«Ah, Riddle!» fece il Preside.
«Voleva vedermi, professor Dippet?» chiese Riddle. Sembrava nervoso.
«Siediti» disse Dippet. «Ho appena letto la lettera che mi hai mandato».
«Oh!» disse Riddle. Si sedette, stringendosi forte le mani.
«Mio caro ragazzo» disse il preside con voce gentile, «non ho la minima possibilità di farti rimanere a scuola per l'estate. Non vuoi tornare a casa per le vacanze?»
«No» rispose prontamente Riddle. «Preferirei molto di più restare a Hogwarts che tornare in quel... in quel...»
«Se non sbaglio, trascorri le vacanze in un orfanotrofio di Babbani» disse Dippet.
«Sì, signore» rispose il ragazzo arrossendo lievemente.
«Tu sei figlio di Babbani?»
«Sono un mezzosangue, signore» disse Riddle. «Padre Babbano e madre strega».
«E i tuoi genitori sono tutti e due...»
«Mia madre è morta appena sono nato, signore. All'orfanotrofio mi hanno detto che visse appena quanto bastava a darmi il nome: Tom, come mio padre, e Orvoloson, come mio nonno».
Dippet scosse il capo con aria comprensiva.
«Il fatto è, Tom» sospirò, «che si sarebbe anche potuto fare uno strappo alla regola per te, ma date le attuali circostanze...»
«Parla di tutti questi attentati, signore?» chiese Riddle. Il cuore balzò in petto a Harry, che si avvicinò per paura di perdere qualche battuta.
«Proprio così» disse il preside. «Mio caro ragazzo, devi capire quanto sarebbe irragionevole da parte mia lasciarti rimanere al castello, una volta terminato il trimestre. Specialmente alla luce della recente tragedia... la morte di quella povera ragazza... Sarai molto più al sicuro nel tuo orfanotrofio. Il Ministero della Magia sta parlando addirittura di chiudere la scuola. Non abbiamo fatto nessun progresso nell'individuare la... ehm... fonte di questa antipatica...»
Gli occhi di Riddle si erano fatti più grandi.
«Ma, signore... se la persona venisse presa... se tutto finisse...»
«Cosa vuoi dire?» chiese Dippet con una nota stridula nella voce, raddrizzandosi sulla sedia. «Riddle, tu sai qualcosa di questa storia?»
«No, signore» si affrettò a rispondere il ragazzo.
Ma Harry ebbe la certezza che quel 'no' assomigliasse molto a quello che lui stesso aveva detto a Silente.
Dippet tornò ad appoggiarsi all'indietro, con l'aria vagamente delusa.
«Puoi andare, Tom...»
Riddle si alzò e uscì dalla stanza. Harry lo segui.
Scesero la scala a chiocciola mobile e uscirono vicino al mascherone, nel corridoio ora sempre più buio. Riddle si fermò e altrettanto fece Harry, fissandolo. Avrebbe giurato che Riddle stesse pensando qualcosa di serio. Si mordicchiava le labbra e aveva la fronte aggrottata. Poi, come se avesse finalmente preso una decisione, si allontanò in fretta, e Harry gli tenne dietro senza far rumore. Non incontrarono nessuno fino a che non furono nella Sala d'Ingresso; lì un mago molto alto dai lunghi capelli castani e dalla barba fluente chiamò Riddle dalla scalinata di marmo.
«Cosa fai in giro a quest'ora, Tom?»
Harry lo guardò. Era Silente, di cinquant'anni più giovane.
«Il preside ha voluto parlarmi, signore» disse Riddle.
«Be', fila a letto» disse Silente, lanciandogli la stessa occhiata penetrante che Harry conosceva così bene. «In questi giorni è meglio non girovagare per i corridoi. Almeno da quando... »
Sospirò profondamente, augurò a Riddle la buonanotte e si allontanò. Riddle lo segui con lo sguardo finché non fu sparito, poi si diresse rapidamente verso la scala di pietra che portava ai sotterranei, sempre con Harry alle calcagna.
Ma con sua grande delusione Riddle non lo condusse in un passaggio nascosto o in un tunnel segreto, ma semplicemente nel sotterraneo dove Piton teneva le sue lezioni di Pozioni. Le torce non erano accese e quando Riddle entrò richiudendo la porta quasi del tutto Harry non vedeva più altri che lui, immobile, mentre sorvegliava il corridoio.
A Harry sembrò di essere rimasto lì almeno un'ora. L'unica cosa che riusciva a scorgere era Riddle, appostato vicino alla porta, immobile come una statua, spiare attraverso la fessura. La tensione dell'attesa si allentò, e proprio mentre Harry cominciava a desiderare di tornare al presente, udì
qualcosa muoversi fuori della porta.
Qualcuno percorreva furtivo il passaggio. Chiunque fosse, lo udi oltrepassare il sotterraneo dove lui e Riddle erano nascosti. Quest'ultimo, silenzioso come un'ombra, sgattaiolò fuori e lo seguì. E Harry dietro di lui, in punta di piedi, senza pensare che non potevano udirlo.
Seguirono i passi forse per cinque minuti; poi Riddle si fermò di scatto, teso all'ascolto di nuovi rumori. Harry udì il cigolio di una porta che si apriva e poi un bisbiglio rauco.
«Dài... tocca andare via di qui... andiamo, su... nella scatola...»
Quella voce aveva un che di familiare.
Con un balzo improvviso, Riddle svoltò l'angolo. Harry gli andò dietro. Vide la sagoma nera di un ragazzo enorme, accucciato davanti a una porta aperta, con accanto uno scatolone.
«'Sera, Rubeus» lo salutò Riddle secco.
Il ragazzo chiuse la porta sbattendosela dietro e si alzò in piedi.
«Tom, che ci sei venuto a fare quaggiù?»
Riddle gli si avvicinò.
«È finita» disse. «Sarò costretto a consegnarti, Rubeus. Se non finiscono gli attentati, si parla di chiudere Hogwarts».
«Che diavolo...»
«Non penso che tu volessi uccidere nessuno. Ma i mostri non possono diventare animali domestici. Suppongo che tu l'abbia fatto uscire solo per fargli sgranchire un po' le zampe e...»
«Non ha ammazzato nessuno!» disse il ragazzo corpulento, indietreggiando verso la porta chiusa. Dietro di lui, Harry sentiva un curioso raspare e schioccare.
«Coraggio, Rubeus» disse Riddle avvicinandosi. «I genitori della ragazza morta saranno qui domani. Il minimo che Hogwarts può fare è assicurarsi che la cosa che gli ha ucciso la figlia sia fatta fuori...»
«Ma non è stato lui!» tuonò il ragazzo, e la sua voce rimbombò nel buio del corridoio. «Non è capace! Non lo farebbe mai!»
«Fatti da parte» disse Riddle estraendo la bacchetta magica. L'incantesimo accese il corridoio di un'improvvisa luce fiammeggiante. La porta alle spalle del ragazzo corpulento si spalancò con tale forza che lo mandò a sbattere contro la parete opposta. La cosa che uscì fece emettere a Harry un grido lungo e penetrante, che lui solo sembrò udire. Un corpo immenso, basso e peloso, e un groviglio di zampe nere; il bagliore di una miriade di occhi e un paio di chele taglienti come lame di rasoio. Riddle alzò di nuovo la bacchetta, ma troppo tardi. La cosa lo travolse al suo passaggio e poi sparì veloce lungo il corridoio. Riddle si rialzò
annaspando e le corse dietro; fece per sollevare la bacchetta, ma il ragazzo corpulento con un balzo gli fu addosso, gliela strappò di mano e lo scaraventò all'indietro gridando: «Nooooooo!»
Tutto cominciò a girare vorticosamente, il buio divenne completo, Harry si sentì cadere e con un tonfo atterrò all'indietro, a braccia e gambe aperte, sul suo letto a baldacchino, nel dormitorio del Grifondoro. Sulla pancia giaceva, aperto, il diario di Riddle.
Prima che avesse avuto il tempo di riprendere fiato, la porta si aprì ed entrò Ron.
«Ah, ecco dove sei!» disse.
Harry si mise seduto. Sudava e tremava tutto.
«Cosa è successo?» chiese Ron guardandolo preoccupato.
«È stato Hagrid, Ron. Hagrid ha aperto la Camera dei Segreti, cinquant'anni fa».
Capitolo 14
Cornelius Caramell
Harry, Ron e Hermione avevano sempre saputo dell'incresciosa simpatia di Hagrid per le creature grandi e mostruose. Durante il primo anno a Hogwarts, Hagrid aveva tentato di allevare un drago nella sua capanna di legno e i tre non avrebbero dimenticato tanto facilmente il gigantesco cane a tre teste da lui battezzato Fuffi. Se poi, da ragazzo, Hagrid avesse sentito dire che da qualche parte, nel castello, si nascondeva un mostro, Harry era certo che avrebbe fatto carte false pur di dargli un'occhiata. Probabilmente aveva pensato che era un peccato tenere il mostro rinchiuso tanto a lungo e che meritava di sgranchirsi le sue innumerevoli zampe. Poteva vederlo, il tredicenne Hagrid, cercare di infilargli guinzaglio e collare. Ma era altrettanto sicuro che non avesse mai voluto uccidere. Quasi quasi, Harry avrebbe preferito non scoprire come funzionava il diario di Riddle. Ron e Hermione gli fecero ripetere un'infinità di volte quel che aveva visto e a lui era venuta la nausea di quei racconti e anche delle lunghe e inconcludenti conversazioni che ne seguivano.
«Riddle potrebbe aver preso la persona sbagliata» disse Hermione.
«Forse quello che aggrediva le persone era un altro mostro...»
«Ma quanti mostri pensi che ci siano in questo posto?» chiese Ron ostinato.
«Abbiamo sempre saputo che Hagrid è stato espulso» disse Harry tristemente. «E gli attentati devono essere finiti proprio dopo che lui è stato sbattuto fuori. Altrimenti, Riddle non sarebbe stato premiato». Ron cercò una pista diversa.
«Riddle assomiglia a Percy... e comunque, chi gli ha chiesto di denunciare Hagrid?»
«Ma il mostro aveva ucciso una persona, Ron» gli fece presente Hermione.
«E se Hogwarts chiudeva, Riddle sarebbe dovuto tornare in un orfanotrofio di Babbani» disse Harry. «Non posso dargli torto se voleva restare qui...»
Ron si mordicchiò le labbra, poi azzardò un'altra ipotesi.
«Tu hai incontrato Hagrid a Notturn Alley, non è vero Harry?»
«Stava comperando un Repellente per lumache carnivore» si affrettò a ricordargli Harry.
Tutti e tre tacquero. Dopo una lunga pausa, con voce esitante Hermione si decise a fare la domanda più spinosa: «Pensate che sia il caso di andare a parlarne con lui?»
«Allora si che ci sarebbe da ridere!» disse Ron. «Salve, Hagrid, dicci un po', non è che per caso, ultimamente, hai sguinzagliato nel castello un coso pazzo e peloso?»
Alla fine decisero di non dirgli niente a meno che non si verificasse un'altra aggressione, e visto che i giorni passavano e la voce disincarnata non si faceva sentire, cominciarono a sperare che non ci sarebbe mai stato bisogno di chiedergli perché era stato espulso. Erano circa quattro mesi che Justin e Nick-Quasi-Senza-Testa erano stati pietrificati e quasi tutti sembravano dell'idea che l'aggressore, chiunque fosse, avesse rinunciato una volta per tutte. Pix si era finalmente stancato di canticchiare È Potter canaglia che infuria e si scaglia; un giorno, alla lezione di Erbologia, Ernie Macmillan chiese a Harry con grande gentilezza di passargli un secchio di funghi; e a marzo, nella Serra numero Tre, molte mandragole fecero festa a lungo e rumorosamente, il che rese molto felice la professoressa Sprite.
«Quando cercheranno di scambiarsi il vaso sapremo che sono completamente mature» disse a Harry. «A quel punto potremo far tornare in vita quei poverini nell'infermeria».
Durante le vacanze di Pasqua, gli studenti del secondo anno ebbero qualcosa di nuovo a cui pensare. Era arrivato il momento di scegliere le materie per il terzo anno, un problema che almeno Hermione prendeva molto sul serio.
«Potrebbe condizionare tutto il nostro futuro» disse a Harry e Ron mentre insieme scorrevano l'elenco delle nuove materie, spuntandole via via.
«Io voglio solo smettere Pozioni» disse Harry.
«Ma non possiamo» disse tristemente Ron. «Tutte le materie vecchie ce le dobbiamo tenere, altrimenti avrei mollato Difesa contro le Arti Oscure».
«Ma quella è importantissima!» disse Hermione scandalizzata.
«Non come la insegna Allock» disse Ron. «L'unica cosa che ho imparato da lui è non lasciare liberi i folletti».
Neville Paciock era stato inondato di lettere da tutti i maghi e le streghe della sua famiglia, ricevendo da ognuno un consiglio diverso. Confuso e preoccupato, leggeva l'elenco delle materie con la lingua di fuori, chiedendo a tutti se pensavano che Aritmanzia fosse più difficile delle Antiche Rune. Dean Thomas, che come Harry era cresciuto tra i Babbani, finì per chiudere gli occhi e puntare la bacchetta magica sull'elenco delle materie: avrebbe scelto a caso. Hermione non chiese consiglio a nessuno e le scelse tutte.
Harry sorrideva amaramente tra sé al pensiero di quel che avrebbero detto zio Vernon e zia Petunia se lui avesse provato a discutere con loro il suo futuro di mago. Non che gli mancasse una guida: Percy Weasley era ansioso di condividere con lui la propria esperienza.
«Dipende da dove vuoi andare, Harry» disse. «Non è mai troppo presto per pensare al futuro, per questo ti suggerirei Divinazione. La gente dice che Babbanologia sia una scelta al ribasso, ma personalmente penso che i maghi dovrebbero conoscere a fondo la società dei non-maghi, specie se pensano di lavorare in stretto contatto con loro... Guarda mio padre: lui ha a che fare tutto il tempo con i Babbani. Mio fratello Charlie è stato sempre amante dell'aria aperta e quindi ha scelto Cura delle Creature Magiche. Scegli le materie in cui sei forte, Harry».
Ma l'unica cosa per cui Harry sentiva di essere tagliato era il Quidditch. Alla fine scelse le stesse nuove materie di Ron, pensando che se lui si fosse rivelato una schiappa almeno avrebbe avuto un amico da cui farsi aiutare. La prossima partita di Quidditch il Grifondoro l'avrebbe giocata contro i Tassorosso. Baston insisteva per allenare la squadra tutte le sere dopo cena, per cui Harry non aveva tempo per altro che non fossero il Quidditch e i compiti. Ma le sessioni di allenamento stavano migliorando, o quantomeno si facevano più all'asciutto, e la sera della vigilia dell'incontro Harry salì
nel suo dormitorio per posare il manico di scopa con la sensazione che le probabilità dei Grifondoro di vincere la coppa non erano mai state tanto alte. Ma l'allegria fu di breve durata. In cima alle scale incontrò Neville Paciock che pareva fuori di sé.
«Harry... io non so chi è stato. Ho semplicemente trovato...»
Fissandolo spaventato, Neville spalancò la porta.
