Capitolo quarantesimo


Il colonnello Hudson - ore 15 e 25

I taxi dei Vets proseguirono verso nord-est, poi quasi direttamente a est attraverso Brooklyn. Avanzavano inesorabili verso François Monserrat. Erano avviati verso la fine prestabilita di Nastro Verde. Tutto procedeva in perfetto orario.

Eretto e vigile al volante, David Hudson stava vivendo un momento di ansia inconsueta. L'ansia era causata dall'imminenza della fine. Mancavano meno di sette minuti all'appuntamento con Monserrat.

David Hudson si sforzò di concentrarsi come se stesse entrando in zona di combattimento. Adesso, nulla poteva distrarlo da Nastro Verde.

E nulla doveva apparire minimamente sospetto...

Gli uomini di François Monserrat potevano sorvegliare le strade dai tetti vicini, dalle finestre delle case. Se avessero avvistato quel contingente inatteso, il conclusivo, massiccio scambio dei titoli di Wall Street non sarebbe avvenuto. E per Nastro Verde sarebbe stato il fallimento.

Come se fosse stato in ricognizione avanzata nel Vietnam, Hudson controllava e ricontrollava con gli occhi i tozzi, tetri edifici di mattoni via via che si avvicinava al luogo concordato per l'appuntamento. Non gli sfuggiva nulla. Un gruppo di giovani negri stava uscendo da Turner's Grill. Le loro voci giungevano lontane... suoni sordi e gutturali dai ritmi sincopati della strada.

Hudson procedette lentamente. Trovò un parcheggio più avanti, su una strada laterale in pendenza di Bedford-Stuyvesant.

Fermò la macchina e scese. Continuò a guardarsi intorno con noncuranza, osservando l'angolo tranquillo scelto per l'incontro. Finalmente aprì il portabagagli graffiato e ammaccato della macchina. I titoli di Wall Street erano chiusi in comuni valige di similpelle grigia.

Le prese e si avviò a passo svelto verso uno stabilimento di mattoni rossi all'angolo più vicino.

Era quasi certo d'essere osservato. François Monserrat doveva essere vicino. Tutti i suoi sensi e tutti i suoi istinti corroboravano quel messaggio.

Dunque era venuto il momento della resa dei conti. L'addestramento delle Forze Speciali contro gli anni d'esperienza di Monserrat, gli anni dell'inganno più meticoloso.

Hudson aprì con una spallata la pesante porta d'ingresso di un edificio che comprendeva alcuni squallidi appartamenti e una fabbrichetta di scarpe italoamericana, la Gino Company di Milano.

Entrò in un corridoio buio e subito fu assalito dagli odori di cucina e da quelli un po' muffiti di vecchi abiti invernali. Il luogo dell'incontro era adeguatamente isolato.

«Non si volti, colonnello».

Nel corridoio erano comparsi all'improvviso tre uomini armati di Magnum e di Beretta.

«Si accosti al muro. Così. Bene. Bene, colonnello Hudson».

Il capo dei tre aveva un accento spagnolo da persona istruita: molto probabilmente era un cubano. François Monserrat dirigeva i Caraibi e quasi tutte le attività terroristiche del Sud America; Hudson lo rammentava bene. Se avesse continuato così, un giorno Monserrat avrebbe dato ordini a tutto il Terzo Mondo.

«Non sono armato», disse Hudson senza alzare la voce.

«Dobbiamo perquisirla comunque».

Uno dei tre si piazzò a meno di un metro di distanza e spianò la pistola contro un punto immaginario tra gli occhi di Hudson. Era un'abitudine molto diffusa tra i pistoleros, e anche Hudson l'aveva imparata a Fort Bragg. A distanza ravvicinata, sparare agli occhi.

Il secondo uomo lo perquisì con rapida efficienza.

Il terzo frugò nelle valige. Le sventrò con un coltello in cerca di un doppio fondo.

«Di sopra!», ordinò finalmente il terrorista che teneva Hudson sotto mira. Parlava come un ufficiale.

Incominciarono a salire una rampa di scale ripida e cigolante, poi un'altra. Lo stavano portando da Monserrat? Dall'enigmatico Monserrat, finalmente? Oppure ci sarebbe stato un altro inganno?

«Questo è il suo piano, colonnello. La porta blu là avanti. Entri. È atteso».

«Posso chiedere una cosa? Ho una domanda da fare a tutti voi. Semplice curiosità da parte mia». David Hudson parlò senza voltarsi verso la scorta.

Un grugnito impaziente alle sue spalle.

