Capitolo trentatreesimo


Il presidente Justin Kearney

Quella sera tardi, a Washington, il presidente Justin Kearney si sentiva completamente debilitato e molto, molto più vecchio dei suoi quarantatré anni. Il velo di sudore che gli copriva il collo era freddo e viscido e gli dava una sensazione di malessere. Era la una e mezzo passata e al primo piano della Casa Bianca regnava un silenzio ingannatore.

Mentre si aggirava per i corridoi, il presidente degli Stati Uniti teneva sotto il braccio un documento riservato. Il fascicolo era stretto contro il fianco e sembrava bruciare attraverso la giacca e la camicia, fino a ustionargli la pelle.

Quasi tutti i presidenti, come alcuni sceltissimi membri del Congresso e del Senato, avevano imparato un'importante lezione storica quando erano arrivati nella capitale. Justin Kearney l'aveva imparata durante il primo mese della sua presidenza. La lezione era questa: nell'ambito più vasto della potenza e dell'immane ricchezza dell'America, i politici erano poco più di un'appendice del sistema. Una concessione alla forma che sotto molti aspetti era un fastidio inevitabile.

Gli uomini politici, senatori, membri del Congresso, giudici, persino il presidente, erano di solito tollerati, ma ognuno di loro era sacrificabile.

I presidenti che avevano preceduto Justin Kearney, Reagan, Nixon, Ford, Carter, Kennedy, Johnson, avevano tutti imparato quella lezione in un modo o nell'altro.

Aveva finito per impararla persino il segretario di Stato Kissinger, in apparenza così potente e sicuro...

Esisteva un ordine superiore che operava all'interno e al di sopra del governo degli Stati Uniti. Esisteva da decenni, E spiegava molte cose. Spiegava quasi tutto ciò che era accaduto durante gli ultimi quarant'anni: i Kennedy, il Vietnam, il Watergate, la Corea, il piano «Guerre Stellari».

Nella solenne, imponente sala del Consiglio della Sicurezza Nazionale stavano aspettando il presidente Kearney. Erano dodici, ed erano lì da qualche tempo. Avevano continuato a lavorare per l'intera serata.

Sembrava un comitato piuttosto normale. Erano tutti in maniche di camicia e con le cravatte allentate. Si alzarono quando entrò il presidente degli Stati Uniti. Si alzarono per rispetto all'alta carica, per le grandi tradizioni, per tutto ciò che loro stessi avevano rigorosamente mantenuto in quella carica.

Il 41° presidente degli Stati Uniti andò a sedere come di consueto a capotavola. Davanti a lui erano disposti ordinatamente le penne e i blocchi per gli appunti.

«Ha letto i rapporti sulla situazione, signor presidente?» chiese uno dei dodici membri del comitato.

«Sì, li ho letti poco fa nel mio ufficio», rispose in tono solenne il presidente. Il bel viso energico era pallido, esangue.

Justin Kearney posò sul tavolo il voluminoso fascicolo riservato che aveva portato con sé. Erano centosessanta pagine dattiloscritte. Non era mai stato copiato e non lo sarebbe mai stato. Sembrava un opuscolo di proposte d'investimento o il progetto per la costruzione di un condominio.

Sulla copertina blu spiccava una scritta in regali lettere dorate.

Nastro Verde - Riservato - Segretissimo.

Il frontespizio recava la data del 16 maggio.

Quasi sette mesi prima degli attentati in Wall Street.