Il contenuto del suo baule era stato sparpagliato dappertutto. Il mantello giaceva a terra, strappato. Il pigiama era stato tolto da sotto il cuscino, il cassetto del comodino era stato tirato fuori e il contenuto sparso sul materasso. Harry si avvicinò al letto, a bocca aperta, calpestando alcune pagine strappate del volume Trekking con i troll.
Mentre rifaceva il letto, aiutato da Neville, entrarono Ron, Dean e Seamus. Dean imprecò ad alta voce.
«Cosa diavolo è successo, Harry?»
«Non ne ho la più pallida idea» rispose lui. Intanto, Ron esaminava i vestiti: tutte le tasche erano state rivoltate.
«Qui è venuto qualcuno a cercare chissà che» disse Ron. «Manca niente?»
Harry cominciò a raccogliere tutte le sue cose, buttandole alla rinfusa dentro il baule. Ma solo quando vi ebbe scaraventato dentro l'ultimo libro di Allock si accorse di quel che mancava.
«Il diario di Riddle non c'è più» disse sottovoce a Ron.
« Cosa? »
Harry si girò nervosamente verso la porta della stanza e Ron uscì dietro di lui. Scesero di corsa nella sala comune del Grifondoro, mezza deserta, e si avvicinarono a Hermione che, tutta sola, stava leggendo un libro dal titolo Metodo semplificato per la lettura delle Antiche Rune. La notizia la lasciò sbalordita.
«Ma... soltanto un Grifondoro può averlo rubato... nessun altro conosce la nostra parola d'ordine...»
«Proprio così» commentò Harry.
La mattina dopo, al risveglio, diede loro il buongiorno un bel sole e un venticello fresco.
«Condizioni perfette per il Quidditch» disse Baston entusiasticamente al tavolo della colazione, riempiendo di uova strapazzate i piatti dei giocatori.
«Dacci dentro, Harry, devi fare una colazione decente». Harry continuava a scrutare l'affollato tavolo dei Grifondoro, chiedendosi se per caso il nuovo proprietario del diario di Riddle non si trovasse proprio di fronte a lui. Hermione aveva insistito perché denunciasse il furto, ma a lui l'idea non piaceva. Avrebbe dovuto raccontare tutto a un insegnante; ma quanti sapevano il motivo per cui Hagrid era stato espulso, cinquant'anni prima? Non voleva certo essere lui a riportare a galla quella storia.
Aveva appena lasciato la Sala Grande insieme a Ron e Hermione per andare a prendere il suo equipaggiamento da Quidditch, quand'ecco che un'altra angoscia si aggiunse al già nutrito elenco delle sue preoccupazioni. Non aveva fatto in tempo a poggiare un piede sul primo gradino della scala di marmo che la udì di nuovo: « Uccidere adesso... fare a pezzi... squarta- re... »
Lanciò un grido e Ron e Hermione si ritrassero allarmati.
«La voce!» esclamò Harry guardandosi alle spalle. «L'ho sentita di nuovo... e voi?»
Ron scosse il capo con gli occhi sbarrati. Hermione, invece, si batté una mano sulla fronte.
«Harry... credo proprio di aver capito una cosa! Devo andare in biblioteca!»
E sparì di corsa su per le scale.
«Chissà che cosa ha capito...» disse Harry disorientato mentre si guardava ancora intorno cercando di individuare da dove provenisse la voce.
«Molto più di quanto abbia capito io» disse Ron scuotendo la testa.
«Ma perché ha dovuto andare in biblioteca?»
«Perché Hermione è fatta così» disse Ron stringendosi nelle spalle. «Nel dubbio, vai in biblioteca».
Harry non si mosse, indeciso, cercando di udire di nuovo la voce, ma ormai tutti stavano uscendo dalla Sala Grande parlando a voce alta e imboccavano la porta principale diretti al campo di Quidditch.
«Meglio che ti muovi» lo incalzò Ron. «Sono quasi le undici... la partita». Harry salì di corsa alla torre del Grifondoro per prendere la sua Nimbus Duemila e poi si unì alla folla che sciamava verso il campo; ma con la mente era ancora al castello, dove aveva udito la voce. Mentre negli spogliatoi s'infilava la tuta scarlatta, la sua unica consolazione fu il pensiero che in quel momento tutti erano fuori per la partita.
Le squadre entrarono in campo tra uno scrosciare di applausi. Oliver Baston decollò per un volo di riscaldamento intorno ai pali delle porte, Madama Bumb mise in campo le palle. I Tassorosso, che giocavano in tuta giallo canarino, riuniti a capannello, stavano terminando le consultazioni sulla tattica di gioco.
Harry stava per montare sulla sua scopa quando la McGranitt entrò in campo quasi di corsa, con in mano un enorme megafono viola. Harry si sentì gelare il sangue.
«La partita è stata annullata» annunciò la McGranitt, rivolta allo stadio gremito. Si udirono fischi e grida. Oliver Baston, sconvolto, planò a terra e si precipitò verso la McGranitt senza neanche scendere dalla scopa.
«Ma professoressa» gridò, «noi dobbiamo giocare... la coppa... il Gri- fondoro... »
Lei lo ignorò e continuò a parlare al megafono: «Tutti gli studenti tornino nelle sale comuni delle rispettive Case, dove i Responsabili forniranno ulteriori informazioni. Più in fretta possibile, per favore!»
Poi abbassò il megafono e fece cenno a Harry di raggiungerla.
«Potter, è meglio che tu venga con me...»
Chiedendosi come mai questa volta si potesse sospettare di lui, Harry vide Ron staccarsi dalla folla in tumulto e raggiungere di corsa lui e la McGranitt che si erano incamminati verso il castello. Con sua grande sorpresa, lei non ebbe niente da obiettare.
«Sì, forse è meglio che venga anche tu, Weasley».
Tra gli studenti che passavano loro accanto, alcuni si lamentavano che la partita fosse stata annullata, altri avevano l'aria preoccupata. Harry e Ron seguirono la professoressa dentro la scuola e poi su per la scalinata di marmo. Questa volta, però, non furono accompagnati nell'ufficio di nessuno degli insegnanti. Stavano per raggiungere l'infermeria quando la professoressa McGranitt disse con voce stranamente dolce: «Avrete un grande shock. C'è stato un altro attentato... duplice questa volta».
Harry si sentì torcere le budella. La professoressa McGranitt spalancò la porta e lui e Ron entrarono.
Madama Chips era china su una ragazza del quinto anno dai lunghi capelli ricciuti. Harry la riconobbe per la Corvonero cui avevano chiesto casualmente informazioni sulla sala di ritrovo dei Serpeverde. E sul letto vicino al suo c'era...
« Hermione!» gemette Ron.
Hermione giaceva immobile, gli occhi spalancati e vitrei.
«Le hanno trovate vicino alla biblioteca» disse la McGranitt. «Sapreste spiegarmi che cos'è questo? Era per terra, vicino a loro...»
E così dicendo mostrò ai ragazzi uno specchietto circolare. Harry e Ron scossero il capo fissando entrambi Hermione.
«Vi scorterò fino alla Torre del Grifondoro» disse la McGranitt cupa.
«In ogni caso, devo fare alcune comunicazioni agli studenti.
«D'ora in avanti, tutti gli studenti rientreranno nelle sale comuni entro le sei di sera. Nessuno di loro dovrà lasciare il dormitorio dopo quell'ora. Un insegnante vi scorterà alle lezioni. Nessuno studente deve usare il bagno se non è accompagnato da un insegnante. Tutti gli allenamenti e le partite di Quidditch dovranno essere rinviati. Le attività serali sono soppresse». I Grifondoro, tutti stipati nella sala comune, la ascoltavano in silenzio. La McGranitt riavvolse il rotolo di pergamena che aveva appena letto e disse con voce soffocata: «Inutile dire che raramente ho provato tanta angoscia. È probabile che la scuola verrà chiusa, a meno che il responsabile di tutti questi attentati non venga preso. Raccomando a chiunque pensi di sapere qualcosa al riguardo di farsi avanti».
Usci a fatica dal buco del ritratto e subito tra i Grifondoro si accese un'animata conversazione.
«E con questo i Grifondoro colpiti sono due, senza contare un fantasma del Grifondoro, una Corvonero e un Tassorosso» commentò Lee Jordan, l'amico dei gemelli Weasley, contando sulla punta delle dita. «Nessuno degli insegnanti ha notato che i Serpeverde sono tutti incolumi? Non è evi-dente che all'origine di tutta questa storia c'è Serpeverde? L' erede di Serpeverde, il mostro di Serpeverde... perché non li buttano fuori tutti?» tuonò
tra cenni di assenso e sporadici applausi.
Percy Weasley sedeva su una sedia dietro a Lee e per una volta non sembrava ansioso di far conoscere il suo parere. Era pallido e stralunato.
«Percy è sotto shock» disse George a Harry, parlando a bassa voce.
«Quella ragazza Corvonero... Penelope Light... è anche lei un Prefetto. Non credo si aspettasse che il mostro avrebbe osato aggredire un Prefetto». Ma Harry lo ascoltava solo per metà. Non riusciva a togliersi dalla mente l'immagine di Hermione, immobile sul letto dell'infermeria come una statua di pietra. Quanto a lui, se il colpevole non veniva preso in tempo, la prospettiva che gli si parava davanti era una vita intera con i Dursley. Tom Riddle aveva denunciato Hagrid perché anche lui, se la scuola avesse chiuso, avrebbe trascorso i suoi anni migliori in un orfanotrofio di Babbani. Ora Harry sapeva perfettamente come doveva essersi sentito.
«Che cosa facciamo?» gli chiese Ron all'orecchio. «Pensi che sospettino di Hagrid?»
«Dobbiamo parlargli» disse Harry prendendo una decisione. «Non posso credere che questa volta sia lui, ma se l'ultima volta ha liberato il mostro, saprà bene come entrare nella Camera dei Segreti. Intanto cominciamo da questo».
«Ma la McGranitt ha detto che quando non siamo in classe dobbiamo restare nelle nostre torri...»
«Io dico» fece Harry abbassando ancora di più la voce, «che è ora di ritirare fuori il vecchio mantello di mio padre». Harry aveva ereditato una cosa sola da suo padre: un lungo e argenteo Mantello dell'Invisibilità. Per loro era l'unica possibilità di sgattaiolare fuori della scuola e andare da Hagrid senza che nessuno se ne accorgesse. Si coricarono alla solita ora, aspettarono che Neville, Dean e Seamus avessero finito di fare congetture sulla Camera dei Segreti e si fossero addormentati, quindi si alzarono, si rivestirono e si gettarono addosso il mantello. Il tragitto attraverso i corridoi bui e deserti non fu piacevole. Spesso Harry aveva girovagato per il castello di notte, ma non l'aveva mai visto cosi frequentato, dopo il tramonto. Insegnanti. Prefetti e fantasmi pattugliavano i corridoi a coppie per controllare che non si tenessero attività insolite. Il Mantello dell'invisibilità non impediva ai due ragazzi di fare rumore e ci fu un momento di particolare tensione quando Ron urtò qualcosa con il piede a pochi metri dal luogo dove Piton montava la guardia. Per fortuna Piton starnutì quasi nello stesso momento in cui Ron si faceva sfuggire un'imprecazione. Raggiungere e aprire le porte di quercia dell'ingresso principale fu un vero sollievo. Era una notte chiara e stellata. Si affrettarono in direzione della finestra illuminata della casetta di Hagrid e si tolsero il mantello solo quando furono davanti all'ingresso. Bussarono, e dopo qualche attimo Hagrid spalancò la porta. Imbracciava una balestra e gliela puntava contro, mentre Thor, dietro di lui, abbaiava a perdifiato.
«Oh!» esclamò il guardiacaccia abbassando l'arma e fissandoli. «Che cosa ci fate qui voi due?»
«E quella a cosa ti serve?» chiese Harry mentre entravano, indicando la balestra.
«Niente... niente...» balbettò Hagrid. «Stavo aspettando... non fa niente... Sedetevi... Vi faccio un tè...»
Sembrava che non sapesse quel che stava facendo. Per poco non spense il fuoco, versandoci sopra dell'acqua dal bollitore, poi mandò in frantumi la teiera urtandola con la sua manona poderosa.
«Ti senti bene, Hagrid?» chiese Harry. «Hai sentito di Hermione?»
«Oh, ho sentito sì!» disse lui con voce rotta.
Continuava a guardare nervosamente fuori dalle finestre. Riempì due grosse tazze d'acqua bollente (aveva dimenticato di aggiungere le bustine del tè) e stava per sistemare su un piatto un pezzo di panpepato, quando si udì bussare forte.
Hagrid lasciò cadere il dolce. Harry e Ron si scambiarono un'occhiata terrorizzata, poi si buttarono addosso il Mantello dell'Invisibilità e si acquattarono in un angolo. Hagrid controllò che fossero ben nascosti, afferrò
la balestra e tornò ad aprire la porta.
«Buonasera, Hagrid».
Era Silente. Entrò, con un'aria terribilmente seria, seguito da un altro signore dall'aspetto assai curioso. Lo straniero era un uomo basso, corpulento, aveva capelli grigi tutti arruffati e un'espressione ansiosa. Indossava una strana accozzaglia di indumenti: un abito gessato, una cravatta scarlatta, un soprabito nero e stivali a punta color viola. Sotto braccio portava una bombetta verde.
«Ma quello è il principale di papà!» disse Ron in un soffio, «Cornelius Caramell, il Ministro della Magia!»
Harry gli diede una violenta gomitata per farlo tacere. Hagrid era diventato pallido e sudava. Si lasciò cadere su una sedia, con lo sguardo che andava da Silente a Cornelius Caramell.
«Brutta faccenda, Hagrid» disse Caramell con voce piuttosto secca.
«Bruttissima faccenda. Dovevo venire. Quattro aggressioni a figli di Babbani. Si è passato ogni limite. Il Ministero deve intervenire».
«Ma io...» disse Hagrid rivolgendo uno sguardo implorante a Silente.
«Lei lo sa, professore; signore, io mai...»
«Voglio che sia chiaro, Cornelius, che Hagrid gode della mia piena fiducia» disse Silente rivolto a Caramell, aggrottando la fronte.
«Senti, Albus» disse Caramell con un certo disagio. «I precedenti di Hagrid sono contro di lui. Il Ministero deve fare qualcosa... I consiglieri della scuola si sono messi in contatto con me».
«Eppure, Cornelius, ti ripeto che mandar via Hagrid non servirà a niente» insistette Silente. I suoi occhi azzurri erano animati da un fuoco che Harry non gli aveva mai visto prima.
«Cerca di metterti nei miei panni» disse Caramell giocherellando con la bombetta. «Io sto ricevendo un mucchio di pressioni. Bisogna far vedere che si sta facendo qualcosa. Se si scopre che non è stato Hagrid lo rimandiamo a casa e non se ne parla più. Ma devo prenderlo. Devo. Non farei il mio dovere se...»
«Prendermi?» chiese Hagrid che aveva cominciato a tremare. «Per portarmi dove?»
«Soltanto per un breve periodo» disse Caramell evitando lo sguardo del gigante. «Non è una punizione, Hagrid; più che altro è una precauzione. Se verrà preso qualcun altro, tu verrai liberato con tanto di scuse...»
«Non ad Azkaban, vero?» chiese Hagrid con voce roca.