L'Uomo Lucertola. Gli interrogatori del passato. L'addestramento speciale. La mente di Hudson continuava a lavorare con un ritmo furioso.

Tutto per prepararlo a quel momento? Per questo e non per altro?

«Vi dicono mai che cosa sta succedendo veramente? Nessuno si è degnato di dirvi la verità a proposito di questa operazione? Sapete che cos'è questo incontro? Sapete perché ha luogo?».

David Hudson stava introducendo qualche elemento di dubbio nelle loro menti, dubbi e confusione, inquietudini paranoidi che avrebbe potuto sfruttare più tardi, se fosse stato necessario.

L'inganno.

Sempre l'inganno.

«Non è necessario che bussi, colonnello». Il capo dei tre parlò di nuovo con calma. «Entri, è atteso. Tutto ciò che cerca di fare è previsto, colonnello».

Una fascia di luce gialla e polverosa filtrava dall'interno quando Hudson scrutò nella stanza al terzo piano.

David Hudson si soffermò sulla soglia.

Stava per trovarsi faccia a faccia con l'enigmatico e pericoloso Monserrat. Stava per concludere il compito assegnato a Nastro Verde, per portare a termine la sua lunga missione.

Nel Vietnam, l'Uomo Lucertola aveva insegnato a Hudson una lezione essenziale: bisognava imporre un gioco del quale l'avversario non conosceva le regole. Era il principio di base di tutte le operazioni di guerriglia. Ne era convinto.

Il colonnello David Hudson contro Monserrat.

Ora la partita stava per incominciare.

Carroll - ore 15 e 40

«A tutte le unità bianche e azzurre! Li abbiamo ritrovati... Abbiamo ritrovato i nostri amici di Nastro Verde!».

Le radio della polizia echeggiavano i loro messaggi stentorei tra gli ululati delle sirene intorno al punto dov'era precipitato l'elicottero, presso il Cantiere della Marina a Brooklyn.

«Stanno entrando in un quartiere residenziale. Bedford-Stuyvesant. Proprio nel cuore del fottuto ghetto. Adesso si stanno spostando su Halsey Street in Bed-Stuy. Passo».

Arch Carroll si appoggiò vacillando alla portiera aperta d'una delle cinque o sei auto della polizia accorse dopo l'incidente dell'elicottero. I tecnici stavano già sciamando nella via illuminata dalle fiamme.

Non era sicuro di aver capito bene il comunicato radio. Nastro Verde appariva; Nastro Verde scompariva. Cos'era accaduto esattamente?

Carroll si sforzò di scacciare la nebbia che gli ottenebrava la mente mentre ascoltava gli aggiornamenti che arrivavano di minuto in minuto attraverso le radio delie macchine.

Non provava nessuna emozione riconoscibile. Il suo sistema di reazione agli stimoli s'era arrestato. Non sentiva neppure il dolore.

Il pilota dell'elicottero era stato sistemato su una barella e caricato a bordo di un'ambulanza. Caduto in servizio... Carroll ne era quasi certo.

«Carroll? Lei è Arch Carroll, vero? Vuole venire con me? Sto andando in Halsey Street, è a circa dieci minuti da qui». Un capitano della polizia, un uomo corpulento dai capelli bianchi che Carroll aveva conosciuto in tempi più razionali, gli si affiancò.

Carroll sapeva di aver l'aria frastornata e confusa. Anzi, si sentiva ancora peggio. Ma finalmente annuì. Sì, voleva assistere alla fine. Doveva essere presente. Il colonnello David Hudson... Monserrat... Archer Carroll... dovevano esserci tutti, no? Perché? Perché tutto aveva condotto a quel punto... come le incrinature in un vetro conducono al punto dell'impatto?

Dopo qualche istante, si ritrovò scomodamente rannicchiato a bordo d'una macchina della polizia. La nausea l'attanagliava e la paura gli martellava le tempie.

La macchina si mosse con un sobbalzo. La lampada girevole incominciò a lanciare lampi rossi. L'ululato della sirena risuonò sopra i tetti di Brooklyn.

Il colonnello David Hudson - ore 15 e 40

Quello era il famoso terrorista Monserrat.

Quello era François Monserrat.

David Hudson non riusciva a credere ai propri occhi.

Monserrat?... Oppure era un altro imbroglio incredibile? Un altro trucco? La suprema manifestazione dell'inganno?

Un fumo gli aleggiò nella mente, gli oscurò la vista, disorientò le sue capacità mentali. É poi la tensione rinnovata: un formicolio elettrico nella punta delle dita, nel braccio, nelle gambe.

