GLI UOMINI

«Ciò che amo osservare in
una città sono gli uomini».

STENDHAL

 

 

 

Dapprima abitarono qui i Liguri. Il rosso era il loro colore preferito. Il colore rosso rimase quando giunsero i Fenici, i Greci, i Longobardi, i Saraceni e i Visigoti. Rossa è la gioia. In questa terra non si è mai smesso di gioire. Tutti gli orrori della storia sono stati mitigati. I barbari invasori non rimasero barbari a lungo. Chi giunse in queste terre con la volontà di conquistarle, ne fu conquistato. I popoli sprofondarono dolcemente nella terra come una semente. Le stagioni del raccolto si susseguirono numerose. E il frutto di questi raccolti fu sempre la gioia.

Prima di partire per le città bianche, una sera vidi a Parigi il Festival Provenzale che ogni estate dovrebbe mostrare ai Francesi e agli stranieri l’antica cultura popolare del Sud. I pastori della Provenza arrivavano con le loro mogli, facevano un giro tutt’intorno all’arena preceduti dai pifferai e dai suonatori di tamburo. Era una melodia militare molto semplice, molto chiara, molto serena. Il timbro era dolce, faceva pensare al chiaro di luna, ma il ritmo veloce esprimeva un tipo di fretta che non ha nulla a che fare con l’operosità. È la fretta che invade i bambini diretti a una festa. Ogni tanto si sentiva il rullio dei piccoli, delicati tamburi sui quali parevano tendersi sottili pellicole d’argento anziché pelli di vitello. Gli uomini marciavano con passo breve, leggero, quasi femmineo. Ed erano tuttavia figure virili. Era una razza sana. Gli uomini in costume da pastore, con pantaloni bianchi, gilè variopinti, giacche nere e a colori, cappelli neri, fasce variopinte intorno alla vita. Le donne in abiti larghi, una piccola coroncina bianca di pizzo sulle voluminose acconciature, corsetti variopinti, scarpe alte. Era autentica gente di campagna. Era autentico sangue contadino. Uomini e donne che a casa lavoravano duramente. Tuttavia, nel loro modo di muoversi si avvertiva il retaggio di una stirpe antica di gente ricca e istruita. Le donne, con mazzi di rose rosse in mano, erano in attesa degli uomini. Ognuno di loro, in rapida successione, faceva un balzo in avanti e prendeva dalla propria dama il mazzo di rose, che poi doveva difendere dagli assalti dei compagni. Dodici cavalieri lo circondavano, ma egli riusciva sempre a eludere i loro attacchi; nella mano sollevata il mazzo di rose esultava. E lui, tenendolo ben stretto, lo portava in un luogo riparato. Poi di nuovo raggiungeva con un balzo la propria dama, sventolava il cappello, tornava indietro. Il cavaliere successivo si faceva avanti. Il gioco si ripeteva per dodici volte.

Sembra che la galanteria sia una sana reazione alla rozzezza che le sta intorno, e i trovatori, si dice, debbono ai cavalieri predoni la loro esistenza. Tanto è incantevole la battaglia cavalleresca per un mazzo di fiori quanto è ripugnante la corrida. Ma io fui costretto a sorbirmi la seconda per poter ammirare la prima.

In Provenza, fortunatamente, la cavalleria è più diffusa delle corride. Tutti vivono al proprio posto, le buone maniere hanno solide e antiche tradizioni che la gente rispetta con gioia e senza fare obiezioni. Si vive con sufficiente tranquillità per poter essere cortesi. Vedere ogni giorno monumenti ben conservati di epoche lontane e leggendarie è qualcosa che conferisce un senso di sicurezza tutto particolare. Non si crede che possano darsi trasformazioni e mutamenti. E in effetti trasformazioni e mutamenti si compiono molto dolcemente. Qui gli uragani non arrivano. La natura e la storia non riservano sorprese. Ciascuno ha l’esistenza assicurata. Tutti i contadini sono proprietari terrieri. Intorno a ogni proprietà si leva un muro di cinta. È vero però che tutte le porte sono aperte. Si può entrare in un giardino di proprietà altrui e mettersi a dormire. Nessuno ruba, nessuno si premunisce, nessuno si difende. Ciascuno costruisce muri non per isolarsi, ma per segnare l’àmbito della sua proprietà. Il muretto è il simbolo del suo potere. Ma i muri sono oggetti senza cuore. Anche la bella pietra bianca indurisce il cuore. Chi sta dietro il muro non vede sulla strada maestra il mendicante affamato. Il quale, prima di raggiungere una porta aperta, può morire di fame costeggiando il muro.