Prima che Caramell potesse rispondere, si udì di nuovo bussare energicamente alla porta. Silente andò ad aprire. Questa volta la gomitata toccò a Harry, che aveva sussultato emettendo un suono ben udibile.
Lucius Malfoy entrò a gran passi nella capanna, avvolto in un lungo mantello nero da viaggio; sul volto, aveva stampato un sorriso freddo e soddisfatto. Thor cominciò a ringhiare.
«Già arrivato, Caramell!» disse in tono di approvazione. «Bene, bene...»
«Lei! Cosa vuole?» chiese Hagrid furibondo. «Fuori da casa mia!»
«Brav'uomo, ti prego di credere che non mi piace affatto trovarmi nella tua... ehm... questa la chiami casa, vero?» disse Lucius Malfoy lanciando un'occhiata alla piccola stanza con un ghigno malevolo. «Ero semplice-mente venuto a scuola e mi hanno detto che il Preside si trovava qui».
«E, di preciso, che cosa voleva da me, Lucius?» chiese Silente. Parlava in tono gentile, ma i suoi occhi azzurri mandavano fiamme.
«Una cosa molto spiacevole, Silente» disse Malfoy con voce strascicata, estraendo un grosso rotolo di pergamena. «Ma i consiglieri ritengono che sia arrivato il momento che lei si faccia da parte. Questo è un Ordine di Sospensione... in calce troverà tutte e dodici le firme. Mi spiace dire che riteniamo che lei stia perdendo la sua autorità. Quanti attentati ci sono stati finora? Altri due questo pomeriggio, vero? Di questo passo non ci resterà
neanche più un figlio di Babbano, a Hogwarts, e tutti sappiamo quale ter- ribile perdita sarebbe per la scuola».
«Su, andiamo, Lucius» disse Caramell allarmato. «Silente sospeso... no, no... è l'ultima cosa che deve succedere in questo momento...»
«L'incarico o la sospensione del Preside sono di competenza dei consiglieri, Caramell» disse Malfoy con aria serafica. «E siccome Silente non è
riuscito a mettere fine agli attentati...»
«Lucius, devi capire una cosa: se non ci riesce Silente... » disse Caramell con il labbro superiore madido di sudore, «voglio dire... chi può riuscir- ci?»
«Questo è tutto da vedere» replicò Malfoy con un sorriso maligno. «Ma dal momento che abbiamo votato tutti e dodici...»
Hagrid balzò in piedi e la sua nera testa arruffata sfiorò il soffitto.
«E dica un po', quanti ne ha dovuti ricattare e corrompere per farli firmare, eh?» tuonò.
«Oh, oh, uno di questi giorni questo tuo caratterino finirà per metterti nei guai, Hagrid» disse Malfoy. «Ti consiglio di non gridare a questo modo con le guardie di Azkaban. A loro non piacerebbe affatto».
«Non potete mandare via Silente!» gridò Hagrid, tanto che Thor guaì e corse a rannicchiarsi nella sua cuccia. «Mandatelo via e i figli dei Babbani non avranno una sola possibilità! La prossima volta ammazzeranno qualcuno!»
«Calmati, Hagrid» gli intimò Silente duro. Poi fissò Lucius Malfoy.
«Se i consiglieri vogliono la mia rimozione, naturalmente mi farò da parte».
«Ma...» balbettò Caramell.
« No! » urlò Hagrid.
Silente non aveva smesso di fissare i suoi luminosi occhi azzurri in quelli freddi e grigi di Lucius Malfoy.
«In ogni caso» proseguì Silente parlando con grande lentezza e scandendo le parole, in modo che nessuno potesse perderne neanche una, «lei si accorgerà che io avrò veramente lasciato la scuola soltanto quando non ci sarà più nessuno che mi sia fedele. E si accorgerà anche che a Hogwarts chi chiede aiuto lo trova sempre».
Per un attimo Harry avrebbe giurato che Silente avesse ammiccato verso l'angolo dove si trovavano lui e Ron.
«Sentimenti ammirevoli» disse Malfoy inchinandosi. «Tutti sentiremo la mancanza... ehm... del suo... modo personalissimo... di fare le cose, Albus, e non ci resterà che sperare che chi prenderà il suo posto riuscirà a impedire qualsiasi... ehm... eventuale... assassinio». Si diresse verso la porta, la spalancò, salutò l'uscita di Silente con un inchino. Caramell, sempre giocherellando con la bombetta, aspettava che Hagrid lo precedesse, ma il gigante non si mosse d'un passo, fece un respiro profondo e sillabò: «Chi ha voglia di trovare qualcosa, deve seguire i ragni. Questo lo porterà sulla pista giusta. E tutto quel che ho da dire». Caramell lo guardò sbalordito.
«Va bene, vengo» disse poi infilandosi il pastrano di fustagno. Ma prima di seguire Caramell, si fermò davanti alla porta e disse di nuovo, ad alta voce: «E ricordatevi di dar da mangiare a quello, mentre sono via». La porta si richiuse con un tonfo e Ron si tolse di dosso il Mantello dell'Invisibilità.
«Ora sì che siamo nei guai» disse con voce roca. «Tanto varrebbe che chiudessero la scuola stanotte stessa. Senza più Silente, ci sarà un attentato al giorno».
Thor cominciò a guaire raspando la porta chiusa.
Capitolo 15
Aragog
Nel parco intorno al castello si sentiva il profumo dell'estate; il cielo e il lago erano di un blu pervinca e fiori grossi come cavoli sbocciavano nelle serre. Ma a Harry, che dalle finestre non vedeva più Hagrid andare per i campi con Thor alle calcagna, lo scenario non sembrava quello giusto; e certo non era meglio dell'atmosfera che si respirava al castello, dove le cose andavano tragicamente storte. Insieme a Ron, Harry aveva tentato di andare a trovare Hermione, ma ora l'accesso all'infermeria era vietato ai visitatori.
«Non vogliamo più correre rischi» aveva detto Madama Chips severa, parlandogli attraverso una fessura della porta. «No, mi dispiace, ma il rischio che l'aggressore si rifaccia vivo per dare il colpo di grazia a queste persone è troppo grosso...»
Con l'allontanamento di Silente la paura era dilagata come mai prima di allora e per quanto il sole intiepidisse le mura del castello sembrava non riuscisse a varcare le finestre. Non c'era sguardo, a scuola, che non apparisse preoccupato e teso, e se per i corridoi si udiva una risata questa risuonava stridula e innaturale e veniva soffocata rapidamente. Harry non faceva che ripetersi l'ultima frase di Silente: Io avrò lasciato veramente la scuola soltanto quando non ci sarà più nessuno che mi sia fedele... A Hogwarts chi chiede aiuto lo trova sempre. Ma a che cosa servivano quelle parole? A chi avrebbero dovuto chiedere aiuto, quando tutti erano spaventati e confusi quanto loro?
Molto più facile da capire era l'allusione di Hagrid ai ragni... Il guaio era che, al castello, di ragni da seguire sembrava non ne fosse rimasta neanche l'ombra. Harry non mancava di perlustrare qualsiasi luogo in cui gli capitasse di andare, aiutato (anche se con una certa riluttanza) da Ron. Naturalmente l'ostacolo maggiore era il fatto che non erano liberi di andarsene in giro da soli, ma dovevano spostarsi in branco con gli altri compagni del Grifondoro. I più parevano contenti di venire scortati dagli insegnanti da una classe all'altra, ma Harry lo trovava fastidioso. Una sola persona sembrava godere dell'atmosfera di terrore e di sospetto: Draco Malfoy se ne andava in giro tutto tronfio come se fosse stato appena nominato Caposcuola. Harry comprese cosa lo rendeva tanto contento solo durante la lezione di Pozioni, una quindicina di giorni dopo che Silente e Hagrid se n'erano andati, quando, seduto proprio dietro di lui, lo udì
per caso gongolare malignamente con Tiger e Goyle.
«Ho sempre pensato che mio padre sarebbe riuscito a liberarsi di Silente» disse senza preoccuparsi di abbassare la voce. «Ve lo dicevo che per lui Silente è il Preside peggiore che la scuola abbia mai avuto. Forse ora riusciremo ad averne uno decente. Qualcuno che non vorrà che la Camera dei Segreti venga chiusa. La McGranitt non durerà a lungo, sta soltanto facendo le veci...»
Piton passò accanto a Harry, senza fare commenti sul banco vuoto e il calderone inutilizzato di Hermione.
«Signore» disse Malfoy a voce alta, «signore, perché non fa domanda lei, per l'incarico di Preside?»
«Andiamo, Malfoy!» disse Piton senza tuttavia riuscire a trattenere un sorriso a mezza bocca. «Il professor Silente è stato semplicemente sospeso dal consiglio di amministrazione. Credo che tornerà fra noi abbastanza presto».
«Sì, sì, va bene» disse Malfoy con un ghigno. «Ma credo che se lei volesse fare domanda per quell'incarico avrebbe senz'altro il voto di mio padre, signore. Ci penserò io a dirgli che qui lei è il migliore insegnante, signore...»
Piton sorrideva compiaciuto mentre passava fra i banchi, e buon per Seamus Finnigan che Piton non lo vide far finta di vomitare nel suo calderone.
«Strano che i mezzosangue non abbiano ancora fatto le valige» proseguì
Malfoy. «Scommetto cinque galeoni che il prossimo morirà. Peccato non sia toccato alla Granger...»
Fortunatamente in quel preciso momento suonò la campanella. Alle ultime parole di Malfoy, infatti, Ron era balzato in piedi e nella confusione del raccogliere libri e cartelle i suoi tentativi di saltare addosso a Malfoy passarono inosservati.
«Ora ci penso io» ringhiava mentre Harry e Dean lo trattenevano per le braccia. «Non me ne importa niente! Non mi serve la bacchetta magica, lo ammazzo a mani nude...»
«Su, sbrigatevi, vi devo accompagnare alla lezione di Erbologia» sbraitò
Piton per superare il frastuono della classe. Harry e Dean uscirono per ultimi, sempre tenendo Ron che si divincolava. Lo lasciarono soltanto dopo che Piton li ebbe accompagnati fuori del castello e la classe si fu avviata verso l'orto.
La classe di Erbologia era decimata; ora mancavano due studenti all'appello: Justin e Hermione. La professoressa Sprite li mise tutti a potare i Fichi Avvizziti dell'Abissinia. Harry uscì per andare a buttare una bracciata di rami secchi nel mucchio della composta e si trovò faccia a faccia con Ernie Macmillan. Ernie tirò un profondo respiro e disse in tono molto formale: «Volevo dirti, Harry, che mi dispiace di aver sospettato di te. So che non avresti mai aggredito Hermione Granger e quindi ti chiedo scusa per tutte le cose che ho detto. Siamo tutti nella stessa barca ora, e be'...»
Tese la sua mano paffuta e Harry la strinse.
Ernie e la sua amica Hannah vennero a lavorare sulla stessa pianta di Harry e Ron.
«Quel Draco Malfoy!» commentò Ernie tagliando rametti morti. «Sembra che tutta questa situazione lo diverta, non pare anche a voi? Sapete che vi dico? Penso che l'erede dei Serpeverde potrebbe essere proprio lui» .
«Molto sagace!» fece Ron, che non sembrava disposto a perdonarlo così
prontamente come aveva fatto Harry.
«E tu, Harry, pensi che sia Malfoy?» chiese Ernie.
«No» rispose Harry, e il suo tono era talmente deciso che Ernie e Hannah alzarono gli occhi per guardarlo. Un istante dopo Harry vide qualcosa che lo spinse a colpire la mano di Ron con le forbici da potatura.
«Ahi! Ma cosa stai...?»
Harry indicava verso terra, a pochi centimetri di distanza, dove molti grossi ragni camminavano velocemente.
«Oh, vedo» disse Ron cercando con scarsi risultati di mostrarsi contento.
«Ma non possiamo mica seguirli ora...»
Ernie e Hannah, incuriositi, non perdevano una battuta di quella conversazione. Harry vide i ragni scappare.
«Sembra che siano diretti verso la foresta...»
A quella notizia Ron assunse un'aria ancora più seccata. Alla fine della lezione Piton scortò la classe nell'aula di Difesa contro le Arti Oscure. Harry e Ron si attardarono dietro in modo da poter parlare lontani da orecchie indiscrete.
«Dovremo ritirare fuori il Mantello dell'Invisibilità» disse Harry. «Possiamo portarci dietro Thor. Lui è abituato ad andare nella foresta con Hagrid. Potrebbe esserci di aiuto».
«Giusto» convenne Ron rigirandosi nervosamente tra le mani la bacchetta magica. «Ehm... non è previsto... non si dice che nella foresta ci siano i lupi mannari?» soggiunse mentre, come sempre durante la lezione di Allock, prendevano posto nei banchi dell'ultima fila. Harry preferì non rispondere a questa domanda, e invece disse: «Ci sono anche cose benevole, là dentro. I centauri sono buoni e anche gli unicorni sono buoni».
Ron non era mai stato nella foresta proibita. Harry invece sì e aveva sperato di non doverlo fare mai più. Allock entrò piroettando nell'aula sotto lo sguardo esterrefatto di tutta la classe. Gli altri insegnanti avevano un'espressione più grave del solito ma lui, invece, sembrava decisamente euforico. «Ma insomma!» sbottò vol-gendo attorno uno sguardo lieto. «Cosa sono tutti questi musi lunghi?»
Tutti si scambiarono occhiate esasperate, ma nessuno rispose.
«Ma vi rendete conto, gente» disse Allock sillabando le parole, come se avesse davanti a sé un uditorio di stupidi, «che il pericolo è passato? E che il colpevole è stato portato via?»
«E chi lo dice?» chiese Dean Thomas ad alta voce.
«Mio caro giovanotto, il Ministro della Magia non avrebbe fatto allontanare Hagrid se non fosse stato sicuro al cento per cento della sua colpevolezza» disse Allock col tono di chi spiega che uno più uno fa due.
«E invece sì» intervenne Ron a voce ancora più alta.
«Signor Weasley, mi pregio di saperne un pizzico più di lei sull'arresto di Hagrid» disse Allock in tono compiaciuto.
Ron voleva dire che non ne era poi tanto sicuro, ma si interruppe a metà
frase, raggiunto sotto il banco da un calcio di Harry.
«Noi lì non c'eravamo, ti ricordi?» gli disse a bassa voce. Ma l'irritante buonumore di Allock, i suoi accenni al fatto che aveva sempre pensato che Hagrid fosse un poco di buono, la sua convinzione che tutta la faccenda fosse ormai superata, urtarono Harry a tal punto che ebbe voglia di tirare su quella stupida faccia uno dei suoi libri di testo. Invece si limitò a scrivere una sola parola per Ron: 'Stanotte'.
Letto il messaggio, a Ron si seccò la gola; poi si voltò a guardare il posto vuoto di Hermione. A quella vista la sua decisione parve rafforzarsi, e annuì.
In quei giorni, dato che dalle sei di sera in poi gli studenti non potevano andare da nessun'altra parte, la sala comune dei Grifondoro era sempre molto affollata. E poi avevano molto di che parlare, con il risultato che spesso la sala non si svuotava fino a dopo mezzanotte.