Guardò il misterioso individuo vestito di scuro che gli veniva incontro. Notò i due uomini armati che attendevano nell'ombra, contro la parete di fondo.

«Colonnello Hudson». La stretta di mano fu rapida, sorprendentemente sicura. «Sono François Monserrat. Quello vero, stavolta». Un sorriso tirato incurvò gli angoli della bocca del terrorista. Aveva l'espressione più sicura di sé che David Hudson avesse mai incontrato.

Il sorriso di Monserrat si spense quasi subito. «Passiamo agli affari. Credo che possiamo completare in fretta la nostra transazione. Guarda che cos'ha portato, Marcel. Rapidement!».

All'ordine di Monserrat un altro uomo vestito di scuro entrò nella stanza. Aveva una sessantina d'anni e la carnagione pallida e la vista debole di chi passa gran parte della sua vita a scrutare attraverso gli oculari dei microscopi e le lenti d'ingrandimento. Si curvò a esaminare i titoli portati dal colonnello Hudson.

Hudson l'osservò attentamente mentre stropicciava con cura i fogli di carta tra pollice e indice, ne fiutava alcuni per scoprire l'odore d'inchiostro fresco o qualche altro sentore sospetto che rivelasse una stampa troppo recente. Lavorava con estrema rapidità.

Ma ogni minuto trascorreva con tormentosa lentezza.

«In maggioranza sono autentici», sentenziò alla fine l'uomo, alzando gli occhi e rivolgendosi a Monserrat.

«Qualche problema?».

«Ho un po' di dubbi circa i Morgan Guaranty e forse anche per il pacco più piccolo dei Lehman Brothers. Credo che possa esserci qualche falso. Come sa, qualche falso c'è sempre»,soggiunse l'uomo. «Tutto il resto è in ordine».

François Monserrat annuì seccamente. Ora sembrava un po' a disagio. Alzò il ricevitore del telefono nero che stava sul tavolo. Compose il numero di una società telefonica, diede un numero di quattro cifre e parlò con il servizio internazionale. Dopo qualche secondo era in comunicazione con qualcuno che evidentemente conosceva di una banca di Ginevra.

«Il mio conto è il numero 411FA. Effettui il deposito concordato sul conto...». Meno di quattro minuti dopo, Monserrat riattaccò.

Trascorsero pochi istanti e il telefono squillò. Il colonnello Hudson ricevette la conferma che la somma richiesta era stata effettivamente trasferita. Più di duecento milioni di dollari erano usciti dai conti sovietici ed erano stati accreditati su conti speciali aperti dai Vets a Londra, Parigi, Amsterdam e Madrid. Vets 26, Thomas O'Neil, il capo dell'ufficio doganale all'aeroporto di Shannon, aveva fatto ancora una volta ciò che Hudson si aspettava da lui. Il piano Nastro Verde era perfetto.

«Colonnello, credo che l'affare sia ormai concluso. Sembra che lei abbia vinto tutte le riprese. Almeno questa volta». Monserrat accennò un freddo inchino.

Il colonnello David Hudson si alzò. Aveva la sensazione d'essersi liberato da un peso terribile, da un'ossessione che s'era portato dentro per quasi quindici anni.

In quel preciso istante, stava effettuando in silenzio un conto alla rovescia.

Nastro Verde era quasi finito.

Quasi. Non del tutto.

Un'ultima svolta, un ultimo fattore sorpresa.

L'inganno nel suo aspetto più raffinato.

Un gioco del quale Hudson era il solo a conoscere le regole. Un gioco sbalorditivo che si chiamava Nastro Verde.

Rimanevano meno di 40 secondi... Nella stanza c'erano due pistole spianate...

Concentrati. David Hudson s'impose una calma controllata. Parla con loro. Continua a parlare a Monserrat.

«Avrei una domanda, prima di andarmene. Posso? Posso fare una domanda indiscreta?».

Monserrat annuì. «Che male c'è? Può chiedere ciò che vuole. Poi, forse anch'io avrò una domanda da farle».

Il colonnello Hudson scrutava gli occhi di Monserrat. Non vi scorgeva nulla... nessun sentimento, nessuna emozione. Loro due erano simili sotto molti aspetti. Macchine per uccidere.

«Da quanto tempo è con i russi? Da quanto tempo è una delle loro talpe?».

«Sono sempre stato con i russi, colonnello. Io sono russo. I miei genitori erano stati mandati nell'America centrale. Facevano parte delle centinaia e centinaia di agenti che vennero qui verso la fine degli anni Quaranta.