C’è poca miseria in questo paese, e di conseguenza un viso amichevole è più frequente di un cuore aperto. Si eredita tutto, la casa, i gioielli e le buone maniere. Crescono bambini che non hanno mai visto quanto sia terribile la fame. Né lo vedranno mai. Ciascuno ha il suo pane quotidiano. E il pane non è nero, ma bianco come la neve. Le patate, la manna dei poveri, non sono abbastanza conosciute. Tutto costa poco. Ma chi non ha denaro, che vale poco e molto nello stesso tempo, non può contare di ottenere del pane. L’uomo sereno ama la serenità. E la tristezza gli è così estranea che l’indigenza deve apparirgli sospetta. Gli uomini sono buoni. Ma la bontà riposa inutilizzata nel profondo del loro animo, come l’acqua in una fonte dimenticata. Nessuno vi attinge. La natura non reca sciagure. Nessuno è privato da una disgrazia improvvisa del proprio pane quotidiano. Il vicino di casa è un amico. Ma non diventerà mai un fratello. Tutti i cani e i gatti trovano nutrimento alle tavole degli estranei. Non si ammazzano gli animali in sovrannumero. Ma ci sono molti cani e gatti che non hanno padrone. Ciascuno va a caccia e a pesca. Si spara agli uccelli canori. Si dissodano le foreste. Non ci sono foreste e non si sentono quasi mai cantare gli uccelli. Il sole appicca il fuoco alle foreste. Gli uomini le piangono troppo poco. Spiriti benigni dimorano tra le rocce. Ma il popolo non crede quasi più alla loro esistenza. È fedele alle proprie antiche usanze. Indossa gli antichi costumi regionali e parla quella bella, antica e melodiosa lingua che è il provenzale. Ognuno ama il proprio paese. Ma a nessuno riesce difficile amare questo paese. In generale qui non è difficile amare. Si coglie l’amore sul ciglio delle strade. Cresce rigoglioso come i frutti più pregiati. La terra è piena di forza e di linfa. L’arbusto è in grado di nutrire chiunque. Si può dormire sotto le stelle. E se qualcuno anelasse a un tetto? Il sole appartiene a tutti. E se qualcuno piangesse per avere un po’ d’ombra?

Pietra bianca, pietra bianca, pietra bianca! Olivi tra la pietra bianca. Ma qualcuno vorrebbe del pane. Guardate! Il pane è dietro alti muri! Chiese, chiese, chiese! Ricchi portali, ricchi dipinti, altari dorati. Ognuno prega per il pane quotidiano e non sa che cosa significa non averne. Ognuno ha il suo posto in chiesa con il nome e la data. Il suo rapporto con Dio si è imborghesito. La sua fede è messa raramente alla prova. I suoi peccati? Non ha peccati chi muore dietro il muro. Chi può vedere infatti attraverso questi muri? È forse peccato delimitare la proprietà? È forse peccato non vedere attraverso i muri?

Ma come si amano gli indifesi, i bambini, i deboli! Nessun grido, nessuna percossa, nessun pianto. Nessun padre severo. Gatti in ogni casa. Animali morbidi, silenziosi, con occhi grandi, intelligenti e sempre all’erta. Angoli accoglienti, angoli caldi, angoli silenziosi. Finestre alte, davanzali profondi, sole, sole, sole. Palazzi antichi, tiepidi nell’inverno mite, freschi nella calda estate. Pavimenti di pietra, senza sporcizia, facili da pulire. E per contro poche vie tortuose, anguste e strette, e i poveri che fanno ressa nei vicoli. Anfiteatri possenti, templi sacri, musei colmi di ricordi di pietra, di tradizione, di fedeltà. Ma lento è lo sguardo che si volge al futuro. Com’è serena la vita! Ma com’è facile la serenità! Com’è lontana la morte, anche se dovunque si vedono tombe, anche se ogni giorno si ritrovano dovunque ossa umane e si riportano alla luce antichi monumenti.

Molti appezzamenti devono essere ancora distribuiti. La popolazione scarseggia. La terra è affamata di nuova semente. Ha inghiottito cose tanto diverse, ha partorito cose tanto diverse, e oggi si somigliano tutte. La terra le ha rese uguali. Si faranno arrivare uomini da fuori. Li vedo avanzare sul mio cammino, che conduce a nord, nell’autunno, nella nebbia, nei boschi. Giungono senza spada. Ma anche se portassero armi, deporrebbero subito tutto ciò che è mortifero. Qui la vita è più forte della morte. Qui non si è disposti facilmente a versare il proprio sangue. Qui si trova un’infanzia, la propria infanzia e quella dell’Europa. Da nessun’altra parte ci si sente così facilmente a casa propria. E anche chi lascia il paese, porta con sé ciò che di più prezioso una patria può donare: la nostalgia.