Harry andò a prendere il Mantello dell'Invisibilità nel suo baule e trascorse la serata seduto sopra, in attesa che tutti se ne andassero. Fred e George sfidarono Harry e Ron a qualche partita di Spara Schiocco e Ginny si sedette a guardarli, molto abbattuta, sulla sedia occupata di solito da Hermione. Harry e Ron cominciarono a perdere di proposito, cercando di finire rapidamente le partite, ma anche così quando Fred, George e Ginny si decisero ad andare a letto, la mezzanotte era passata da un pezzo. Prima di prendere il mantello, gettarselo addosso e passare nel buco del ritratto, Harry e Ron aspettarono di sentire chiudersi in lontananza le porte dei dormitori.
Attraversare il castello evitando gli insegnanti di ronda, fu ancora una volta un'impresa ardua. Ma alla fine raggiunsero la Sala d'Ingresso, tirarono il chiavistello del portone di quercia, lo socchiusero e, cercando di evitare il minimo scricchiolio, sgattaiolarono fuori, sui campi illuminati dalla luna.
«Naturalmente» disse all'improvviso Ron mentre attraversavano i prati,
«può anche darsi che arriviamo fino alla foresta e scopriamo che non c'è
niente da seguire. Può darsi che quei ragni andassero da tutt'altra parte. Lo so che parevano avviati in quella direzione, ma sai com'è...»
Lasciò la frase in sospeso con una nota di speranza.
Raggiunsero la casetta di Hagrid, cui le finestre spente davano un'aria triste e sconsolata. Harry aprì la porta e Thor, al vederli, gli balzò incontro pazzo di gioia. Temendo che con i suoi latrati potesse svegliare tutto il castello, i ragazzi gli tirarono alcune caramelle mou che gli incollarono i denti. Harry lasciò sul tavolo il Mantello dell'Invisibilità. Non ne avrebbero avuto bisogno nel buio pesto della foresta.
«Vieni, Thor, andiamo a fare una passeggiata» disse poi battendogli su una zampa, e il cane li seguì felice fuori di casa, precipitandosi veloce come una freccia fino al limitare della foresta, dove fece pipì contro un grosso sicomoro. Harry estrasse la bacchetta magica, pronunciò la parola: « Lumos! » e in punta si accese una flebile luce, sufficiente a illuminare il sentiero e le tracce dei ragni.
«Buona idea!» esclamò Ron. «Anch'io accenderei la mia, ma lo sai... probabilmente scoppierebbe o chissà cos'altro...»
Harry gli batté sulla spalla, indicando l'erba. Due ragni solitari stavano scappando a gran velocità dal cono di luce della bacchetta per rifugiarsi all'ombra degli alberi.
«E va bene» sospirò Ron ormai rassegnato al peggio. «Sono pronto. Andiamo». Così, con Thor che gli saltellava intorno annusando radici e foglie, si addentrarono nella selva. Alla tenue luce della bacchetta di Harry, seguirono la fila ininterrotta dei ragni che si spostavano lungo il sentiero. Camminarono per circa venti minuti, senza parlare, ma tendendo spasmodicamente l'orecchio ai rumori che non fossero lo scricchiolio di un ramo o il fruscio delle foglie. Poi, quando gli alberi si fecero talmente fitti da impedire la vista del cielo stellato, e l'unica luce a brillare in quel mare di tenebre fu la bacchetta di Harry, videro i ragni abbandonare il sentiero. Harry si fermò cercando di individuare in quale direzione andassero, ma fuori del piccolo fascio di luce della sua bacchetta era buio pesto. Non si era mai addentrato così tanto nella foresta. Nella sua mente era vivissimo il ricordo dell'ultima volta che c'era stato, e di Hagrid che lo ammoniva a non abbandonare il sentiero. Ora, invece, Hagrid era lontano centinaia di chilometri, probabilmente chiuso in una cella di Azkaban, e per giunta gli aveva detto di seguire i ragni. Poi, sentendosi sfiorare la mano da qualcosa di umido, fece un balzo all'indietro pestando un piede di Ron: ma si trattava semplicemente del naso di Thor.
«Cosa facciamo?» chiese a Ron, nei cui occhi si rifletteva la luce della bacchetta.
«Ormai siamo arrivati fin qua...» disse Ron.
Seguirono quindi l'ombra dei ragni che si dirigevano rapidi nel folto degli alberi. Ora non potevano procedere spediti: radici e tronchi, appena visibili nel buio, rallentavano il loro cammino. Harry sentiva sulla mano l'alito caldo di Thor. Più di una volta dovettero fermarsi e accovacciarsi per ritrovare i ragni alla luce della bacchetta.
Gli parve di aver camminato almeno una mezz'ora, con gli abiti che si impigliavano sui rami più bassi e sui rovi. Poi gli sembrò che il terreno degradasse in un pendio, anche se gli alberi rimanevano fitti. D'un tratto Thor emise un lungo, sonoro latrato che li fece trasalire di paura.
«Cosa c'è?» chiese Ron ad alta voce, scrutando il buio e stringendo con forza il gomito di Harry.
«C'è qualcosa che si muove da quella parte» disse Harry in un soffio.
«Ascolta... Pare qualcosa di molto grosso».
Tesero le orecchie. Alla loro destra, a una certa distanza, la 'grossa cosa'
si apriva un varco attraverso gli alberi, spezzando rametti al passaggio.
«Oh no!» esclamò Ron. «Oh no, oh no, oh...»
«Stai zitto!» gli intimò Harry disperato. «Ti sentirà».
«Sentire me, dici?» esclamò Ron con la voce in falsetto dalla paura. «Ma ha già sentito Thor!»
Il buio era così denso che se lo sentivano premere sugli occhi mentre se ne stavano li, terrorizzati, in attesa. Si udi uno strano rimbombo, poi silenzio.
«Cosa credi che stia facendo?» chiese Harry.
«Probabilmente si prepara a colpire» disse Ron.
Aspettarono, tremanti, senza osare muoversi.
«Pensi che se ne sia andato?» sussurrò Harry.
«Non lo so».
Poi, da destra, furono investiti da un improvviso fascio di luce così intenso, dopo tutto quel buio, che entrambi alzarono le braccia per ripararsi gli occhi. Thor guaì e cercò mettersi a correre, ma rimase impigliato in un groviglio di spine e ricominciò a guaire ancora più forte.
«Harry!» gridò Ron con la voce rotta dal sollievo. «Harry, è la nostra automobile!»
« Cosa? »
«Vieni a vedere!»
Harry lo seguì brancolando verso la luce, impigliandosi e incespicando, e un attimo dopo sbucarono in una radura.
L'automobile del signor Weasley era là, in uno spiazzo contornato da grossi alberi, sotto una volta di rami frondosi, vuota e con i fari accesi. Quando Ron fece per avvicinarsi, a bocca aperta per lo stupore, cominciò
ad avanzare lentamente verso di lui, esattamente come un grosso cane color turchese che corra incontro al padrone.
«È rimasta qui tutto il tempo!» esclamò Ron deliziato, girandole intorno.
«Guardala! La foresta l'ha resa un po' selvatica...»
Infatti le ali della macchina erano scorticate e coperte di fango. A quanto pareva, se n'era andata in giro da sola per la foresta. Thor non si mostrava affatto entusiasta; si teneva vicino a Harry, che lo sentiva tremare. Con il respiro via via meno affannoso Harry ripose la bacchetta magica fra le pieghe del mantello.
«E noi che pensavamo ci volesse aggredire!» esclamò Ron chinandosi sul veicolo e dandogli dei colpetti affettuosi. «Mi ero chiesto dove fosse andata a finire!»
Harry perlustrò il terreno illuminato in cerca delle tracce dei ragni, ma quelli, alla luce dei fari, erano scappati tutti.
«Li abbiamo persi» disse. «Dài, muoviti, andiamo a cercarli». Ron non parlò. Non si mosse. I suoi occhi fissavano un punto a circa tre metri dal suolo, proprio dietro Harry. Era livido di terrore. Harry non ebbe neanche il tempo di voltarsi. Si udì un forte schiocco, e tutt'a un tratto il ragazzo sentì qualcosa di lungo e peloso ghermirlo alla vita e sollevarlo da terra, lasciandolo penzolare a testa in giù. Terrorizzato, cercò di divincolarsi ma, dopo un altro schiocco, vide anche i piedi di Ron staccarsi da terra, udì Thor guaire e ululare e un attimo dopo fu trascinato nel folto degli alberi.
Con la testa ciondoloni, Harry vide la cosa che lo aveva ghermito camminare su otto zampe lunghissime e pelose: le due anteriori lo tenevano stretto sotto un paio di chele nere e lucenti. Dietro di sé avvertiva la presenza di un'altra creatura simile, che doveva certamente trasportare Ron. Si stavano inoltrando sempre più nel folto della foresta. Harry sentiva Thor che lottava per liberarsi da un terzo mostro, abbaiando forte. Anche se avesse voluto, non avrebbe potuto gridare; gli sembrava che la sua voce fosse rimasta con l'automobile, nella radura.
Non seppe mai per quanto tempo rimase tra le grinfie della creatura; si accorse solo che d'un tratto l'oscurità si era diradata e ora poteva vedere che il terreno coperto di foglie pullulava di ragni. Sbirciando di lato, si rese conto che avevano raggiunto il ciglio di una grande cavità, una cavità dove gli alberi erano stati abbattuti, e dove le stelle illuminavano la scena più orrenda che lui avesse mai visto. Ragni. Non ragni piccoli come quelli che si arrampicavano sulle foglie sottostanti. Ragni delle dimensioni di cavalli da tiro, con otto occhi e otto zampe, neri, pelosi, giganteschi. L'enorme esemplare che lo stava trasportando imboccò la ripida discesa, diretto verso una ragnatela a cupola, avvolta nella caligine, proprio al centro della cavità, mentre i suoi compagni si richiudevano a cerchio schioccando le chele, eccitati alla vista del suo carico.
Il ragno mollò la presa e Harry cadde a terra carponi. Poi caddero anche Thor e Ron. Thor, che non latrava più, si rannicchiò là dove si trovava. Ron era l'immagine vivente di come si sentiva Harry: la bocca spalancata in una sorta di grido senza voce e gli occhi fuori dalle orbite. D'un tratto, Harry si rese conto che il ragno che lo aveva lasciato cadere a terra stava dicendo qualcosa. Era difficile capire cosa dicesse, perché a ogni parola faceva schioccare le chele.
«Aragog!» chiamava, «Aragog!»
E dal bel mezzo della caliginosa ragnatela a cupola, molto lentamente, emerse un ragno dalle dimensioni di un piccolo elefante. La schiena e le zampe erano grigie, e sulla testa orribile, fornita di chele, spiccavano gli occhi color bianco latte. Era cieco.
«Cosa c'è?» chiese schioccando repentinamente le chele.
«Esseri umani» rispose il ragno che aveva catturato Harry.
«È Hagrid?» chiese Aragog avvicinandosi, con i suoi occhi lattiginosi che vagavano senza posarsi su niente.
«Estranei» disse il ragno che aveva trasportato Ron.
«Uccideteli» schioccò Aragog stizzito. «Io stavo dormendo...»
«Siamo amici di Hagrid» gridò Harry. Era come se il cuore gli fosse schizzato via dal petto e gli battesse furiosamente in gola. Clic, clic, clic, risuonavano tutt'intorno le chele dei ragni. Aragog si fermò.
«Hagrid non ha mai mandato esseri umani nella nostra tana» disse lentamente.
«Hagrid è nei guai» disse Harry col respiro affannato. «Ecco perché
siamo venuti noi».
«Nei guai?» chiese il vecchio ragno, e a Harry parve che ora lo schiocco delle sue chele esprimesse preoccupazione. «Ma perché ha mandato voi?»
Harry avrebbe voluto alzarsi in piedi, ma decise che era meglio di no; era convinto che le gambe non lo avrebbero retto. Parlò da terra, senza muoversi, con il tono più calmo che gli riuscì di tirare fuori.
«A scuola pensano che Hagrid abbia organizzato un... un... qualcosa contro gli studenti. Lo hanno portato ad Azkaban...»
Aragog schioccò le chele furiosamente e intorno gli fece eco il consesso dei ragni; era come un applauso, solo che, in genere, gli applausi non facevano sentir male Harry dalla paura.
«Ma questo è successo tanti anni fa» disse Aragog stizzito. «Anni e anni fa. Me lo ricordo bene. È stata quella la ragione per cui lo hanno costretto a lasciare la scuola. Credevano che fossi io il mostro che vive in quella che loro chiamano la Camera dei Segreti. Pensavano che Hagrid avesse aperto la Camera e mi avesse liberato».
«Ma allora tu... tu non venivi dalla Camera dei Segreti?» chiese Harry, mentre la fronte gli si imperlava di sudore freddo.
«Io?» esclamò Aragog con uno schiocco irato. «Ma io non sono nato nel castello. Io vengo da una terra lontana. Un viaggiatore mi ha dato a Hagrid quando ero un uovo. Hagrid era soltanto un ragazzo, ma si è preso cura di me, mi ha nascosto in una credenza, al castello, e mi dava da mangiare gli avanzi della tavola. Hagrid è mio buon amico, è un brav'uomo. Quando mi scoprirono e fui incolpato della morte di una ragazza lui mi protesse. Da allora vivo qui nella foresta, dove lui viene ancora a trovarmi. Mi ha anche trovato una moglie, Mosag, e vedi da te quanto è diventata numerosa la nostra famiglia! Tutto per merito di Hagrid...»
Harry raccolse tutto il coraggio che gli era rimasto.
«Allora tu non hai mai... non hai mai aggredito nessuno?»
«Mai» rispose il vecchio ragno con voce roca. «Non che non ne avessi l'istinto, ma per rispetto verso Hagrid non ho mai torto un capello a un essere umano. Il corpo della ragazza che era stata uccisa fu trovato in un gabinetto. Io non ho mai visto niente del castello, tranne la credenza dove sono cresciuto. La nostra specie ama il buio e il silenzio...»
«Ma allora... Tu conosci la cosa che ha ucciso la ragazza?» chiese Harry.
«Perché, di qualsiasi cosa si tratti, è tornata e le aggressioni sono ricominciate...»
Queste ultime parole furono sommerse da uno scroscio di schiocchi e dallo scalpiccio rabbioso di molte lunghe zampe; grosse ombre nere si mossero intorno al ragazzo.
«La cosa che vive al castello» disse Aragog, «è un'antica creatura che noi ragni temiamo più di ogni altra al mondo. Ricordo che quando ebbi la percezione che la bestia scorrazzava per il castello pregai Hagrid di lasciarmi andare».
«Di che si tratta?» chiese Harry ansioso.
Ancora schiocchi e ancora scalpiccii. Sembrava che i ragni si stessero avvicinando.
«Noi non ne parliamo!» disse Aragog in tono perentorio. «Non pronunciamo nemmeno il nome di quella terrificante creatura! Non l'ho detto mai neanche a Hagrid, eppure lui me l'ha chiesto molte volte». Harry non volle insistere, visto che i ragni lo circondavano. Sembrava che Aragog fosse stanco di parlare. Lentamente, tornò a rintanarsi nella sua ragnatela a cupola, ma gli altri continuarono ad avanzare inesorabilmente verso i due ragazzi.
«Be', allora noi andiamo!» gridò Harry disperato ad Aragog, sentendo ormai vicinissimo, dietro di sé, il fruscio delle foglie calpestate.