«Ho imparato a infiltrarmi... a essere americano. Ci sono molti altri come me. Molti altri. Ormai sono sparsi in tutti gli Stati Uniti. E attendono, colonnello. Noi ci proponiamo di annientare gli Stati Uniti finanziariamente e in ogni altro modo possibile».

Quattordici secondi. Dodici secondi. Dieci secondi. Il colonnello David Hudson proseguì mentalmente il conto alla rovescia, e continuò a parlare a François Monserrat.

Il battito del suo cuore si manteneva lento. Aveva ancora il controllo più completo.

«Harry Stemkowsky... Ricorda un uomo che si chiamava Stemkowsky? Un povero sergente invalido? Uno dei miei uomini?».

«Uno dei caduti della guerra. La sua guerra, colonnello, non la nostra. Non voleva saperne di tradirla».

Quando arrivò a tre nel conto alla rovescia, il colonnello David Hudson si spostò di due passi verso sinistra, rapidamente, inaspettatamente. I due terroristi russi girarono di scatto le pistole per sparare. Troppo tardi.

Hudson abbassò con forza il mento sul petto. Si lanciò a capofitto contro una vetrata, la sfondò e si avventò nella parte dell'edificio adibita a fabbrica.

In quel preciso momento, i muri tremarono sotto il primo, violento attacco degli M-60 che disintegrarono completamente il terzo piano.

In tre punti diversi della fabbrica esplosero incendi simultanei. Le vivide fiamme arancio e cremisi danzarono e si tesero verso il sudicio soffitto giallo. Le enormi lastre di vetro sussultarono, si staccarono dalle intelaiature e si schiantarono sul cemento sottostante. Dovunque, le travi e i supporti della vecchia costruzione incominciarono a incurvarsi, distorti dal calore crescente e dalle lingue avide delle fiamme.

Dovunque crepitavano gli M-16.

L'attacco dei Vets era iniziato.

Acquattato nella posizione da combattimento, David Hudson attese dietro le colossali macchine utensili. Il fumo denso degli incendi era nel contempo un vantaggio e un pericolo: impediva a Monserrat e ai suoi di localizzarlo ma lo rendeva vulnerabile, esposto a un attacco improvviso.

In quell'istante il colonnello Hudson udì il suono che aspettava. Il rombo del rotore dell'elicottero era forte e chiaro, inconfondibile.

Il Cobra era arrivato sopra il tetto. Esattamente secondo il piano. Era tutto perfetto, sino alla fuga conclusiva.

Il colonnello David Hudson si concesse finalmente l'ombra d'un sorriso. Solo un'ombra.

Carroll - ore 15 e 56

«Toglietevi di mezzo! Via! Via! Muoversi, muoversi!».

Era scoppiato un incendio ruggente, assolutamente incredibile. Arch Carroll vedeva i tetti piatti che eruttavano fiamme mentre si faceva largo a spintoni e gomitate fra la folla già accorsa in Halsey Street di Brooklyn per assistere alla scena. Iene, pensò. La specie peggiore di cacciatori d'emozioni.

Il dolore lo fece rabbrividire. Aveva il braccio destro intorpidito, e c'era qualcosa che non andava nel tratto inferiore della sua spina dorsale: quando correva così, il contatto dei tacchi sull'asfalto gli lanciava fitte strazianti lungo la schiena.

Nessuno tra la gente della zona, giovani in giacche di pelle, ragazze imbronciate, bambini sorridenti, sembrava capire che quello spettacolo violento era reale. Le loro grida erano quasi di gioia.

«Indietro! Maledizione, indietro!» urlò Carroll con voce rauca mentre continuava a correre tenendosi curvo. «Portate in casa i bambini! Tornate in casa!».

Da tutte le finestre si affacciavano visi curiosi, a occhi sgranati. Più avanti lungo Halsey Street centinaia di persone stavano uscendo nel freddo pomeriggio piovoso. Guardavano le esplosioni, affascinate dalle fiamme, dalle raffiche improvvise degli M-16 e dai colpi di pistola.

Carroll continuò a correre in quella goffa posa da combattimento, si avvicinò all'edificio che sembrava sul punto di esplodere.

Un po' lontano, sulla sinistra, tuonò all'improvviso un altoparlante della polizia, più forte della cacofonia degli spari e delle penetranti grida umane.

«Lei! Smetta di correre! Si fermi!».

