunicazione si interruppe.

Jake era andato a Parigi. Perché?

Al Musée de l'Homme. Perché?

Illuminazione.

Presi la foto di Kessler, la misi sotto il microscopio e osservai la scritta sul retro ingrandita.

OTTOBRE 1963. H DE 1 H.

Quello che inizialmente mi era sembrato un 1, in realtà era la lettera L minuscola. E la prima H era una M malfatta. M de l'H. Musée de l'Homme. Jake doveva aver riconosciuto l'abbreviazione ed era andato a Parigi, dove aveva scoperto un numero di acquisizione dello scheletro di Masada.

LaManche indossava scarpe di cuoio e teneva sempre le tasche vuote. Niente monete. Niente chiavi. Niente rumore di passi. Niente tintinnii. E nonostante la sua corporatura riusciva a muoversi in modo incredibilmente silenzioso.

La mia mente stava formulando la domanda successiva, quando il mio naso percepì un aroma di Flying Dutchman.

Mi voltai. LaManche era entrato in laboratorio e si era fermato alle mie spalle.

«Pronta?»

«Pronta.»

Mi sedetti alla scrivania insieme al mio capo, e posai fra di noi la mia ricostruzione.

«Tralascio le cose ovvie.»

LaManche mi sorrise indulgente. E io mi morsi la lingua.

Presi la porzione di osso che formava la parte posteriore destra del cranio di Ferris e indicai un punto con la penna.

«Lesione ovale con fratture raggiate.»

Indicai la ragnatela di fessure che intersecavano quella porzione e altre due.

«Fratture concentriche sollevate.»

«Quindi il foro di ingresso si trova dietro e sotto l'orecchio destro?» LaManche non alzò gli occhi dal segmento.

«Sì. Però la faccenda è più complicata.»

«La svasatura» disse LaManche andando subito al punto.

«Esatto.»

Tornai al primo segmento e indicai la svasatura esterna adiacente la lesione ovale.

«Se la canna della pistola si trova a stretto contatto con il cranio, la svasatura esterna può essere prodotta dal ritorno di fiamma dei gas» osservò LaManche.

«Non credo che sia questo il caso. Osservi la forma della lesione.»

LaManche si avvicinò alle ossa.

«Un proiettile che penetra perpendicolarmente la superficie del cranio in genere produce una lesione circolare» dissi. «Uno che invece penetra tangenzialmente, produce una perforazione irregolare, spesso di forma ovoidale.»

«Mais oui. Lesione a buco di serratura.»

«Esattamente. Ma una porzione del proiettile in realtà si è staccata e si è persa al di fuori del cranio. Ecco il motivo di quella svasatura esterna.»

LaManche mi guardò. «Quindi la pallottola è entrata sotto l'orecchio destro ed è uscita dalla guancia sinistra.»

«Sì.»

LaManche rifletté per qualche secondo.

«Nei casi di suicidio, è una traiettoria poco usuale, ma possibile. Monsieur Ferris era destrorso.»

«C'è dell'altro. Osservi meglio.»

Passai a LaManche una lente di ingrandimento. Lui la sollevò e l'abbassò sulla lesione ovale.

«Il margine arrotondato sembra scanalato.» LaManche studiò la lesione ovale per altri trenta secondi. «Come se un cerchio fosse sovrapposto all'ovale.»

«Oppure il contrario. Il bordo della lesione circolare è pulito sulla superficie esterna del cranio. Ma controlli all'interno.»

LaManche rovesciò il segmento.

«Svasatura interna.» LaManche capì subito. «È un doppio foro di entrata.»

Annuii. «Il primo proiettile ha colpito il cranio di Ferris direttamente. Come da manuale: bordo esterno pulito, bordo interno svasato. Il secondo ha colpito nello stesso punto, ma con una traiettoria inclinata.»

«Producendo una lesione a buco di serratura.»

Annuii ancora. «La testa di Ferris si è mossa, oppure la mano di chi ha sparato ha avuto un tremito.»

Stanchezza? Tristezza? Rassegnazione? LaManche si appoggiò alla sedia mentre io lo mettevo a parte della mia conclusione.

«Avram Ferris è stato ucciso con due colpi di pistola dietro la testa. Come una vera esecuzione.»

 

Quella sera Ryan venne da me e cucinò. Salmone, asparagi, e ciò che noi meridionali della cara Dixieland chiamiamo purea di patate. Ryan fece arrostire in forno le patate, le sbucciò, le schiacciò con la forchetta e infine le condì con cipolline fresche e olio di oliva.

Lo guardai ammirata. Dicono che io sia una persona intuitiva. Intelligente, anche. Ma quando si tratta di cucinare, ho l'acume di un girino. Anche dopo aver riflettuto un'eternità, non sarei mai capace di cucinare la purea di patate senza bollire le patate.

Birdie apprezzò immensamente la cucina di Ryan, e passò la serata mendicando bocconcini. Poi si sistemò accanto al caminetto e dalle sue fusa intuii che la sua vita di felino in quel momento non poteva essere migliore.