«Ve ne andate?» disse Aragog lentamente. «Non credo proprio...»
«Ma... ma...»
«A Hagrid i miei figli e le mie figlie non torcono un capello perché obbediscono a un mio ordine. Ma non posso certo negargli il piacere della carne fresca, quando qualcuno sconfina nel nostro territorio e ci si offre con tanta spontaneità. Addio, amici di Hagrid!»
Harry si voltò di scatto. A pochi metri, si vide sovrastato da una compatta muraglia di ragni che avanzavano schioccando le chele, con gli occhi lucenti sulle orribili teste nere... Afferrò la bacchetta magica, pur sapendo che non sarebbe servita a niente: erano in troppi. Ma proprio nel momento in cui cercava di tirarsi su, pronto a morire combattendo, si udì una nota lunga e penetrante e un bagliore illuminò la cavità. Era l'automobile del signor Weasley che, rombando, scendeva lungo il pendio, a fari accesi e sirene spiegate, travolgendo i ragni al suo passaggio: molti caddero a terra riversi, e continuarono per un pezzo ad agitare in aria le zampe. Con uno stridore di freni l'automobile si fermò davanti a Harry e Ron e le portiere si spalancarono.
«Prendi Thor!» gridò Harry tuffandosi sul sedile anteriore. Ron afferrò il cane per la pancia e lo lanciò, ululante, sul sedile posteriore. Le portiere sbatterono. Ron non toccò neanche l'acceleratore, ma il veicolo non aveva bisogno di lui. Parti con un rombo, urtando altri ragni. Risalirono il pendio a tutta velocità, uscirono dalla fossa e ben presto attraversarono la foresta, con i rami che sbattevano contro i finestrini. L'automobile, con grande sagacia, seguiva il percorso migliore, scegliendo i passaggi meno angusti, lungo un tragitto che aveva tutta l'aria di conoscere bene. Harry si voltò a guardare Ron: aveva ancora la bocca spalancata in quel grido senza voce, ma non aveva più gli occhi di fuori.
«Tutto bene?»
Ron guardava fisso davanti a sé, incapace di parlare.
Avanzavano a tutta velocità attraverso il sottobosco; Thor latrava rumorosamente sul sedile posteriore e quando passarono molto vicino a una grossa quercia Harry vide lo specchio retrovisore esterno staccarsi di schianto dall'ala. Dopo dieci minuti di quella frastornante gimcana gli alberi si fecero più radi e Harry riuscì a intravedere di nuovo qualche fazzoletto di cielo. Poi la macchina inchiodò così all'improvviso che per poco i ragazzi non furono scaraventati contro il parabrezza. Erano arrivati al limitare della foresta. Thor, che non vedeva l'ora di scendere, si lanciava contro il finestrino e quando Harry aprì la portiera schizzò via attraverso gli alberi, verso la casa di Hagrid, con la coda tra le zampe. Uscì anche Harry e Ron, che sembrava aver recuperato l'uso degli arti, dopo un paio di minuti lo seguì
con il collo ancora rigido e lo sguardo fisso. Harry diede un colpetto di gratitudine all'automobile mentre questa ingranava la marcia indietro e tornava a immergersi nella foresta.
Harry tornò nella capanna di Hagrid per recuperare il Mantello dell'Invisibilità. Thor, nella cuccia, tremava tutto. Quando Harry uscì trovò Ron che vomitava nel campo delle zucche.
«Seguite i ragni» disse Ron con voce flebile, asciugandosi la bocca sulla manica. «Questa non gliela perdono, a Hagrid. Siamo vivi per miracolo».
«Scommetto che deve aver pensato che Aragog non avrebbe mai fatto del male ai suoi amici» disse Harry.
«Questo è esattamente il problema di Hagrid» disse Ron battendo un pugno sulla parete della capanna. «Lui pensa sempre che i mostri non siano cattivi come li si dipinge, ma guarda questo dove l'ha portato! In una cella ad Azkaban!» Ora non riusciva più a frenare un tremito convulso. «A che cosa è servito mandarci fin lì? Che cosa abbiamo scoperto? Mi piacerebbe proprio saperlo!»
«Che Hagrid non ha mai aperto la Camera dei Segreti» disse Harry buttandogli addosso il mantello e tirandolo per un braccio per farlo camminare. «Che era innocente». Ron emise una sorta di grugnito. Evidentemente, ai suoi occhi l'aver allevato Aragog in un armadio non era proprio quel che lui intendeva per innocenza. Quando furono più vicini al castello Harry sistemò con cura il mantello per assicurarsi che fossero nascosti fino ai piedi e socchiuse il portone cigolante. Riattraversarono con cautela la Sala d'Ingresso quindi risalirono la scalinata di marmo, trattenendo il fiato mentre percorrevano i corridoi pattugliati da vigili sentinelle. Finalmente furono in salvo nella sala comune dei Grifondoro, dove il fuoco si era consumato lasciando soltanto un mucchio di braci tremolanti. Si tolsero il mantello e salirono la scala a chiocciola che portava al dormitorio. Ron si buttò sul letto senza neanche spogliarsi. Ma Harry non aveva sonno. Si sedette sul bordo del letto pensando intensamente alle parole di Aragog.
La creatura annidata da qualche parte, nel castello, pensava, sembrava una specie di Voldemort mostruoso... neanche gli altri mostri volevano pronunciare il suo nome. Ma lui e Ron non avevano saputo niente di più su chi fosse, o in che modo pietrificasse le sue vittime. Neanche Hagrid aveva mai saputo cosa si nascondesse nella Camera dei Segreti. Tirò su le gambe e si sedette sul letto, appoggiato ai cuscini, guardando la luna che, attraverso la finestra della torre, lo inondava di luce. Non riusciva a capire cos'altro potessero fare. Da qualunque lato esaminasse la situazione erano a un punto morto. Riddle aveva preso la persona sbagliata, l'erede di Serpeverde se l'era svignata, e nessuno era in grado di dire se questa volta fosse stata la stessa persona o qualcun altro ad aprire la Camera. Non c'era più nessuno a cui poter chiedere. Harry si sdraiò, conti-nuando a pensare alle parole di Aragog. Si stava appisolando, quando gli venne in mente quella che gli parve la loro ultima speranza; di colpo balzò a sedere.
«Ron» sibilò nel buio, «Ron!»
Ron si svegliò con un gemito assai simile a quello di Thor, aprì gli occhi senza capire in che mondo fosse e vide Harry.
«Ron... la ragazza che è morta. Aragog ha detto che fu trovata in un gabinetto» disse Harry ignorando Neville che russava fragorosamente dall'altra parte della stanza. «E se non fosse mai uscita dal gabinetto? E se fosse ancora là?»
Ron si stropicciò gli occhi e, alla luce della luna, Harry lo vide aggrottare la fronte. Poi capì.
«Pensi forse... non sarà mica Mirtilla Malcontenta? » chiese.
Capitolo 16
La Camera dei Segreti
«Quante volte siamo entrati in quel bagno e lei era appena a tre gabinetti di distanza!» disse Ron con amarezza la mattina dopo a colazione. «E pensare che avremmo potuto chiedere a lei, mentre ora...»
Era già stata un'ardua impresa seguire i ragni. Ma sfuggire alla sorveglianza degli insegnanti per intrufolarsi nel bagno delle ragazze, che per giunta era vicino al luogo della prima aggressione, sarebbe stato quasi impossibile. Ma durante la prima lezione del mattino, quella di Trasfigurazione, accadde qualcosa che, per la prima volta da settimane, gli fece passare di mente la Camera dei Segreti. A dieci minuti dall'inizio della lezione, la professoressa McGranitt annunciò che gli esami avrebbero avuto inizio il primo di giugno, di lì a una settimana.
« Esami? » gemette Seamus Finnigan. «Ancora si parla di esami?»
Dietro a Harry si udì un gran tonfo, perché la bacchetta magica di Neville Paciock era scivolata, facendo scomparire una delle gambe del banco. La professoressa McGranitt la riparò con un sol gesto della sua e si voltò
accigliata verso Seamus.
«L'unica ragione per tenere aperta la scuola, in questo momento è che voi riceviate un'istruzione» disse inflessibile. «Gli esami si terranno quindi come di consueto, e confido che tutti vi stiate impegnando nello studio». Impegnare nello studio! A Harry non era mai passato neanche per la te-sta che in quelle condizioni ci potessero essere gli esami. La classe insorse, cosa che rese ancora più inflessibile la professoressa McGranitt.
«Le istruzioni del professor Silente sono di mantenere il normale andamento della scuola» disse. «E non serve ricordarvi che ciò significa verificare quanto avete appreso quest'anno». Harry abbassò lo sguardo sui due conigli bianchi che avrebbe dovuto trasformare in pantofole. Che cosa aveva imparato, quell'anno? Non gli venne in mente niente che gli potesse tornare utile a un esame. Ron aveva l'aria abbattuta come se gli fosse stato appena comunicato che doveva andare a vivere nella foresta proibita.
«Mi ci vedi, tu, a fare gli esami con questa?» chiese a Harry mostrando la bacchetta magica che proprio in quel momento aveva cominciato a sibilare rumorosamente. Mancavano tre giorni alla prima prova d'esame quando, a colazione, la professoressa McGranitt fece un altro annuncio.
«Ho buone notizie» disse, e nella Sala Grande non solo non si fece silenzio, ma ci fu uno scoppio di gioia.
«Torna Silente!» gridarono molti, felici.
«Avete preso l'Erede di Serpeverde!» squittì una ragazza al tavolo dei Tassorosso.
«Ricominciano le partite di Quidditch!» tuonò Baston saltando sulla sedia. Quando il baccano si fu placato la professoressa McGranitt disse: «La collega Sprite mi ha informato che le mandragole sono finalmente pronte per essere raccolte. Stanotte saremo in grado di rianimare le persone che sono state pietrificate. Inutile ricordarvi che una di loro potrebbe essere in grado di dirci chi, o che cosa, li ha aggrediti. Ho la speranza che quest'anno tremendo si concluderà con la cattura del colpevole». Ci fu un'esplosione di applausi. Harry lanciò un'occhiata al tavolo dei Serpeverde e non fu affatto sorpreso nel constatare che Draco Malfoy non si era unito al tripudio. Ron, invece, sembrava felice come non lo vedeva da molti giorni.
«Allora non importa se non abbiamo mai interrogato Mirtilla!» disse a Harry. «Quando la risveglieranno, Hermione avrà probabilmente tutte le risposte. Tieni presente che quando scoprirà che fra tre giorni ci sono gli esami le prenderà una crisi di nervi. Non ha fatto il ripasso. Forse sarebbe più gentile lasciarla dov'è fino a che non finiscono».
Proprio in quel momento, Ginny Weasley si avvicinò e andò a sedersi accanto a Ron. Aveva l'aria tesa e nervosa, e Harry notò che si tormentava le mani in grembo.
«Che succede?» chiese Ron servendosi un'altra porzione di porridge. Ginny non rispose, ma passò in rassegna tutta la tavolata dei Grifondoro con uno sguardo spaventato che a Harry ricordò qualcuno, ma non sapeva dire chi.
«Sputa il rospo» disse Ron fissandola.
Tutt'a un tratto Harry si ricordò a chi assomigliava Ginny. Si stava dondolando impercettibilmente avanti e indietro sulla sedia, proprio come faceva Dobby quando era lì lì per rivelare un segreto.
«Devo dirvi una cosa» balbettò Ginny, ben attenta a non guardare Harry.
«Di che si tratta?»
Sembrava che la ragazzina non riuscisse a trovare le parole giuste.
« Allora? » incalzò Ron.
Ginny aprì bocca, ma non ne uscì alcun suono. Harry si piegò in avanti e parlò sottovoce, in modo che solo Ginny e Ron potessero udirlo.
«È qualcosa che riguarda la Camera dei Segreti? Hai visto qualcosa? O
qualcuno che si comportava in maniera strana?»
Ginny fece un respiro profondo ma proprio in quel momento apparve Percy Weasley, pallido e stanco.
«Se hai finito di mangiare mi siedo al tuo posto, Ginny. Sto morendo di fame. Ho appena terminato il mio turno di sorveglianza». Ginny saltò su come se nella sedia fosse passata la corrente elettrica, lanciò di sfuggita a Percy un'occhiata spaventata e se la diede a gambe. Percy si sedette e prese una tazza dal centro del tavolo.
«Percy!» disse Ron arrabbiato. «Stava per dirci qualcosa di importante!»
A Percy andò di traverso un sorso di tè.
«Che genere di cosa?» chiese tossendo.
«Le avevo appena chiesto se aveva visto niente di strano e lei aveva cominciato a dire...»
«Oh... quello... quello non ha niente a che fare con la Camera dei Segreti» disse prontamente Percy.
«E tu che ne sai?» chiese Ron alzando le sopracciglia.
«Be'... ehm... se proprio volete saperlo, Ginny... ehm... è entrata mentre io stavo... be', fa niente... il fatto è che mi ha visto mentre stavo facendo una cosa e io... ehm... le ho chiesto di non dirlo a nessuno. Devo dire che pensavo che avrebbe mantenuto la parola. In realtà non è niente, preferirei...»
Harry non aveva mai visto Percy così a disagio.
«Che cosa stavi facendo, Percy?» disse Ron sorridendo. «Dài, diccelo, ti prometto che non rideremo».
Percy non ricambiò il sorriso.
«Passami quei panini, Harry, sto morendo di fame!»
Harry sapeva bene che tutto il mistero avrebbe potuto essere risolto l'indomani, senza il loro contributo, ma non intendeva rinunciare a parlare con Mirtilla. L'occasione si presentò a metà mattinata, mentre l'intera classe si recava, accompagnata da Gilderoy Allock, alla lezione di Storia della Magia. Allock, che tanto spesso li aveva rassicurati che ogni pericolo era svanito per essere smentito sempre un attimo dopo, ora era fermamente convinto che non valesse la pena di accompagnarli lungo i corridoi per proteggerli. I suoi capelli non erano impeccabili come al solito; sembrava fosse rimasto in piedi tutta la notte a fare la ronda al quarto piano.
«Ricordatevi bene quel che vi dico» annunciò quando ebbero svoltato un angolo, «le prime parole che usciranno dalla bocca di quei poveri esseri pietrificati saranno: è stato Hagrid. Francamente, mi meraviglio che la professoressa McGranitt ritenga necessario tutte queste misure di sicurezza».
«Sono d'accordo con lei, signore» disse Harry lasciando Ron talmente di stucco che gli caddero di mano tutti i libri.
«Grazie, Harry» disse Allock affabilmente mentre aspettavano che passasse una lunga fila di Tassorosso. «Voglio dire, noi insegnanti abbiamo già abbastanza da fare senza dover accompagnare gli studenti in classe e montare la guardia tutta la notte».
«Giusto» commentò Ron che stavolta aveva capito. «Perché non ci lascia qui, signore? Ci è rimasto un solo corridoio da percorrere».
«Lo sai, Weasley? Credo proprio che farò così» disse Allock. «Devo andare a preparare la mia prossima lezione». E si allontanò in tutta fretta.
«Sì, proprio a preparare la lezione!» gli sogghignò dietro Ron. «lo dico che è andato a mettersi i bigodini».