Carroll ignorò le voci. Continuò la corsa, sbandando, lottando contro le fitte che lo assalivano da ogni direzione.

Quando raggiunse l'edificio incendiato, un suono ancora più familiare e terrificante gli invase la mente.

Sopra il tetto della fabbrica volteggiava il Cobra dell'esercito. Era lo stesso elicottero che l'aveva abbattuto. Nastro Verde era indubbiamente lì.

Raggiunse la scala di pietra. Incominciò a salire i gradini a tre per volta; e a ogni balzo aveva l'impressione di sentire il tintinnio del suo scheletro, delle ossa sconnesse che volavano sotto la pelle e i muscoli.

Dalla porta spalancata davanti a lui uscì all'improvviso un uomo tarchiato. Sembrava spagnolo o forse cubano. Stringeva contro il petto enorme un fucile 870.

L'arma di Carroll era regolata per sparare a raffica. Una gragnola di proiettili calibro 30 trapassò la faccia e la gola del terrorista che arretrò barcollando oltre la soglia. Poi Carroll non lo vide più.

Il fumo che usciva dalle finestre sfondate del piano terreno affondò le radici nei polmoni di Carroll. Ma lui continuò a correre.

Scavalcò il corpo del terrorista moribondo stramazzato oltre la soglia. L'uomo guardava in alto con gli occhi sgomenti di un animale sotto il coltello del macellaio.

Istintivamente, Carroll si appoggiò al muro del corridoio, con la guancia contro il freddo intonaco scrostato, e ansimò per riprendere fiato.

La testa gli girava a velocità incredibile.

Un Cobra dell'esercito? Come avevano fatto a impadronirsene? Non era possibile procurarsi un Cobra... Nastro Verde attendeva là, di sopra, e sembrava impossibile anche questo.

Il colonnello David Hudson - ore 15 e 58

Una pesante porta di ferro si aprì lentamente sul tetto del caseggiato. Le colonne di fumo, disperse dal vento, offuscarono per un momento la vista di David Hudson. La porta era a meno di quaranta metri dall'elicottero in attesa.

All'inizio il colonnello Hudson s'incamminò cautamente, poi incominciò a correre verso il Cobra come un atleta vittorioso. Ce l'aveva fatta.

Tutti avevano svolto il loro lavoro in modo quasi perfetto. La missione Nastro Verde era finalmente conclusa. L'euforia improvvisa della vittoria era ubriacante.

Hudson non vide la figura sul tetto fino a quando non gli fu addosso. Il cuore gli balzò in gola. Era stato imprudente. Per una volta aveva dimenticato di controllare e ricontrollare ogni possibilità.

«Può fermarsi, colonnello».

Dietro il serbatoio dell'acqua apparve un uomo, con la faccia e le spalle ancora nascoste nell'ombra. Una mano che impugnava una Beretta precedette il resto del corpo. Poi una faccia emerse nella luce.

Una faccia emerse nella luce.

François Monserrat stava di fronte al colonnello David Hudson.

Monserrat sorrise... un sorriso di trionfo.

«Congratulazioni, colonnello. Era quasi riuscito a commettere il delitto perfetto».

Carroll - ore 15 e 59

Quando fu all'interno dell'edificio incendiato, Carroll non seppe più da che parte dirigersi. Il fumo lo soffocava ed era assalito da conati di nausea. I polmoni gli bruciavano come se fossero stati strofinati con la carta vetrata.

I crepitii delle raffiche degli M-16 e i boati delle bombe incendiarie gli martellavano i timpani. Riusciva ancora a distinguere il suono secco e ripetitivo dei rotori del Cobra che era atterrato sul tetto. Monserrat e Hudson erano dentro quel fabbricato... Devi salire lassù, ordinò la sua mente al corpo stanco e dolorante.

Tossendo e ansimando Carroll sali le rampe di scale ripide e tortuose. Intorno a lui le fiamme si protendevano verso le ombre, irradiando sprazzi violenti di luce e di calore. Le fitte che gli straziavano le gambe erano insopportabili. C'era qualcosa che scricchiolava alla base della spina dorsale.

In cima alle scale, una massiccia porta metallica gli bloccò il passo. Dapprima s'incastrò... poi Carroll la spinse con una spallata. La spinse una seconda volta.

Finalmente la porta si spalancò con un cigolio acuto, rivelando il tetto. Carroll spalancò gli occhi.

In mezzo al fumo scintillavano vistosamente le luci di coda di un elicottero militare. Lampi colorati saettavano sull'asfalto scuro.