Durante la cena, comunicai a Ryan le mie conclusioni riguardo alla causa della morte di Ferris. Lui ne era già al corrente, e infatti adesso stava ufficialmente indagando per omicidio.

«L'arma è una Jericho calibro 9» mi comunicò.

«Dov'era?»

«In un angolo del ripostiglio, sotto una scatola di cartone.»

«L'arma apparteneva a Ferris?»

«Se è così, nessuno lo sapeva.»

Mi servii altra insalata.

«La Scientifica ha recuperato un proiettile calibro 9 all'interno del ripostiglio» proseguì Ryan.

«Solo uno?» Un solo proiettile non era compatibile con la mia ipotesi di doppio foro d'entrata.

«In un pannello del soffitto.»

E neanche questo era compatibile.

«Che cosa diavolo ci faceva una pallottola così in alto?» domandai.

«Forse Ferris si è avventato sull'assassino, hanno lottato, ed è partito un colpo.»

«Forse chi ha sparato ha messo l'arma nella mano di Ferris e poi ha premuto il grilletto.»

«Un suicidio simulato?» Ryan.

«Chiunque guardi la TV sa che devono esserci i residui della polvere da sparo.»

«LaManche non ne ha trovati.»

«Questo non significa che non ci fossero.»

Mangiai un po' di insalata e intanto cercai di riflettere.

LaManche aveva estratto un frammento di proiettile dalla testa della vittima. La Scientifica aveva recuperato un altro proiettile dal soffitto. Dov'erano le altre prove balistiche?

«Hai detto che Ferris probabilmente era seduto su uno sgabello quando gli hanno sparato?» domandai.

Ryan annuì.

«Rivolto verso la porta?»

«Che con molta probabilità era aperta. La Scientifica sta esaminando l'ufficio e i corridoi. Non puoi nemmeno immaginare quanta merda ci sia là dentro.»

«E i bossoli?»

Ryan scosse la testa. «Chi ha sparato deve averli raccolti.»

Nemmeno questo aveva senso.

«Perché lasciare l'arma e poi tornare indietro a raccogliere i bossoli?»

«Astuta domanda, dottoressa Brennan.»

Peccato non avere anche un'astuta risposta.

Offrii l'insalata a Ryan. Lui declinò.

«Oggi sono passato dalla vedova» mi disse, cambiando argomento.

«E lei?»

«Diciamo che la signora non entra nella mia Top Ten della simpatia.»

«È in lutto.»

«Così ha detto lei.»

«E tu non ne sei convinto, giusto?»

«La pancia mi dice che lì c'è qualcosa da rosicchiare.»

«Pessima metafora» replicai, pensando ai gatti.

«Uno a zero per te.»

«Sospetti?»

«Una pletora.»

«Che parolona» dissi. «Molto sexy.»

«Come culottes?»

«No. Quella è solo una parola francese.»

Arrivati al dessert, raccontai a Ryan ciò che avevo appreso circa la foto di Kessler.

«Quindi Drum adesso è a Parigi?»

«Così pare.»

«Lui pensa che su quella foto ci sia lo scheletro di Masada?»

«Già. E Jake non è certo uno che si entusiasma facilmente.»

Ryan mi guardò in modo strano.

«Lo conosci bene, questo Jake?»

«Da vent'anni.»

«La domanda riguardava la profondità della conoscenza, non la sua durata.»

«Siamo colleghi.»

«Solo colleghi?»

Alzai gli occhi al soffitto. «Non ti sembra di essere un po' troppo curioso?»

«Mah...»

«Mah...»

«Stavo pensando che forse dovremmo mettere insieme tutte le nostre informazioni.»

Perché, che cosa stavamo facendo?

«Ho fatto anche un'altra chiacchierata con Courtney Purviance» proseguì Ryan. «Donna interessante.»

«Simpatica?»

«Finché la discussione non arriva a Ferris o alla sua ditta. Allora si chiude come il caveau di una banca.»

«Per proteggere il capo?»

«Oppure perché ha paura di trovarsi di colpo in mezzo a una strada. Il mio sesto senso dice che non è in ottimi rapporti con Miriam.»

«Perché? Che cosa ti ha detto?»

«Non è tanto quello che dice.» Ryan rifletté un secondo. «Ma come si comporta. Comunque, sono riuscito a farle ammettere che di tanto in tanto Ferris trattava anche reliquie.»

«Oggetti provenienti dalla Terra Santa?» tirai a indovinare.

«Ovviamente, tutta roba acquistata e trasportata legalmente.»

«Ovviamente. Il mercato nero delle antichità illegali è enorme» dissi.

«Colossale» concordò Ryan.

Silenzio.

«Credi che Ferris c'entri in qualche modo con le ossa di Masada?» domandai.

Ryan scrollò le spalle.

«E che per questo l'hanno ucciso?»

«Così ha detto Kessler.»

«Sei riuscito a rintracciare Kessler?»

«Ci riuscirò.»

«Potrebbe essere una semplice coincidenza.»

«Potrebbe.»

Non ne ero convinta.