Lasciarono che i compagni li superassero, poi sgusciarono svelti lungo un passaggio laterale in direzione del bagno di Mirtilla Malcontenta. Ma proprio mentre si stavano congratulando a vicenda per il piano astuto che avevano escogitato...
«Potter! Weasley! Che cosa state facendo?»
Era la professoressa McGranitt e le sue labbra erano sottili e taglienti come non mai.
«Stavamo... stavamo...» balbettò Ron. «Stavamo andando... a trovare...»
«...a trovare Hermione» si affrettò a concludere Harry. Ron e la McGranitt lo fissarono.
«Sono secoli che non la vediamo, professoressa» proseguì Harry precipitosamente, mollando un pestone a Ron, «e... be'... pensavamo di sgattaiolare in infermeria per andarle a dire che le mandragole sono quasi pronte, e... ehm... di non preoccuparsi».
La McGranitt continuava a fissarlo, e per un istante Harry pensò che era sul punto di esplodere; ma quando parlò la sua voce aveva una strana tonalità gutturale.
«Ma certo» disse, e con grande stupore di Harry nei suoi piccoli occhi lucenti spuntò una lacrima. «Certo, mi rendo conto che chi ha sofferto di più sono gli amici dei ragazzi che sono stati... Capisco benissimo. Si, Potter, certo che potete andare a trovare la signorina Granger. Lo dirò io al professor Rüf. Dite a Madama Chips che il permesso ve l'ho dato io». Harry e Ron si allontanarono, non osando ancora credere di avere scampato una punizione. Quando ebbero girato l'angolo udirono distintamente la McGranitt soffiarsi il naso.
«È la panzana migliore che potevi inventarti» disse Ron calorosamente. Ora non avevano scelta: dovevano andare in infermeria e dire a Madama Chips che avevano il permesso della McGranitt di far visita a Hermione. Anche se con una certa riluttanza, Madama Chips li fece entrare.
«In realtà non ha senso parlare a una persona pietrificata» disse, e quando i due ragazzi si furono seduti accanto a Hermione, dovettero ammettere che aveva ragione. Era chiaro che la ragazza non aveva il minimo sentore che qualcuno fosse venuto a trovarla e che se avessero detto al comodino di non preoccuparsi sarebbe stata la stessa cosa.
«Chissà se ha visto chi l'ha aggredita?» chiese Ron fissando tristemente il volto rigido della ragazza. «Perché se si è avvicinato a tutti di soppiatto, nessuno saprà mai...»
Ma Harry non fissava il viso di Hermione. Era più interessato a osservare la sua mano destra, che giaceva inerte e serrata sopra le coperte. Chinandosi per vedere meglio, scorse un pezzetto di carta appallottolato nel pugno.
Si accertò che Madama Chips non fosse nei paraggi e lo indicò a Ron.
«Cerca di sfilarglielo di mano» sussurrò lui, spostando la sedia in modo da chiudere la visuale a madama Chips.
Non fu facile. La mano di Hermione era talmente serrata attorno a quel bigliettino che a un certo punto Harry temette di strapparlo. Mentre Ron montava la guardia Harry tirò e spinse finché, dopo parecchi minuti di tensione, riuscì a estrado. Era una pagina strappata da un vecchio volume della biblioteca. Eccitato, Harry la lisciò e Ron si avvicinò per leggere a sua volta.
Dei molti, spaventosi animali e mostri che popolano la nostra terra, nessuno è più insolito e micidiale del Basilisco, noto anche come il Re dei Serpenti. Questo serpente, che può raggiungere dimensioni gigantesche e che vive molte centinaia di anni, nasce da un uovo di gallina covato da un rospo. Esso uccide in modo portentoso: oltre alle zanne, che contengono un potente veleno, anche lo sguardo del Basilisco provoca morte istanta- nea. I ragni fuggono davanti al Basilisco, perché è il loro nemico mortale e il Basilisco fugge solo quando ode il canto del gallo, che gli è fatale.
In calce c'era scritta una sola parola, con una calligrafia che Harry riconobbe per quella di Hermione: Tubazioni. Fu come se gli si fosse accesa una lampadina nel cervello.
«Ron» ansimò, «ecco quello che cercavamo. Questa è la risposta. Il mostro nella Camera è un Basilisco... un serpente gigante. Ecco perché sentivo quella voce dappertutto e nessun altro poteva udirla. È perché io capisco il Serpentese». Poi alzò lo sguardo verso gli altri letti.
«Il Basilisco uccide le persone con lo sguardo. Ma nessuno era morto... perché nessuno l'ha guardato dritto negli occhi. Colin lo ha visto attraverso l'obbiettivo della macchina fotografica. Lo sguardo del Basilisco gli ha bruciato la pellicola, ma Colin è rimasto soltanto pietrificato. Justin... Justin deve aver visto il Basilisco attraverso Nick-Quasi-Senza-Testa! Nick ne è stato investito in pieno, ma non poteva mica morire di nuovo... e accanto a Hermione e all'altra ragazza, il Prefetto dei Corvonero, è stato trovato uno specchio. Hermione aveva capito che il mostro era un Basilisco. Sono pronto a scommettere che ha avvertito la prima persona che ha incontrato di non girare un angolo senza prima averci guardato dietro con uno specchio! Così quella ragazza ha tirato fuori lo specchietto... e...»
Ron se ne stava lì a bocca aperta.
«E Mrs Purr?» sussurrò eccitato.
Harry rimase a lungo soprappensiero, cercando di figurarsi la scena della notte di Halloween.
«L'acqua...» disse lentamente. «L'acqua che veniva giù dal gabinetto di Mirtilla Malcontenta. Scommetto che Mrs Purr ha visto soltanto il riflesso...»
Rilesse con foga la pagina che aveva in mano. Più la guardava, più capiva.
« Il canto del gallo gli è fatale» lesse ad alta voce. «I galli di Hagrid sono stati uccisi! Una volta aperta la Camera, l'Erede di Serpeverde non ne voleva vedere neanche uno intorno al castello! I ragni fuggono davanti a lui!
Torna tutto!»
«Ma come ha fatto il Basilisco ad arrivare fin qui?» chiese Ron. «Un orrendo serpente gigante... Qualcuno avrebbe potuto vederlo...»
Ma Harry indicò la parola che Hermione aveva scarabocchiato in fondo alla pagina.
«Tubazioni» disse. «Tubazioni... Ron, ha usato l'impianto idraulico. La sua voce io l'ho sentita dentro i muri...»
Tutt'a un tratto, Ron afferrò Harry per un braccio.
«L'ingresso alla Camera dei Segreti!» disse con voce roca. «E se fosse in un gabinetto? Se fosse nel...»
« ...nel gabinetto di Mirtilla Malcontenta» completò Harry. Rimasero lì seduti, percorsi da un fremito di emozione, quasi increduli.
«Ciò significa» disse Harry, «che qui a scuola io non sono l'unico Rettilofono. Anche l'Erede di Serpeverde lo è. Ecco come ha tenuto sotto controllo il Basilisco».
«E adesso cosa facciamo?» chiese Ron con gli occhi lucenti di eccitazione. «Andiamo difilato a dirlo alla McGranitt?»
«Andiamo nella sala dei professori» propose Harry balzando in piedi.
«Lei ci sarà fra una diecina di minuti. È quasi l'ora della ricreazione». Fecero le scale di corsa. Poiché non volevano essere scoperti a bighellonare in un altro corridoio, s'infilarono direttamente nella sala dei professori, che era deserta. Era una stanza grande, rivestita di legno, piena di sedie, anch'esse di legno scuro. Harry e Ron passeggiarono avanti e indietro, troppo eccitati per sedersi.
Ma la campanella della ricreazione non suonò mai.
Al suo posto si udì la voce della professoressa McGranitt rimbombare per tutti i corridoi, amplificata per magia.
« Tutti gli studenti tornino immediatamente nei loro dormitori. Tutti gli insegnanti tornino nella sala professori. Immediatamente, per favore». Harry si girò a guardare Ron.
«Non mi dire che c'è stato un altro attentato. Non ora!»
«Che cosa facciamo?» chiese Ron atterrito. «Torniamo al dormitorio?»
«No» rispose Harry guardandosi intorno. Alla sua sinistra c'era un brutto armadio, dove erano appesi i mantelli degli insegnanti. «Entriamo là dentro. Sentiamo di che cosa si tratta. Poi diremo quello che abbiamo scoperto». Si nascosero; sopra la loro testa sentirono il trambusto di centinaia di piedi; poi la porta della sala venne spalancata. Spiando attraverso le pieghe ammuffite dei mantelli, i due ragazzi videro entrare gli insegnanti. Alcuni avevano l'aria perplessa, altri apparivano decisamente spaventati. Infine arrivò la professoressa McGranitt.
«È accaduto l'inevitabile» disse agli insegnanti ammutoliti. «Una studentessa è stata rapita. Il mostro l'ha portata direttamente nella Camera». Il professor Vitious si lasciò sfuggire un grido soffocato. La professoressa Sprite si serrò le mani contro la bocca. Piton afferrò lo schienale di una sedia e chiese: «Come fai a esserne tanto sicura?»
«L'Erede dei Serpeverde ha lasciato un altro messaggio» disse la professoressa McGranitt pallidissima. «Proprio sotto al primo. Il suo scheletro giacerà nella Camera, per sempre» .
Il professor Vitious scoppiò in lacrime.
«Di chi si tratta?» chiese Madama Bumb, cui si erano piegate le ginocchia e che si era accasciata su una sedia. «Chi è la ragazza?»
«Ginny Weasley» disse la professoressa McGranitt.
Al suo fianco, Harry sentì Ron afflosciarsi lungo la parete dell'armadio.
«Domani dovremo rimandare a casa tutti gli studenti» disse la McGranitt. «Questo segna la fine di Hogwarts. Silente ha sempre detto...»
La porta della sala professori si spalancò un'altra volta. Per un folle momento, Harry fu certo che fosse Silente. E invece era Allock, raggiante.
«Scusate tanto... mi ero addormentato... che cosa mi sono perso?»
Non si accorse nemmeno che gli altri lo squadravano quasi con odio. Piton si fece avanti.
« Lupus in fabula! » esclamò. «Ecco la persona giusta. Una ragazza è stata rapita dal mostro, Allock, ed è stata portata proprio nella Camera dei Segreti. Finalmente è venuto il tuo momento».
Allock impallidì.
«È giusto, Gilderoy» intervenne la professoressa Sprite. «Non sei tu che ieri sera dicevi di avere sempre saputo quale fosse l'ingresso alla Camera dei Segreti?»
«Io... be'... io...» farfugliò Allock.
«Sì, proprio tu. Non eri tu che dicevi di sapere cosa c'è dentro?» saltò su Vitious con tono cantilenante.
«Ah, sì? Non ricordo...»
«Io ricordo con certezza che hai detto che ti dispiaceva di non aver potuto dare una lezione al mostro prima che Hagrid venisse arrestato» disse Piton. «Non sei stato tu a dire che si era fatta molta confusione e che avrebbero dovuto darti carta bianca fin dall'inizio?»
Allock guardò a uno a uno i volti inespressivi dei suoi colleghi.
«Ma io... io non ho mai... veramente... Forse avete capito male...»
«Lasciamo la cosa nelle tue mani, Gilderoy» disse la professoressa McGranitt. «Stanotte sarà il momento ideale per intervenire. Provvederemo a che nessuno ti intralci. Potrai affrontare il mostro tutto da solo. Carta bianca, finalmente!»
Allock volse attorno a sé uno sguardo disperato, ma nessuno gli venne in aiuto. Delle sue belle sembianze non restava che un'ombra stravolta. Gli tremavano le labbra, e senza il suo solito sorriso tutto denti sembrava smunto e sparuto.
«Mo-molto bene» disse. «Va-vado nel mio studio a... a pre-e-pararmi». E uscì dalla stanza.
«Bene» disse la McGranitt con le narici frementi. «E con questo ce lo siamo levato dai piedi. I Responsabili devono informare gli studenti dell'accaduto. Dite loro che l'Espresso di Hogwarts li riporterà a casa domani al più presto. Gli altri, sono pregati di accertarsi che nessuno studente sia rimasto fuori del proprio dormitorio».
Gli insegnanti si alzarono e uscirono uno a uno.
Per Harry quello fu forse il giorno peggiore della sua vita. Insieme a Ron, Fred e George se ne rimase seduto in un angolo della sala comune dei Grifondoro; i quattro ragazzi non riuscirono a scambiarsi neanche una parola. Percy si era assentato. Era andato a spedire un gufo ai signori Weasley e poi si era chiuso nella sua stanza. Quel pomeriggio sembrò eterno, e mai la torre dei Grifondoro era stata tanto affollata e al tempo stesso tanto silenziosa. Al tramonto, Fred e George se ne andarono a letto, incapaci di rimanere lì seduti un attimo di più.
«Lei sapeva qualcosa, Harry» disse Ron parlando per la prima volta da quando si erano infilati nell'armadio della sala dei professori. «Per questo è
stata rapita. Non si trattava neanche lontanamente di Percy: aveva scoperto qualcosa sulla Camera dei Segreti. Deve essere questo il motivo per cui è
stata...» Ron si strofinò energicamente gli occhi. «Voglio dire, lei era una purosangue. Non può esserci altra ragione».
Harry guardava il sole rosso sangue sparire lentamente all'orizzonte. Non si era mai sentito così infelice. Se solo avessero potuto fare qualcosa. Qualsiasi cosa.
«Harry» chiese Ron, «pensi che ci sia qualche probabilità che Ginny non sia... hai capito, no...?»
Harry non sapeva cosa rispondergli. Non vedeva come Ginny potesse essere ancora viva.
«Sai una cosa?» disse Ron. «Credo che dovremmo scendere da Allock. Dirgli quel che sappiamo. Lui sta per entrare nella Camera. Possiamo dirgli dove crediamo che si trovi e che dentro c'è un Basilisco». Siccome Harry non riusci a pensare a niente di meglio e voleva disperatamente avere qualcosa da fare, acconsentì. Intorno a loro, gli altri Grifondoro erano così tristi e sconsolati e talmente dispiaciuti per i Weasley che nessuno cercò di fermarli quando si alzarono, attraversarono la sala e uscirono passando per il buco del ritratto. Scendeva il buio mentre si avviavano verso l'ufficio di Allock. Da fuori si sentiva un grande affaccendarsi. I ragazzi udirono stropiccii, colpi e un frettoloso andirivieni.
Quando Harry bussò, all'interno cadde un improvviso silenzio. Poi la porta venne socchiusa di pochi millimetri e i due ragazzi videro uno degli occhi di Allock che sbirciava attraverso la fessura.
«Oh... signor Potter... signor Weasley...» disse aprendo un po' di più. «In questo momento sono piuttosto indaffarato. Se volete fare in fretta...»
«Professore, abbiamo alcune informazioni da darle» disse Harry. «Pensiamo che potrebbero esserle utili».
«Ehm... be'... non è proprio tanto...» Il lato della faccia di Allock che rimaneva visibile sembrava molto a disagio. «Voglio dire... be'... e va bene». Aprì la porta e i ragazzi entrarono.
Il suo ufficio era quasi del tutto smantellato. Per terra c'erano due grossi bauli spalancati. In uno, ripiegati in fretta, c'erano abiti di tutti i colori: verde giada, lilla, blu notte. Nell'altro erano ammonticchiati alla rinfusa dei libri. Le fotografie che avevano ricoperto le pareti erano stipate dentro alcune scatole appoggiate sulla scrivania.