Il Cobra dell'esercito si stava preparando al decollo. I rotori vorticavano scagliando intorno tuoni e scintille. Era una scena consueta da zona di guerra.

All'improvviso, nel fumo che avviluppava il tetto, Carroll udì le voci. Erano stridenti, irose.

Provenivano dalla sua sinistra, al di là d'un alto muro. La paura martellò più forte il cuore di Carroll. Era paura... perché finalmente incominciava a capire.

«Vede, deve rendersi conto che i governi del passato non possono più esistere. Gli attuali governi sono soltanto illusioni. Sono i fantasmi d'una realtà idealizzata. Almeno questo deve capirlo. Non vi sono più democrazie». La prima voce era carica della tensione insopportabile del momento.

La seconda era aspra, crepitante come uno sparo.

Il vento soffocò le parole. Qualunque cosa stesse dicendo il secondo uomo, era soverchiato dal rombo dell'elicottero e dal vento che rimescolava le nubi di fumo.

Carroll si appoggiò ancora più vicino al muro incrinato, e si mosse adagio in direzione delle voci. Adesso erano più chiare. Ogni parola trapassava il rumore e il fumo vorticante. Il cuore gli doleva per la pressione implacabile.

«Io amo questo paese», gridò nel vento uno dei due. «Lo odio per ciò che ha fatto ai reduci dopo la guerra. Odio ciò che hanno fatto alcuni dei nostri leader. Ma amo questo paese».

Finalmente, Carroll li vide entrambi. Proprio quando credeva d'incominciare a capire, si rese conto che non aveva capito nulla.

Il colonnello David Hudson. Lo stesso uomo effigiato in tutte le foto dell'archivio dell'FBI e del Pentagono... Bello, alto, biondo... «il comandante militare ideale», secondo il suo fascicolo. Il Carlos meticolosamente programmato dell'America.

E l'altro...

Oh, Dio, l'altro.

Arch Carroll sentì qualcosa di prezioso e vitale sprofondare dentro di lui. Non era una sensazione fisica. Non era un osso, una fitta al cuore, la contrazione di un muscolo. Era molto peggio. All'improvviso ricordò la prima volta che aveva conosciuto l'orrore della morte... la morte di suo padre in Florida. Ricordò la sensazione esatta che aveva provato la notte in cui Nora era morta al New York Hospital.

Aveva la bocca arida e la sua testa era una grotta di caos disperato. Le sue emozioni erano più scatenate dell'orrenda guerriglia che gli infuriava intorno. Era ammutolito e stordito. Non riuscì a fare altro che guardare fisso davanti a sé. Le gambe gli tremavano e minacciavano di piegarsi.

Nulla avrebbe potuto prepararlo a quel momento atroce. Tutti gli anni di lavoro nella polizia non erano stati sufficienti.

L'uomo che il colonnello David Hudson aveva chiamato «Monserrat» era Walter Trentkamp... Ma la faccia cupa e contratta che Carroll vedeva in quel momento sembrava appartenere a un estraneo. Era un faccia spietata, indifferente.

Il mondo di Carroll roteò con violenza e si capovolse. Il senso della realtà andò in frantumi. Chiuse gli occhi. Si passò una mano sul viso annerito dal fumo. Sentiva le lacrime brucianti premere contro le palpebre.

L'occhio della sua mente parve inondarsi di luce bianca, esplosiva. Lo zio Walter. Era la sofferenza peggiore, il tradimento più orribile della sua vita. Come era potuto accadere? Come?

Pensò a tutte le cose di cui Trentkamp era stato a conoscenza in passato. Rievocò le sue lunghe indagini su Nastro Verde, le indagini di cui Trentkamp aveva saputo ogni dettaglio.

Trentkamp l'aveva mandato all'inseguimento d'un fantasma? Perché? Ecco, conosceva la risposta più logica. Per poterlo sorvegliare e controllare. Per controllare attentamente il gruppo terroristico della DIA. Tienimi al corrente, Archer. Fammi sapere che cosa scopri. Me lo prometti? In un certo senso, François Monserrat s'era servito di Carroll perché l'aiutasse a trovare il colonnello David Hudson e i Vets.

Tienimi al corrente, Archer...

Promettilo, Archer!

Walter Trentkamp aveva partecipato alle riunioni al massimo livello svoltesi alla Casa Bianca, aveva osservato e studiato la situazione. Una sicurezza, un'impudenza incredibili. Per quanti anni era andata così? Quanti fottuti anni?... François Monserrat! Il più spietato terrorista del mondo non era altro che Walter Trentkamp. Era impossibile concepirlo. Eppure era vero. L'oscenità che gli stava davanti agli occhi era reale.

Carroll ebbe l'impressione che la rabbia gli artigliasse la gola, gli dilaniasse la carne. Era stato sfruttato. Orribilmente sfruttato, come i Vets. Senza vergogna, e a ogni momento. Le contraddizioni assalivano la sua mente da ogni angolo.

Cautamente, Carroll si mosse verso Trentkamp e David Hudson. La rabbia che gli serpeggiava dentro ingigantì. Stava lottando contro l'impulso cieco e travolgente di sparare all'impazzata con la Browning. Voleva premere il grilletto. In quell'istante voleva aprire il fuoco contro quei due uomini. Non poteva: non poteva sparare. Era qualcosa di più d'un killer. E lei chi è, le dispiace dirmelo? In un certo senso era qualcosa più di quei due bastardi.

Finalmente Carroll uscì dal riparo del muro di sostegno. Parlò con voce bassa e decisa che il vento si portò via.

«Ciao, Walter. Volevo mantenere la promessa. Ti avevo promesso di riferirti tutto quello che avrei scoperto».

Il viso di Trentkamp tradì un attimo di sorpresa; poi il terrorista ritrovò la sicurezza e l'indifferenza. Ormai era Monserrat, non Walter Trentkamp.

«Non c'è mai stato niente di personale», disse, e alzò le spalle. «Tu eri il mio listok. È una parola russa. Eri la mia soluzione d'un problema. Niente di più. La mia missione è la totale dominazione sovietica in questo secolo. E un confronto interessante», continuò. «I più grandi terroristi del mondo. E il cacciatore di terroristi d'America. Tutti in posizione di stallo per il momento. Una memorabile istantanea per la storia, no?».

Archer Carroll alzò la Browning al livello degli occhi. Il colonnello David Hudson... François Monserrat... Lui. Sembrava che nessuno dei tre potesse vincere. Non sapeva neppure che cosa significasse «vincere», in quel momento. E lei chi è, le dispiace dirmelo?

«Come si può vivere una vita fatta soltanto di menzogne?». Si avvicinò lentamente a Hudson e Trentkamp. «Nient'altro che menzogne e inganni».

«Io non credo nelle stesse verità in cui credi tu. Ne consegue che non credo nelle stesse menzogne. Non ti accorgi che vivi di menzogne, anche tu? I tuoi ti hanno ingannato di continuo... Ti hanno mentito tutti, Archer. E la menzogna più colossale è il tuo governo».

Il colonnello David Hudson - ore 16 e 05.

Da quel momento contavano soltanto i suoi istinti. Il colonnello David Hudson si teneva rigidamente avvinghiato a quell'unico pensiero.

Contavano soltanto i suoi riflessi.

Davanti a Hudson passò un'immagine fulminea del campo di prigionia nel Vietnam del Nord. Vi aveva imparato certe lezioni decisive. Lezioni che adesso potevano assicurargli la sopravvivenza.

L'inganno, rammentò Hudson. A volte dovevi ingannare anche te stesso...

Monserrat era molto simile all'Uomo Lucertola, pensò. Monserrat era come l'Uomo Lucertola. Un nemico della stessa specie.

Doveva pensare, pensare.

Istinti.

Riflessi.

L'attenzione di Monserrat sembrava concentrata su Carroll... «Ti hanno mentito tutti, Archer. E la menzogna più colossale è il tuo governo».

Un urlo silenzioso gli salì alla gola. In quel momento, il braccio di David Hudson scattò dal basso in alto in un breve arco possente.

L'osso del gomito di Monserrat si spezzò con uno scricchiolio nauseabondo. La Beretta cadde. Un ringhio aspro e atroce gli sfuggì dalla bocca stravolta. Digrignò i denti come una belva.

Una lama sottile come un ago si materializzò nella mano del colonnello David Hudson. Una tasca dei calzoni svolazzava aperta nel vento.

Un killer.

Con prontezza sorprendente, François Monserrat s'allontanò d'un passo da Hudson e dal coltello. Era più abile di quanto lo fosse stato L'Uomo Lucertola.

Monserrat era abile. Era ancora molto abile. Un autentico maestro, un artista della morte.

David Hudson lo seguì come un'ombra. Lo stiletto lampeggiante si avventò come un'estensione del suo braccio. Istinti e riflessi per la sopravvivenza. Due macchine perfette, l'una contro l'altra.