«Sta andando da qualche parte?» chiese Harry.
«Ehm... be'... sì» disse Allock staccando da dietro la porta un poster che lo raffigurava a grandezza naturale e cominciando ad arrotolarlo. «Una chiamata urgente... improrogabile... devo andare...»
«E mia sorella?» chiese brusco Ron.
«Ah, sì... una vera disgrazia» fu il commento di Allock, che evitò di guardarlo negli occhi mentre apriva con uno strattone un cassetto e rivoltava il contenuto in una borsa. «Nessuno se ne rammarica più di me...»
«Ma lei è l'insegnante di Difesa contro le Arti Oscure!» esclamò Harry
«Non può andarsene ora! Non con tutti questi fatti di magia nera che stanno accadendo!»
«Be', devo ammettere... Quando ho accettato l'incarico...» balbettò Allock che adesso stava buttando le calze sopra agli abiti, «nel mansionario non c'era proprio niente che... non mi aspettavo di...»
«Intende dire che ha intenzione di squagliarsela?» chiese Harry incredulo. «Dopo tutto quel che ha raccontato di aver fatto nei suoi libri?»
«I libri possono portare fuori strada» disse Allock con tono diplomatico.
«Ma li ha scritti lei!» esclamò Harry.
«Mio caro ragazzo» disse Allock raddrizzandosi e fissandolo con la fronte aggrottata. «Un po' di buon senso. I miei libri non avrebbero venduto neanche la metà se la gente non avesse pensato che a fare tutte quelle cose ero stato io. A nessuno piace leggere le imprese di un mago armeno brutto e vecchio, anche se ha salvato un intero paese dai lupi mannari. La sua immagine in copertina avrebbe veramente sfigurato! Non aveva nessun gusto nel vestirsi. Quanto poi alla maga che ha messo in fuga l'anima in pena della strega Bandon, aveva il labbro leporino. Insomma, cerca di capire...»
«E così lei si è preso il merito di quel che altri hanno fatto?» chiese Harry sempre più incredulo.
«Harry, Harry» disse Allock scuotendo la testa con impazienza. «Non è
così semplice. Non ho mica lavorato poco, sai? Ho dovuto andare a scovare queste persone. Chiedergli come erano riuscite a compiere le loro imprese. Poi ho dovuto fargli un Incantesimo di Memoria perché non ricordassero più quel che avevano fatto. Se c'è una cosa di cui vado fiero è proprio il mio Incantesimo di Memoria. No, davvero, il lavoro da fare è stato tanto, Harry. Non basta firmare autografi sui libri e distribuire foto pubblicitarie, sai? Se vuoi la fama devi essere pronto a faticare, con costanza». Abbassò con un tonfo il coperchio dei bauli e li chiuse a chiave.
«Oh, vediamo» disse. «Penso di aver preso tutto. Sì. Manca una cosa so-la». Tirò fuori la bacchetta magica e si girò verso i ragazzi.
«Spiacente, miei cari, ma anche a voi dovrò fare un Incantesimo di Memoria. Non posso certo permettere che ve ne andiate in giro a spiattellare tutti i miei segreti. Altrimenti non venderò più neanche una copia...»
Harry riuscì ad afferrare la propria bacchetta appena in tempo. Allock aveva sollevato in aria la sua, quando Harry gridò: « Expelliarmus! »
Allock fu scaraventato all'indietro e cadde riverso sopra i bauli. La sua bacchetta magica piroettò in aria; Ron l'afferrò e la fece volare fuori della finestra.
«Non avrebbe dovuto permettere che il professor Piton ci insegnasse questo incantesimo» disse Harry furibondo, scansando con un calcio il baule di Allock. Quest'ultimo levò lo sguardo su di lui, sempre più pallido e ansioso. Harry lo teneva sempre sotto tiro.
«Che cosa volete che faccia?» chiese Allock debolmente. «Io ignoro dove si trovi la Camera dei Segreti. Non posso fare niente».
«Lei è fortunato» disse Harry costringendolo ad alzarsi in piedi. « Noi pensiamo di sapere dove si trova. E anche quel che c'è dentro. Andiamo!»
Spinsero Allock fuori dall'ufficio, e poi giù per la più vicina rampa di scale e lungo il corridoio dove erano esposti i messaggi fino alla porta del gabinetto di Mirtillla Malcontenta.
Lo fecero entrare per primo. Harry notò con piacere che stava tremando. Mirtilla era seduta sulla cassetta dello scarico dell'ultimo gabinetto.
«Oh, sei tu!» esclamò quando vide Harry. «Che cosa vuoi, questa volta?»
«Chiederti come sei morta» gli rispose lui.
In un attimo il volto di Mirtilla si trasfigurò. Era come se nessuno le avesse mai chiesto una cosa del genere e ne era lusingata.
«Ooooh, è stato orribile!» esclamò deliziata. «È successo proprio qui dentro. Sono morta in questo cubicolo. Me lo ricordo così bene! Mi ero nascosta perché Olive Hornby mi stava prendendo in giro per via degli occhiali. La porta era chiusa a chiave e io stavo piangendo, quando ho sentito qualcuno entrare. Diceva cose strane. Credo che parlasse un'altra lingua. Era la voce di un ragazzo... e questo mi ha tratto in inganno. E cosi ho aperto la porta per dirgli di andare nel bagno dei maschi e subito dopo...» e qui la voce di Mirtilla assunse un'aria d'importanza e il suo volto divenne raggiante, « ...sono morta».
«Ma in che modo?» chiese Harry.
«Non ne ho la più pallida idea» disse Mirtilla in tono confidenziale. «Ricordo solo di aver visto due immensi occhi gialli. È stato come se tutto il mio corpo si fermasse e poi svanisse galleggiando...» Guardò Harry con occhi sognanti. «Poi sono tornata. Ero decisa a perseguitare Olive Hornby sotto forma di fantasma, capisci? L'ho fatta pentire di avermi preso in giro per gli occhiali!»
«In che punto, esattamente, hai visto gli occhi?» chiese Harry.
«Da quella parte» rispose Mirtilla indicando vagamente verso lo scarico di fronte al suo gabinetto.
Harry e Ron vi si precipitarono. Allock si teneva indietro con un'espressione di terrore indicibile. Sembrava uno scarico qualunque. Lo esaminarono centimetro per centimetro, dentro e fuori, compresi i tubi sottostanti. Poi, d'un tratto, Harry lo vide: inciso su uno dei rubinetti di rame c'era un piccolo serpente.
«Quel rubinetto non ha mai funzionato» disse Mirtilla vivacemente mentre lui cercava di aprirlo.
«Harry, di' qualcosa in Serpentese» suggerì Ron. «Ma...» Harry si concentrò a pensare a qualcosa da dire. Le uniche volte che era riuscito a parlare quella lingua misteriosa era stato quando si era trovato davanti a un serpente vero. Fissò la piccola incisione, cercando di immaginare che fosse un serpente in carne e ossa. «Apriti!» disse.
Poi guardò Ron, ma lui scosse la testa. «Niente» disse. Harry tornò a fissare il serpente, imponendosi di credere che fosse vivo. Alla luce della candela sembrava quasi che si muovesse.
«Apriti!» ripeté.
Questa volta le parole ebbero un suono diverso: uscirono in uno strano sibilo e subito il rubinetto brillò di una vivida luce bianca e prese a girare. Un attimo dopo il lavandino cominciò a muoversi. Sprofondò e scomparve alla vista lasciando scoperto un grosso tubo, un tubo largo abbastanza da lasciar passare un uomo.
Harry sentì Ron trattenere il fiato e alzò gli occhi. Ora sapeva quel che doveva fare
«Io mi ci calo dentro» disse. Doveva farlo, specie ora che avevano trovato l'ingresso della Camera e che c'era la speranza - per quanto pallida, remota e tenue - che Ginny fosse viva.
«Vengo con te» disse Ron.
Ci fu una pausa.
«Be', mi sembra proprio che di me non ci sia bisogno» disse Allock che aveva recuperato un'ombra del suo antico sorriso. «Quasi quasi io...»
Fece per poggiare la mano sulla maniglia della porta, ma Ron e Harry gli puntarono entrambi contro la bacchetta magica.
«No, lei entra per primo!» ringhiò Ron.
Pallido come un cencio e senza bacchetta, Allock si avvicinò all'apertura.
«Ma ragazzi!» disse con un filo di voce, «ragazzi, a che cosa vi servirà
tutto questo?»
Harry lo pungolò da dietro con la bacchetta. Allock infilò le gambe nel tubo.
«Non credo proprio...» cominciò a dire, ma Ron gli diede uno spintone e Allock sparì. Harry lo seguì rapido. Si calò lentamente nel tubo e lasciò la presa.
Fu come scivolare lungo una pista viscida e senza fondo. Vide altri tubi diramarsi in tutte le direzioni, ma nessuno era grosso come il loro, ripido, tutto curve e giravolte. Capì che stavano sprofondando sotto il livello della scuola, addirittura oltre quello dei sotterranei. Dietro sentiva Ron che, a ogni curva, urtava leggermente contro le pareti.
Poi, quando già cominciava a preoccuparsi di quel che sarebbe accaduto se avessero toccato terra, il tubo tornò in piano e lui fu catapultato fuori con uno splash, atterrando sul pavimento bagnato di un buio tunnel di pietra, abbastanza spazioso da permettergli di stare in piedi. Un po' più in là, Allock si stava rialzando, coperto di melma e pallido come un cencio. Harry si fece da parte, mentre anche Ron schizzava fuori dal tubo.
«Dobbiamo trovarci a centinaia di metri sotto la scuola» disse Harry, e dall'oscurità del tunnel gli giunse l'eco della sua voce.
«Probabilmente siamo sotto il lago» disse Ron perlustrando le pareti nere e viscide. Tutti e tre si voltarono a scrutare l'oscurità che gli si spalancava davanti.
« Lumos! » bisbigliò Harry alla sua bacchetta, che tornò ad accendersi.
«Andiamo» disse poi rivolto a Ron e Allock, e si avviarono. I loro passi rimbombavano secchi sul pavimento bagnato.
Il tunnel era così buio che riuscivano a vedere soltanto a pochi metri dal naso. Alla flebile luce della bacchetta le loro ombre sulle pareti gocciolanti assumevano forme mostruose.
«Appena sentite qualcosa muoversi» disse Harry a bassa voce mentre procedevano con circospezione, «ricordatevi di chiudere immediatamente gli occhi...»
Ma nel tunnel regnava un silenzio di tomba e il primo rumore inatteso che li fece sobbalzare fu un sonoro scricchiolio, perché Ron aveva pestato qualcosa che poi risultò essere il teschio di un topo. Harry abbassò la bacchetta per ispezionare il pavimento, dove vide una miriade di piccole ossa di animali. Sforzandosi in tutti i modi di non pensare all'aspetto che avrebbe potuto avere Ginny se l'avessero trovata, proseguì, superando una curva.
«Harry, più avanti c'è qualcosa...» disse Ron con voce soffocata afferrandolo per una spalla. Quel che videro li raggelò. Harry riuscì a intravedere soltanto la sagoma di qualcosa di immenso, tutto spire, steso di traverso nel tunnel. Era immobile.
«Forse dorme» disse trattenendo il respiro e voltandosi a guardare i suoi compagni. Allock si era coperto gli occhi con le mani. Harry si voltò di nuovo verso la cosa, con il cuore che gli martellava così forte da fargli male. Molto lentamente, tenendo gli occhi aperti solo quel tanto che gli consentisse di vederci, avanzò tenendo la bacchetta magica sollevata. La luce si posò su una gigantesca pelle di serpente di un vivido color verde fiele che giaceva arrotolata e vuota sul pavimento. La creatura che l'aveva abbandonata doveva essere lunga almeno sei metri.
«Per la miseria!» esclamò Ron con un filo di voce.
Dietro di loro qualcuno si mosse all'improvviso: a Gilderoy Allock si erano piegate le ginocchia.
«In piedi!» gli intimò Ron aspro, puntandogli contro la bacchetta magica. Allock si rialzò... e poi si lanciò su Ron, scaraventandolo a terra. Harry balzò in avanti, ma troppo tardi. Allock si stava raddrizzando, tutto ansimante. In mano aveva la bacchetta di Ron e sul viso gli era ricomparso un sorriso smagliante.
«Qui si conclude l'avventura, ragazzi!» esclamò. «Porterò su a scuola un pezzetto di questa pelle, dirò che sono arrivato troppo tardi per salvare la ragazza e che voi due avete tragicamente perso il senno alla vista del suo corpo straziato. Dite addio ai vostri ricordi!»
Sollevò in aria la bacchetta rattoppata di Ron e gridò: « Oblivion! »
La bacchetta esplose con la forza di una bomba. Harry si coprì la testa con le braccia e spiccò una corsa, scivolando sopra le spire della pelle di serpente e cercando di schivare i grossi massi che dal soffitto franavano fragorosamente a terra. Un attimo dopo si ritrovò solo, davanti a una parete compatta di detriti di roccia.
«Ron!» gridò. «Stai bene? Ron!»
«Sono qui!» gli giunse la sua voce soffocata dall'altra parte. «Io sto bene, ma questo verme no... La bacchetta gli ha fatto fare un bel volo». Si udì un tonfo sordo e un sonoro «Ahi!», come se Ron avesse mollato ad Allock un calcio sugli stinchi.
«E ora che cosa facciamo?» chiese Ron disperato. «Non possiamo passare. Ci vorrebbero secoli...»
Harry alzò lo sguardo sul soffitto del tunnel, dove si erano aperte crepe enormi. Non aveva mai provato a usare la magia per spaccare in due cose grosse quanto quei macigni e adesso non gli sembrava il momento più opportuno per provarci... E se tutta la volta del tunnel avesse ceduto?
Da dietro le macerie si udì un altro tonfo e un altro «Ahi!» Stavano solo perdendo tempo. Erano ore, ormai, che Ginny si trovava nella Camera dei Segreti. Harry capì che c'era una sola cosa da fare.
«Tu aspetta qui» disse a Ron. «Resta con Allock. Io proseguo. Se non sono di ritorno fra un'ora...»
Ci fu una pausa carica di tensione.
«Io, intanto, cercherò di spostare un po' di massi» disse Ron sforzandosi di mantenere ferma la voce. «Così potrai... potrai trovare un varco quando torni. E... Harry...»
«Ci vediamo tra poco» disse Harry cercando di dare alla sua voce tremante un tono fiducioso. E si avviò da solo, oltrepassando la pelle del serpente gigante. Ben presto non sentì più il rumore dei massi spostati da Ron. Superò un'altra curva e poi un'altra ancora. Sentiva ogni nervo tendersi in modo sgradevole. Non vedeva l'ora di arrivare alla fine del tunnel, eppure aveva paura di quel che avrebbe trovato in fondo. Poi, dopo un'ennesima curva si trovò di fronte una parete su cui erano scolpiti due serpenti attorcigliati che al posto degli occhi avevano due grandi smeraldi scintillanti. Harry si avvicinò. Aveva la gola secca. Questa volta non c'era nessun bisogno di fingere che i serpenti di pietra fossero veri: i loro occhi, infatti, sembravano stranamente vivi.