François Monserrat alzò una mano per ripararsi il viso, la parte superiore del corpo. Una stilettata gli ferì il braccio, ma non mostrò neppure di accorgersene.

Stava assumendo la posizione classica delle arti marziali, quasi in un passo di danza. Stava per reagire, per esplodere improvvisamente contro il nemico.

Il colonnello Hudson urlò, fintando prima una mossa e poi un'altra, e quindi colpì... O parve colpire?... Fintò?... La lama argentea guizzò con apparente precisione e con uno slancio violento.

La lama affilata come un bisturi s'immerse per parecchi centimetri nell'area-bersaglio. Il lungo ago acuminato sparì nella carne, tra le costole di Monserrat. Monserrat si limitò a sospirare e continuò l'avanzata.

Lo stiletto venne rigirato nella ferita e poi divelto. Con un movimento ininterrotto fu spinto di nuovo in avanti. Questa volta squarciò la gola di Monserrat, e il sangue sgorgò a fiotti.

Di colpo, le gambe del terrorista si piegarono. Una serie di sussulti convulsi lo scosse. La faccia aveva perduto l'espressione sicura. Monserrat appariva sbalordito e sconvolto quando cadde sul tetto asfaltato.

Carroll non aveva saputo decidere a chi doveva sparare. Aveva assistito al duello in attesa del vincitore. Ora spianò la Browning contro il colonnello Hudson. Il suo indice s'irrigidì come se si fosse trasformato in pietra intorno al grilletto.

All'improvviso sentì lo scatto nettissimo di un'altra arma automatica.

Il suono inquietante proveniva da un punto dietro di lui, tra il fumo sempre più denso.

Carroll fece per girarsi di scatto, affidandosi completamente all'istinto, ai riflessi ereditari della terza generazione di poliziotti.

La sua mente galleggiava nella sofferenza e nel caos. Aveva bisogno che quella follia cessasse per un momento.

Credeva di riconoscere gli uomini che vedeva. Quattro uomini in uniforme verde lo stavano accerchiando, gli puntavano contro gli M-21. Quattro M-21.

Erano così simili ai soldati che avevano combattuto in Vietnam a fianco di Carroll. Erano Vets, pensò. Quello era Nastro Verde.

Adesso sapeva tutto ciò che aveva desiderato sapere... e non voleva più sapere nulla.

L'orrore continuò.

L'orrore.

La gola di Walter Trentkamp era squarciata. L'impermeabile s'era allargato come un ombrello mentre la figura s'era accasciata, e adesso giaceva inerte sul tetto, con il sangue rosso che scorreva, gli occhi già vitrei e le mani contratte come se cercassero di afferrarsi a qualcosa.

Orrore!

Un tonfo secco, e una forza brutale esplose contro la sommità della testa di Carroll.

Fu come se il suo cranio si frantumasse. Barcollò e per poco non cadde, ma riuscì a restare in piedi. Il poliziotto abituato a battersi nelle vie del Bronx non voleva cadere. Maledizione! Loro!

Arch Carroll vide fondersi i rivoli di sangue rosso. Aveva l'impressione d'essere sul punto di perdere la vista. La sofferenza e il caos e la luce abbacinante, insopportabile dentro il suo cranio.

«Lei chi è, Hudson?». Un'ultima, esasperante domanda prese forma sulle sue labbra. Non sapeva se avesse pronunciato o no quelle parole.

Avanzò d'un altro passo verso il colonnello Hudson, verso il corpo caduto di François Monserrat... di Walter Trentkamp.

Il calcio metallico della pistola si abbatté di nuovo sul suo cranio con forza tremenda. Colpì nello stesso punto, ancora più forte.

Un fragore terribile, lacerante, echeggiò nel cervello di Carroll. Un fuoco gli divampò nella parte destra del petto.

E poi cadde, stramazzò nonostante ogni sforzo di volontà, stramazzò verso il cemento scuro. Carroll udì il suono del suo gemito. Ebbe la sensazione che il suo sangue lo soffocasse. Era così triste, così ingiusto.

La pistola si abbatté con forza ancora una volta.

Si girò su se stesso e vide il colonnello David Hudson che gli stava davanti, irrigidito. Carroll tentò disperatamente di parlare. Merda, non ci riusciva. Aveva tante domande da fare a Hudson. Lottò contro l'incoscienza con tutte le energie che gli restavano. Non molte. Non abbastanza! Tentò di correre verso Hudson. Poi Archer Carroll piombò nel più disperato tunnel della tenebra e della desolazione.

Non era ancora finito.

Era appena incominciato.