Il ragazzo intuì quel che doveva fare. Si schiarì la gola e gli occhi di smeraldo ebbero un fremito.
« Apriti» disse in un sibilo debole e soffocato. I serpenti si sciolsero dal loro groviglio e la parete cominciò a spalancar-si, dividendosi in due metà. Tremando dalla testa ai piedi, Harry entrò.
Capitolo 17
L'Erede di Serpeverde
Si ritrovò nell'ingresso di una sala molto lunga, debolmente illuminata. Pilastri di pietra torreggianti, formati da altri serpenti avvinghiati, si levavano fino al soffitto, perdendosi nel buio e gettando lunghe ombre nere nella strana oscurità verdastra che avvolgeva il luogo. Col cuore che gli batteva forte, Harry rimase in ascolto nel silenzio gelido. Forse il Basilisco era appiattato nell'oscurità, dietro un pilastro? E
Ginny dov'era?
Tirò fuori la bacchetta magica e cominciò ad avanzare fra le colonne sinuose. L'eco dei suoi passi circospetti rimbalzava sulle pareti nere. Harry teneva gli occhi semichiusi, pronto a serrarli del tutto alla prima avvisaglia di movimento. Gli pareva che le orbite vuote dei serpenti di pietra lo seguissero. Più di una volta, con una stretta allo stomaco, credette di vedere qualcosa muoversi nell'ombra.
Poi, giunto all'ultima coppia di colonne torreggianti contro la parete di fondo, si ritrovò davanti una statua alta fino al soffitto. Dovette piegare indietro il collo per riuscire a intravedere il volto gigantesco che lo sovrastava: era il volto antico e scimmiesco di un vecchio mago, con una lunga barba rada che gli arrivava quasi fino all'orlo della veste scolpita, lunga fino a terra, e due enormi piedi grigi che poggiavano sul pavimento levigato della stanza. Tra i piedi, giaceva bocconi una figurina vestita di nero dai capelli rosso fiamma.
« Ginny! » bisbigliò Harry precipitandosi verso di lei. «Ginny! Dimmi che non sei morta! Ti prego, dimmi che non sei morta!» Poggiò la bacchetta accanto a sé, prese la ragazzina per le spalle e la voltò. Aveva il volto bianco e freddo come l'alabastro ma gli occhi erano chiusi, il che significava che non era pietrificata. Ma allora, voleva dire che era...?
«Ginny, ti prego, svegliati!» bisbigliò disperato, scuotendola. La testa di Ginny ciondolò inerte.
«Non si sveglierà» disse una voce suadente.
Harry sobbalzò e si voltò.
Al pilastro più vicino era appoggiato un ragazzo alto dai capelli neri. I contorni della sua figura erano stranamente sfocati, come se Harry lo vedesse attraverso una finestra appannata. Ma come non riconoscerlo?
«Tom... Toni Riddle? »
Riddle annuì, senza levare gli occhi da Harry.
«Che cosa significa che non si sveglierà?» chiese Harry disperato. «Non sarà mica... non sarà mica...?»
«È ancora viva» disse Riddle. «Ma per poco».
Harry lo fissò. Tom Riddle aveva studiato a Hogwarts cinquant'anni prima, eppure eccolo lì, avvolto in un'aura misteriosa e opalescente: non poteva avere più di sedici anni.
«Sei un fantasma?» gli chiese con voce incerta.
«Un ricordo» rispose Riddle abbassando la voce. «Un ricordo conservato in un diario per cinquant'anni». Indicò il pavimento, in direzione dei piedi giganteschi della statua. Lì
accanto, aperto, c'era il piccolo diario nero che Harry aveva trovato nel bagno di Mirtilla Malcontenta. Per un attimo, il ragazzo si chiese come avesse fatto ad arrivare fin lì... ma c'erano questioni più urgenti da affrontare.
«Devi aiutarmi, Tom» disse sollevando di nuovo il capo di Ginny.
«Dobbiamo portarla fuori di qui. C'è un Basilisco... Non so dove si trovi, ma potrebbe arrivare da un momento all'altro. Ti prego, aiutami!»
Riddle non si mosse. Madido di sudore, Harry cercò di sollevare Ginny da terra; poi si chinò di nuovo a raccogliere la bacchetta magica. Ma la bacchetta era sparita.
«Hai mica visto...?»
Alzò lo sguardo. Riddle lo stava ancora fissando... e tra le lunghe dita rigirava la sua bacchetta magica.
«Grazie» disse Harry allungando una mano per prenderla. Un sorriso increspò le labbra di Riddle che non staccava gli occhi da Harry e continuava pigramente a giocherellare con la bacchetta.
«Senti» disse Harry tutto affannato con le ginocchia che cominciavano a cedergli sotto il peso morto di Ginny, « dobbiamo andarcene di qui! Se arriva il Basilisco...»
«Non verrà, a meno che non lo si chiami» disse Riddle con calma. Harry depose Ginny a terra, incapace di tenerla in braccio più a lungo.
«Cosa intendi dire?» chiese. «Dài, rendimi la bacchetta, potrebbe servirmi». Il sorriso si allargò sul volto di Riddle.
«Non ne avrai bisogno» disse.
Harry lo fissava.
«Che cosa significa che non ne...?»
«Era tanto che aspettavo questo momento, Harry Potter» disse Riddle.
«Il momento di incontrarti. Di parlarti».
«Senti» disse Harry perdendo la pazienza. «Non credo che tu abbia capito la situazione. Siamo nella Camera dei Segreti. Parleremo dopo».
«No, invece, parliamo adesso» disse Riddle con il suo largo sorriso, infilandosi in tasca la bacchetta di Harry. Harry lo fissava. Stavano succedendo cose molto strane, che non riusciva ad afferrare.
«Come ha fatto Ginny a ridursi in questo stato?» chiese lentamente.
«Questa sì che è una domanda interessante» disse Riddle con tono amabile. «Ed è anche una storia molto lunga. Suppongo che la principale ragione dello stato in cui si trova Ginny è che ha aperto il suo cuore a un estraneo invisibile, rivelandogli tutti i suoi segreti».
«Ma di che cosa stai parlando?» chiese Harry.
«Il diario» rispose Riddle. «Il mio diario. Sono mesi che la piccola Ginny ci scrive fiumi di parole, raccontandomi tutte le sue lacrimevoli preoccupazioni e angosce: che i suoi fratelli la prendono in giro, che è dovuta venire a scuola con abiti e libri di seconda mano, che...» - e qui gli occhi di Riddle mandarono un lampo - «...che non pensava di riuscire mai a piacere al famoso, al bravo, al grande Harry Potter...»
Durante tutto il discorso, gli occhi di Riddle non avevano mai abbandonato quelli di Harry. Avevano uno sguardo quasi famelico.
«È una gran noia dover stare a sentire gli sciocchi, piccoli turbamenti di una ragazzina di undici anni» proseguì. «Ma sono stato paziente. Le ho risposto, sono stato comprensivo, sono stato gentile. E adesso lei mi adora.
'Nessuno mi ha mai capito come te, Tom... Sono così felice di avere questo diario a cui confidarmi... è come avere un amico da portare sempre con me in tasca... '»
Rise: una risata stridula, fredda, che non gli si addiceva affatto, e che fece rizzare i capelli in testa a Harry.
«Modestia a parte, Harry, ho sempre avuto il dono di affascinare le persone di cui avevo bisogno. Così, Ginny mi ha schiuso la sua anima e la sua anima era esattamente quella che io volevo. Mi sono alimentato delle sue paure più profonde, dei suoi segreti più oscuri, che mi hanno reso sempre più forte. Sono diventato potente, molto più potente della piccola Ginny Weasley. Abbastanza da cominciare a raccontarle qualcuno dei miei segreti, da cominciare a riversare un po' della mia anima nella sua... »
«Cosa vuoi dire?» chiese Harry con la bocca secca.
«Non hai ancora capito, Harry Potter?» chiese Riddle con dolcezza. «È
stata Ginny Weasley ad aprire la Camera dei Segreti. È stata lei a strangolare i galli e a scrivere messaggi minacciosi sulle pareti. Lei ad aizzare il Serpente di Serpeverde contro quattro mezzosangue oltre che contro la gatta di Gazza».
«No!» sussurrò Harry in un soffio.
«E invece sì» riprese Riddle con calma. «Naturalmente all'inizio lei non sapeva quel che stava facendo. Era molto divertente. Quanto vorrei che tu avessi potuto leggere le annotazioni che scriveva via via sul diario... Col tempo, sono diventate sempre più interessanti... 'Caro Tom' recitò fissando il volto inorridito di Harry 'credo di star perdendo la memoria. Mi trovo attaccate ai vestiti penne di gallo e non so come ci siano arrivate. Caro Tom, non mi ricordo quel che ho fatto la notte di Halloween, ma un gatto è
stato aggredito e io sono tutta sporca di vernice. Caro Tom, Percy conti- nua a ripetermi che sono pallida e che non sembro più io, penso che so- spetti di me... Oggi c'è stata un'altra aggressione, e io non so dove mi tro- vavo. Tom, che cosa devo fare? Forse sto impazzendo... Credo di essere io quella che aggredisce tutti, Tom!' »
Harry serrò i pugni tanto che le unghie gli affondarono nella carne.
«C'è voluto molto tempo perché la piccola, stupida Ginny smettesse di fidarsi del suo diario» proseguì Riddle. «Ma alla fine ha cominciato ad avere dei sospetti e ha cercato di disfarsene. Ed ecco dove entri in scena tu, Harry. Tu l'hai trovato, e io sono andato in brodo di giuggiole. Fra tutti quelli che avrebbero potuto venirne in possesso, quello che più desideravo incontrare eri tu... »
«E perché volevi incontrarmi?» chiese Harry. Si sentiva montare la rabbia, e dovette fare uno sforzo per mantenere ferma la voce.
«Vedi, Ginny mi ha raccontato tutto di te, Harry» disse Riddle. «Tutta la tua affascinante storia». Posò gli occhi sulla cicatrice a forma di saetta e la sua espressione divenne ancor più famelica. «Sapevo di dover scoprire altre cose sul tuo conto, di doverti parlare, incontrarti, se potevo. Per questo ho deciso di mostrarti l'episodio della mia famosa cattura di quel gran sempliciotto di Hagrid: per conquistarmi la tua fiducia».
«Ma Hagrid è mio amico!» disse Harry, e questa volta la voce gli tremò.
«E tu l'hai incastrato, non è così? Io credevo che tu avessi commesso un errore, ma...»
Riddle scoppiò ancora una volta in quella sua risata stridula.
«Era la mia parola contro quella di Hagrid. Be', puoi immaginare da te com'è rimasto il vecchio Armando Dippet. Da una parte Tom Riddle, povero in canna ma brillante, orfano ma così coraggioso, Prefetto della scuola, studente modello; dall'altra quel gran pasticcione confusionario di Hagrid, che si metteva nei guai una settimana sì e una no, che tentava di allevare cuccioli di lupi mannari sotto il letto, che sgattaiolava nella foresta proibita per combattere i troll. Ma devo ammettere che persino io sono rimasto sorpreso della riuscita del mio piano. Pensavo che qualcuno si sarebbe reso conto che l'Erede di Serpeverde non poteva assolutamente essere Hagrid. C'erano voluti a me cinque anni interi per scoprire quel che c'era da sapere sulla Camera dei Segreti e trovarne l'ingresso... figuriamoci se Hagrid poteva avere il cervello o il potere per farlo!
«Soltanto Silente, l'insegnante di Trasfigurazione, sembrava persuaso dell'innocenza di Hagrid. Convinse Dippet a tenerlo e a istruirlo come guardiacaccia. Si, credo che Silente avesse indovinato. Silente non mi ha mai apprezzato quanto gli altri insegnanti...»
«Scommetto che Silente ti ha inquadrato subito» disse Harry digrignando i denti.
«Be', certo, dopo l'espulsione di Hagrid non mi ha mai perso d'occhio, e la cosa era molto seccante» disse Riddle con indifferenza. «Sapevo che riaprire la Camera mentre ero ancora a scuola non era prudente. Ma non avevo certo intenzione di buttare al vento tutti gli anni che avevo passato a cercarla. Decisi allora di lasciare un diario che conservasse tra le sue pagine la memoria di quel che io ero a sedici anni; in questo modo, con un po'
di fortuna, sarei riuscito a istruire qualcuno abbastanza per seguire le mie orme e a portare a compimento la nobile opera di Salazar Serpeverde».
«Be', non è il caso che tu canti vittoria» disse Harry con aria di trionfo.
«Questa volta non è morto nessuno, neanche il gatto. Fra qualche ora sarà
pronta la pozione di mandragola e tutti quelli che sono stati pietrificati torneranno normali».
«Forse non ti ho ancora detto» riprese Riddle abbassando la voce, «che non mi interessa più ammazzare i mezzosangue. Da molti mesi a questa parte, il mio nuovo bersaglio sei tu».
Harry lo fissò, ammutolito.
«Immagina la mia rabbia quando ho scoperto che chi aveva riaperto il diario per scrivermi non eri tu, ma Ginny. Lei te l'ha visto in mano ed è
stata presa dal panico. Cosa sarebbe successo se tu avessi scoperto come funzionava e se io ti avessi spiattellato tutti i suoi segreti? O se - peggio ancora - io ti avessi detto chi era stato a strangolare i galli? Cosi, quella stupida mocciosa ha aspettato che nel tuo dormitorio non ci fosse nessuno e ha trafugato il diario. Ma io sapevo cosa fare. Ormai mi era chiaro che tu eri sulle tracce dell'Erede di Serpeverde. Da tutto quel che Ginny mi aveva detto di te, sapevo che avresti risolto il mistero a ogni costo, specie poi se a essere aggredita fosse stata una delle tue migliori amiche. E Ginny mi aveva detto che a scuola aveva suscitato un grande scalpore il fatto che tu parlassi il Serpentese...
«Perciò, ho convinto Ginny a scrivere un addio sul muro, a venire quaggiù e ad aspettare. Lei ha pianto, si è dimenata, ed è diventata davvero noiosa. Ma in lei non è rimasta più tanta vita: ha messo troppo di sé nel diario, dentro di me. Abbastanza, comunque, da permettermi di abbandonare finalmente quelle pagine. Da quando siamo quaggiù non ho fatto che aspettare il tuo arrivo. Sapevo che saresti venuto. Ho molte domande da farti, Harry Potter».
«Per esempio?» sbottò Harry con i pugni ancora serrati.
«Be'» disse Riddle sorridendo amabilmente, «come è potuto accadere che un neonato senza alcun particolare talento magico sia riuscito a sconfiggere il più grande mago di tutti i tempi? Come hai fatto a cavartela solo con una cicatrice, mentre i poteri di Lord Voldemort sono andati distrutti?»
Nei suoi occhi famelici brillava ora un sinistro bagliore rossastro.
«Perché ti importa tanto di sapere come ho fatto a cavarmela?» chiese Harry lentamente. «Voldemort è vissuto dopo di te».
«Voldemort» disse Riddle piano, «è il mio passato, il mio presente e il mio futuro. Harry Potter...»
Tirò fuori dalla tasca la bacchetta magica di Harry e cominciò a rotearla in aria, tracciando tre parole scintillanti: